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  • Parola, la
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • della Parola come di un suo portavoce angelico. (Gen. 16:7-11; 22:11; 31:11; Eso. 3:2-5; Giud. 2:1-4; 6:11, 12; 13:3) Poiché l’angelo che guidò gli israeliti attraverso il deserto aveva ‘il nome di Geova in lui’, può darsi che fosse la Parola, il Figlio di Dio. — Eso. 23:20-23.

      A dimostrazione del fatto che durante il suo ministero terreno aveva continuato a prestare servizio quale Parola o Portavoce del Padre suo, Gesù disse ai suoi ascoltatori: “Non ho parlato di mio proprio impulso, ma il Padre che mi ha mandato mi ha dato egli stesso comandamento su ciò che devo dire e di che devo parlare.... Perciò le cose che dico, come il Padre me le ha dette, così le dico”. — Giov. 12:49, 50; 14:10; 7:16, 17.

  • Parsin
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    • Parsin

      (pàrsin).

      Una delle parole scritte in modo misterioso sulla parete del palazzo di Baldassarre, lette e interpretate da Daniele. (Dan. 5:25) È il plurale di PERES, che significa “mezzo siclo”, frazione del siclo. Nel dare l’interpretazione, Daniele non usò il plurale PARSIN, ma il singolare (PERES). (Dan. 5:28) Forse questo fu dovuto al fatto che solo Baldassarre era presente per sentire il profeta spiegare il messaggio profetico, che però riguardava entrambi i sovrani dell’impero babilonese: Baldassarre e Nabonedo. — Vedi MENE.

  • Parti
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    • Parti

      Ebrei e proseliti provenienti dalla Partia sono elencati per primi fra i visitatori venuti a Gerusalemme nel 33 E.V. per assistere alla festa di Pentecoste. Lo spirito di Dio versato sul gruppo di circa 120 discepoli cristiani permise loro di proclamare la buona notizia nella lingua o dialetto di quei “Parti”, alcuni dei quali senza dubbio l’accettarono di buon grado, diventarono cristiani e probabilmente, una volta tornati in Partia, divulgarono il messaggio fra i loro concittadini. (Atti 1:15; 2:1, 4-12, 37-47) Gli ebrei naturali della Partia provenivano dalla Diaspora; i “proseliti” (Atti 2:10) erano non ebrei che si erano convertiti al giudaismo.

      L’impero dei parti ebbe origine a SE del Mar Caspio, ma in seguito si estese dall’Eufrate fino all’India. Dall’epoca del re Ciro i parti erano stati sotto la dominazione persiana. Passati poi sotto la dominazione greca, insorsero contro i successori di Alessandro Magno e riuscirono a conservare la loro indipendenza per diversi secoli (247 a.E.V. 226 E.V.), anche da Roma. Occuparono la Giudea per tre anni (40-37 a.E.V.) prima di cederla ai romani. Nel I secolo i parti erano ancora una nazione indipendente, e anche se praticavano la religione persiana predominante, erano tolleranti verso la religione degli ebrei e di altri.

  • Pascoli
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    • Pascoli

      Ciascuna delle quarantotto città dei leviti sparse in Israele doveva avere intorno i suoi pascoli (“pascoli”, Mar; “sobborghi”, Ri). Sarebbero stati inalienabili, mentre le case nelle città si potevano vendere e rientravano nel regolamento del Giubileo. — Num. 35:2-5; Lev. 25:32-34; Gios. 21:41, 42.

      L’area adibita a pascolo si doveva estendere “dalle mura della città in fuori per mille cubiti [ca. 445 m] tutto intorno”. Ma il versetto successivo aggiunge: “Dovete misurare fuori della città dal lato est duemila cubiti” e così per tutt’e quattro i lati. (Num. 35:4, 5) Numerose ipotesi sono state avanzate per cercare di conciliare le due cifre. Alcuni commentatori ritengono che l’estensione dei pascoli si doveva determinare misurando mille cubiti da ciascuno dei quattro lati della città, est, ovest, nord e sud. In quanto ai duemila cubiti da ciascun lato, ritengono che l’espressione “fuori della città” significhi che questi duemila cubiti non si dovevano misurare dalle mura della città in fuori, ma erano la misura di ciascuno dei quattro lati dell’area adibita a pascolo presa lungo il perimetro. In tal caso l’area occupata dalla “città nel mezzo” non era inclusa nei duemila cubiti. Come si vede dal seguente grafico, questo permetterebbe di conciliare le due misure.

      Le greggi avevano un posto importante nella vita di molti israeliti, e ci volevano pascoli dove pecore e capre potessero pascolare. (II Sam. 7:8; I Cron. 4:39-41) La scarsità di pascoli per il bestiame avrebbe causato difficoltà. (Gen. 47:3, 4,) La ricchezza dei pascoli favoriva invece un’epoca di pace e prosperità. (Isa. 30:23; Sal. 65:12, 13; 23:2) Di conseguenza, pascoli abbandonati sarebbero stati segno di completa desolazione (Isa. 27:10), mentre il fatto che i pascoli venivano di nuovo usati dava l’idea di un ritorno a condizioni favorevoli e di pace. (Isa. 65:10; Ger. 23:3; 33:12; 50:19; Mic. 2:12) Come le pecore venivano condotte da un pastore amorevole in pascoli dove erano al sicuro e avevano abbondanza, così il popolo di Dio è guidato e curato da Geova. — Sal. 79:13; 95:7; 100:3; Ezec. 34:31.

      [Diagramma a pagina 940]

      (Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

      1.000 cubiti. .1.000 cubiti

      . .

      . .

      . .

      1.000 cubiti 800 cubiti 1.000 cubiti

      CITTÀ

      . .

      . .

      . .

      . .

      2.800 cubiti-800 cubiti [della città] = 2.000 cubiti

  • Pasqua
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    • Pasqua

      [ebr. pèsahh, l’atto di scavalcare o passare oltre; gr. pàskha].

      La Pasqua venne istituita la sera precedente l’esodo dall’Egitto. La prima volta fu osservata nel 1513 a.E.V., al tempo della luna piena, il quattordicesimo giorno del mese di abib (chiamato più tardi nisan). In seguito si doveva celebrarla ogni anno. (Eso. 12:17-20, 24-27) Abib (nisan) cade nei mesi di marzo-aprile del calendario gregoriano. Dopo la Pasqua, dal 15 al 21 nisan, seguiva per sette giorni la festa dei pani non fermentati. La Pasqua ricorda la liberazione degli israeliti dall’Egitto e il ‘passar oltre’ i loro primogeniti quando Geova sterminò i primogeniti d’Egitto. Come stagione, cadeva all’inizio della mietitura dell’orzo. — Eso. 12:14, 24-47; Lev. 23:10.

      La Pasqua era una celebrazione commemorativa; perciò il comando scritturale era: “E deve avvenire che quando i vostri figli vi diranno: ‘Che cosa significa questo servizio per voi?’ allora dovrete dire: ‘È il sacrificio della pasqua a Geova, che passò oltre le case dei figli d’Israele in Egitto quando afflisse gli Egiziani, ma liberò le nostre case’”. — Eso. 12:26, 27.

      Dato che per gli ebrei il giorno iniziava dopo il tramonto e terminava l’indomani al tramonto, il 14 nisan iniziava dopo il tramonto. Quindi la Pasqua si doveva osservare la sera dopo che era terminato il 13 nisan. Poiché la Bibbia precisa che Cristo è il sacrificio pasquale (I Cor. 5:7) e che consumò il pasto di Pasqua la sera prima di essere messo a morte, la data della sua morte doveva essere il 14 nisan, non il 15 nisan, per adempiere esattamente il fattore tempo del tipo, o ombra, provveduto dalla Legge. — Ebr. 10:1.

      LEGGI RELATIVE ALLA SUA CELEBRAZIONE

      Ogni famiglia doveva prendere un montone o un capro sano, di un anno, portarlo a casa il decimo giorno del mese di abib e tenerlo fino al quattordicesimo giorno, quando sarebbe stato ucciso e il sangue spruzzato con un mazzetto di issopo sugli stipiti e sull’architrave della porta dell’abitazione in cui l’avrebbero mangiato (non sulla soglia dove il sangue sarebbe stato calpestato). L’agnello o il capretto veniva ucciso e scuoiato, le interiora venivano pulite e rimesse a posto, poi era arrostito intero, ben cotto, senza rompere nessun osso. (II Cron. 35:11; Num. 9:12) Se la famiglia era troppo piccola per consumare l’intero animale, lo si doveva condividere con una famiglia vicina e mangiare quella stessa notte. Qualsiasi avanzo doveva essere bruciato prima del mattino. (Eso. 12:10; 34:25) Veniva mangiato insieme a pani non lievitati, “il pane d’afflizione”, e con erbe amare, perché durante la schiavitù la loro vita era stata amara. — Eso. 1:14; 12:1-11, 29, 34; Deut. 16:3.

      “Fra le due sere”

      Per gli israeliti il giorno andava da un tramonto all’altro. Perciò il giorno di Pasqua iniziava al tramonto alla fine del tredicesimo giorno di abib (nisan). L’animale si doveva uccidere “fra le due sere”. (Eso. 12:6) Ci sono opinioni diverse circa l’esatto significato di questa espressione. Secondo alcune fonti autorevoli, e anche secondo gli ebrei caraiti e i samaritani, era il tempo che intercorreva fra il tramonto del sole e l’oscurità del crepuscolo. I farisei e alcune scuole rabbiniche la pensavano altrimenti: la prima sera, quando il sole cominciava a tramontare, e la seconda, al tramonto vero e proprio. In base a ciò i rabbini sostengono che l’agnello venisse ucciso alla fine del quattordicesimo giorno, non all’inizio, e quindi che il pasto di Pasqua venisse in realtà consumato il 15 nisan.

      A questo proposito C. F. Keil e F. Delitzsch osservano: “Sin dai tempi più remoti fra gli ebrei sono prevalse opinioni diverse circa il preciso tempo in questione. Abenezra (Abraham ibn ‘Ezra) è d’accordo con i caraiti e i samaritani nel ritenere che la prima sera fosse il momento in cui il sole cala dietro l’orizzonte, e la seconda quando è completamente buio; nel qual caso, ‘fra le due sere’ sarebbe fra le  18 e le 19,20... Secondo l’idea rabbinica, il momento in cui il sole comincia a calare, cioè fra le  15 e le 17, era la prima sera, e il tramonto la seconda; quindi ‘fra le due sere’ era fra le  15 e le 18. Commentatori moderni hanno molto appropriatamente deciso a favore dell’idea sostenuta da Abenezra e della consuetudine adottata da caraiti e samaritani”. — Biblical Commentary on the Old Testament, ed. 1951, Il Pentateuco, Vol. II, p. 12.

      Da quanto si è detto, e in particolare sulla base di Esodo 12:17, 18, Levitico 23:5-7 e Deuteronomio 16:6, 7, sembra che l’espressione “fra le due sere” si riferisca al tempo che intercorre fra il tramonto e l’oscurità. Sia in un caso che nell’altro, il pasto di Pasqua non poteva essere consumato prima dell’ora corrispondente alle nostre 18, infatti l’animale doveva essere ucciso, scuoiato, pulito e ben arrostito e si dovevano fare altri preparativi, quindi sarebbe stato piuttosto tardi prima che si potesse mangiare la pasqua, il 14 nisan, che era iniziato al tramonto. In Deuteronomio 16:6 troviamo il comando: “Dovresti sacrificare la pasqua, la sera, appena sarà tramontato il sole”. Gesù e gli apostoli presero il pasto di Pasqua “venuta la sera”. (Mar. 14:17; Matt. 26:20) Giuda uscì immediatamente dopo la celebrazione pasquale: “Ed era notte”. (Giov. 13:30) Mentre Gesù celebrava la Pasqua coi dodici apostoli la conversazione non languiva; e poi ci volle un po’ di tempo per lavare loro i piedi. (Giov. 13:2-5) Perciò l’istituzione del Pasto Serale del Signore ebbe certamente luogo a sera assai inoltrata.

      Alla Pasqua in Egitto, in ciascuna casa il capofamiglia doveva uccidere l’agnello (o il capretto) e tutti dovevano rimanere in casa per non essere uccisi dall’angelo. I commensali mangiavano in piedi, con i fianchi cinti (affinché gli abiti lunghi non fossero d’impedimento nel camminare), il bastone in mano, i sandali ai piedi, pronti per un lungo viaggio su terreno accidentato (mentre spesso svolgevano il lavoro d’ogni giorno scalzi). A mezzanotte tutti i primogeniti degli egiziani furono uccisi, ma l’angelo passò oltre le case su cui era stato spruzzato il sangue. (Eso. 12:11, 23) Ogni famiglia egiziana in cui c’era un primogenito fu colpita, dalla casa dello stesso faraone al primogenito del prigioniero. Non era colpito il capo della casa, anche se era un primogenito, ma qualsiasi primogenito della sua famiglia, come pure degli animali. — Eso. 12:29, 30.

      NEL DESERTO E NELLA TERRA PROMESSA

      È descritta una sola celebrazione pasquale nel deserto. (Num. 9:1-14) L’osservanza della Pasqua durante il viaggio nel deserto fu probabilmente limitata, per due ragioni: (1) secondo le istruzioni originali di Geova doveva essere osservata una volta giunti nella Terra Promessa. (Eso. 12:25; 13:5) (2) Quelli nati nel deserto non erano stati circoncisi (Gios. 5:5), mentre tutti i partecipanti di sesso maschile dovevano essere circoncisi. — Eso. 12:45-49.

      CELEBRAZIONI DOCUMENTATE

      Nelle Scritture Ebraiche troviamo la descrizione della Pasqua celebrata (1) in Egitto (Eso. cap. 12), (2) nel deserto del Sinai, il 14 nisan 1512 a.E.V. (Num. cap. 9), (3) nel 1473 a.E.V. giunti ormai nella Terra Promessa, a Ghilgal e dopo la circoncisione di tutti i maschi (Gios. cap. 5), (4) quando Ezechia ripristinò la vera adorazione (II Cron. cap. 30), (5) la Pasqua di Giosia (II Cron. cap. 35) e (6) quella celebrata da Israele dopo il ritorno dall’esilio in Babilonia (Esd. cap. 6). (In II Cronache 35:18 si parla inoltre di pasque celebrate all’epoca di Samuele e ai giorni dei re). Dopo che gli israeliti si stabilirono nel paese, si celebrava la festa di Pasqua ‘nel luogo scelto da Geova per farvi risiedere il suo nome’, anziché uccidere e mangiare l’agnello ciascuno in casa sua o nella propria città. A suo tempo il luogo prescelto fu Gerusalemme. — Deut. 16:1-8.

      AGGIUNTE

      Dopo che Israele si era insediato nella Terra Promessa

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