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  • Problemi nel “paradiso”
    Svegliatevi! 1985 | 8 marzo
    • Problemi nel “paradiso”

      QUANDO siete stanchi del ritmo frenetico della vita sognate mai di recarvi su un’isola del Pacifico per dimenticare tutto? Vi immaginate su una spiaggia sabbiosa, in prossimità di azzurre lagune, con le palme ondeggianti e i caldi mari tropicali? In tal caso, forse avete in mente un posto come Belau.

      Belau (ex Palau), un gruppo di oltre 200 isole tropicali per la maggior parte disabitate, sembra avere molte caratteristiche di un paradiso: una temperatura che di rado si allontana dai 27 gradi centigradi, suolo fertile, un mare ricco di pesce, abitanti laboriosi e amichevoli, e una posizione molto, molto distante da quei centri di tensione internazionale che sono Washington e Mosca.

      Il XX secolo purtroppo ha lasciato i suoi segni su Belau. Governata a turno da Germania, Giappone e Stati Uniti, fu teatro di grandi carneficine e devastazioni durante l’ultima guerra mondiale. Anche oggi questa piccola nazione insulare con meno di 15.000 abitanti sente gli effetti dei problemi che si presentano a grandi nazioni lontane, e questo non piace alla gente del posto.

      L’inquinamento è un male moderno che forse vi fa desiderare di fuggire su un’isola del Pacifico, ma è un problema che minaccia anche Belau. Nel 1975 il Giappone, una delle maggiori potenze industriali del mondo, propose di costruire proprio lì a Belau un porto per il trasbordo del petrolio e un immenso complesso industriale. Doveva essere il più grande “superporto” del mondo, con raffinerie di petrolio, impianti petrolchimici e fonderie. La centrale nucleare avrebbe dovuto sorgere a Kayangel, forse l’isola più bella di tutta la Micronesia. La costruzione di questi colossali impianti avrebbe richiesto l’afflusso di manodopera straniera con le rispettive famiglie, un numero di persone quasi pari alla popolazione locale.

      Comprensibilmente, la maggioranza degli abitanti si oppose con rabbia al progetto, temendo i danni che ne sarebbero derivati all’aria, alle belle spiagge e alla ricca e varia fauna marina. Sanno che da tempo immemorabile le barriere coralline e le lagune provvedono loro di che vivere. Non vogliono che siano rovinate dall’inquinamento in cambio di oggetti di lusso. Uno dei loro esponenti politici ha detto: “Gli stranieri ci tentano con beni materiali che non possediamo perché non ne abbiamo bisogno. Guardano Belau e confondono la semplicità con la povertà”. A causa dell’accanita opposizione la minaccia fu sventata.

      Il problema delle armi nucleari

      Ma forse vorreste stabilirvi su un’isola tropicale per sfuggire alla minaccia della guerra e della corsa agli armamenti nucleari. In tal caso Belau sarebbe una delusione. Nel 1983 questo problema fu oggetto di accesi dibattiti nella piccola nazione.

      Nel 1947, dopo la sconfitta del Giappone, sotto il cui mandato era stata Belau, la nazione venne data in amministrazione fiduciaria agli Stati Uniti. In anni recenti gli Stati Uniti hanno proposto di porre fine al loro ruolo di amministratori. In un documento chiamato Patto di Libera Associazione veniva offerta alla piccola nazione l’autonomia, mentre la superpotenza conservava tutti i diritti militari. Questo provvedimento avrebbe offerto agli abitanti di Belau molti vantaggi materiali, ma gli Stati Uniti avrebbero avuto delle installazioni militari nelle isole. E sottinteso nell’accordo era il diritto degli Stati Uniti di far transitare armi nucleari nel paese.

      È vero che l’accordo era così formulato: “Il governo degli Stati Uniti consentirà la presenza di armi nucleari a Belau solo in caso di transito e di sorvolamento, durante un’emergenza nazionale dichiarata dal Presidente degli Stati Uniti o uno stato di guerra dichiarato dal congresso al fine di difendere gli Stati Uniti o Belau da un effettivo o da un incombente attacco armato”. Ciò nondimeno, gli abitanti di Belau erano preoccupati per il significato delle parole “transito” e “sorvolamento”.

      Forse Belau è l’unica nazione al mondo con una costituzione che vieta la presenza di armi nucleari (oltre che chimiche e biologiche) sul suo territorio e nelle sue acque territoriali. Perciò gli isolani erano diffidenti nei confronti di un accordo che avrebbe permesso installazioni e impianti militari di vaste proporzioni, forse con armi nucleari. Una donna del posto disse: “Belau non dovrebbe essere coinvolta in alcuna attività militare che potrebbe renderla oggetto di aggressione”. Una casalinga fece questo commento: “Ho paura di un incidente o di un’esplosione nucleare”. Molti temevano il negativo impatto sociale che avrebbe avuto la presenza di militari americani. Altri si preoccupavano che il Patto potesse rendere il paese economicamente troppo dipendente dagli Stati Uniti.

      Sembra però che gli abitanti di Belau non fossero tutti compatti in questa controversia. Una donna di 58 anni era a favore del Patto perché i suoi figli sarebbero ‘stati in grado di andare negli Stati Uniti continentali per continuare gli studi’. Un ex capo di polizia osservò: “La gente parla molto della bellezza delle isole. Ma se le si facesse scegliere fra denaro e bellezza, la maggioranza sceglierebbe il denaro, poiché è necessario. Voglio veder prosperare gli abitanti di Belau”.

      Il 10 febbraio 1983 la maggioranza votò a favore dell’accordo cinquantennale con gli Stati Uniti. Tuttavia, in un’altra votazione, solo il 52 per cento votò per autorizzare la presenza di armi nucleari nella repubblica, molto meno del 75 per cento richiesto per un emendamento alla costituzione. Quindi a quell’epoca il Patto non fu concluso. La situazione si risolse solo quando i negoziatori firmarono un trattato che permetteva agli Stati Uniti di trasportare materiali nucleari attraverso la nazione insulare, ma non di depositarveli o di farvi esperimenti.

      Il Regno

      Purtroppo, anche se vi rifugiate su un’isola tropicale, questa non è una garanzia che potrete sfuggire alle preoccupazioni e alle pressioni del nostro secolo. Ciò nondimeno, qualsiasi cosa l’immediato futuro riservi a Belau, i testimoni di Geova si sono dati da fare sulle isole, parlando agli abitanti di un altro avvenimento del XX secolo che può significare per loro grandi benedizioni.

      Nel 1967 giunse nel paese la prima coppia di missionari dei testimoni di Geova. Non conoscevano affatto la lingua locale, e si resero conto che pochissimi capivano l’inglese. Nondimeno presto sapevano parlare la lingua abbastanza da dire ai loro nuovi vicini in un palauano sgrammaticato che il Regno di Dio è stato stabilito, e che sarà questo Regno a risolvere finalmente il problema della corsa agli armamenti nucleari, il problema dell’inquinamento e tutti gli altri problemi apparentemente insolubili del XX secolo che turbano la loro tranquillità. — Rivelazione 11:18.

      Ora a Belau c’è una congregazione di 35 testimoni di Geova che dicono ai loro simili queste parole: “Geova stesso regna! Gioisca la terra. Si rallegrino le molte isole”. — Salmo 97:1.

  • Nelle isole si ode lodare Geova
    Svegliatevi! 1985 | 8 marzo
    • Nelle isole si ode lodare Geova

      NEL 1969 una missionaria dei testimoni di Geova incontrò Obasan, una massaia di mezza età che era diaconessa della Chiesa Avventista del Settimo Giorno di Belau, un bel gruppo di isole tropicali situate nel Pacifico occidentale. Fu iniziato uno studio biblico settimanale in casa sua, sebbene la missionaria facesse ancora fatica a parlare il palauano.

      Un versetto biblico che colpì Obasan fu Salmo 37:10, 11, dove lesse che il proposito di Geova è che i mansueti possiedano la terra e vivano nell’abbondanza della pace. Apprese ben presto che Geova risusciterà anche gli ingiusti e darà loro l’opportunità di ottenere la vita eterna durante il Regno millenario di Cristo. — Atti 24:15.

      Quando venne a conoscenza dell’amore, della giustizia e dell’imparzialità di Dio fu molto colpita. I capi della chiesa le fecero visita giorno e notte per persuaderla a smettere di studiare la Bibbia con i testimoni di Geova. Lei fece loro molte domande su soggetti biblici ma non ricevette risposte soddisfacenti. Un giorno, in chiesa, fu invitata a condurre la congregazione in preghiera. Sapeva che se pregava Geova, i suoi correligionari l’avrebbero molto criticata. Ma se non pregava Geova, la sua preghiera sarebbe stata contraria a quello che credeva nel suo cuore. Così si alzò in piedi e rivolse la sua preghiera a Geova, il che la portò presto a lasciare la chiesa. E si unì subito ai missionari nel predicare di casa in casa.

      Il marito era contrario alla “nuova” religione accettata dalla donna. Si ubriacava e minacciava di andare a casa dei missionari e lanciare una fiocina contro di loro. Obasan rammenta: “I miei parenti si vergognavano di me perché predicavo di casa in casa. La maggioranza dei miei amici mi abbandonò e ora, ripensandoci, mi rendo conto che non avrei mai potuto andare avanti senza l’aiuto di Geova”. I missionari l’aiutarono a capire il principio cristiano della sottomissione della moglie, ed essa narra che dopo averlo messo in pratica e aver evitato di fare lunghe discussioni con il marito, “lui smise di opporsi e infine cominciò a studiare”. — Efesini 5:22.

      Obasan fu battezzata nel 1971 e dal 1975 compie l’opera di predicazione in servizio continuo. Quattro persone con cui ha studiato hanno fatto progresso fino al punto di dedicare la loro vita a Dio e di simboleggiarlo con il battesimo in acqua. Ha aiutato anche a tradurre la rivista Torre di Guardia e altre pubblicazioni dall’inglese nella sua lingua nativa. In persone come Obasan si adempie la scrittura che dice: “Attribuiscano a Geova gloria, e nelle isole dichiarino pure la sua lode”. — Isaia 42:12.

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