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  • Gesù Cristo
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • Mosè aveva avuto settanta uomini che insieme a lui rappresentavano la nazione, così Gesù in seguito iniziò al ministero altri settanta discepoli. (Num. 11:16, 17; Luca 10:1) Da allora in poi nell’insegnare e nel dare istruzioni Gesù si rivolse in special modo ai discepoli, infatti, come rivela il contenuto, anche il “Sermone del Monte” fu pronunciato principalmente per loro. — Matt. 5:1, 2, 13-16; 13:10, 11; Mar. 4:34; 7:17.

      Egli si assunse pienamente le responsabilità che gli competevano; prese la direttiva sotto ogni aspetto (Matt. 23:10; Mar. 10:32); affidò ai discepoli responsabilità e compiti oltre all’opera di predicazione (Luca 9:52; 19:29-35; Giov. 4:1-8; 12:4-6; 13:29; Mar. 3:9; 14:12-16); incoraggiò e rimproverò. (Giov. 16:27; Luca 10:17-24; Matt. 16:22, 23) Era un comandante: il suo principale comando era quello di ‘amarsi gli uni gli altri come li aveva amati lui’. (Giov. 15:10-14) Era in grado di controllare folle di migliaia di persone. (Mar. 6:39-46) Il costante, utile addestramento che impartì ai discepoli, quasi tutti uomini di umile condizione e istruzione, era estremamente efficace. (Matt. 10:1–11:1; Mar. 6:7-13; Luca 8:1) In seguito uomini dotti e altolocati dovettero meravigliarsi per il modo di parlare sicuro e vigoroso degli apostoli; e quali “pescatori di uomini” essi ebbero straordinari risultati: migliaia di persone accettarono la loro predicazione. (Matt. 4:19; Atti 2:37, 41; 4:4, 13; 6:7) L’intendimento dei principi biblici, inculcati nel loro cuore da Gesù, anni dopo permise loro di essere veri pastori del gregge. (I Piet. 5:1-4) Così Gesù, in soli tre anni e mezzo, pose un solido fondamento per una congregazione internazionale unita, formata da migliaia di persone di molte razze diverse.

      Capace provveditore e giusto giudice

      Che il suo governo avrebbe portato prosperità maggiore di quello di Salomone era evidente dalla sua capacità di dirigere con enorme successo le operazioni di pesca dei discepoli. (Luca 5:4-9; confronta Giovanni 21:4-11). Quell’uomo nato a Betleem (che significa “Casa del pane”) poté sfamare migliaia di persone e trasformare l’acqua in ottimo vino, facendo pregustare il futuro banchetto che il messianico regno di Dio imbandirà “per tutti i popoli”. (Isa. 25:6; confronta Luca 14:15). Il suo regno non solo porrà fine a povertà e fame, ma eliminerà anche la morte. — Isa. 25:7, 8.

      C’era inoltre ogni ragione di aver fiducia nel giudizio giusto e retto del suo governo, in armonia con le profezie messianiche. (Isa. 11:3-5; 32:1, 2; 42:1) Gesù mostrò il massimo rispetto per la legge, specie la legge del suo Dio e Padre, ma anche quella delle “autorità superiori”, i governi di Cesare, cui era consentito operare sulla terra. (Matt. 5:17-19; 22:17-21; Giov. 18:36) Respinse il tentativo di portarlo sulla scena politica ‘facendolo re’ per acclamazione popolare. (Giov. 6:15; confronta Luca 19:11, 12; Atti 1:6-9). Non oltrepassò i limiti della sua autorità. (Luca 12:13, 14) Nessuno poteva ‘accusarlo di peccato’ non solo perché era nato perfetto, ma anche perché aveva costante cura di osservare la Parola di Dio (Giov. 8:46, 55), cingendosi di giustizia e fedeltà come di una cintura. (Isa. 11:5) Il suo amore per la giustizia era accompagnato da odio per la malvagità, l’ipocrisia e l’inganno, e coloro che erano avidi e insensibili verso la sofferenza altrui lo indignavano. Matt. 7:21-27; 23:1-8, 25-28; Mar. 3:1-5; 12:38-40; confronta i versetti 41-44). Gli umili e i mansueti potevano farsi coraggio dato che il suo regno avrebbe spazzato via ogni ingiustizia e oppressione. — Isa. 11:4; Matt. 5:5.

      Manifestò acuto discernimento per i principi, per il vero significato e lo scopo delle leggi di Dio, dando risalto alle “cose più importanti”, cioè “la giustizia e la misericordia e la fedeltà”. (Matt. 12:1-8; 23:23, 24) Era imparziale, non mostrava favoritismo, pur provando particolare affetto per uno dei discepoli. (Matt. 18:1-4; Mar. 10:35-44; Giov. 13:23; confronta I Pietro 1:17). Anche se una delle ultime cose che fece mentre stava per morire sul palo di tortura fu quella di preoccuparsi per la sua madre umana, i vincoli familiari carnali non ebbero mai la priorità sui rapporti spirituali. (Matt. 12:46-50; Luca 11:27, 28; Giov. 19:26, 27) Come era stato predetto, il suo modo di risolvere i problemi non era mai superficiale, basato solo su ‘ciò che appariva ai suoi occhi, né riprendeva semplicemente secondo la cosa udita dai suoi orecchi’. (Isa. 11:3; confronta Giovanni 7:24). Era in grado di vedere dentro il cuore degli uomini, di discernerne i motivi. (Matt. 9:4; Mar. 2:6-8; Giov. 2:23-25) Si ispirava sempre alla Parola di Dio e cercava non la sua volontà, ma quella del Padre; perciò le decisioni di questo giudice nominato da Dio sarebbero sempre state giuste e rette. — Isa. 11:4; Giov. 5:30.

      Profeta eccezionale

      Gesù fu un profeta come Mosè, ma maggiore di lui. (Deut. 18:15, 18, 19; Matt. 21:11; Luca 24:19; Atti 3:19-23; confronta Giovanni 7:40). Predisse le sue stesse sofferenze e come sarebbe morto, la dispersione dei discepoli, l’assedio di Gerusalemme e la completa distruzione della città e del tempio. Matt. 20:17-19; 24:1–25:46; 26:31-34; Luca 19:4-44; 21:20-24; Giov. 13:18-27, 38) In relazione a questi ultimi avvenimenti, pronunciò profezie che si sarebbero adempiute durante la sua presenza, quando il suo regno sarebbe già stato in piena attività. E, come i profeti precedenti, compì segni e miracoli per dimostrare che era stato mandato da Dio. Le sue credenziali superavano quelle di Mosè, infatti calmò il Mar di Galilea in burrasca, camminò sulle sue acque (Matt. 8:23-27; 14:23-34), sanò ciechi, sordi e zoppi, e persone affette da gravi malattie come la lebbra, e persino risuscitò i morti. — Luca 7:18-23; 8:41-56, Giov. 11:1-46.

      Splendido esempio di amore

      Fra tutti questi aspetti della personalità di Gesù la qualità predominante è l’amore, per il Padre soprattutto, e per le altre creature come lui. (Matt. 22:37-39) L’amore doveva essere il segno che avrebbe identificato i suoi discepoli. (Giov. 13:34, 35; confronta I Giovanni 3:14). Il suo amore non era sentimentalismo. Anche se manifestò forti sentimenti, Gesù era sempre guidato da principi (Ebr. 1:9); il suo interesse supremo era la volontà del Padre. (Confronta Matteo 16:21-23). Dimostrò di amare Dio osservandone i comandamenti (Giov. 14:30, 31; confronta I Giovanni 5:3), cercando sempre di glorificare il Padre. (Giov. 17:1-4) L’ultima sera trascorsa coi discepoli più di trenta volte parlò di amore e di amare, ripetendo tre volte il comando di ‘amarsi l’un l’altro’. (Giov. 13:34; 15:12, 17) E disse: Nessuno ha amore più grande di questo, che qualcuno ceda la sua anima a favore dei suoi amici. Voi siete miei amici se fate quello che vi comando”. — Giov. 15:13, 14; confronta Giovanni 10:11-15.

      Diede prova del suo amore per Dio e per il genere umano imperfetto lasciandosi ‘portare proprio come una pecora allo scannatoio’, assoggettandosi al processo, a essere schiaffeggiato, preso a pugni, sputacchiato, flagellato e infine inchiodato a un palo fra due criminali. (Isa. 53:7; Matt. 26:67, 68; 27:26-38; Mar. 14:65; 15:15-20; Giov. 19:1) Con la sua morte in sacrificio fu d’esempio ed espresse l’amore di Dio verso gli uomini (Rom. 5:8-10; Efes. 2:4, 5), e permise agli uomini di avere l’assoluta certezza del suo incrollabile amore per i discepoli fedeli. — Rom. 8:35-39; I Giov. 3:16-18.

      Poiché il ritratto del Figlio di Dio secondo la breve descrizione che ne fa la Bibbia (Giov. 21:25) è splendido, ben più splendida doveva essere la realtà. Il suo rincorante esempio di umiltà e benignità, unite a forza nel sostenere la giustizia e la rettitudine, assicura che il governo del suo Regno sarà tutto quello che gli uomini di fede hanno atteso per secoli, anzi supererà di gran lunga ogni aspettativa. (Rom. 8:18-22) In ogni cosa diede un perfetto esempio ai discepoli, un esempio ben diverso da quello dei sovrani terreni. (Matt. 20:25-28; I Cor. 11:1; I Piet. 2:21) Gesù, il loro Signore, lavò loro i piedi. Così stabilì il modello di premura, sollecitudine e umiltà che doveva caratterizzare la congregazione dei suoi seguaci unti, non solo sulla terra, ma anche in cielo. (Giov. 13:3-15) Benché siano stati elevati a troni celesti, partecipi come “regal sacerdozio” con Gesù Cristo di ‘ogni autorità in cielo e sulla terra’ per i mille anni del suo regno, devono servire con amore e avere umile cura dei bisogni dei suoi sudditi sulla terra. — Matt. 28:18; Rom. 8:17; I Piet. 2:9; Riv. 1:5, 6; 20:6; 21:2-4.

      DICHIARATO GIUSTO E DEGNO

      Con la sua condotta di integrità a Dio durante tutta la vita sulla terra, Gesù Cristo ha compiuto il “solo atto di giustificazione” che l’ha reso idoneo a prestare servizio in cielo quale unto Re–Sacerdote di Dio. (Rom. 5:17, 18) Con la risurrezione dai morti alla vita quale Figlio celeste di Dio è stato “dichiarato giusto nello spirito”. (I Tim. 3:16) Creature celesti l’hanno dichiarato “degno di ricevere potenza e ricchezza e sapienza e forza e onore e gloria e benedizione”, essendo simile a un leone a favore della giustizia e del giudizio, e simile a un agnello sacrificato per la salvezza di altri. (Riv. 5:5-13) Non è stato un semplice atto umanitario, poiché lo scopo principale era quello di santificare il Nome del Padre suo. (Matt. 6:9; 22:36-38) Gesù l’ha fatto non solo usando quel Nome, ma facendo conoscere la Persona che lo porta, manifestando le mirabili qualità del Padre, il suo amore, la sapienza, la giustizia e la potenza, facendo conoscere o provare ciò che quel Nome rappresenta. (Matt. 11:27; Giov. 1:14, 18; 17:6-12) E soprattutto, ha fatto questo sostenendo la sovranità universale di Geova, dimostrando che il governo del suo Regno sarà basato solidamente su tale Suprema Fonte d’autorità. Perciò si poté dire di lui: “Dio è il tuo trono per sempre”. — Ebr. 1:8.

      Il Signore Gesù Cristo è dunque il “principale Agente e Perfezionatore della nostra fede”. Adempiendo la profezia e rivelando i futuri propositi di Dio con quello che diceva, faceva ed era, ha provveduto il fondamento solido su cui deve poggiare la vera fede. — Ebr. 12:2; 11:1.

  • Getsemani
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    • Getsemani

      (Getsèmani) [frantoio dell’olio].

      Probabilmente un oliveto in cui c’era un frantoio per la spremitura delle olive. Il Getsemani si trovava a E di Gerusalemme, dall’altra parte della valle del Chidron (Giov. 18:1), sul Monte degli Ulivi o nelle vicinanze. (Luca 22:39) Qui Gesù Cristo si incontrava spesso con i discepoli. (Giov. 18:2) La sera di Pasqua del 33 E.V. Gesù, insieme ai discepoli fedeli, si ritirò in quest’orto a pregare. Scoperto e tradito da Giuda Iscariota, venne arrestato da una turba armata. — Matt. 26:36-56; Mar. 14:32-52; Luca 22:39-53; Giov. 18:1-12.

      Non si può stabilire con esattezza l’ubicazione dell’orto del Getsemani, perché (secondo la testimonianza di Giuseppe Flavio) tutti gli alberi intorno a Gerusalemme furono abbattuti dai romani durante l’assedio del 70 E.V. (Guerra giudaica, Libro V, cap. XII, 4) Una tradizione identifica il Getsemani col giardino recinto dai Francescani nel 1848. In questo giardino di 46 m per 43, che si trova a un bivio sul pendio O quasi ai piedi del Monte degli Ulivi, ci sono otto olivi centenari.

      [Figura a pagina 551]

      Tradizionale ubicazione dei Getsemani; in lontananza, dall’altra parte della valle del Chidron, si scorgono la Porta Dorata e parte della Cupola della Roccia

  • Gheazi
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    • Gheazi

      (Gheàzi) [valle della visione]. Servitore del profeta Eliseo.

      Quando Eliseo si chiedeva cosa fare per un’ospitale sunamita, fu Gheazi che portò all’attenzione del suo padrone il fatto che la donna non aveva figli e suo marito era vecchio. Perciò Eliseo le disse che in premio avrebbe avuto un figlio. Anni dopo il bambino avuto miracolosamente si ammalò e morì. Allora la sunamita sellò un’asina, andò da Eliseo sul Carmelo e gli si strinse ai piedi. Vedendo ciò Gheazi cercò di allontanarla, ma gli fu detto di lasciarla stare. Dopo che la donna ebbe finito di parlare, Eliseo mandò immediatamente Gheazi dal ragazzo, mentre lui e la donna lo seguivano. Durante il percorso Gheazi tornò loro incontro con la notizia che, benché gli avesse messo il bastone di Eliseo sulla faccia, “il ragazzo non si [era] svegliato”. Tuttavia poco dopo Eliseo risuscitò il figlio della sunamita. — II Re 4:12-37.

      In seguito poiché ci sarebbero stati sette anni di carestia, Eliseo raccomandò alla sunamita e alla sua famiglia di trasferirsi temporaneamente ovunque fosse possibile. Finita la carestia la donna tornò in Israele dalla Filistea e andò dal re per supplicarlo di restituirle la casa e il campo. Proprio in quel momento Gheazi stava raccontando al re che Eliseo le aveva risuscitato il figlio. Sentendone il racconto dalla sunamita stessa, il re diede ordine che le venisse restituita ogni cosa, incluso tutto quello che aveva prodotto il campo durante la sua assenza. — II Re 8:1-6.

      L’avidità di guadagno egoistico fu la rovina di Gheazi. Eliseo aveva rifiutato di accettare un dono dal siro Naaman per averlo guarito dalla lebbra (II Re 5:14-16), ma Gheazi bramando il dono ragionò che era solo giusto accettarlo. Perciò rincorse Naaman e, in nome di Eliseo, chiese un talento d’argento e due mute di abiti, col pretesto che servivano per due giovani figli dei profeti appena arrivati dalla regione montuosa di Efraim. Naaman fu ben lieto di dargli non uno, ma due talenti d’argento, e anche le due mute di abiti, e disse a due suoi servitori di portare il dono per Gheazi. A Ofel questi prese il dono dalle mani dei servitori, li congedò, portò il dono a casa sua e poi si presentò a mani vuote a Eliseo, negando di essere andato in qualche posto quando gli fu chiesto: “Da dove sei venuto, Gheazi?” Perciò fu colpito dalla lebbra. L’avidità, unita alla menzogna, costò a Gheazi il privilegio di continuare a servire Eliseo; inoltre la lebbra si attaccò alla sua progenie. — II Re 5:20-27.

  • Gheba
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    • Gheba

      (Ghèba) [colle].

      Città di Beniamino data ai cheatiti; una delle tredici città sacerdotali. (Gios. 18:21, 24; 21:17, 19; I Cron. 6:54, 60) Gheba si trovava presso il confine settentrionale del regno di Giuda; di qui l’espressione “da Gheba fino a Beer-Seba”. (II Re 23:8) L‘antica città viene di solito identificata

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