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  • La vera protezione è prossima!
    Svegliatevi! 1976 | 8 luglio
    • per nulla, né genereranno per il turbamento; perché sono la progenie composta degli scelti di Geova, e con essi i loro discendenti. Ed effettivamente accadrà che prima che chiamino io stesso risponderò; mentre parleranno ancora, io stesso udrò”. — Isa. 65:17-25.

      Sì, Geova Dio benedirà il suo popolo dandogli la pace. Non permetterà che alcuna forma di ingiustizia privi il suo popolo della sicurezza. La battaglia contro la delinquenza sarà stata vinta! In quel nuovo sistema che Dio stabilirà non ci sarà nessun motivo d’avere paura, né ragione di temere a camminare per le strade o a entrare in un parco di notte. Non ci sarà alcun bisogno di serrature alle porte; non dovremo preoccuparci di come proteggerci o di chiederci dov’è il pericolo.

      Vi piacerebbe vivere in un mondo così meraviglioso e senza delinquenza? Questa può essere la vostra felice prospettiva, perché si basa sulla sicura Parola del Creatore stesso. I testimoni di Geova saranno felici di aiutarvi ad acquistare più conoscenza riguardo a questa prospettiva di cui parla la Bibbia. Chiedeteglielo ed essi verranno a casa vostra per considerare particolareggiatamente questi importanti soggetti con voi e con la vostra famiglia, tutto gratuitamente. Accettate questo invito, e vedrete personalmente che le promesse divine di un mondo senza delitti hanno un solido fondamento.

  • Visita a un villaggio sherpa
    Svegliatevi! 1976 | 8 luglio
    • Visita a un villaggio sherpa

      NARRATO AL CORRISPONDENTE DI “SVEGLIATEVI!” IN INDIA

      MI CHIAMO Nawang Phintso, e sono una guida sherpa. Avete sentito parlare degli Sherpa? Senz’altro, particolarmente se siete coraggiosi e disposti a sfidare il freddo e minaccioso Himalaia nepalese. La mia gente, gli Sherpa, conoscono molto bene l’Himalaia. Per migliaia d’anni questa catena montuosa ci ha offerto una dimora nel suo grembo sepolto sotto la neve. Il famoso monte Everest è la nostra sentinella quotidiana. Sorge proprio dinanzi a noi e raggiunge l’altezza di 8.882 metri. Esso domina supremo su tutta questa catena montuosa.

      Noi Sherpa siamo fieri di questa nostra dimora fra i monti; ma lo siamo ancora di più delle nostre figlie dalle gote rosee e dei nostri figli forti e semplici. Le case sono grandi e ospitali, come lo è il nostro cuore. Il sorriso dello Sherpa è qualcosa che non si dimentica, così luminoso e cordiale che vi fa scordare il freddo pungente dell’Himalaia. Ma venite con me a visitare il mio villaggio di Junbesi e vedrete personalmente com’è la nostra ospitalità.

      Da ottobre a dicembre è il tempo appropriato dell’anno per viaggiare nel Nepal. Anche gennaio e febbraio sono mesi buoni, purché siate disposti a sopportare il freddo estremo e a non far caso alle forti nevicate.

      Ma prima di partire dobbiamo chiedere il permesso di viaggio, rilasciato dall’Ufficio centrale d’immigrazione. In quanto ai portatori, ne ho già assunti due, un paio di ragazzi forti e coraggiosi. Ed ecco Sonam del mio villaggio, un cuoco sherpa molto ricercato che ci farà leccare i baffi quando ci fermeremo a mangiare.

      Tutto pronto? Allora partiamo da Katmandu in Land Rover, diretti a Lamsangu, distante settantadue chilometri. Questa mattina l’aria che scende da quelle lontane cime coperte di neve è frizzante, pulita e limpida.

      In viaggio

      A Lamsangu cominciamo a salire a piedi. La brezza pomeridiana è fresca. Ce n’è bisogno per questa scalata. Il sentiero è asciutto, polveroso e stretto. Se guardate verso l’alto lo vedete salire serpeggiando. Da ogni lato si stendono campi di miglio e di grano fino al torrente che scorre in fondo. Allungate il collo sperando di vedere qualche cima bianca. Ma io dico: “Dovete avere pazienza. Siamo in cammino solo da tre ore. Forse domani sera il superbo Himalaia vi concederà un’udienza”.

      Ma per questa sera, anche se sono soltanto le 5, è ora di accamparsi. Prima che l’oscurità della sera cali su di noi dobbiamo piantare la tenda e mangiare qualcosa.

      Siamo a oltre 1.800 metri, in un luogo detto Thulo Pakha, e il freddo si fa sentire. In men che non si dica Sonam ci ha preparato una pietanza sherpa, uno stufato caldo e denso a base di farina di grano fritta, verdure e peperoncino rosso, quello che ci vuole per riscaldarci, oltre a pezzi di pollo per saziare la nostra fame da lupi. E adesso è ora di andare a letto. So che sono soltanto le 7, ma avete bisogno di molto riposo se volete arrivare al mio paese, il villaggio degli Sherpa.

      La mattina dopo facciamo una buona colazione a base di caffè, uova e pane tostato, poi ci rimettiamo in viaggio su per la montagna. Dopo tre ore siamo giunti all’altezza di 2.500 metri, e ci fermiamo per pranzare. Questo posto si chiama Muldi. Oh, guardate! La vostra pazienza è ricompensata, almeno in parte. Vedete quei monti bianchi in lontananza? Laggiù c’è l’Annapurna, alto 7.937 metri. Ma è solo l’inizio. Più saliamo, più spettacolare è la vista offertaci dal maestoso Himalaia.

      Esperienze indimenticabili

      Siamo in viaggio da quattro giorni, quattro giorni densi di avvincenti esperienze da ricordare, esperienze che finora potevano essere esistite solo nei vostri sogni e nei libri di racconti. Passiamone in rassegna alcune, mentre sono ancora fresche nella memoria.

      La prima mattina cominciò con un’avventura agghiacciante! Fu quando attraversammo un oscillante ponte sospeso, che scricchiolava pericolosamente sopra le impetuose acque di un torrente imalaiano. Poi salimmo a fatica fino all’imponente passo di Manga Deorali (2.380 metri) e questo ci fece proprio sentire come eroici esploratori. Un momento romantico e indimenticabile fu anche quando ci fermammo a prendere il tè sulle erbose sporgenze di roccia di Chitre (2.280 metri); quindi passeggiammo senza fretta in mezzo agli arbusti alpini e ai ginepri contorti, dopo di che facemmo un abbondante pasto nella bella Kirantechhap! Trascorsa una notte insolita a Namdu, passammo l’intera giornata successiva ad arrampicarci fino a un altro passo di montagna, a 2.500 metri. La sera arrivammo a Sikri Khola, dove piantammo la tenda per passare la notte presso acque scintillanti. Lì, mentre dormivamo pacificamente, i nostri sogni furono accompagnati dal dolce mormorio del ruscello.

      Passarono altre due notti. La più memorabile, rammenterete, fu quella che passammo nell’incantevole valle di Chhayangma, dove fummo accolti da un solitario Chorten buddista. Chorten è il nome sherpa dato a imponenti e ornati monumenti di pietra, alti di solito parecchi metri. Sono fatti a strati. L’ultimo strato in alto è sormontato da una grande e tozza cupola. In cima a questa cupola c’è un piccolo pezzo che termina spesso a forma di cono. A volte questo pezzo ha quattro facce piatte, su ciascuna delle quali sono dipinti due occhi stretti, a mandorla. Appaiono di un sorprendente realismo. Si crede che i Chorten contengano le ceneri di antenati venerati. Ma il lato più interessante di questi Chorten è che sono costruiti nei punti migliori sulle pendici dei colli, cioè nei luoghi da cui si gode una bella vista panoramica e sempre mutevole delle circostanti vette montuose e dei villaggi sottostanti. È un’esperienza indimenticabile e ristoratrice sedersi presso un Chorten e deliziarsi gli occhi ammirando il circostante panorama.

      Benvenuti nel mio ridente villaggio!

      Abbiamo attraversato l’imponente passo di Lamjura a 3.614 metri d’altezza. E sotto i nostri occhi si stende la ridente valle di Junbesi. Il mio bel villaggio sherpa si trova qui nell’Himalaia! Arrivederci, campi a terrazze. Benvenuti nel paese dei maestosi pini, nella mia calda dimora sherpa circondata da fredde montagne.

      Prima di entrare nel villaggio, sediamoci per un momento su questa collina. Vedete, un villaggio sherpa è diverso dai villaggi di altri gruppi etnici nepalesi. Anzitutto, gli Sherpa si stabiliscono sempre a maggiore altezza. Il mio villaggio di Junbesi sorge a 2.684 metri sopra il livello del mare, e troverete villaggi sherpa più grandi situati a 3.000-4.300 metri sopra il livello del mare, pericolosamente aggrappati alle ripide pendici dei monti.

      Sta calando in fretta la sera, quindi è meglio affrettarsi verso casa mia. Udite il grido del nostro dzo? È la nostra mucca, senz’altro diversa dalle mucche che conoscete, poiché è un incrocio fra lo zebù indiano e lo yak imalaiano. I mastini del villaggio abbaiano furiosamente mentre calano le ombre della sera. E il fumo che si leva dalle case ci stuzzica l’appetito. Qualcuno ha detto che in qualsiasi parte del mondo la propria casa è il posto migliore e io sono d’accordo. È così piacevole essere di nuovo a casa sotto la protezione dell’Himalaia.

      Una casa sherpa

      La mia casa è spaziosa, ha due piani e il tetto a due falde poco inclinate è ricoperto di tegole. La maggior parte delle case sherpa come la mia guardano a sud e le finestre sono ornate da bei lavori di scultura.

      La pulitissima scala di legno ci porta al corridoio tirato a cera ed entriamo nella stanza di soggiorno a sinistra. Il pavimento di legno è immacolato e lustro. Sotto le finestre che guardano a est c’è un lungo divano coperto di tappeti tibetani, tappeti di lana dagli sgargianti colori, rosso acceso, azzurro intenso, arancione vivo, oro e altre tinte in armonia. Vi sono disegnati il drago orientale, il sole fiammeggiante e fiori simbolici. Davanti al divano c’è un tavolo di legno della stessa lunghezza. Ogni mattina vedrete mia sorella Ang Kandi lucidarlo con un po’ di burro di scarto e foglie amare prese dalla foresta. Il burro serve a dare il lucido mentre le foglie tengono lontane le mosche.

      Un mare di visi nuovi e amichevoli!

      Siete appena entrati ed eccovi circondati da una schiera di visi nuovi e impazienti. Guardate le nostre donne! Sono alte e ben fatte. Non è strano che ne siamo molto fieri. Ora vi descriverò il loro abbigliamento. L’abito nero di lana, caldo, che arriva alla caviglia, si chiama angi. Noterete che molte donne indossano grossi grembiuli colorati, e questo significa che sono sposate. I pesanti stivali di panno dai colori vivaci non lasciano passare il freddo. Hanno i capelli lunghi e lucidi, che nei giorni di lavoro portano annodati sulla testa in una grande sciarpa fiorata. Hanno la carnagione chiara e rosea, le guance rotonde e piene, e gli occhi scuri a mandorla. I nostri giovani forti e robusti ridono e scherzano liberamente con loro. Nella vita di società gli Sherpa sono nettamente diversi da tutti gli altri gruppi etnici del Nepal. Invece di starsene in disparte, le nostre donne partecipano liberamente alla conversazione.

      La cordiale e semplice ospitalità degli Sherpa

      Ecco i miei genitori. Con un largo sorriso vi invitano a sedervi sul divano tutto coperto di tappeti. Ang Kandi vi mette davanti delle tazzine bianche di porcellana decorata, col piattino e il coperchio. Mia madre versa il tè degli Sherpa, denso e fumante. Lo sorseggiate e come vi ristora! È diverso da tutte le tazze di tè che avete bevute. Per forza, perché avete mai bevuto un tè sbattuto bene con burro di yak, sale, zucchero e latte in un recipiente di bambù alto più di un metro, chiamato dongmo?

      Notate la disposizione dei posti in una famiglia sherpa. Prima, all’estremità del divano, vicino al fuoco, siede mio padre. Poi l’ospite, al posto d’onore, e dopo le formalità sono finite. Ecco che arrivano i miei parenti. Dicono d’essere venuti a trovare me, ma, in effetti, sono venuti per guardarvi da vicino. Nel profondo del loro cuore vorrebbero potervi parlare nella vostra lingua e vorrebbero poter vedere i posti che voi conoscete.

      Prima di sederci a tavola, ci è offerto l’aperitivo! Lo chiamiamo chang. È la birra tipica ed esotica degli Sherpa. È poco alcolica, e si fa in casa con mais, frumento e lievito; è schiumosa e bianca come il latte. Ancora una volta, avete davanti quelle preziose tazzine. Mia sorella versa il chang a mio padre da uno speciale bricco di porcellana argentata. E ad una ad una tutte le tazzine sono riempite.

      Grazie al chang la conversazione si fa animata. Dopo pranzo, siamo ancora di ottimo umore. Ora l’intero gruppo si è spostato attorno alle fiamme del focolare. Le donne si accovacciano, allattando i bambini dal viso rosso e paffuto. Tutti ridono di cuore alle storielle degli Sherpa, incredibilmente divertenti. Poi qualcuno vuole qualcosa di diverso, una storia da far venire i brividi! Dopo, tutti a letto.

      La danza del Mani Rimdu

      Questa è la seconda mattina che passate con gli Sherpa di Junbesi, e la giornata promette d’essere memorabile. Vedete, noi Sherpa ci accingiamo a celebrare la festa del Mani Rimdu. Per tre notti consecutive avremo il plenilunio. La danza si tiene nel monastero di Chiwong, situato in un posto spettacolare su un alto dirupo, a 3.000 metri sopra il livello del mare. La festa di Mani Rimdu è celebrata esclusivamente dagli Sherpa. Ma se ne possono fare risalire le origini all’antico teatro tibetano.

      In questa occasione la maggioranza degli uomini e dei ragazzi indossa lindi pantaloni laveda, cintura di cuoio, cappotto di stile occidentale e cappello nepalese. Tuttavia, sono molto semplici in paragone con il gaio abbigliamento delle nostre donne, che indossano costosi angi di seta sopra camicette di satin, sciolte e svolazzanti. Gli angi sono essenzialmente di color nero, porpora, oro o rame, mentre le camicette sono rosse, arancioni e crema. Portano grandi collane, e altri monili sul petto e alle orecchie. Hanno intrecciato nei lucidi capelli neri alcuni fili dai vivaci colori. L’abbigliamento è completato da un alto ed elegante berretto di pelliccia con fastosi ricami in oro sulla cima. Hanno pure stivali altrettanto appariscenti, generalmente di color nero, rosso e turchese.

      Alle otto del mattino siamo pronti per la partenza. Sia gli uomini che le donne portano burro, formaggio, uova e denaro in gran quantità da offrire al capo sacerdote del monastero. Dopo due ore di saliscendi, giungiamo al monastero di Chiwong. Un mare di gente affolla le balconate e va e viene dalla porta principale.

      Verso le 11 comincia la danza, a cui partecipano esclusivamente i sottosacerdoti del monastero, mentre il capo sacerdote sta a guardare. Le maschere indossate dai danzatori hanno alcune delle più feroci e disumane espressioni. Risuonano i cembali, squillano le trombe e gli enormi tamburi del monastero suonano i loro ritmici colpi. Contemporaneamente, quegli energici lama (sacerdoti) raccontano danzando una storia completa. Finiscono verso le 18.

      Di giorno ballano i lama, mentre la notte è lasciata interamente ai laici. Per tre notti consecutive gli Sherpa, sia uomini che donne, quasi non chiudono occhio. Di lassù la pallida e pacifica luna pare rimproverare la folle allegria di quaggiù. Vengono intonati alti e chiari i canti popolari e le acute voci femminili si fondono alle profonde ed echeggianti voci maschili. Vecchi e bambini si assopiscono man mano che la notte si fa più inoltrata.

      Addio!

      Dite di dover partire e non possiamo trattenervi. Date dunque alla mia gente la possibilità di salutarvi alla maniera degli Sherpa: Vogliono mettervi la tradizionale sciarpa bianca. È un segno di profondo rispetto. Io vi accompagnerò fino a Katmandu. Sonam, il cuoco, e i nostri due fedeli amici portatori verranno con noi. Poi Sonam, i portatori e io torneremo subito indietro, e speriamo che torniate anche voi. Ne saremo lieti. Tornate in questa valle imalaiana di Junbesi, il ridente villaggio sherpa!

  • L’unione può salvare le chiese?
    Svegliatevi! 1976 | 8 luglio
    • L’unione può salvare le chiese?

      L’UNIONE è considerata una cosa molto desiderabile; particolarmente, è considerata utile sul piano familiare. E riguardo all’armonia esistente fra coloro che hanno una comune base spirituale la Bibbia dice: “Ecco, come è buono e come è piacevole che i fratelli dimorino insieme in unità!” — Sal. 133:1.

      Allora, non sarebbe una cosa buona incoraggiare l’unione delle religioni? Molti pensano di sì. Per esempio, il 20 gennaio 1974, papa Paolo VI chiese di pregare per l’unione di tutte le fedi “cristiane” nella Chiesa Cattolica Romana, e la riconciliazione fu il tema dell’“Anno Santo” cattolico del 1975. Inoltre, il convegno del Consiglio ecumenico delle Chiese tenuto nel 1975 aveva l’obiettivo di stabilire dei contatti tra i paesi e tra le fedi. Infatti, nel febbraio del 1975, nella cattedrale di S. Patrizio e nel Tempio EmanuEl di New York furono annunciati i progetti per considerare durante l’anno i problemi che causano rapporti tesi fra i seguaci delle rispettive fedi. E per la prima volta un rabbino ebreo parlò dal pulpito di quella cattedrale cattolica.

      La maggioranza sa che molte organizzazioni religiose hanno ora difficoltà, quali diminuzione di membri e ristrettezze finanziarie. Certo, nella nostra comunità questi problemi possono non esistere,

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