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AngeloAusiliario per capire la Bibbia
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molti privilegi in epoche passate. Angeli prestarono servizio a favore di Abraamo, Giacobbe, Mosè, Giosuè, Isaia, Daniele, Zaccaria, Pietro, Paolo e Giovanni, per menzionarne solo alcuni. (Gen. 22:11; 31:11; Gios. 5:14, 15; Isa. 6:6, 7; Dan. 6:22; Zacc. 1:9; Atti 5:19, 20; 7:35; 12:7, 8; 27:23, 24; Riv. 1:1) I loro messaggi contribuirono alla stesura della Bibbia. In Rivelazione gli angeli sono menzionati più volte che in qualsiasi altro libro della Bibbia. Innumerevoli angeli furono visti intorno al gran trono di Geova; sette suonarono le sette trombe, mentre altri sette versavano le sette coppe dell’ira di Dio; un angelo che volava in mezzo al cielo aveva “un’eterna buona notizia”; e un altro annunciò: “È caduta Babilonia la grande”. – Riv. 5:11; 7:11; 8:6; 14:6, 8; 16:1.
Assistenza e sostegno a Cristo e ai suoi seguaci
Dall’inizio alla fine, i santi angeli di Dio seguirono con estremo interesse il soggiorno terreno di Gesù. Ne annunciarono la concezione e la nascita, e lo assisterono dopo i quaranta giorni di digiuno. Un angelo lo rafforzò mentre pregava nel Getsemani durante l’ultima notte come uomo. Quando la turba venne ad arrestarlo, non meno di dodici legioni di angeli erano al suo comando se avesse voluto servirsene. Degli angeli annunciarono la risurrezione ed erano presenti alla sua ascensione al cielo. – Matt. 4:11; 26:53; 28:5-7; Luca 1:30, 31; 2:10, 11; 22:43; Atti 1:10, 11.
D’allora in poi i messaggeri spirituali di Dio continuarono ad assistere i suoi servitori sulla terra, come Gesù aveva promesso: “Guardatevi dal disprezzare alcuno di questi piccoli; poiché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio”. (Matt. 18:10) “Non sono essi tutti spiriti per il servizio pubblico, mandati a servire per quelli che erediteranno la salvezza?” – Ebr. 1:14.
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AnimaAusiliario per capire la Bibbia
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Anima
Per capire il significato dei termini biblici generalmente tradotti “anima” è necessario accantonare molti, se non tutti, i significati attribuiti al termine italiano e lasciare che i termini nelle lingue originali (ebr. nèphesh [נֶפֶשׁ]; gr. psykhè [ψυχή]) usati nelle Scritture ne spieghino il significato. Questo perché gli aspetti che il termine italiano “anima” richiama di solito alla mente della maggioranza non sono in armonia col significato dei termini ebraico e greco usati dagli ispirati scrittori biblici.
Questo fatto è sempre più largamente riconosciuto. Già nel 1897, nel Journal of Biblical Literature (Vol. XVI, p. 30), il professor C. A. Briggs, in seguito a una particolareggiata analisi dell’uso di nèphesh, osservava: “Anima nell’uso che se ne fa attualmente . . . dà di solito un’idea molto diversa dal significato di נפש [nèphesh] in ebraico, ed è facile che l’incauto lettore fraintenda”.
In anni più recenti, nel presentare una nuova traduzione della Torà o primi cinque libri della Bibbia (edita dalla Jewish Publication Society of America) il capo redattore, dottor H. M. Orlinsky del Hebrew Union College, affermò (New York Times, 12 ottobre 1962) che il termine “anima” era stato in effetti eliminato da quella traduzione perché “il termine ebraico in questione qui è ‘nefesh’”, e aggiunse: “Altri traduttori hanno interpretato che significhi ‘anima’, il che è completamente inesatto. La Bibbia non dice che abbiamo un’anima. ‘Nefesh’ è la persona stessa, il suo bisogno di cibo, il sangue che scorre nelle sue vene, il suo stesso essere”.
La difficoltà sta nel fatto che i significati comunemente attribuiti al termine italiano “anima” derivano primariamente non dalle Scritture Ebraiche o Greche Cristiane, ma dall’antica filosofia greca, in effetti dal pensiero religioso pagano. Il filosofo greco Platone, per esempio, cita queste parole di Socrate: “L’anima [alla morte] . . . se ne andrà verso quel luogo che le si addice, verso l’invisibile, verso il divino, l’immortale, l’intelligibile, dove, una volta giunta, sarà felice, libera dall’errore, dalla malvagità, dalla paura, dalle selvagge passioni, da tutti gli altri mali dell’uomo e dove potrà trascorrere tutto il tempo avvenire . . . in compagnia degli dei”. – Fedone, cap. XXIX, ed. Garzanti.
In netto contrasto con l’insegnamento greco della psykhè (“anima”) immateriale, intangibile, invisibile e immortale, le Scritture spiegano che sia psykhè che nèphesh, quando si riferiscono a creature terrene, significano qualche cosa di materiale, tangibile, visibile e mortale.
La New Catholic Encyclopedia (1967, Vol. 13, p. 467) dice: “Nepes [nèphesh] ha un significato molto più ampio del nostro termine ‘anima’, poiché significa vita (Es Eso 21.23; Dt 19.21) e le sue varie manifestazioni vitali: respiro (Gn Ge 35.18; Gb 41.21), sangue [Gn Ge 9.4; Dt 12.23; Sl 140(141).8], desiderio (2 Sam. 3.21; Prv 23.2). L’anima nell’AT non significa una parte dell’uomo, ma l’intero uomo: l’uomo come essere vivente. Similmente, nel NT significa vita umana: la vita di un singolo soggetto cosciente (Mt 2:20; 6:25; Lc Lu 12:22-23; 14:26; Gv 10:11, 15, 17; 13:37)”.
Una traduzione cattolica romana, The New American Bible (1970), nel suo “Glossario dei termini di teologia biblica” (pp. 27, 28), dice: “Nel Nuovo Testamento, ‘salvare la propria anima’ (Mc Mr 8:35) non significa salvare una parte ‘spirituale’ dell’uomo, contrapposta al ‘corpo’ (nel senso platonico) ma l’intera persona, a sottolineare il fatto che la persona vive, desidera, ama e vuole, ecc., oltre a essere concreta e fisica”.
Nèphesh deriva evidentemente da una radice che significa “respirare” e in senso letterale nèphesh potrebbe essere tradotto “uno che respira”. Il Lexicon in Veteris Testamenti Libros di Koehler e Baumgartner (ed. 1953, p. 627) lo definisce come “l’elemento che respira, che rende uomo e animale esseri viventi Ge 1:20 Gn 1,20, l’anima (completamente distinta dalla nozione greca di anima) la cui sede è il sangue Ge 9:4 Gn 9,4 s Le 17:11 Lv 17,11 Dt 12:23 Dt 12,23: (249 X) . . . anima = essere vivente, individuo, persona”.
In quanto al termine greco psykhè, i dizionari lo definiscono “vita”, e “anima come personalità e carattere . . . per indicare la persona stessa”, e spiegano che anche in opere greche non bibliche il termine era usato a proposito di animali. (Liddell e Scott, Dizionario illustrato greco–italiano, Le Monnier 1975, pp. 1437, 1438; Rocci, Vocabolario greco–italiano, pp. 2060, 2061) Naturalmente opere del genere si basano più che altro sugli scritti di autori greci classici, e includono tutti i significati attribuiti alla parola dai filosofi greci pagani, fra cui “anima dei defunti, spirito”, “anima come parte immortale e immateriale dell’uomo”, ecc. Dal momento che alcuni filosofi pagani pensavano che l’anima alla morte uscisse dal corpo, il termine psykhè significava anche “farfalla”, creatura che subisce una metamorfosi, trasformandosi da bruco in creatura alata.
Gli antichi scrittori greci usavano il termine psykhè in vari modi non sempre coerenti, poiché lasciavano che teorie personali e religiose influissero sull’uso che ne facevano. Di Platone, alla cui filosofia si possono attribuire (come viene
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