Etruschi: ancora un mistero?
Dal corrispondente di “Svegliatevi!” in Italia
DURANTE il primo millennio a.E.V., e più precisamente dall’VIII secolo in poi, fiorì in Italia una straordinaria civiltà che continua a sorprendere gli etruscologi, cioè gli studiosi che l’approfondiscono.
Chi erano gli etruschi? Di dove sono originari? Come comprendere la loro lingua? Questi vecchi quesiti non hanno ancora avuto risposte definitive anche se l’alone di mistero che circonda questo popolo sta gradatamente dileguandosi, man mano che l’etruscologia approfondisce le sue indagini.
Cenni sulla loro origine
Sull’origine degli etruschi o Rasena, come si chiamavano nella loro lingua, vi sono varie ipotesi. Alcuni studiosi, accogliendo la versione dello storico greco Erodoto, affermano che questo popolo giungesse in Italia dalla Lidia, una regione dell’Asia Minore, oppure da altre zone del Mar Egeo. Altri, facendo propria la tesi di Dionigi d’Alicarnasso (storico greco vissuto al tempo di Augusto), sostengono che siano discendenti di stirpi mediterranee da tempo stabilite nella penisola italiana. Altri ancora ritengono che gli etruschi siano un popolo emigrato dalla zona alpina a nord. Nel suo libro Etruscologia (Editore Hoepli, Milano) il noto etruscologo Massimo Pallottino, pur ammettendo che la prima ipotesi è “la più nota ed universalmente accettata”, sostiene che alla formazione della civiltà etrusca possono aver contribuito i principali elementi etnici di tutte e tre le ipotesi menzionate. In altre parole gli etruschi sarebbero stati un popolo già stabilito in Etruria, con una civiltà influenzata dai vicini popoli dell’Italia settentrionale e soprattutto da quelli immigrati dalle zone ellenizzanti.
Qualunque sia la loro origine, nel VII secolo a.E.V. gli etruschi si erano saldamente stabiliti soprattutto nel triangolo compreso fra il Mar Tirreno ed i fiumi Arno e Tevere. Da questa zona la loro espansione si diresse a sud, oltre Napoli, e a nord nella parte orientale della Pianura Padana. Fecero sentire la loro presenza un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo.
Non ebbero mai unità politica, poiché ciascuna città costituì uno stato indipendente con un re, detto lucumone, che era nello stesso tempo giudice, capo dell’esercito e supremo sacerdote. Talvolta le città-stato si univano in federazioni i cui legami erano più religiosi che politici. Nel VI secolo a.E.V. i lucumoni o re furono soppiantati da potenti oligarchie locali (oligarchia = governo di pochi). In quel secolo gli etruschi pervennero all’apice della loro potenza, dopo di che iniziarono gradatamente il loro lento declino. L’Etruria (l’attuale Toscana) fu infatti assoggettata dai romani e al tempo dell’imperatore Augusto divenne la settima regione d’Italia.
Il “mistero” della lingua
Che dire del “mistero” della lingua etrusca? Se si riferisce alla comprensione o al significato da attribuire alle parole etrusche, il termine mistero è usato appropriatamente, poiché i vocaboli compresi fino ad ora, a parte i nomi propri, sono soltanto un centinaio. Per quanto riguarda invece la decifrazione e la lettura delle ventisei lettere dell’alfabeto etrusco, derivate da quello greco, non c’è praticamente alcuna difficoltà poiché ogni parola può essere facilmente letta anche se non compresa.
Perché si conosce il significato soltanto di poche parole? I motivi sono diversi. Prima di tutto l’etrusco è una lingua a sé stante, isolata, anche se vi concorrono elementi delle lingue di altri popoli mediterranei. Inoltre i documenti o testi disponibili sono in massima parte brevi iscrizioni sepolcrali in cui prevalgono i nomi propri, l’età dei defunti e poche altre parole. Infine i testi bilingui sono scarsi e brevissimi. Il Pallottino, lo studioso precedentemente citato, spiega il problema della comprensione della lingua con un chiaro esempio: “Supponiamo che uno si trovi ad avere tra le mani un giornale stampato in caratteri latini ma redatto in una lingua per lui sconosciuta e priva di parentela diretta con altre lingue conosciute: per esempio in ungherese o in turco. Ammesso che si tratti di persona colta ed intelligente con qualche preparazione generale di linguistica, è probabile che, dalla cognizione generale dei fatti e delle notizie presumibilmente contenuti nel giornale, dai nomi propri di persone e luoghi, dalle parole tecniche e di uso universale, da qualche citazione riconoscibile di documenti o di passi di autore noti, eventualmente anche dall’ausilio delle illustrazioni, egli riesca più o meno agevolmente ad intendere i titoli, a tradurre qualche nota più breve, ad afferrare il senso generico di parecchi articoli. Tale è in sostanza la posizione degli interpreti moderni di fronte ai testi etruschi”.
Che cosa si attendono gli studiosi per il futuro? Di fare altro progresso nella comprensione della lingua, nella speranza di avvalersi della scoperta di nuove iscrizioni.
Una sorprendente civiltà
Perché la civiltà etrusca è così sorprendente? Esperti nei lavori di bonifica e di idraulica, resero coltivabili molte zone, tra cui la Pianura Padana, usando la tecnica delle “colmate”, che, largamente usata anche in tempi moderni, fu anticipata di millenni dagli etruschi, i quali erano davvero “padroni delle acque”, come alcuni li hanno chiamati. Oltre a mandarle via quando volevano, sapevano trovarle quando non c’erano. Infatti gli aquilices, così si chiamavano gli specialisti in materia ricercati da molti popoli, costruirono i primi pozzi artesiani che si ricordino.
Intorno al VII secolo a.E.V., quando scoprirono grandi giacimenti di rame, piombo, ferro e argento, di cui era ricca l’Etruria, gli etruschi divennero esperti nella metallurgia. A proposito, sono stati trovati due milioni di tonnellate di scorie che risalgono al loro tempo e da cui una società italiana ha estratto il metallo residuo. Inoltre erano fra gli orefici più abili di tutta l’antichità. I loro gioielli sono pregevoli per la granulazione dei minuscoli granuli d’oro, il cui diametro raggiunge l’eccezionale misura di due decimi di millimetro.
Ma l’abilità degli etruschi non finiva qui. Incredibile a dirsi, essi trasformavano dei laghi in vivai. Infatti riuscirono a popolare i laghi di Bracciano e di Bolsena di pesci di mare che si adattarono all’acqua dolce. Pare che i romani apprendessero da loro la tecnica della costruzione delle strade e delle fognature e, in architettura, l’uso dell’arco e della volta. Sapevano anche scavare gallerie nel cuore delle montagne.
Pure nella ceramica lasciarono una testimonianza della loro originalità, il bucchero, un vaso color nero brillante dall’aspetto finissimo, ottenuto con speciali procedimenti.
Ancor più sorprendente era l’arte medica degli etruschi, i quali esercitavano la chirurgia e soprattutto l’odontoiatria. Infatti sono stati ritrovati esemplari di ponti in oro con denti falsi e anche dentiere complete!
La musica ebbe una parte importante nella vita del popolo. Gli antichi attribuirono agli etruschi l’invenzione della tromba. Si suonava nei giorni di festa e durante il lavoro, nel corso delle cerimonie religiose e delle gare sportive. Si suonava perfino mentre venivano frustati gli schiavi o si punivano i trasgressori!
Ma gli antichi etruschi non erano famosi solo per questo.
La paura di Dio e i sacerdoti indovini
Per poter meglio comprendere il modo di vivere e di pensare degli etruschi occorre considerare la religione. Erano religiosissimi e vivevano nell’ossessione e nel timore della divinità. Li dominava un fatalismo angoscioso. Credevano che ogni cosa fosse preordinata dalla volontà divina e che tutti i fenomeni naturali, come una tempesta, il volo di un uccello, un fulmine, avessero un significato nascosto, fossero un segno della volontà di un dio che si manifestava all’uomo. Divennero famosi come indovini.
Praticavano varie forme di divinazione: l’interpretazione dei fulmini, dei tuoni, del volo degli uccelli, delle viscere degli animali sacrificati, e soprattutto del fegato che, considerato dai babilonesi la sede della vitalità, era per gli etruschi una rappresentazione in miniatura della volta celeste.
Per quanto riguarda l’osservazione dei fulmini, gli etruschi dividevano la volta celeste in sedici parti. Guardando verso sud, le otto zone ad est appartenevano a otto divinità favorevoli e le otto zone a ovest appartenevano a otto divinità avverse. Il fulmine aveva dunque un significato diverso a seconda della zona da cui proveniva e della direzione in cui si muoveva. A Piacenza è stata trovata la rappresentazione di un fegato di pecora in bronzo, detto appunto “fegato di Piacenza”, diviso in sedici parti come la volta celeste, che probabilmente serviva da prontuario per i sacerdoti addetti alle cerimonie della divinazione. La pratica di esaminare il fegato degli animali sacrificati ebbe origine a Babilonia. Gli scavi archeologici in Mesopotamia hanno infatti portato alla luce fegati di argilla, a conferma di quanto si legge nella Bibbia in Ezechiele 21:21: “Il re di Babilonia stette fermo al crocevia, in capo alle due vie, per ricorrere alla divinazione. Egli . . . ha guardato nel fegato”. Pur menzionandole, le Sacre Scritture condannano qualsiasi tipo di pratiche divinatorie. — Deuteronomio 18:10-12.
I sacerdoti indovini erano detti aruspici, da cui deriva appunto l’aruspicina, l’arte divinatoria. Avevano grande prestigio nella società etrusca. Provenivano dalla nobiltà e a volte erano raffigurati nelle pitture con in mano un bastone ricurvo, simbolo di autorità, che ancor oggi portano alcuni vescovi delle chiese cattolica, anglicana e luterana, come segno di autorità pastorale. Erano gelosi custodi del mestiere, ma il loro prestigio e il loro numero andarono man mano diminuendo. È noto tuttavia che ancora nel 408 E.V. a Roma vi erano maestri etruschi di aruspicina che insegnavano l’arte di indovinare, e a cui si rivolse lo stesso papa Innocenzo I.
La paura dei morti
Ma l’aspetto più singolare, e per certi versi anche raccapricciante, della religione etrusca riguarda il culto dei morti. Originariamente gli etruschi usavano bruciare i cadaveri e deporre le ceneri in piccole urne di varie forme. Successivamente, quando adottarono il sistema dell’inumazione, cioè del seppellimento delle salme, le tombe presero la forma di abitazioni. I sepolcri divennero così delle vere e proprie dimore formate spesso da più stanze, lunghe anche più di otto metri!
Esistono necropoli imponenti e impressionanti, vere e proprie città dei morti, che sono luoghi straordinari da visitare. Percorrendo la Via Aurelia lungo il Mar Tirreno, da Roma verso il nord, si trovano alcune immense “città dei morti”. Quella di Cerveteri è composta da tumuli, a volte giganteschi, che danno al visitatore l’impressione di vivere fuori del tempo, in un ambiente quasi fantastico. Ancor più a nord, a Tarquinia, le tombe si estendono su un’area di cinque chilometri di lunghezza e uno di larghezza. Le tombe a tumulo sono grandi coni con un diametro anche di quaranta metri. Al loro interno contengono corridoi, stanze, panchine, pitture parietali raffiguranti scene di banchetti, giochi e danze. Poiché secondo le loro credenze il morto continuava a vivere, gli etruschi davano al sepolcro la forma di una casa ponendovi letti, tavoli, gioielli, cibi e bevande, uova di oca e di faraona, vasetti da toilette per l’olio e i profumi, abbondante materiale da cucina come pentole, tripodi, spiedi, servizi completi di mestoli, portacoltelli, tenaglie, zuppiere, piatti, tazze, e persino i giocattoli per i bambini.
Ma qual è l’aspetto raccapricciante e orribile di questo culto dei morti? In origine per gli etruschi la vita terrena era semplice e serena, ma col passar del tempo le tombe si popolarono di mostruose divinità infernali che avevano insieme forma umana e bestiale. Cominciò a comparire Charun, il demone dalla faccia orribile, Tuchulcha, il demone dalle chiome a forma di serpenti e la dea Vanth, con serpenti e torce tra le mani. Questi demoni tormentavano i morti: un’idea angosciosa dalla quale scaturiva un sentimento di terrore per la loro sorte. È interessante ciò che in proposito scrive Werner Keller nella sua opera La civiltà etrusca (Editrice Garzanti): “Quale stupore dunque se nell’arte religiosa delle chiese toscane e dell’Italia centrale e settentrionale ritroviamo le inquietanti rappresentazioni infernali del tempo etrusco? Se rispuntano le paurose figure demoniache e gli esseri alati che accompagnavano un tempo i defunti nel loro ultimo viaggio? Gli esseri che avevano popolato il mondo etrusco dei morti, trasmigrarono nelle nuove case di dio, sopravvivendo nelle rappresentazioni figurate delle chiese, così come simboli e immagini del regno etrusco delle ombre troviamo ancora presso i mistici medievali.
“La raffigurazione degli orrori infernali, che, ignota all’Antico Testamento, fa il suo ingresso con il cristianesimo, trovò, sul suolo dell’Etruria antica, forma più violenta e sinistra che altrove. Immagini e concezioni sorte al tempo del tramonto e delle lotte mortali della nazione etrusca, ed entrate nelle dimore dei defunti, riemergono improvvise dal profondo e, interpretate in altro modo e caricate d’altra funzione, improntano di sé le macabre visioni della nuova religione. Figura dominante, troneggia fra i supplizi infernali e le angosce del purgatorio cristiano Satana, riflesso dei dèmoni dimoranti nelle camere funerarie della tarda Etruria, imitazione di Charun dal naso d’avvoltoio e dalle orecchie a punta. Persino il simbolo del possente martello col quale il mostro dava il colpo fatale, sopravvive nel rito della cerimonia funebre dopo il decesso del Pontifex maximus. Custodito nel Tesoro di San Pietro a Roma sta un martello d’argento con cui il decano del sacro collegio batte tre volte le tempie del papa morto!”
Forse per alleviare le sofferenze, ma più probabilmente per placare le anime che potevano tormentare i viventi, gli etruschi celebravano giochi funebri in onore dei morti, e, ciò che è orribile, giochi sanguinari. Davanti alle tombe facevano combattere i gladiatori (prigionieri di guerra), che si uccidevano l’un l’altro.
Credenze e usanze incorporate dalla cristianità
Che dire delle numerose credenze e pratiche religiose di questo sorprendente popolo, che sono state adottate dalle religioni della cristianità? Una di queste, a cui è stato già accennato, è l’idea dell’inferno e delle pene terribili inflitte dai demoni ai defunti. Parte del loro culto erano anche le triadi, o associazioni di divinità in gruppi di tre. Da queste triadi, che furono impiegate nel culto dagli antichi babilonesi, ha tratto origine il concetto trinitario. Gli etruschi fregiavano inoltre tombe e oggetti con croci di forma comune o con svastiche che erano simboli connessi col culto del sole.
Il corteo funebre è un altro esempio. Data l’importanza che gli etruschi attribuivano al culto dei morti, il corteo funebre, specialmente dei ricchi e degli uomini preminenti, doveva avere un aspetto solenne: la corona in testa al defunto, il carro trascinato da due o quattro cavalli riccamente bardati, preceduti da una fanfara di musici, un “apparitore” che reggeva una lancia e i “littori”, cioè delle guardie armate che camminavano davanti alle autorità.
Un’affinità rimarchevole si riscontra pure nelle cerimonie e nei riti trasferitisi in alcune festività religiose osservate ancor oggi. Ogni anno in primavera i capi delle città-stato si riunivano in assemblea al santuario di Voltumna, un dio che doveva avere carattere “nazionale”. Dopo che il sacerdote aveva celebrato i sacrifici, seguivano gli spettacoli e i giochi in onore della divinità: lancio del disco e del giavellotto, salto in alto, pugilato, corse di cavalli e corse a piedi, danze e musica; non mancava la fiera. Questo santuario era così importante, da essere meta di pellegrinaggi ancora al tempo dell’imperatore Costantino, all’inizio del IV secolo E.V. Numerosi santuari etruschi erano al di fuori dell’area urbana. Molte cerimonie si svolgevano quindi all’aperto e fra queste c’erano le processioni religiose con le statue degli dèi portate in giro per le campagne a scopo propiziatorio.
Sono state pure ritrovate delle offerte votive in terracotta che raffiguravano arti, intestini e altre parti del corpo, con scritti sopra i nomi dei donatori e delle divinità a cui veniva fatta l’offerta, dei veri e propri ex voto!
Ancor oggi, come al tempo degli etruschi, la mancanza di conoscenza della Sacra Bibbia induce le persone ad avere terrore della divinità. Al contrario, l’accurata conoscenza della Parola di Dio ‘rende liberi’ i seguaci del vero cristianesimo, che ripongono fede nell’unico vero Dio di amore, il Creatore Geova. — Giovanni 8:32; I Giovanni 4:8.
[Cartina a pagina 12]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Massima espansione territoriale degli etruschi nel VI secolo a.E.V.
Alalia
Spina
Felsina
Fiesole
Populonia
Chiusi
Perugia
Vulci
Tarquinia
Cere
Roma
Preneste
Capua
Cuma
Napoli
Marcina
MARE ADRIATICO
MAR TIRRENO
[Immagine a pagina 15]
Tomba a tumulo della necropoli di Cerveteri
[Immagine a pagina 16]
Svastica etrusca incisa nel tufo, Cavone di Sovana (Grosseto)