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  • Domande dai lettori (1)
    La Torre di Guardia 1953 | 15 gennaio
    • con questi anziani e non si sentirebbe libero di chiamarli coi loro nomi, nemmeno in amichevole conversazione quando non conduce lo studio. Un’altra situazione: Una donna potrebbe essere nella verità, suo marito no, ed egli potrebbe venire a un’adunanza. Ode chiamare per nome sua moglie, e questo dal conduttore di fronte all’intera congregazione. Comprensibilmente, questo non gli piace. Quindi in considerazione di queste ed altre situazioni, chi chiamerete per nome? Alcuni si offenderanno se lo fate; altri si urteranno se non lo fate. Tutte le difficoltà svaniranno se il conduttore userà il cognome per tutti, compresi i membri della sua stessa famiglia. In tal modo si evita di dividere la congregazione chiamando alcuni in un modo e altri in un altro. Naturalmente, non ci rivolgeremo ai nuovi venuti che non sono nella verità come a fratelli e sorelle, dato che non esiste la relazione spirituale così indicata. Tuttavia, è raro che il conduttore debba rivolgersi ai nuovi venuti durante le adunanze, dato che essi vi sono per ascoltare.

      L’uso di nomi come Pietro e Giovanni e Paolo nella Bibbia potrebbe sembrare ad alcuni una ragione per usare i nomi. Ma questi non erano nomi, che dovessero esser seguiti da cognomi. Essi erano, per lo più, gli unici nomi. Alcuni avevano dei nomi alternativi. Ad esempio il nome dato primieramente a Pietro era “Simone e in seguito fu chiamato “Cefa”, secondo l’aramaico, o “Pietro”, secondo il greco. In alcuni testi egli è chiamato “Simon Pietro”; quindi “Pietro” era più un cognome che un nome. In Marco 3:16 è perfino dichiarato: “Simone, al quale mise nome Pietro”. Dunque, questo non era un cognome come ne abbiamo oggi, ma era piuttosto un nome alternativo o supplementare, datogli perché era particolarmente appropriato, abitudine frequente presso gli Ebrei. I cognomi come li conosciamo noi oggi non esistevano tra i Giudei dei tempi biblici. Il Westminster Dictionary of the Bible (edizione inglese del 1944), a pagina 418, dichiara: “I cognomi mancavano fra gli Ebrei; le persone erano designate aggiungendo al nome personale quello della loro città, come Gesù di Nazaret, Giuseppe d’Arimatea, Maria Maddalena, Nahum d’Elkosh; oppure mediante una dichiarazione della loro discendenza, come Simone figlio di Giona; da loro attitudini, mestiere, o altra caratteristica, come Simon Pietro, Nathan il profeta, Giuseppe il falegname, Matteo il pubblicano, Simone detto Zelota, e Dionisio l’Areopagita”.

      Su questo punto l’Encyclopedia Americana, edizione del 1942, dice questo sotto “Nomi”: “Né gli Ebrei, gli Egiziani, gli Assiri, i Babilonesi e i Persiani, né i Greci avevano cognomi; e nel primo periodo della loro storia lo stesso si può dire dei Romani”. (Vol. 19, pag. 685) Questa fonte prosegue dimostrando che il nostro attuale uso di cognomi venne solo secoli dopo. Tutto questo mostra che i personaggi biblici non ebbero nomi come li consideriamo noi oggi, seguiti da un cognome per l’uso più formale; e l’impiego dei nomi Pietro e Giovanni e Paolo ed altri simili che a noi sembrano come nomi ordinari non indicano familiarità tra i primi Cristiani e gli apostoli. Era il costume di quel tempo.

      Qual è il procedimento normale oggi? Quando sono presentati degli estranei si usa il loro cognome, finché entrambi entrino in confidenza. Se c’è molta differenza di età, il più giovane potrebbe non chiamare mai per nome il più anziano. Quando le persone sono adunate in seria assemblea, il procedimento è quello di usare i cognomi. È la maniera consueta, quella più dignitosa e rispettosa. Perciò noi, durante le nostre adunanze di congregazione, possiamo imitare questo costume concernente i cognomi. Però, invece di usare il mondano Signor o Signora o Signorina davanti al cognome, noi usiamo i termini che indicano che abbiamo una parentela più stretta di quella dei mondani.

      La preghiera del Signore comincia con “Padre nostro”, indicando che egli è Padre per molti, e quei molti che si rivolgono a lui sono necessariamente fratelli e sorelle, tutti in familiare parentela con Dio a capo. Perciò quando noi ci rivolgiamo l’uno all’altro come fratello o sorella nelle nostre adunanze noi mettiamo in risalto questa benedetta parentela o spirituale unità familiare. È questa meravigliosa parentela che rende i testimoni di Geova così diversi, così premurosi l’uno verso l’altro, così pronti ad aiutarsi reciprocamente. Noi siamo riconoscenti per questa parentela, pronti ad ammetterla, a richiamare l’attenzione su di essa, senza vergogna o imbarazzo nel far questo per ciò che potrebbe pensare qualche mondano. I mondani si chiamano reciprocamente per nome in molte circostanze. Essi chiamano noi e noi chiamiamo loro per nome. Questo indica solo mancanza di formalità o buona conoscenza. Ma quando noi usiamo “fratello” o “sorella” ciò indica una benedetta parentela, una parentela di famiglia sotto l’unico Padre, Geova Dio. Una parentela molto più stretta e preziosa di qualsiasi altra indicata dall’uso di nomi. Non è forse vero?

  • Domande dai lettori (3)
    La Torre di Guardia 1953 | 15 gennaio
    • Domande dai lettori

      ◆ Perché Geova scelse il primo re umano d’Israele dalla tribù di Beniamino e gli diede la speranza che la regalità sarebbe rimasta nella sua casa per sempre, mentre una profezia precedente aveva nominato Giuda come la tribù da cui sarebbero venuti i re? —  R. G., Cuba.

      Lea fu la prima a maritarsi e generar figli a Giacobbe, ma questo avvenne solo con un inganno tramato su Giacobbe. Rachele era quella ch’egli amava e per la quale pattuì, ed era quindi alla progenie di Rachele che doveva spettare il diritto di primogenitura, benché la progenie di Giacobbe per mezzo di Lea fosse maggiore d’età. (Gen. 29:18-28) Sara fu la diletta moglie di Abrahamo, e fu alla sua progenie Isacco che spettò il diritto di primogenitura, sebbene il figlio di Abrahamo Ismaele avuto da Agar fosse più anziano. Lo stesso accadde alla progenie di Rachele, Giuseppe. Comunque, Giuseppe non divenne capo tribù in Israele, ma tali divennero i suoi figli Manasse ed Efraim. Manasse era il maggiore, ma la direttiva divina fece cadere su Efraim la benedizione migliore. Di lui Geova disse: “Efraim è il mio primogenito”. (Gen. 48:8-20; Ger. 31:9) Tuttavia, la tribù di Efraim si tolse poi da questa favorita posizione per numerose mancanze, e il salmista dice dell’atto di Geova: “Ripudiò la tenda di Giuseppe, e non elesse la tribù di Efraim; ma elesse la tribù di Giuda. — Sal. 78:9, 67, 68.

      Eliminato Giuseppe, per la mancanza di Efraim, l’altra progenie di Rachele, Beniamino, doveva avere la sua opportunità. Questa si presentò con l’unzione di Saul come re, poiché Saul era un Beniaminita. In 1 Samuele 13:13 si parla della possibilità che il regno di Saul sia stabilito per sempre; ma dobbiamo ricordare che il termine ebraico qui tradotto “per sempre” è ohlahm. Come fu dimostrato in precedenti Torri di Guardia e nel libro “Sia Dio riconosciuto verace”, questa parola ebraica significa un periodo di tempo nascosto o indefinito, non necessariamente eterno. È vero, Geova sapeva prima del tempo che il regno non sarebbe rimasto nella casa di Beniamino; ma fu la presuntuosa e infedele condotta dello stesso Saul che diede luogo alla sua perdita della sovranità per la sua casa e la sua tribù. Il semplice esercizio di potere di preconoscenza di Geova non costrinse attivamente Saul ad agire in modo riprovevole. Saul agì di sua propria volontà contro gli espressi ordini di Geova Dio, con la piena responsabilità di queste trasgressioni di fronte alla conoscenza dei suoi peccati.

      Dopo che la favorita progenie di Rachele ebbe avuto la sua opportunità, i figli maggiori di Lea dovevano avere la prospettiva della benedizione di regalità. Prima di Giuda c’erano Ruben, Simeone e Levi. Questi furono tutti e tre eliminati per le circostanze menzionate da Giacobbe al tempo della benedizione dei suoi figli. (Gen. 49:3-7) Inoltre, in seguito i Leviti agirono con una fedeltà degna di nota e furono premiati ricevendo le benedizioni del sacerdozio. Questo avrebbe impedito a chiunque di loro di divenir re. Perciò era la volta di Giuda, e la profezia in Genesi 49:8-12 indica che egli sarebbe riuscito ad ottenere la sovranità, ed essere l’antenato umano del Re che regnerà per sempre, Cristo Gesù. Senza dubbio, in tutto questo Geova non era sotto alcun obbligo di conformarsi alla pratica generale relativa ai primogeniti e ai privilegi della primogenitura. Egli poteva scegliere chiunque voleva sin dal principio, senza eliminare quelli che erano i primi secondo le procedure umane.

  • Domande dai lettori (4)
    La Torre di Guardia 1953 | 15 gennaio
    • Domande dai lettori

      ◆ È scritturale parlare di Geova come essendo onnipresente? — Un lettore della Nuova Zelanda.

      Non è scritturale parlare di Geova come essendo onnipresente nel senso in cui ne parlano i pagani, come se fosse uno spirito che pervaderebbe tutto. Egli ha un trono nei cieli alla cui destra si assise Gesù dopo la sua ascensione, ma può raggiungere ogni parte del suo universo ed estendervi la sua potenza e i suoi occhi scorrono tutta la terra per mostrare la sua forza a favore delle persone di cuore perfetto. (2 Cron. 16:9) Se egli fosse onnipresente le Scritture non parlerebbero della sua venuta per visitare la terra; egli sarebbe già qui.

  • Domande dai lettori (2)
    La Torre di Guardia 1953 | 15 gennaio
    • Domande dai lettori

      ◆ Quale dovrebbe essere l’atteggiamento del Cristiano riguardo al lavoro in fabbriche di armi, servire nelle giurie, vendere cartoline o alberi di Natale, ecc.? — Domanda composta basata su parecchie richieste.

      La Watchtower Society è organizzata per lo scopo di predicare la buona notizia del Regno in tutta la terra abitata per una testimonianza a tutte le nazioni, ed essa incoraggia ed aiuta tutti ad avere parte in tale opera, consigliando gratuitamente intorno ai procedimenti più efficaci. In quanto alle altre forme di attività o lavoro la Società non ha nessuna specifica raccomandazione da fare. Stabilire delle regole per tutte le possibili situazioni relative al lavoro secolare significherebbe ingolfarci nella compilazione di una voluminosa serie di regolamenti, come quelli del Talmud, nel tentativo di fare ogni minima distinzione su quando un dato lavoro diviene o meno biasimevole. Il Signore non ha conferito alla Società tale responsabilità; ciascun individuo ha la responsabilità di decidere il suo proprio caso. Per illustrare il problema si consideri il fatto di vendere cartoline o alberi di Natale. Se ciò è male, che cosa dire del macellaio che vende un tacchino per un pranzo di Natale, o della commessa che vende una maglia da usare come dono di Natale? Dove si deve mettere il limite? Oppure, quando il lavoro diventa bellico? Non occorre che lavoriate in una fabbrica di carri armati per fare ordigni impiegabili nella guerra. In quanto ai doveri di giurato, sareste voi accettabili per questo servizio, per esempio, in un caso di divorzio nel quale uno sarebbe approvato per motivi diversi dall’adulterio? La vostra coscienza cristiana vi potrebbe escludere, rendendovi inaccettabile per una o entrambe le parti del caso.

      Il silenzio della Società in queste cose non dev’essere considerato come un’approvazione, né dev’essere considerato come una condanna che non si voglia esprimere apertamente. Esso significa che noi riteniamo che la decisione sia responsabilità dell’individuo, non nostra. È la sua coscienza che deve sentirsi soddisfatta per la sua condotta, non la nostra. Egli conosce tutte le circostanze, noi no. I testimoni di Geova han letto la loro Bibbia e studiato le pubblicazioni della Watchtower che hanno cercato di rendere chiari i giusti principi ed esigenze di Geova per la guida dei Cristiani. Ciascuno dovrebbe ora essere in grado di stabilire per suo conto ciò che coscienziosamente può fare nel campo del lavoro secolare. Noi dobbiamo ricordare che, mentre non facciamo parte di questo mondo o delle sue macchinazioni e speranze per la sua continuazione, siamo in esso e non possiamo staccarci completamente dalle sue attività. Ognuno quindi accetti la propria responsabilità e segua la sua propria coscienza, senza criticare altri o esser da loro criticato, allorché le coscienze individuali portano a differenti decisioni sulla stessa questione. Non dovremmo essere “giudicati dalla coscienza di un’altra persona”. “Chi sei tu da giudicare il domestico di un altro? Egli sta in piedi o cade al suo proprio padrone”. — Rom. 14:4; 1 Cor. 10:29, NW.

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