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MoabAusiliario per capire la Bibbia
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L’adempimento delle profezie di Isaia e Amos non ha una collocazione precisa nel corso del tempo in base a documenti storici. Tuttavia è evidente che Moab cadde sotto la dominazione assira. Il re d’Assiria Tiglat-Pileser 111 menziona Salamanu di Moab fra coloro che gli pagavano un tributo. Sennacherib afferma di aver ricevuto il tributo di Kammusunadbi re di Moab. E i monarchi assiri Esar-Addon e Assurbanipal si riferiscono ai re di Moab Musuri e Kamashaltu come a loro sudditi. Ci sono anche prove archeologiche che molte località di Moab rimasero spopolate verso l’VIII secolo a.E.V.
La profezia di Geremia del VII secolo a.E.V. additava il tempo in cui Geova avrebbe fatto i conti con Moab (Ger. 9:25, 26), e questo per mezzo dei babilonesi al comando del re Nabucodonosor. (Ger. 25:8, 9, 17-21, 27:1-7) Numerose città moabite sarebbero state ridotte a una desolazione. (Ger. cap. 48) Evidentemente quando Giuda subì l’esecuzione del giudizio di Geova per mezzo dei babilonesi, i moabiti dissero: “Ecco, la casa di Giuda è come tutte le altre nazioni”. Poiché non riconobbero che in realtà si trattava del giudizio di Dio e che gli abitanti di Giuda erano il suo popolo, i moabiti sarebbero andati incontro al disastro e così avrebbero ‘conosciuto Geova’. — Ezec. 25:8-11; confronta Ezechiele 24:1, 2.
Lo storico ebreo Giuseppe Flavio scrive che, nel quinto anno dopo la desolazione di Gerusalemme, Nabucodonosor tornò per far guerra contro Celesiria, Ammon e Moab, dopo di che attaccò l’Egitto. (Antichità giudaiche, Libro X, cap. IX, 7) A proposito della conferma archeologica della desolazione di Moab, The Interpreter’s Dictionary of the Bible (Vol. III, p. 418) osserva: “L’esplorazione archeologica ha dimostrato che Moab fu in gran parte spopolato ca. dall’inizio del VI secolo, e in molte località ca. dall’inizio dell’VIII secolo. Dal VI secolo in poi nomadi si aggiravano per il paese finché fattori politici ed economici resero di nuovo possibile una vita sedentaria negli ultimi secoli a.C.”. — Confronta Ezechiele 25:8-11.
Più tardi, in adempimento di Geremia 48:47, Ciro, il conquistatore di Babilonia, probabilmente permise agli esuli moabiti di tornare in patria.
Non si può negare l’accurato adempimento delle profezie relative a Moab. Secoli fa i moabiti cessarono di esistere come popolo. Oggi quelle che si pensa siano state città moabite come Nebo, Esbon, Aroer, Bet-Gamul e Baal-Meon non sono che rovine. Molti altri luoghi sono ora sconosciuti.
L’unica spiegazione della scomparsa dei moabiti si trova nella Bibbia. L’Encyclopædia Britannica (XI ed., Vol. XVIII, p. 632) osserva: “Israele rimase una grande potenza della storia religiosa mentre Moab scomparve. È vero che Moab subì costantemente gli attacchi dei predoni del deserto; la mancanza di difese naturali del paese è messa in risalto dalla serie di forti e torri in rovina che anche i romani dovettero costruire. La spiegazione della relativa scarsa importanza di Moab non va però ricercata in considerazioni puramente topografiche. E neanche nella storia politica, infatti Israele e Giuda soffrirono tanto per cause esterne quanto Moab. La spiegazione si trova all’interno di Israele, in fattori . . . reperibili nell’opera dei profeti”.
Data la scomparsa dei moabiti come popolo, l’inclusione di Moab in Daniele 11:41 fra le nazioni del “tempo della fine” (Dan. 11:40) dev’essere logicamente presa in senso figurativo. Evidentemente i moabiti rappresentano acerrimi nemici dell’Israele spirituale. — Per informazioni sulla “Stele Moabita”, vedi MESA.
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ModestiaAusiliario per capire la Bibbia
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Modestia
[ebr. tsanùa‘; gr. aidòs].
Il significato di questi termini è reso efficacemente dal termine italiano “modestia”. (Prov. 11:2; Mic. 6:8; I Tim. 2:9) Tsanùa‘ fa pensare a una persona riservata, modesta o umile. (Brown, Driver e Briggs, A Hebrew and English Lexicon of the Old Testament, p. 857) Aidòs usato in senso morale esprime l’idea di riverenza, timore o rispetto per i sentimenti o l’opinione altrui o per la propria coscienza e quindi esprime vergogna, pudore, un senso di onore, sobrietà e moderazione. (Liddell e Scott, A Greek-English Lexicon, p. 36) Paragonando aidòs col più comune termine greco per “vergogna” (aiskhỳne; I Cor. 1:27; Filip. 3:19), il lessicografo R. C. Trench dice che aidòs è “il termine più nobile, e indica il motivo più nobile: vi è implicata un’innata ripugnanza morale a compiere un’azione disonorevole, ripugnanza morale scarsamente o affatto presente in aischune”. Egli afferma che “aidos tratterrebbe sempre un uomo buono da un’azione indegna, aischune tratterrebbe a volte uno cattivo”. (W. E. Vine, Expository Dictionary of New Testament Words, Vol. 1, p. 78; IV, p. 17) Quindi la coscienza è specialmente implicata nell’azione inibitoria di aidòs.
DAVANTI A DIO
A proposito della modestia, nel senso di giusta valutazione del proprio io, le Scritture hanno molto da dire. “La sapienza è coi modesti”, dice il proverbio. Questo perché la persona modesta evita il disonore che accompagna la presunzione. (Prov. 11:2) Segue la condotta che ha l’approvazione di Geova e perciò è saggia. (Prov. 3:5, 6; 8:13, 14) Geova ama chi è modesto e gli dà sapienza. Uno dei requisiti per avere il favore di Geova è quello di ‘essere modesti nel camminare con lui’. (Mic. 6:8) Questo richiede una corretta valutazione della propria posizione davanti a Dio, riconoscendo la propria condizione peccaminosa in paragone con la grandezza, purezza e santità di Geova. Significa anche riconoscersi creature di Geova, del tutto dipendenti da Lui e soggette alla Sua sovranità. Eva non lo riconobbe: voleva la completa indipendenza e autodeterminazione. La modestia l’avrebbe aiutata a scacciare dalla mente l’idea di diventare ‘simile a Dio, conoscendo il bene e il male’. (Gen. 3:4, 5) L’apostolo consiglia di non essere troppo sicuri di sé e presuntuosi, dicendo: “Continuate a operare la vostra salvezza con timore e tremore”. — Filip. 2:12.
“NON ANDARE OLTRE CIÒ CHE È SCRITTO”
L’apostolo Paolo sottolineò la necessità di essere modesti, come lui stesso aveva mostrato di essere, avendo una corretta opinione di sé. I corinti erano caduti nella trappola di vantarsi di certi uomini, come Apollo e Paolo stesso. Egli li corresse dicendo che così facendo erano carnali, non spirituali: “Ora, fratelli, queste cose io le ho trasferite in modo da applicarle a me e ad Apollo per il vostro bene, affinché in noi impariate la regola: ‘Non andare oltre ciò che è scritto’ [vale a dire, non andare oltre i limiti stabiliti dalle Scritture per l’opinione che gli esseri umani hanno l’uno dell’altro e di sé], onde non vi gonfiate individualmente a favore dell’uno contro l’altro. Poiché chi ti fa differire da un altro? In realtà, che cosa hai che tu non abbia ricevuto? Se, ora, in realtà lo hai ricevuto, perché ti vanti come se non lo avessi ricevuto?” Avendo questo in mente si eviterà orgoglio e presunzione nei confronti di se stessi o di altri a motivo di discendenza, razza, colore della pelle o nazionalità, bellezza fisica, abilità, conoscenza, intelligenza brillante, ecc. — I Cor. 4:6, 7.
L’ESEMPIO DI GESÙ
Gesù Cristo è il migliore esempio di modestia. Ai discepoli disse che non poteva fare una sola cosa di propria iniziativa, ma solo quello che vedeva fare il Padre, e che il Padre suo è maggiore di lui. (Giov. 5:19, 30; 14:28) Gesù rifiutò titoli che non gli erano dovuti; quando un uomo autorevole lo chiamò “Maestro buono”, Gesù rispose: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, eccetto uno solo, Dio”. (Luca 18:18, 19) E disse ai discepoli che, come schiavi di Geova, non dovevano gonfiarsi per i successi avuti nel suo servizio, o per il loro valore agli occhi di Dio. Piuttosto, quando avevano fatto tutto ciò che erano stati incaricati di fare, avrebbero dovuto pensare: “Siamo schiavi buoni a nulla. Ciò che abbiamo fatto è quanto dovevamo fare”. — Luca 17:10.
Inoltre il Signore Gesù Cristo, quando era un uomo perfetto sulla terra, era superiore ai discepoli imperfetti e aveva ricevuto grande autorità dal Padre suo. Eppure era modesto nei rapporti coi suoi discepoli, teneva conto delle loro limitazioni. Usò delicatezza nell’ammaestrarli e proprietà di linguaggio nei loro confronti. Non impose loro più di quello che potevano sostenere al momento. — Giov. 16:12; confronta Matteo 11:28-30; 26:40, 41.
NELL’ABBIGLIAMENTO E IN ALTRI POSSEDIMENTI
Nelle istruzioni al giovane Timoteo circa la giusta condotta da seguire nella congregazione Paolo disse: “Desidero che le donne si adornino con veste convenevole, con modestia e sanità di mente, non con forme d’intrecciature di capelli e oro o perle o abbigliamento molto costoso, ma come si conviene a donne che professano di riverire Dio, cioè per mezzo di opere buone”. (I Tim. 2:9, 10) Qui l’apostolo non sconsiglia di avere un aspetto ordinato, piacevole, e infatti raccomanda di ‘adornarsi con veste convenevole’. Ma spiega che la vanità e l’ostentazione nel vestire sono scorrette, poiché attirano l’attenzione sulla propria persona o sui propri mezzi. La modestia ha pure a che fare col rispetto per i sentimenti altrui, con l’amor proprio e con il senso dell’onore. Il cristiano si dovrebbe vestire in modo non contrario alla decenza, alla sensibilità morale della congregazione, per non offendere qualcuno. Questi consigli sull’abbigliamento chiariscono meglio il pensiero di Geova circa la giusta veduta e il giusto uso di altri possedimenti materiali che un cristiano potrebbe avere.
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MoglieAusiliario per capire la Bibbia
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Moglie
Geova Dio provvide una moglie al primo uomo, Adamo, prendendogli una costola da cui formò la donna. Essa era quindi ossa delle sue ossa e carne della sua carne. Era la controparte di Adamo, creata per essergli d’aiuto. (Gen. 2:18, 20-23) Dio si rivolgeva direttamente a Adamo, e Adamo, a sua volta, trasmetteva i comandamenti di Dio alla moglie. Essendo stato creato per primo e a immagine di Dio, egli come capo aveva la priorità ed era per lei il portavoce di Dio. Tale autorità doveva essere esercitata con amore e la donna quale aiutante doveva cooperare nell’assolvere il mandato di procreare loro affidato. — Gen. 1:28; vedi DONNA.
Poiché il marito occupava la posizione superiore nella disposizione matrimoniale, Dio esigeva che provvedesse alla famiglia e ne avesse cura sia materialmente che spiritualmente. Inoltre tutte le trasgressioni della famiglia si riflettevano su di lui; perciò la sua era una grave responsabilità. E anche se il marito aveva privilegi maggiori di quelli della moglie, la legge di Dio la proteggeva, e offriva anche a lei certi privilegi esclusivi, così poteva avere una vita felice, produttiva.
Ecco alcuni esempi dei provvedimenti della Legge relativi alla moglie: Sia il marito che la moglie potevano essere messi a morte per adulterio. Se il marito sospettava che la moglie gli fosse segretamente infedele, poteva portarla dal sacerdote, perché Geova Dio giudicasse la cosa. Se la donna era colpevole, i suoi organi della riproduzione si sarebbero atrofizzati. Viceversa se non era colpevole, il marito doveva renderla incinta, riconoscendo in tal modo pubblicamente l’innocenza di lei. (Num. 5:12-31) Un marito poteva divorziare da sua moglie se trovava in lei qualche cosa di indecente. Questo probabilmente includeva cose come mostrargli grave mancanza di rispetto, oppure disonorare la sua famiglia o quella di suo padre. Ma la moglie era protetta poiché egli doveva scriverle un certificato di divorzio. In tal caso era libera di sposare un altro uomo. (Deut. 24:1, 2) Se la moglie faceva un voto che il marito riteneva poco saggio o nocivo al benessere della famiglia, egli lo poteva annullare. (Num. 30:10-15) Questa era una protezione per la moglie, evitandole qualsiasi azione avventata che avrebbe potuto metterla in difficoltà.
Sotto la legge mosaica era permessa la poligamia, ma regolata in modo che la moglie fosse protetta. Il marito non poteva trasferire la primogenitura dal figlio di una moglie meno amata al figlio della moglie prediletta. (Deut. 21:15-17) Se la figlia di un israelita veniva venduta dal padre come schiava e il padrone la prendeva come concubina ed essa non gli piaceva, questi poteva consentire che venisse riscattata ma non poteva venderla a uno straniero. (Eso. 21:7, 8) Se lui o suo figlio l’aveva presa come concubina e poi sposava un’altra donna, le doveva provvedere vitto, vestiario e alloggio, oltre al debito coniugale. (Eso. 21:9-11) Se un marito accusava con malignità la moglie di aver affermato falsamente di essere vergine al momento del matrimonio e l’accusa risultava falsa, egli era punito e doveva pagare al padre di lei il doppio del prezzo della sposa stabilito per le vergini e non poteva divorziare da lei per tutta la vita. (Deut. 22:13-19) Se un uomo seduceva una vergine non fidanzata, doveva pagare al padre di lei il prezzo della sposa e, se il padre acconsentiva, la doveva sposare, dopo di che non poteva divorziare da lei per tutta la vita. — Deut. 22:28, 29; Eso. 22:16, 17.
Anche se la posizione della moglie nella società ebraica era un po’ diversa da quella che gode nell’odierna società occidentale, la fedele moglie ebrea si rallegrava della posizione che aveva e del proprio lavoro. Aiutava il marito, allevava i figli, dirigeva la casa e faceva molte cose che le procuravano soddisfazione e piacere, permettendole di esprimere appieno la sua natura femminile e i suoi talenti.
DESCRIZIONE DI UNA BUONA MOGLIE
La felicità e le attività della moglie fedele sono descritte in Proverbi 31. Viene detto che per il marito essa è più preziosa dei coralli. Egli può aver fiducia in lei. È industriosa: tesse, confeziona abiti per la famiglia, provvede all’acquisto del necessario per la casa, lavora nella vigna, dirige la casa e i servitori, aiuta altri nel bisogno, veste con decoro la famiglia, e trae anche qualche guadagno dal proprio lavoro manuale, prepara la famiglia ad affrontare future emergenze, si esprime con saggezza e amorevole benignità e, poiché teme Geova e fa opere buone, viene lodata dal marito e dai figli,
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