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  • Che cosa amare e che cosa odiare
    La Torre di Guardia 1953 | 15 gennaio
    • parole di Gesù al politicante Pilato: “Il mio regno non è nessuna parte di questo mondo. . .. il mio regno non è di questa sorgente”. Lo stesso scrittore chiaramente asserisce: “Non amate il mondo o le cose che sono nel mondo. Se alcuno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto nel mondo — il desiderio della carne e il desiderio degli occhi e l’ostentata mostra dei propri mezzi di vita — non ha origine dal Padre, ma ha origine dal mondo. Inoltre, il mondo passa via come pure i suoi desideri, ma chi fa la volontà di Dio rimane per sempre”. — Giov. 18:36; 1 Giov. 2:15-17, NW.

      Semplicemente perché osservano questi principi scritturali, i Cristiani sono spesso accusati di svolgere una “campagna di odio” e d’essere “contro tutto”. (Giov. 15:19) I mondani, per contro, nel fare mostra della loro propria giustizia, si vanteranno delle loro istituzioni a favore di ciechi, di vecchi, di fanciulli e di animali. Ma, che cosa provano effettivamente queste cose? Non sono forse chiare ammissioni delle imperfette, egoistiche condizioni che danno luogo alla loro necessità? Ad esempio durante le sue guerre micidiali, questo sistema di cose fa una gran raccolta di vedove. Non è tanto amore disinteressato quanto un dovere naturale che i responsabili debbano poi aver cura di queste vedove.

      Pur non rinnegando il contributo della scienza e della medicina a un vivere più comodo, i Cristiani in ogni tempo ricordano che c’è posto per ogni cosa, e che il “posto” della scienza, della medicina e dei loro alleati non è affatto nel campo dell’adorazione. Questo essi devono riservarlo solo a Dio e a Cristo Gesù. Ricordate, la scienza potrebbe diminuire le vostre probabilità di contrarre certe malattie, o migliorare la cura medica e le possibilità di guarigione; ma non può rigenerare l’organismo fisico. Tuttavia tale rigenerazione, anche fino al punto della vita eterna, Dio la garantisce a coloro che la ricercano. — Giov. 17:3.

      L’intera idea d’abbracciare questo mondo, di amarlo, cercando di “convertirlo” e renderlo idoneo per il regno di Cristo è una nozione falsa per lungo tempo inculcata nella mente del popolo dal clero della Cristianità. A Gesù fu offerto il regno di questo mondo dal popolo del suo tempo, ed egli non ne volle sapere. Per di più gli furono offerti poteri come grande dittatore del mondo, autorità che avrebbe ridotto i potenti Cesari a meri vassalli sotto di lui. Questa tentazione gli fu presentata da uno che aveva il potere di darli, “L’iddio di questo sistema di cose,” Satana il Diavolo. Ma il prezzo era il medesimo come adesso: tale capo doveva riconoscere Satana come supremo e onnipotente. La risposta di Gesù non ha bisogno di commenti: “Sta scritto: ‘È Geova il tuo Dio che devi adorare, ed è a lui solo che devi rendere sacro servizio.’” (Giov. 6:15; Luca 4:5-8, NW) Gesù sapeva che Dio aveva decretato la distruzione del “vecchio sistema di cose” satanico. Il suo amore e la sua speranza son riposti nei ‘nuovi cieli e nella nuova terra dove dimorerà la giustizia’. — 2 Piet. 3:10, 13, NW.

      Consistentemente, i Cristiani che amano Dio devono rispettare la sua Parola. Essi non possono amare qualche cosa che Dio ha destinato alla distruzione. Le abominazioni che pretendono di reggere il mondo in luogo del regno di Dio, le false dottrine che corrompono il giusto intendimento di Dio e travisano i suoi propositi e le inique pratiche che scherniscono la Parola di Dio, essi le devono detestare. Ma mentre attendono il nuovo mondo per loro stessi, non si chiuderanno egoisticamente in qualche monastero, negando ad altri la loro speranza.

      Come Gesù, i Cristiani oggi particolarmente mostrano la loro luce come da un candelabro. Il glorioso nuovo mondo di Dio, il suo programma per il vero miglioramento del mondo, l’organizzazione visibile ora data a loro per l’opera di lodare Dio, la Parola di Dio la Bibbia, i loro conservi, le persone di buona volontà che si affollano nella crescente organizzazione teocratica, tutte queste cose i veri Cristiani amano con tutte le loro anime o vite. Le loro vite sono offerte affinché altri apprendano questo e abbiano vita. — Matt. 5:14-16, NW.

  • Domande dai lettori (1)
    La Torre di Guardia 1953 | 15 gennaio
    • Domande dai lettori

      ◆ Dato che gli scrittori della Bibbia usavano i nomi, come gli apostoli che chiamavano l’un l’altro Pietro e Giovanni e Paolo, alcuni argomentano che noi dovremmo usare i nomi nelle nostre adunanze oggi, pretendendo che l’uso di “fratello” o “sorella” prima del cognome sa troppo di alcune false religioni. Come rispondereste loro? — L. R. California.

      Noi adoperiamo i termini “teocrazia” e “Cristiano” ed altre espressioni, nonostante il fatto che anche false religioni li usano. Non dobbiamo abbandonare il giusto uso di tali termini solo perché altri li usano male. Non possiamo argomentare che è la falsa religione che adopera i termini “fratello” e “sorella” insieme al cognome, poiché le Scritture fanno questo occasionalmente. E dove la relativa traduzione dice, ad esempio, “fratello Saul”, non altera minimamente il senso della cosa. (Atti 9:17; 22:13; 1 Cor. 16:12; 2 Piet. 3:15) Inoltre, le espressioni non divengono dei titoli formali che separino certi individui da altri, come l’uso di termini della Chiesa Cattolica Romana separa alcuni dal laicato. Gesù non ammise nessuna di tali divisioni, ma fece notare l’uguale livello di tutti i Cristiani dicendo: “Voi siete tutti fratelli.” — Matt. 23:8, NW.

      L’uso dei nomi imporrebbe parecchi problemi. Se una persona fosse nuova nel gruppo, o se non fosse in confidenza con lei, chiamandola per nome il conduttore si comporterebbe in modo troppo familiare. Se chi presiede avesse vent’anni e alcuni nella congregazione ne avessero sessanta o settanta, sembrerebbe che il giovane conduttore mancasse del dovuto rispetto qualora egli si rivolgesse ai più anziani chiamandoli a nome, e ciò specialmente perché in molti casi non sarebbe in gran confidenza con questi anziani e non si sentirebbe libero di chiamarli coi loro nomi, nemmeno in amichevole conversazione quando non conduce lo studio. Un’altra situazione: Una donna potrebbe essere nella verità, suo marito no, ed egli potrebbe venire a un’adunanza. Ode chiamare per nome sua moglie, e questo dal conduttore di fronte all’intera congregazione. Comprensibilmente, questo non gli piace. Quindi in considerazione di queste ed altre situazioni, chi chiamerete per nome? Alcuni si offenderanno se lo fate; altri si urteranno se non lo fate. Tutte le difficoltà svaniranno se il conduttore userà il cognome per tutti, compresi i membri della sua stessa famiglia. In tal modo si evita di dividere la congregazione chiamando alcuni in un modo e altri in un altro. Naturalmente, non ci rivolgeremo ai nuovi venuti che non sono nella verità come a fratelli e sorelle, dato che non esiste la relazione spirituale così indicata. Tuttavia, è raro che il conduttore debba rivolgersi ai nuovi venuti durante le adunanze, dato che essi vi sono per ascoltare.

      L’uso di nomi come Pietro e Giovanni e Paolo nella Bibbia potrebbe sembrare ad alcuni una ragione per usare i nomi. Ma questi non erano nomi, che dovessero esser seguiti da cognomi. Essi erano, per lo più, gli unici nomi. Alcuni avevano dei nomi alternativi. Ad esempio il nome dato primieramente a Pietro era “Simone e in seguito fu chiamato “Cefa”, secondo l’aramaico, o “Pietro”, secondo il greco. In alcuni testi egli è chiamato “Simon Pietro”; quindi “Pietro” era più un cognome che un nome. In Marco 3:16 è perfino dichiarato: “Simone, al quale mise nome Pietro”. Dunque, questo non era un cognome come ne abbiamo oggi, ma era piuttosto un nome alternativo o supplementare, datogli perché era particolarmente appropriato, abitudine frequente presso gli Ebrei. I cognomi come li conosciamo noi oggi non esistevano tra i Giudei dei tempi biblici. Il Westminster Dictionary of the Bible (edizione inglese del 1944), a pagina 418, dichiara: “I cognomi mancavano fra gli Ebrei; le persone erano designate aggiungendo al nome personale quello della loro città, come Gesù di Nazaret, Giuseppe d’Arimatea, Maria Maddalena, Nahum d’Elkosh; oppure mediante una dichiarazione della loro discendenza, come Simone figlio di Giona; da loro attitudini, mestiere, o altra caratteristica, come Simon Pietro, Nathan il profeta, Giuseppe il falegname, Matteo il pubblicano, Simone detto Zelota, e Dionisio l’Areopagita”.

      Su questo punto l’Encyclopedia Americana, edizione del 1942, dice questo sotto “Nomi”: “Né gli Ebrei, gli Egiziani, gli Assiri, i Babilonesi e i Persiani, né i Greci avevano cognomi; e nel primo periodo della loro storia lo stesso si può dire dei Romani”. (Vol. 19, pag. 685) Questa fonte prosegue dimostrando che il nostro attuale uso di cognomi venne solo secoli dopo. Tutto questo mostra che i personaggi biblici non ebbero nomi come li consideriamo noi oggi, seguiti da un cognome per l’uso più formale; e l’impiego dei nomi Pietro e Giovanni e Paolo ed altri simili che a noi sembrano come nomi ordinari non indicano familiarità tra i primi Cristiani e gli apostoli. Era il costume di quel tempo.

      Qual è il procedimento normale oggi? Quando sono presentati degli estranei si usa il loro cognome, finché entrambi entrino in confidenza. Se c’è molta differenza di età, il più giovane potrebbe non chiamare mai per nome il più anziano. Quando le persone sono adunate in seria assemblea, il procedimento è quello di usare i cognomi. È la maniera consueta, quella più dignitosa e rispettosa. Perciò noi, durante le nostre adunanze di congregazione, possiamo imitare questo costume concernente i cognomi. Però, invece di usare il mondano Signor o Signora o Signorina davanti al cognome, noi usiamo i termini che indicano che abbiamo una parentela più stretta di quella dei mondani.

      La preghiera del Signore comincia con “Padre nostro”, indicando che egli è Padre per molti, e quei molti che si rivolgono a lui sono necessariamente fratelli e sorelle, tutti in familiare parentela con Dio a capo. Perciò quando noi ci rivolgiamo l’uno all’altro come fratello o sorella nelle nostre adunanze noi mettiamo in risalto questa benedetta parentela o spirituale unità familiare. È questa meravigliosa parentela che rende i testimoni di Geova così diversi, così premurosi l’uno verso l’altro, così pronti ad aiutarsi reciprocamente. Noi siamo riconoscenti per questa parentela, pronti ad ammetterla, a richiamare l’attenzione su di essa, senza vergogna o imbarazzo nel far questo per ciò che potrebbe pensare qualche mondano. I mondani si chiamano reciprocamente per nome in molte circostanze. Essi chiamano noi e noi chiamiamo loro per nome. Questo indica solo mancanza di formalità o buona conoscenza. Ma quando noi usiamo “fratello” o “sorella” ciò indica una benedetta parentela, una parentela di famiglia sotto l’unico Padre, Geova Dio. Una parentela molto più stretta e preziosa di qualsiasi altra indicata dall’uso di nomi. Non è forse vero?

  • Domande dai lettori (2)
    La Torre di Guardia 1953 | 15 gennaio
    • Domande dai lettori

      ◆ Quale dovrebbe essere l’atteggiamento del Cristiano riguardo al lavoro in fabbriche di armi, servire nelle giurie, vendere cartoline o alberi di Natale, ecc.? — Domanda composta basata su parecchie richieste.

      La Watchtower Society è organizzata per lo scopo di predicare la buona notizia del Regno in tutta la terra abitata per una testimonianza a tutte le nazioni, ed essa incoraggia ed aiuta tutti ad avere parte in tale opera, consigliando gratuitamente intorno ai procedimenti più efficaci. In quanto alle altre forme di attività o lavoro la Società non ha nessuna specifica raccomandazione da fare. Stabilire delle regole per tutte le possibili situazioni relative al lavoro secolare significherebbe ingolfarci nella compilazione di una voluminosa serie di regolamenti, come quelli del Talmud, nel tentativo di fare ogni minima distinzione su quando un dato lavoro diviene o meno biasimevole. Il Signore non ha conferito alla Società tale responsabilità; ciascun individuo ha la responsabilità di decidere il suo proprio caso. Per illustrare il problema si consideri il fatto di vendere cartoline

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