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  • Vite
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • forestieri e poveri) che gli animali potevano mangiare liberamente quello che cresceva da sé. — Eso. 23:10, 11; Lev. 25:1-12.

      USO FIGURATIVO E ILLUSTRATIVO

      La familiarità con la vite — la conoscenza generale che la gente aveva della sua coltivazione e produttività, della vendemmia e relativa racimolatura — la fece citare spesso dagli scrittori biblici. Le vigne che producevano frutto in abbondanza riflettevano la benedizione di Geova (Lev. 26:5; Agg. 2:19; Zacc. 8:12; Mal. 3:11; Sal. 128:3); le viti improduttive erano segno del suo sfavore. (Deut. 28:39) Israele era come uva nel deserto, ma diventò una vite degenerata (Osea 9:10; 10:1), una vite straniera che produceva uva selvatica. (Isa. 5:4; Ger. 2:21) Un comune detto proverbiale dell’epoca di Geremia ed Ezechiele si riferiva al fatto che l’uva acerba, essendo aspra, allega i denti. — Ger. 31:29, 30; Ezec. 18:2.

      Nell’istituire il Pasto Serale del Signore, Gesù usò vino, il “prodotto della vite”, come simbolo del suo “sangue del patto”. L’ultima sera della sua vita terrena disse che lui era “la vera vite” e il Padre suo “il coltivatore”. Paragonò i discepoli ai “tralci” che sarebbero stati mondati per portare più frutto, o potati completamente. — Matt. 26:27-29; Mar. 14:24, 25; Luca 22:18; Giov. 15:1-10.

      USO PROFETICO

      Quando Giacobbe benedisse Giuda, c’era un significato profetico nelle sue parole: “Legato il suo asino fatto a una vite [gèphen] e il discendente della sua propria asina a una vite scelta [soreqàh], certamente laverà le sue vesti nel vino e il suo abito nel sangue delle uve. I suoi occhi sono rosso scuri dal vino”. (Gen. 49:8-12) Il sostantivo ebraico soreqàh indica una “vite rossa” cioè una vite che produce uva nera della migliore qualità. (Isa. 5:2; Ger. 2:21) Qualche giorno prima che venisse affissa sopra di lui sul palo di tortura la scritta “Il Re dei Giudei” (Mar. 15:26), Gesù Cristo, che era della tribù di Giuda, entrò in Gerusalemme cavalcando un puledro, figlio di un’asina, presentandosi così a Gerusalemme come il suo re. (Matt. 21:1-9; Zacc. 9:9) Anche se Gesù non legò il puledro d’asina a una vite letterale, quale Re legò effettivamente le sue credenziali a una simbolica vite, una vite spirituale, il regno di Dio. — Confronta Matteo 21:41-43; Giovanni 15:1-5.

      Oltre a questo significato maggiore, la profezia di Giacobbe ebbe anche un’applicazione letterale nell’eredità data alla tribù di Giuda nella Terra Promessa. Questa includeva la regione montuosa, gli elevati ‘colli ubertosi’ con vigneti a terrazzo e le fertili valli trasversali. — Isa. 5:1.

      Nel libro di Rivelazione, dopo aver menzionato “la messe della terra”, si sente un angelo impartire il comando: “Vendemmia i grappoli della vite della terra, perché le sue uve son diventate mature”. Allora la “vite della terra” fu vendemmiata e scagliata “nel grande strettoio dell’ira di Dio”. Questa vite è diversa dalla “vera vite”, che produce frutto alla gloria di Dio. La “vite della terra” produce evidentemente frutto nocivo, poiché viene distrutta per ordine di Dio. — Riv. 14:18, 19.

  • Vitelli, adorazione dei
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • Vitelli, adorazione dei

      La prima forma di idolatria menzionata nella Bibbia in cui caddero gli israeliti dopo l’esodo dall’Egitto. Mentre Mosè sul monte riceveva la legge di Dio, il popolo diventò impaziente e chiese ad Aaronne di fargli un dio. Con gli orecchini d’oro offerti dagli israeliti Aaronne forgiò la statua di un vitello, senza dubbio un giovane toro. (Sal. 106:19, 20) Era considerata una rappresentazione di Geova, e la festa tenuta l’indomani fu definita una “festa a Geova”. Gli israeliti offrirono sacrifici al vitello d’oro, gli s’inchinarono davanti, mangiarono e bevvero e si rallegrarono con canti e danze. — Eso. 32:1-8, 18, 19.

      Il vitello fuso non era necessariamente d’oro massiccio. Questo è indicato dal fatto che Isaia, nel menzionare la fabbricazione di un’immagine fusa, dice che viene ricoperta d’oro. — Isa. 40:19.

      L’adorazione idolatrica dell’Egitto, che collegava gli dèi con mucche, tori e altri animali, probabilmente aveva avuto molta influenza sugli israeliti, inducendoli così presto ad adottare l’adorazione dei vitelli dopo essere stati liberati dall’Egitto. Questo è confermato dalle parole di Stefano: “Nei loro cuori tornarono in Egitto, dicendo ad Aaronne: ‘Facci degli dèi che vadano davanti a noi. . .’. E fecero in quei giorni un vitello e portarono all’idolo un sacrificio e si rallegravano delle opere delle loro mani”. — Atti 7:39-41.

      Il primo re del regno delle dieci tribù, Geroboamo, fece fare due vitelli d’oro, per timore che i sudditi, se avessero continuato a salire a Gerusalemme per adorare, si sarebbero ribellati e sarebbero tornati alla casa di Davide. Pose uno dei vitelli all’estremo nord nella città di Dan, l’altro a Betel circa 19 km a N di Gerusalemme. — I Re 12:26-29.

      Geova condannò l’adorazione dei vitelli e, per mezzo del profeta Ahia, predisse calamità per la casa di Geroboamo. (I Re 14:7-12) Comunque l’adorazione dei vitelli rimase radicata nel regno delle dieci tribù. Persino il re Ieu, che eliminò l’adorazione di Baal in Israele, lasciò continuare l’adorazione dei vitelli, probabilmente per tenere il regno delle dieci tribù separato dal regno di Giuda. (II Re 10:29-31) Nel IX secolo a.E.V. Geova suscitò i profeti Amos e Osea per proclamare la sua condanna dell’adorazione dei vitelli, nella quale fra l’altro si baciavano le statue dei vitelli, e anche per predire la rovina del regno delle dieci tribù. Il vitello d’oro di Betel doveva essere portato via per il re d’Assiria, dando motivo di fare cordoglio sia al popolo che ai sacerdoti del dio straniero. Gli alti luoghi sarebbero stati abbattuti, e spine e triboli sarebbero cresciuti sugli altari usati nella falsa adorazione. (Osea 10:5-8; 13:2; Amos 3:14; 4:4; 5:5, 6) La calamità giunse effettivamente quando il regno delle dieci tribù fu conquistato dall’Assiria nel 740 a.E.V. Circa un secolo dopo Geremia profetizzò che i moabiti avrebbero provato vergogna del loro dio Chemos come l’avevano provata gli israeliti del loro centro per l’adorazione idolatrica dei vitelli, Betel.

  • Voce
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    • Voce

      I suoni emessi dalle persone nel parlare, cantare e simili, e anche quelli prodotti dagli animali, sono indicati nelle Scritture col termine ebraico qohl, il suo equivalente aramaico qal e il greco phonè. (Gen. 3:8, 10; 21:17; Giob. 4:10; Dan. 4:31; Matt. 27:46) Oltre a “voce”, qohl può significare anche “tuono”, “suono”, ecc. (Gen. 45:16; Eso. 20:18; 28:35) Similmente phonè può avere il significato di “suono”, ‘suono di parole’ e anche “voce”. — Giov. 3:8; I Cor. 14:10, 11; Ebr. 12:26.

      PERSONE SPIRITUALI

      L’apostolo Paolo parla di “lingue degli uomini e degli angeli”, indicando che le persone spirituali hanno un linguaggio e parlano. (I Cor. 13:1) Gli angeli, e Geova Dio stesso, sono stati uditi parlare con suoni vocali e lingue udibili e comprensibili agli uomini. Ma è impensabile che quella fosse la voce con cui comunicano fra loro nei cieli, perché per la propagazione delle onde sonore di una voce udibile e comprensibile all’orecchio umano è necessaria un’atmosfera fatta di determinate costituenti, come quella che esiste intorno alla terra.

      I casi in cui Dio, o angeli, parlarono con voce udibile agli uomini sarebbero dunque una manifestazione del loro linguaggio trasformato in onde sonore, come le apparizioni di angeli visibili all’uomo richiese una materializzazione o la trasmissione alla mente umana di un’immagine visiva. Oggi anche gli scienziati umani possono riprodurre il modello delle onde sonore della voce di un individuo e trasformarlo in impulsi elettrici in modo che possa uscire da un amplificatore e altoparlante sotto forma di una voce udibile molto simile a quella della persona.

      La “voce” di Geova

      Nella Bibbia sono riferiti tre casi in cui Geova ha parlato in modo udibile agli esseri umani: (1) Al momento del battesimo di Gesù (29 E.V.), quando Geova disse: “Questo è il mio Figlio, il diletto, che io ho approvato”. Senza dubbio sia Gesù che Giovanni il Battezzatore udirono quella voce. (Matt. 3:17; Mar. 1:11; Luca 3:22) (2) Alla trasfigurazione di Gesù (32 E.V.), quasi le stesse parole vennero pronunciate in presenza degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. (Matt. 17:5; Mar. 9:7; Luca 9:36) (3) Nel 33 E.V., poco prima dell’ultima Pasqua di Gesù, quando, rispondendo alla sua richiesta che Dio glorificasse il Suo nome, una voce dal cielo disse: “L’ho glorificato e lo glorificherò di nuovo”. La folla pensava che tuonasse, o che un angelo avesse parlato a Gesù. — Giov. 12:28, 29.

      Parlando a un gruppo di ebrei increduli, all’epoca della Pasqua del 31 E.V., Gesù disse: “Il Padre che mi ha mandato ha reso egli stesso testimonianza di me. Voi non avete in nessun tempo udito la sua voce né visto la sua figura; e non avete la sua parola dimorante in voi, perché non credete a colui ch’egli stesso vi ha inviato”. (Giov. 5:37, 38) Quella folla incredula non aveva mai udito la voce di Dio, e non aveva ubbidito alla sua parola né all’evidente testimonianza dovuta al fatto che Dio sosteneva le opere di Gesù. Infatti, a quanto pare solo Gesù e Giovanni il Battezzatore avevano sentito l’udibile voce di Geova, poiché fino a quel momento non si erano ancora verificati gli altri due casi in cui Geova ha parlato.

      La “voce” di Geova a cui fa riferimento la Bibbia a volte indica l’autorevolezza del suo comando come “la voce di Dio onnipotente”. — Ezec. 10:5, CEI.

      Voci angeliche

      In altre occasioni in cui viene detto che era Dio a parlare, furono impiegati angeli quali suoi rappresentanti per provvedere la manifestazione vocale. Angeli rappresentarono Dio nel parlare a Mosè sul monte Horeb e a Israele, radunato ai piedi del monte. (Eso. 34:4-7; 20:1-17; Gal. 3:19) Quegli angeli a volte non presentavano una forma visibile, come quando la voce proveniva dal monte che tremava e fumava. (Eso. 20:18, 19; Deut. 4:11, 12; Ebr. 12:18, 19) Qualche volta apparivano in visioni (Dan. 8:1, 15, 16; Riv. 14:15-18) e in diverse occasioni si materializzarono in forma umana per portare agli uomini messaggi parlati. — Gen. 18:1-3, 20; 19:1; Gios. 5:13-15.

      UDIRE LA VOCE DI DIO

      ‘Udire la voce di Dio’ non significa necessariamente sentire una voce letterale, udibile. Più spesso significa riconoscere e prestare ascolto ubbidendo a quello che Dio ha fatto scrivere nella sua Parola e trasmesso per mezzo dei servitori terreni che lo rappresentano. (I Giov. 2:3, 4) Quindi “voce” sta per “ogni espressione che esce dalla bocca di Geova”, i suoi comandi sia presentati verbalmente all’individuo da Dio stesso, che mediante angeli o uomini, o negli scritti ispirati. — Sal. 103:20; Matt. 4:4; vedi UBBIDIENZA.

      UDIRE LA VOCE DI GESÙ

      Gesù Cristo si definì il “pastore eccellente” le cui pecore “ascoltano la sua voce [e] lo seguono, perché conoscono la sua voce. . . . non conoscono la voce degli estranei”. (Giov. 10:2-5, 11) Quelli che sono “pecore” di Cristo “conoscono” la sua voce in quanto riconoscono e accettano la veracità di ciò che Cristo dice com’è riportato nella Bibbia. Rifiutano di accettare l’insegnamento di ‘estranei’, falsi pastori. “Ascoltano” la sua voce in quanto ubbidiscono ai suoi comandi esposti nelle Scritture. (Giov. 15:10, 15) Poiché Cristo Gesù è il principale Rappresentante di Dio, che ascolta sempre la voce di Geova e dice quello che Geova ordina, chi segue Cristo sarà unito a Geova. — Giov. 5:19; I Giov. 2:6.

      La voce del risuscitato Gesù Cristo

      Dopo la risurrezione e ascensione Cristo apparve a Saulo di Tarso (divenuto poi l’apostolo Paolo), parlandogli con una voce che Saulo comprese, ma che gli uomini che l’accompagnavano non compresero. (Atti 9:1-9; 22:6-11; 26:12-18) In Atti 9:7 si legge che gli uomini che erano con Saulo udirono “una voce [“il suono”, Ga, ed. in tre volumi, nota in calce]”. Qui ricorre il termine greco phonès, genitivo di phonè, nel senso di ‘udire della voce’. Questo può significare che gli uomini udirono solo il suono della voce, ma non compresero. Nel riferire più tardi l’episodio Paolo disse che gli uomini “non udirono la voce di colui che mi parlava”. (Atti 22:9) In questo passo ricorre l’accusativo phonèn. Questo può significare che, pur percependo il suono con gli orecchi, non udirono parole distinte che compresero, ciò che Saulo, al quale Cristo parlava, udì.

      Scrivendo alla congregazione di Tessalonica a proposito del radunamento dei santi di Dio unti, l’apostolo Paolo disse: “Il Signore [Gesù Cristo] stesso scenderà dal cielo con una chiamata di comando, con voce di arcangelo e con tromba di Dio”. (I Tess. 4:16) Il termine “arcangelo” significa “angelo capo” o “angelo principale”. L’espressione di Paolo “voce di arcangelo” richiama evidentemente l’attenzione sull’autorevolezza della voce di comando di Gesù. Gesù, quando era sulla terra, rivelò l’autorità di cui Dio l’aveva investito, dicendo: “Poiché come il Padre ha in sé la vita, così ha concesso anche al Figlio d’avere in sé la vita. E gli ha dato autorità di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. . . . L’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe commemorative udranno la sua voce e ne verranno fuori”. — Giov. 5:26-29.

      LA VOCE UMANA

      La voce, insieme al linguaggio, è un dono di Dio. Perciò si dovrebbe levare la voce alla lode di Dio. Questo si può fare parlando “delle magnifiche cose di Dio”, edificando altri con informazioni tratte dalla Parola di verità di Dio, o con cantici di lode e rendimento di grazie”. — Atti 2:11; Sal. 42:4; 47:1; 98:5; Efes. 5:19; Col. 3:16.

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