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Veste ufficialeAusiliario per capire la Bibbia
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un indumento di pelle col pelo in fuori, simile a quello indossato da certi beduini. Nel descrivere servitori di Dio perseguitati che ‘andavano in giro in pelli di pecora, in pelli di capra’, può darsi che Paolo si riferisse all’abbigliamento di quei profeti di Geova. (Ebr. 11:37) Giovanni il Battezzatore era vestito di pelo di cammello, anche se non è specificato se questa fosse la sua veste ufficiale da profeta. — Mar. 1:6.
Qualunque foggia avessero, sembra che queste vesti ufficiali di pelo identificassero certi profeti. Quando il re Acazia sentì descrivere “un uomo che possedeva una veste di pelo, con una cintura di cuoio cinta intorno ai lombi”, riconobbe immediatamente che si trattava del profeta Elia. (II Re 1:8) Quella veste ufficiale servì come strumento di unzione quando fu gettata su Eliseo, ‘chiamato’ ad abbandonare l’aratro e seguire Elia. (I Re 19:19-21) In seguito, quando Elia salì nel turbine, la veste rimase al suo successore, che la usò subito per dividere le acque del Giordano, come aveva fatto il suo padrone. (II Re 2:3, 8, 13, 14) Sembra che a volte falsi profeti indossassero simili vesti di pelo per indurre la popolazione ad accettarli come rispettabili profeti di Geova, e rendere così più credibili i loro messaggi. — Zacc. 13:4.
Il termine ʼaddèreth era usato anche a proposito di vesti regali, costose, come quella rubata da Acan, “una bella veste ufficiale di Sinar”. (Gios. 7:21, 24) L’antica Babilonia o Sinar era famosa per i suoi begli abiti. Il re di Ninive “si tolse di dosso la veste ufficiale”, senza dubbio un sontuoso abito lungo, e si vestì di sacco in segno di pentimento. — Giona 3:6.
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VetroAusiliario per capire la Bibbia
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Vetro
Miscela di sabbia (silicea) con tracce di altri elementi come boro, fosforo, piombo, ecc. Questi ingredienti vengono fusi insieme a una temperatura di oltre 1500°C. Appena formato e raffreddato, il vetro è non cristallino, liscio, estremamente duro e assai fragile. Il calore vulcanico ha prodotto una forma di vetro detta “ossidiana”, e i fulmini (o folgori), colpendo la sabbia, a volte la fondono in “folgoriti”, lunghi tubi sottili di vetro.
Non si sa quando questa singolare sostanza sia stata prodotta per la prima volta dall’uomo. In Egitto sono state rinvenute perline di vetro che secondo gli archeologi risalgono a circa 4.000 anni fa, più o meno all’epoca della nascita di Abraamo. Giobbe, vissuto nel XVII secolo a.E.V., equipara il vetro all’oro in quanto a valore dicendo che l’oro e il vetro non possono essere paragonati alla sapienza. — Giob. 28:17.
L’apostolo Giovanni, nel descrivere le sue visioni, menziona “puro vetro” e “vetro trasparente” (Riv. 21:18, 21); e anche “un mare di vetro simile a cristallo”. — Riv. 4:6.
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ViaAusiliario per capire la Bibbia
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Via
Questo vocabolo si può riferire a una strada, pista o sentiero; a un modo di agire o condotta; a un comportamento abituale, al modo o la maniera di giungere a qualcosa. Spesso nelle Scritture è usato a proposito di una linea di condotta e di azione, approvata o disapprovata da Geova Dio. (Giud. 2:22; II Re 21:22; Sal. 27:11; 32:8; 86:11; Isa. 30:21; Ger. 7:23; 10:23; 21:8) Con la venuta di Gesù Cristo, per avere una buona relazione con Dio e accostarsi a lui in preghiera in modo approvato bisognava accettare Gesù Cristo. Il Figlio di Dio disse: “Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. (Giov. 14:6; Ebr. 10:19-22) Di coloro che diventavano seguaci di Gesù Cristo veniva detto che appartenevano “alla Via”, cioè si attenevano a una via o modo di vivere imperniato sulla fede in Gesù Cristo, di cui seguivano l’esempio. — Atti 9:2; 19:9, 23; 22:4; 24:22.
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ViaggioAusiliario per capire la Bibbia
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Viaggio
Il termine “viaggio è usato spesso nella Bibbia per indicare una determinata distanza percorsa. (Gen. 31:23; Eso. 3:18; Num. 10:33; 33:8) La distanza percorsa in un giorno variava secondo il mezzo di trasporto usato, le circostanze e le asperità del terreno. In media in un giorno di viaggio via terra si potevano percorrere 30 km o più. Ma “un sabato di viaggio” era molto più breve. (Matt. 24:20) Atti 1:12 indica che “un sabato di viaggio” separava Gerusalemme dal Monte degli Ulivi. Probabilmente per aver calcolato la distanza da due diversi punti di partenza, Giuseppe Flavio una volta dice che distava 5 stadi (925 m) e un’altra volta 6 stadi (1.110 m). Fonti rabbiniche, sulla base di Giosuè 3:4, indicano che “un sabato di viaggio” corrisponde a 2.000 cubiti (890 m).
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Vicino, prossimoAusiliario per capire la Bibbia
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Vicino, prossimo
Diversi termini ebraici sono resi “vicino” o “prossimo” in determinati contesti di alcune traduzioni. Shakhèn si riferisce alla posizione, di città o persone, e include amici e nemici. (Ger. 49:18; Rut 4:17; Sal. 79:4, 12) Questo vocabolo probabilmente si avvicina di più al senso del nostro “vicino” nell’uso comune. Altri termini ebraici, tradotti “vicino” in alcune versioni, hanno connotazione leggermente diversa e ci danno un’idea più ampia e allo stesso tempo più precisa della relazione espressa nelle Scritture Ebraiche.
RELATIVI TERMINI EBRAICI
Rèa‘ significa “compagno, amico”, e può indicare l’intimità di una relazione amichevole, ma generalmente è riferito al proprio simile o compaesano, sia che si tratti di un amico intimo o di uno che vive più o meno nelle vicinanze. Nelle Scritture è usato quasi sempre a proposito di un altro israelita, o di un residente in Israele. (Eso. 20:16; 22:11; Deut. 4:42; Prov. 11:9) ʽAmìth significa “associazione, compagnia o compagno”, ed è usato spesso nel senso di “compagno” per indicare qualcuno con cui si ha qualche genere di rapporto o associazione. (Lev. 6:2; 19:15, 17; 25:14, 15, NW) Qaròhv, che significa “vicino, a portata di mano, quasi parente”, si riferisce a luoghi, tempo o persone; può indicare un rapporto più intimo di quello che si ha col “prossimo” in generale. — Eso. 32:27; Gios. 9:16; Sal. 15:3; Ezec. 23:5.
TERMINI GRECI
Similmente nelle Scritture Greche ci sono tre vocaboli, resi “vicino” o “prossimo”, che hanno significato leggermente diverso: gèiton, “uno che vive nello stesso paese” (Luca 14:12; Giov. 9:8); perìoikos, aggettivo che significa “abitante intorno”, usato come sostantivo (plurale) in Luca 1:58; plesìon, avverbio che significa “vicino, presso”, usato con l’articolo ho, “il vicino, il proprio vicino”. — Rom. 13:10; Efes. 4:25.
Di questi termini greci W. E. Vine dice: “[Questi vocaboli] hanno significato più ampio del termine . . . vicino. Non c’erano case coloniche sparse nelle zone agricole della Palestina; gli abitanti, raccolti in villaggi, andavano avanti e indietro dal lavoro. Quindi la vita domestica era in ogni momento in contatto con la vasta cerchia del vicinato. I termini per vicino [o prossimo] avevano quindi significato molto più ampio. Lo si può vedere dalle principali caratteristiche dei privilegi e doveri di vicinato esposti nella Scrittura: (a) la sua utilità, e.g., . . . Luca 10:36; (b) la sua intimità, e.g., Luca 15:6, 9 . . . Ebr. 8:11; (c) la sua sincerità e santità, e.g., ... Rom. 13:10; 15:2; Efes. 4:25; Giac. 4:12”. -An Expository Dictionary of New Testament Words, ed. 1966, Vol. III, p. 107.
IL COMANDO DI AMARE IL PROSSIMO
La Bibbia, dal principio alla fine, insegna ad aiutare il prossimo con amore, benignità e generosità, sia che si tratti semplicemente di un vicino di casa, un conoscente, un compagno o un amico. La Legge ordinava: “Devi giudicare il tuo compagno [forma di ʽamìth] con giustizia... Non devi odiare nel tuo cuore il tuo fratello. Devi riprendere senz’altro il tuo compagno, per non portare peccato insieme a lui.... e devi amare il tuo prossimo [forma di rèa‘] come te stesso”. (Lev. 19:15-18) (Nella Settanta il termine rèa‘ qui viene tradotto con la locuzione greca ho plesìon). Davide loda l’uomo che “non ha calunniato con la sua lingua. Al suo compagno [forma di rèa‘] non ha fatto nulla di male, e non ha levato nessun biasimo contro il suo intimo conoscente [forma di qaròhv]”. (Sal. 15:3) Viene ripetutamente comandato di non fare del male al prossimo (rèa‘), di non disprezzarlo o di non desiderare ciò che gli appartiene. — Eso. 20:16; Deut. 5:21; 27:24; Prov. 14:21.
L’apostolo Paolo dice: “Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge”. Quindi, dopo aver citato alcuni comandamenti della Legge, conclude: “E qualsiasi altro comandamento vi sia, si riassume in questa parola, cioè: ‘Devi amare il tuo prossimo [plesìon] come te stesso’. L’amore non fa male al prossimo [plesìon]; perciò l’amore è l’adempimento della legge”. (Rom. 13:8-10; confronta Galati 5:14). Giacomo definisce il comando di amare il prossimo come se stessi la “legge regale”. — Giac. 2:8.
Il secondo comandamento in ordine di importanza
A un ebreo che aveva chiesto: “Qual bene devo fare per ottenere la vita eterna?” e che voleva sapere quali comandamenti seguire, Gesù citò cinque dei Dieci Comandamenti e aggiunse il comando di Levitico 19:18, dicendo: “Devi amare il tuo prossimo [plesìon] come te stesso”. (Matt. 19:16-19) E definì questo comando il secondo della Legge in ordine di importanza: uno dei due da cui dipendevano tutta la Legge e i Profeti. — Matt. 22:35-40; Mar. 12:28-31; Luca 10:25-28.
Chi è il mio prossimo?
Gesù inoltre fece capire ai suoi ascoltatori il significato più profondo del termine plesìon quando lo stesso uomo, ansioso di dimostrarsi giusto, chiese anche: “Chi è realmente il mio prossimo [plesìon]?” Nell’illustrazione del buon samaritano Gesù sottolineò che pur non essendo vicini di casa, parenti o amici, il vero prossimo è colui che mostra ad altri l’amore e la benignità che le Scritture comandano. — Luca 10:29-37.
CONSIGLI DEI PROVERBI
Anche se si deve aiutare e amare il prossimo, bisogna essere cauti e non voler diventare il suo amico più intimo, per evitare di approfittare di lui o prendersi delle libertà. Il proverbio esprime l’idea in questi termini: “Rendi raro il tuo piede nella casa del tuo prossimo [forma di rèa‘], affinché non ne abbia abbastanza di te e per certo ti odii”. — Prov. 25:17.
Comunque i Proverbi raccomandano la fedeltà e fidatezza di un compagno, e l’opportunità di rivolgersi a una persona del genere in momenti di necessità: “Non lasciare il tuo proprio compagno né il compagno di tuo padre, e non entrare nella casa del tuo proprio fratello nel giorno del tuo disastro. È meglio un vicino [shakhèn] accanto che un fratello lontano”. (Prov. 27:10) Qui lo scrittore sembra dire che un intimo amico di famiglia è prezioso, e si dovrebbe chiedere aiuto a lui anziché a un parente stretto come un fratello, se il fratello è lontano, perché potrebbe non essere altrettanto pronto o per lo meno in grado di offrire aiuto quanto l’amico di famiglia.
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VignaAusiliario per capire la Bibbia
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Vigna
Vedi VITE.
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VillaggioAusiliario per capire la Bibbia
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Villaggio
Vedi CITTÀ.
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Vino e bevande alcolicheAusiliario per capire la Bibbia
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Vino e bevande alcoliche
Diversi vocaboli delle lingue originali indicano di solito qualche specie di vino (ebr. tiròhsh [Gen. 27:28, 37; Osea 2:8, 9, 22]; ebr. hhèmer [Deut. 32:14; Isa. 27:2] e il corrispondente aramaico hhamàr [Dan. 5:1, 2, 4, 23]; gr. glèukos [Atti 2:13, 15]). Ma il termine ebraico yàyin è quello che ricorre più spesso nelle Scritture. La prima volta in Genesi 9:20-24, dove si parla di Noè che dopo il diluvio piantò una vigna e quindi si ubriacò bevendone il vino. Il greco òinos (che corrisponde fondamentalmente all’ebraico yàyin) ricorre per la prima volta nelle osservazioni di Gesù circa l’inopportunità di mettere vino nuovo, parzialmente fermentato in otri vecchi, poiché la pressione dovuta alla fermentazione avrebbe fatto scoppiare gli otri vecchi. — Matt. 9:17; Mar. 2:22; Luca 5:37, 38.
Varie bevande fortemente alcoliche, a quanto pare derivate da melagrane, datteri, fichi, e simili, di solito erano designate dal termine ebraico shekhàr. (Num. 28:7; Deut. 14:26; Sal. 69:12) Il termine ebraico ʽasìs, nel Cantico di Salomone 8:2, si riferisce al “succo fresco delle melagrane”, ma in altri brani il contesto fa pensare che si tratti di vino. (Isa. 49:26; Gioe. 1:5) Può darsi che il termine ebraico sòve’ indicasse la birra. — Isa. 1:22; Naum 1:10.
PRODUZIONE DEL VINO
In Palestina l’uva veniva raccolta in agosto e settembre, secondo la qualità dell’uva e il clima della regione. La stagione della vendemmia era praticamente finita quando si celebrava la “festa delle capanne” all’inizio dell’autunno. (Deut. 16:13) L’uva raccolta veniva messa in vasche o tini di pietra dove i pigiatori, coi piedi scalzi, cantando calcavano lo strettoio. (Isa. 16:10; Ger. 25:30; 48:33) Con questi metodi di pigiatura relativamente delicati i piccioli e i semi non venivano frantumati, poco acido tannico della buccia veniva spremuto, e di conseguenza il vino era migliore, più dolce e piacevole al palato. (Cant. 7:9) A volte invece dei piedi si usavano pesanti pietre. — Isa. 63:3; vedi STRETTOIO.
Il primo mosto o succo che fuoriesce dagli acini d’uva, se tenuto separato dal grosso del succo spremuto, produce i vini migliori e più robusti. La fermentazione inizia sei ore dopo la pigiatura, mentre il mosto è ancora nei tini, e continua lentamente per diversi mesi. I vini naturali hanno una gradazione alcolica che va da 8º a 14º, ma questa può aumentare con l’aggiunta di zucchero durante la fermentazione o di alcool in seguito. Se l’uva è poco zuccherina, e la fermentazione continua troppo a lungo, oppure se il vino non è ben protetto dall’ossidazione, diventa aceto. — Rut 2:14.
Durante l’invecchiamento il vino era conservato in otri o giare. (Ger. 13:12) Questi recipienti venivano probabilmente arieggiati in modo che l’anidride carbonica (prodotta dalla trasformazione degli zuccheri in alcool attraverso la fermentazione) fuoriuscisse senza che l’ossigeno dell’aria venisse a contatto col vino e lo contaminasse. (Giob. 32:19) Lasciato riposare, il vino a poco a poco si chiariva, la feccia cadeva sul fondo,
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