-
Campane a morto per le Olimpiadi?Svegliatevi! 1985 | 8 gennaio
-
-
Campane a morto per le Olimpiadi?
8 maggio 1984:
“Il Comitato Olimpico dell’URSS è costretto a dichiarare impossibile la partecipazione degli atleti sovietici ai Giochi della XXIII Olimpiade che saranno disputati a Los Angeles”.
NEL mondo degli sport olimpici era scoppiata la bomba. I sovietici si erano ritirati dai Giochi olimpici di Los Angeles. Nel giro di pochi giorni altre nazioni comuniste ne avevano seguito l’esempio.
Cosa aveva provocato l’improvviso ritiro dell’URSS dai Giochi olimpici? Secondo la dichiarazione ufficiale russa rilasciata dall’agenzia di stampa sovietica Tass, il motivo principale addotto era la SICUREZZA. La giustificazione: “Si stanno preparando dimostrazioni politiche ostili all’URSS, si fanno aperte minacce contro il Comitato Olimpico dell’URSS, contro gli atleti e i dirigenti sovietici”. Veniva aggiunto che l’atteggiamento delle autorità americane era stato una dimostrazione di “palese disprezzo per gli ideali e le tradizioni del movimento olimpico”.
Ma i russi avevano compiuto questo gesto unicamente per motivi di sicurezza? Nel labirinto della tortuosa politica internazionale non potevano esserci altri motivi? Analizzando questa mossa nella mondiale partita di “scacchi” fra le superpotenze, la stampa occidentale additò altre possibili cause del ritiro dei sovietici. Si possono riassumere tutte con una sola parola: POLITICA.
Il settimanale inglese The Economist disse: “Da quando gli americani avevano disertato le Olimpiadi di Mosca nel 1980, c’era la possibilità di una rappresaglia sovietica”. Molti osservatori quindi vedono il gesto dei russi semplicemente come una mossa vendicativa ma con ulteriori conseguenze. Il 1984 è stato l’anno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Pertanto U.S.News & World Report dichiarava: “Ancora una volta un mondo stanco osservava con sgomento mentre i Giochi olimpici . . . erano tenuti in ostaggio dalla politica delle grandi potenze. . . . Il vero effetto del boicottaggio è di natura politica”. Quindi aggiungeva: “Il principale bersaglio del ritiro era Ronald Reagan”. Newsweek diceva che la bomba fatta scoppiare da Mosca “era anche un grave segno dell’acutizzarsi dell’antagonismo del Cremlino nei confronti di Ronald Reagan”. Un giornalista del New York Times espresse l’idea che “all’origine della decisione del Cremlino c’era la profonda ostilità che si è instaurata in anni recenti nei rapporti sovietico-americani”.
Questa è la quinta volta consecutiva che le Olimpiadi sono vittima, in un modo o nell’altro, della politica. Dal 1968 le Olimpiadi hanno avuto dei risvolti politici. Sono state usate sempre più spesso come uno strumento per esprimere proteste e risentimenti politici. I terroristi hanno trasformato l’arena olimpica in un teatro per i loro spargimenti di sangue. Le due superpotenze hanno dimostrato come i Giochi olimpici possono diventare una pedina nella loro lotta per la supremazia. Ed è logico chiedersi: Che effetto avrà tutto questo sul futuro dei Giochi?
Effetti di vasta portata
Sopravvivranno i Giochi olimpici a questa ulteriore incrinatura prodotta nella loro immagine? Alcuni dirigenti sono ancora ottimisti. William Simon, presidente del Comitato Olimpico degli Stati Uniti, avrebbe detto: “Il movimento olimpico è forte. Malgrado tutti i suoi aspetti sgradevoli, è una forza che opera ancora per la pace”. Altri però vedono le cose in una luce meno rosea. Alberto Salazar, detentore del primato mondiale della maratona, ha detto: “Mi rattrista il fatto che questo sia accaduto e penso sarà un colpo mortale per le Olimpiadi”. Newsweek si è arrischiato a dichiarare che “potrebbe presagire la fine definitiva dello stesso movimento olimpico moderno”.
È certo che ora sorgono serie domande sul futuro finanziamento dei Giochi. Quale città o quale società commerciale vorrà accettare il rischio finanziario di organizzare i Giochi se devono essere sempre sacrificati come una pedina nelle baruffe politiche? Gli atleti vorranno ancora prepararsi così strenuamente se la loro partecipazione non può essere garantita a causa della politica internazionale? Questi sono soltanto alcuni dei dubbi che ora vengono espressi. Ma ci sono altre domande: Che dire del nazionalismo? Dell’uso di droga? Della partecipazione di finti dilettanti? In altre parole: Gli ideali olimpici si vanno indebolendo? O stanno addirittura tramontando?
-
-
I Giochi olimpici sono davvero per “la gloria dello sport”?Svegliatevi! 1985 | 8 gennaio
-
-
I Giochi olimpici sono davvero per “la gloria dello sport”?
UNA festa religiosa celebrata a Olimpia, nella Grecia meridionale, oltre 2.760 anni fa fu precorritrice della manifestazione svoltasi a Los Angeles (California) che probabilmente avete seguito con vivo interesse. La festa era in onore di Zeus, che si supponeva fosse signore dell’Olimpo. Da essa sorsero i Giochi olimpici, celebrati per la prima volta nel 776 a.E.V. Ogni quattro anni le diverse città-stato dell’antica Grecia mandavano i loro migliori atleti per partecipare a quelle gare.
Questa tradizione fu osservata fino al 393 E.V., l’ultima volta in cui vennero disputati i Giochi dell’antichità. L’anno seguente furono soppressi dall’imperatore “cristiano” Teodosio che proibì nell’impero romano tutte le usanze pagane (non cristiane). Com’è dunque che esistono oggi?
Verso la fine del XIX secolo, Pierre de Coubertin, un giovane educatore francese, fu colpito dal fatto che nelle scuole pubbliche inglesi si praticavano gli sport. Era convinto che un’istruzione equilibrata doveva includere lo sport. In seguito, come scrive un biografo, “divenne ossessionato dall’idea di riportare in auge i Giochi olimpici”. La campagna del De Coubertin ebbe successo, e nel 1896 i Giochi furono ripristinati, appropriatamente nella città greca di Atene.
Fra le altre cose, De Coubertin pensava che le Olimpiadi, disputate ogni quattro anni, avrebbero promosso la pace nel mondo. Su questo punto non fece centro. Dal 1896 sono state interrotte due volte a causa delle due guerre mondiali e sono state spesso turbate dalla politica. Nel 1974 lord Killanin, allora presidente del Comitato Internazionale Olimpico, fu costretto a dire: “Chiedo a ogni singolo atleta, uomo o donna, di non venire ai Giochi olimpici se desidera servirsi dello sport per fini politici”.
Nel 1976 e nel 1980 il suo consiglio produsse l’effetto contrario. Molte nazioni boicottarono i Giochi proprio per sottolineare le loro lagnanze politiche. Poi alla fine delle Olimpiadi disputate a Mosca nel 1980, lord Killanin rivolse un altro appello: “Imploro gli atleti del mondo di unirsi pacificamente prima che scenda un fuoco consumante . . . I Giochi olimpici non devono essere usati per fini politici”. Il fatto stesso che questi appelli furono necessari indica il pericolo che la politica rappresenta per gli ideali olimpici. Questo punto è stato ulteriormente avvalorato dal ritiro di molte nazioni comuniste dai Giochi di Los Angeles.
Per “la gloria dello sport”?
Gli antichi Giochi olimpici erano necessariamente improntati a uno spirito cavalleresco e alla lealtà? Nella recensione del libro The Olimpic Games: The First Thousand Years (I Giochi olimpici: I primi mille anni), lo scrittore ed erudito inglese Enoch Powell fa questi commenti: “Erano basilarmente poco sportivi e niente affatto cavallereschi. Il gioco non contava: contava solo vincere. Non c’erano ‘secondi arrivati’; ma la vittoria, anche se ottenuta con un gioco scorretto . . . era una vittoria come qualsiasi altra. Erano pericolosi e brutali”. Infatti il libro afferma: “I concorrenti pregavano ‘o di ottenere la corona [della vittoria] o di morire’”.
In apparenza le Olimpiadi moderne hanno un motivo più nobile. Il Credo olimpico dichiara: “Nei Giochi olimpici la cosa più importante non è vincere ma partecipare, come nella vita la cosa più importante non è il trionfo ma la lotta. La cosa essenziale non è avere vinto ma avere combattuto bene”. All’apertura dei Giochi un atleta ripete a nome di tutti il giuramento olimpico. Formulato dal De Coubertin, dice: “A nome di tutti i concorrenti prometto che parteciperemo a questi Giochi olimpici nel rispetto e in osservanza delle regole che li governano, con vero spirito cavalleresco, per la gloria dello sport e per l’onore delle nostre squadre”.a
Sono tutte parole molto nobili, ma appartengono a un’altra èra. Qual è la realtà attuale? A Los Angeles, in California, dove migliaia di atleti hanno gareggiato per conquistare poche centinaia di medaglie d’oro, sono stati veramente rispecchiati questi ideali? Gareggiavano secondo gli originali ideali del De Coubertin? Qual è la vera forza che anima i Giochi olimpici? Lo spirito cavalleresco e la lealtà? I Giochi promuovono in modo significativo la pace e l’amicizia internazionali? O sono un altro teatro di lotte in cui si scontrano le rivalità politiche?
[Nota in calce]
a La versione ufficiale italiana è leggermente diversa.
[Immagine a pagina 5]
Gli antichi Giochi olimpici erano “basilarmente poco sportivi . . . Erano pericolosi e brutali”
-
-
Gli ideali olimpici sono in pericoloSvegliatevi! 1985 | 8 gennaio
-
-
Gli ideali olimpici sono in pericolo
UNA delle regole delle Olimpiadi è che alle gare possono partecipare solo atleti dilettanti. Fino a poco tempo fa qualsiasi atleta, uomo o donna, che avesse tratto dalle sue capacità sportive un profitto superiore ai 50 dollari era squalificato.
Se questa norma venisse applicata oggi agli atleti, i Giochi dovrebbero essere annullati! Questa definizione di dilettante, ormai superata, è un residuo dei giorni in cui l’atletica era un passatempo delle persone ricche e indipendenti.
Secondo un recente articolo Phil Mahre, medaglia d’oro alle Olimpiadi invernali, avrebbe detto che il dilettantismo “non esiste proprio ai massimi livelli dello sport”. Come sostengono molti atleti, chi può oggi dedicare la maggior parte del suo tempo a cercare di raggiungere livelli olimpionici senza qualche forma di aiuto finanziario? Perciò gli atleti “dilettanti” sono pagati attraverso tortuosi canali che evitano il presunto marchio del professionismo.
Spirito cavalleresco o nazionalismo?
Un altro ideale olimpico è che lo spirito cavalleresco dovrebbe prevalere sul nazionalismo. Si suppone che ai Giochi partecipino non nazioni, ma individui che gareggiano l’uno contro l’altro. Per cui il Comitato Olimpico non notifica il medagliere di nessuna nazione. Però, stampa e televisione colmano subito questa lacuna rendendo note le medaglie ottenute da ciascuna nazione. Di conseguenza i Giochi sono stati politicizzati. La stampa li ha trasformati in una gara fra le nazioni cosiddette capitaliste e comuniste. L’ex olimpionico Harold Connolly disse che per alcuni i Giochi sono diventati un “campo di battaglia ideologico in uno scenario sportivo”.
Lo scrittore James Michener, nel suo libro Sports in America, parla dei “tentativi compiuti in tutti gli Stati Uniti per formare un’alleanza fra sport e nazionalismo. I nostri capi politici hanno spinto lo sport a svolgere tre funzioni inadatte . . . (1) Si chiede allo sport di servire da mezzo propagandistico a favore di specifici partiti politici. (2) Viene usato per appoggiare fini militari. (3) Se ne fa un grave abuso per creare un patriottismo confuso e superficiale”. Il suo commento: “Comincio a sentirmi molto a disagio quando vedo che si chiede allo sport di servire da ancella alla politica, al militarismo e a un appariscente patriottismo”.
Questo scrittore ha notato la stessa tendenza nelle Olimpiadi? “In occasione delle Olimpiadi del 1936, Adolf Hitler fu il primo a sfruttare lo sport come arma del nazionalismo”, scrive. Egli cita anche altri esempi dei Giochi del 1968 e del 1972, aggiungendo: “Critici seri cominciarono ad avvertire che se questo sfrenato nazionalismo fosse continuato si sarebbe dovuto mettere fine alle Olimpiadi”.
Sono nazionalismo e patriottismo alle Olimpiadi solo qualcosa su cui viene richiamata l’attenzione dagli strumenti di informazione? Oppure i partecipanti vi si lasciano veramente coinvolgere? Le recenti Olimpiadi invernali disputate a Sarajevo, in Iugoslavia, illustrano forse il punto. Gli statunitensi Charles (Peter) e Maureen (Kitty) Carruthers (fratello e sorella) vinsero la medaglia d’argento nel pattinaggio su ghiaccio. La loro reazione? Il New York Times riferì: “Il momento in cui fu alzata la bandiera americana”, disse Peter, “è qualcosa che non dimenticherò mai”. “Vidi alzare la bandiera”, disse Kitty, “e appariva così bella”.
Quando lo statunitense Scott Hamilton vinse una medaglia d’oro alle Olimpiadi invernali di Sarajevo, “al termine della sua prestazione prese una bandiera americana dalle mani di uno spettatore della prima fila e la sventolò mentre faceva il giro d’onore sulla pista di pattinaggio”. (The New York Times, 17 febbraio 1984) Sì, tanto gli atleti che gli spettatori trasformano spesso le Olimpiadi in un’esibizione nazionalistica, in cui le bandiere sono il simbolo predominante.
Ma il giornalista sportivo George Vecsey ha detto: “In origine le Olimpiadi avrebbero dovuto essere esenti da nazionalismo, un’occasione in cui gli individui potevano mettere le loro abilità a confronto con quelle dei migliori atleti del mondo”. Tutto questo è cambiato. “L’ulteriore attrattiva dei Giochi olimpici è il nazionalismo”, ha aggiunto.
Naturalmente non tutti gli atleti sono toccati dall’estremo patriottismo. L’americano Phil Mahre, medaglia d’oro nello slalom, avrebbe detto di non avere sciato né per la famiglia né per la patria, “ma per me stesso”. Ed ha aggiunto: “Non ho mai fatto dello sport per vincere alcunché. Il mio scopo era quello di competere, quello di dare il meglio di me stesso. Ho fatto dello sport perché mi piaceva”.
Ad ogni modo la spinta a vincere a qualunque costo è ora arrivata a un punto tale che un’altra insidia minaccia le Olimpiadi: la droga!
Gloria olimpica per mezzo della droga?
Il criterio di voler vincere a tutti i costi ha ora introdotto nelle Olimpiadi la piaga della droga. Si sa da tempo che in molti sport gli atleti ricorrono a droghe come steroidi anabolizzanti per rafforzare i muscoli, al testosterone e ad altre sostanze per migliorare le loro prestazioni. Ma lo scandalo che veramente fece venire a galla il problema si ebbe nell’agosto del 1983 ai Giochi panamericani, quando 13 atleti statunitensi si ritirarono spontaneamente dalle gare. Cosa li aveva indotti a rinunciare? L’improvvisa squalifica di 11 altri atleti a causa dell’uso di droghe vietate. Il corrispondente del New York Times definì la loro squalifica “la più straordinaria del suo genere nella storia dello sport internazionale”.
Il giorno seguente il Comitato Olimpico degli USA, responsabile degli atleti americani che avrebbero partecipato alle Olimpiadi del 1984, ordinò di scegliere a caso degli atleti fra quelli che avrebbero rappresentato gli Stati Uniti per sottoporli ad analisi. Se si fosse scoperto che qualcuno aveva fatto uso di droghe vietate, questi sarebbe stato escluso dalle Olimpiadi di Los Angeles.
A causa della diffusione della droga nello sport, è stato costruito nel complesso dell’Università della California a Los Angeles un apposito centro, costato 1.500.000 dollari. Vi si eseguono analisi nel tentativo di accertare che nessun olimpionico abbia il vantaggio artificiale derivante dall’uso di qualche sostanza vietata.
Le olimpiadi: “La più grande forza sociale del mondo”?
Nel 1964 Avery Brundage, allora presidente del Comitato Internazionale Olimpico, dichiarò: “Il movimento olimpico odierno è forse la più grande forza sociale del mondo”. Questa era un’opinione discussa allora e lo è tuttora. Leonard Koppett, giornalista sportivo con una lunga esperienza, dice infatti nel suo libro Sports Illusion, Sports Reality (L’illusione dello sport, la realtà dello sport): “Lo sport riflette le condizioni sociali; non le causa. . . . Per di più lo sport è quello che è perché è stato plasmato dalla società in cui è nato. . . . Quando la società cambia, lo sport cambia . . . lo sport non dà luogo al cambiamento”.
Come qualsiasi altra cosa nel mondo moderno, i Giochi olimpici sono soggetti alle pressioni degli avvenimenti del XX secolo sia nel campo dei grandi interessi economici e della competizione, che in quello della violenza e dell’uso di droga. Per cui molti che hanno a che fare con lo sport fanno domande inquietanti sul futuro del movimento olimpico. Gli originari ideali olimpici del De Coubertin potranno sopravvivere? Le Olimpiadi potranno veramente continuare a essere giochi per dilettanti nel vero senso della parola? Le pressioni esercitate dalle grandi imprese su tanti atleti porranno fine all’èra dei “falsi dilettanti”? Si può arginare la crescente ondata di politica e nazionalismo? Lealtà e spirito cavalleresco saranno indeboliti dalla filosofia del vincere a tutti i costi? Il motto olimpico Citius, altius, fortius (più velocemente, più in alto, con più forza) sarà conseguito con la semplice forza e abilità o con la droga? Nei prossimi anni dovremmo avere alcune risposte.
Per i cristiani ci sono alcune altre domande: Le Olimpiadi implicano un certo sentimento religioso? Potrebbero essere in contrasto coi princìpi cristiani? I cristiani come devono considerare la partecipazione allo sport? Lo sport dovrebbe essere l’interesse principale della vita? Vi invitiamo a leggere quanto viene trattato nell’ultimo articolo di questa serie.
[Riquadro a pagina 7]
“Non è tutto oro quel che luce”
“Gli atleti olimpionici si sforzano magari per anni per vincere i premi ambiti, ma il valore delle medaglie d’oro, d’argento e di bronzo che infine portano al collo è più simbolico che reale”, diceva il New York Times del 17 febbraio 1984. Contrariamente all’opinione popolare, la medaglia d’oro non è di oro massiccio. Questo triste fatto fu scoperto da Charlie Jewtraw, il primo vincitore di una medaglia d’oro alle prime Olimpiadi invernali disputate a Chamonix, in Francia, nel 1924. Egli è l’unico superstite di coloro che vinsero la medaglia d’oro a Chamonix e recentemente ha detto: “Fui veramente seccato quando scoprii che la medaglia non era di oro massiccio. Non ne feci una questione di valore, ma di principio”.
Le medaglie “d’oro” assegnate l’anno scorso alle Olimpiadi invernali di Sarajevo consistevano effettivamente di 134 grammi di argento coperti di 6,5 grammi di oro puro. Il valore di mercato? Circa 216.000 lire l’una. Se la medaglia fosse stata di oro puro il suo valore sarebbe stato di oltre dieci volte tanto.
[Immagine alle pagine 8 e 9]
Gli ideali olimpici dovranno indietreggiare di fronte a grandi interessi economici, droga, nazionalismo e violenza?
-
-
Olimpiadi, sport e religione sono in conflitto fra loro?Svegliatevi! 1985 | 8 gennaio
-
-
Olimpiadi, sport e religione sono in conflitto fra loro?
“I GIOCHI olimpici dell’antichità furono disputati per l’ultima volta nel 393 d.C. L’anno seguente l’imperatore Teodosio emanò un editto con cui li vietava”. (History of the Olympic Games [Storia dei Giochi olimpici], di Xenophon L. Messinesi) Perché questo imperatore “cristiano” proibì i Giochi? Voleva cancellare dall’impero ogni attività pagana. Ma perché i Giochi olimpici erano considerati pagani?
Lo scrittore Messinesi aggiunge: “Ci è detto che, durante i sacrifici a Zeus . . . un sacerdote stava all’estremità dello stadio con una torcia in mano. Gli atleti, che si trovavano in mezzo agli adoratori, . . . correvano verso il sacerdote in fondo allo stadio . . . [il vincitore] aveva il privilegio di accendere il fuoco sull’altare dei sacrifici. La fiamma dell’altare ardeva simbolicamente per tutto il periodo dei Giochi . . . È questa parte della cerimonia che rivive nei Giochi d’oggi”.
L’origine pagana dei Giochi si perpetua ancor oggi in vari modi. La fiaccola olimpica viene accesa con i raggi concentrati del sole in una cerimonia che si celebra presso il “bosco sacro” di Olimpia, in Grecia. Vi partecipano una gran sacerdotessa e altre sacerdotesse. La fiamma sacra viene quindi portata da Olimpia alla città dove si disputano i Giochi. Milioni di persone seguono in TV e per radio il viaggio della fiaccola. Il culmine viene raggiunto quando è portata nello stadio olimpico per accendere la fiamma che arderà per tutta la durata dei Giochi.
Lo storico Messinesi spiega: “Di tutte le cerimonie sembra che nulla crei un’impressione così profonda come la Fiamma che viene da Olimpia . . . I Giochi da disputare sono messi in relazione con l’espressione religiosa santificata nei secoli”. (Il corsivo è nostro). Questa opinione è confermata dalle parole del moderno fondatore del movimento olimpico, il barone Pierre de Coubertin, che l’anno prima di morire dichiarò: “Penso quindi di avere avuto ragione a cercare di ravvivare, sin da quando sono state riportate in auge le Olimpiadi, una coscienza religiosa”. — Il corsivo è nostro.
Come si è notato anche alle Olimpiadi di Los Angeles, c’è un’atmosfera quasi religiosa nelle cerimonie: si suona l’inno nazionale del paese ospite, viene alzata la bandiera olimpica e si intona l’inno olimpico. Tenendo conto di tutto ciò, il cristiano come deve considerare i Giochi olimpici? Inoltre, da quali ideali dovrebbe farsi guidare? ‘Vincere è tutto’? O può la semplice partecipazione essere premio a se stessa?
Lo sport nella Bibbia
Chi legge gli scritti degli apostoli cristiani Pietro e Paolo deve ammettere che presero atto degli sport del loro tempo. Per esempio, ai corinti, che ben conoscevano le gare atletiche disputate ai Giochi istmici, Paolo consigliò: “Non sapete voi che i corridori nella corsa corrono tutti, ma solo uno riceve il premio? Correte in modo tale da conseguirlo. . . . Ora essi, naturalmente, lo fanno per ottenere una corona corruttibile [una corona che presto appassisce, Parola del Signore, Il Nuovo Testamento], ma noi una incorruttibile [una corona eterna che non appassirà mai]”. — I Corinti 9:24, 25.
In effetti stava dicendo Paolo che nello sport ‘vincere è tutto’? Al contrario. Stava spiegando che in una corsa sportiva c’è solo un primo premio, ma nella corsa cristiana tutti possono ottenere il primo premio. Correte dunque con la mira di vincerlo!
Anche Pietro accenna alla corona del vincitore. Entrambi gli apostoli sapevano che nei diversi Giochi venivano assegnate corone: d’olivo selvatico nei Giochi olimpici, d’alloro nei Giochi pitici e di rami di pino nei Giochi istmici. Col tempo queste corone appassivano e andavano distrutte. Perciò Pietro raccomandò “l’inalterabile corona di gloria” agli anziani cristiani. — I Pietro 5:4.
Quindi il punto è chiaro: la gloria offerta dallo sport è effimera, transitoria. Per questo Paolo poté dire: “L’addestramento corporale è utile per un poco; ma la santa devozione è utile per ogni cosa, giacché ha la promessa della vita d’ora e di quella avvenire”. (I Timoteo 4:8) Egli indica chiaramente che un certo addestramento ed esercizio fisico è utile o ha un valore limitato. Ma non dovrebbe prendere il posto della dedicazione del cristiano a Dio mediante Cristo. Non lo sport, bensì il Regno di Dio dovrebbe occupare il primo posto nella vita di ogni cristiano. (Matteo 6:33) A che gli serve avere un corpo atletico se la mente diventa degenerata o degradata? O che dire se diventasse apostata partecipando ad avvenimenti sportivi che hanno relazione con la religione pagana? (II Corinti 6:14-17) E in questo sta oggi il pericolo. Molte cose nella moderna filosofia dello sport calpestano i princìpi e gli ideali cristiani, come fanno anche coloro che seguono tale filosofia. Perché?
Vincere non è tutto
Oggi nello sport vengono esercitate forti pressioni. Per esempio, si pagano enormi somme di denaro, sia apertamente che in segreto, a ogni genere di atleti. Recentemente un giocatore di football americano ha firmato un contratto che gli assicurava 40 milioni di dollari. Per una simile quantità di denaro, e anche per meno, l’atleta deve fare qualcosa, deve vincere. Deve attirare il pubblico pagante e gli sponsor televisivi.
Questi atleti di alto livello costituiscono il modello per milioni di ragazzi e di giovani. I loro atteggiamenti aggressivi e competitivi si infiltrano sin nei livelli più bassi della partecipazione allo sport. Perciò il detto secondo cui “i bravi ragazzi finiscono ultimi” riflette gli effetti psicologici negativi di gran parte degli sport moderni.
Si finisce per pensare che per vincere di solito bisogna essere spietati e violenti. Non è un’esagerazione dire che questi atteggiamenti prevalgono anche a livello scolastico. John McMurtry, ex giocatore di football della Lega canadese, ha scritto: “Progressivamente e inesorabilmente, mentre passavo dalle squadre della scuola superiore a quelle dell’università e poi a quelle delle società professionistiche, il mio corpo veniva demolito. Pezzo per pezzo. . . . Si può sostenere che fare a pezzi il corpo sia lo scopo stesso del football, come uccidere e mutilare sono lo scopo della guerra. . . . Colpire e far male nel corso di una competizione organizzata è parte integrante del nostro modo di vivere, e il football è uno degli specchi più chiari di tutto ciò: una specie di pittoresca rappresentazione teatrale che ci mostra com’è emozionante e soddisfacente Fare a Pezzi il Prossimo tuo”.
Il modello che i cristiani devono imitare, Gesù Cristo, esortò i suoi seguaci: “Devi amare il tuo prossimo come te stesso”. “Tutte le cose dunque che volete che gli uomini vi facciano, anche voi dovete similmente farle loro”. (Matteo 19:19; 7:12) È ovvio che lo spirito che anima oggi molti sport, quello di vincere a tutti i costi, è incompatibile con gli insegnamenti di Cristo. La persona equilibrata non deve vincere tutte le volte per avere una sana partecipazione a uno sport. Forse per qualcuno è difficile capire questo fatto, ma si tratta sicuramente di vedere le cose nella giusta luce. Lo sport dovrebbe essere un passatempo salutare e distensivo. Il dilettante medio dovrebbe essere contento per il semplice fatto che partecipa. Altrimenti, perché migliaia di persone parteciperebbero ad attività atletiche se solo i pochi vincitori potessero essere soddisfatti? La stragrande maggioranza sa di non poter vincere. Per molti, il piacere sta nel partecipare e nel portare a termine la corsa.
Lo spirito competitivo causa divisioni, orgoglio e vanto. Quindi la dignità di chi perde non viene rispettata. A causa di questo spirito mondano, i cristiani non vorranno far parte di leghe competitive, neppure fra loro. Né vorranno opporre una congregazione cristiana a un’altra in qualsiasi tipo di sport. Ricordate che, indipendentemente dalla filosofia corrente, vincere non è tutto. James Michener ha scritto: “Perdere una partita non vuol dire morire. Non sono un essere umano inferiore solo per il fatto che non sono il numero uno”.
Le qualità che sviluppiamo come imitatori di Cristo sono di gran lunga più importanti di qualsiasi prestazione nel campo dello sport. Non siamo persone migliori solo perché battiamo altri in uno sport. Potremmo anche diventare peggiori. L’apostolo Paolo consigliò: “Non diveniamo egotisti, suscitando competizione gli uni con gli altri, invidiandoci gli uni gli altri”. “[Ciascuno] provi quale sia la propria opera, e allora avrà causa di esultanza solo riguardo a se stesso, e non in paragone con l’altra persona”. — Galati 5:26; 6:4.
-