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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • e afferma: “Anche voi potete aiutarci con la vostra supplicazione per noi, onde siano da molti rese grazie a nostro favore per ciò che ci è benignamente dato a motivo di molte facce supplichevoli”. (II Cor. 1:8-11; confronta Filippesi 1:12-20). Viene messo continuamente in risalto il potere della preghiera d’intercessione, sia da parte di un singolo individuo che di un gruppo. A proposito del ‘pregare gli uni per gli altri’ Giacomo dice: “La supplicazione del giusto, quando opera, ha molta forza”. — Giac. 5:14-20; confronta Genesi 20:7, 17; II Tessalonicesi 3:1, 2; Ebrei 13:18, 19.

      È pure degno di nota che presentando spesso il proprio caso a Geova, il Sovrano Signore, chi prega presenta le sue ragioni per cui ritiene che la sua richiesta sia giusta, insieme alle prove che i suoi motivi sono giusti e disinteressati, e che altri fattori hanno più peso dei suoi stessi interessi o delle sue stesse considerazioni. Può darsi che sia in gioco l’onore del nome stesso di Dio, o il bene del suo popolo, oppure l’effetto che potrebbe avere sui presenti un’azione da parte di Dio o il suo rifiuto d’intervenire. Si può far appello alla giustizia di Dio, alla sua amorevole benignità e al fatto che è un Dio misericordioso. (Confronta Genesi 18:22-33; 19:18-20; Esodo 32:11-14; II Re 20:1-5; Esdra 8:21-23). Anche Cristo Gesù “intercede” a favore dei suoi fedeli seguaci. — Rom. 8:33, 34.

  • Preparazione
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    • Preparazione

      Così veniva chiamato il giorno che precedeva il sabato settimanale, durante il quale gli ebrei si preparavano per il sabato.

      Quando cominciò a provvedere la manna nel deserto, Geova ordinò che il sesto giorno se ne raccogliesse una porzione doppia, dato che il sabato, cioè il settimo giorno, non ne dovevano raccogliere. Perciò, in preparazione del sabato settimanale, gli ebrei raccoglievano e cuocevano al forno o bollivano la manna in più. (Eso. 16:5, 22-27) In seguito “il giorno prima del sabato” assunse il nome di Preparazione, come spiega Marco. (Mar. 15:42) Il giorno ebraico della Preparazione terminava al tramonto di quello che è oggi il venerdì, quando iniziava il sabato, dato che il giorno ebraico andava da sera a sera.

      Durante la Preparazione la gente preparava i pasti per l’indomani, il sabato, e ultimava qualsiasi altro lavoro urgente che non poteva esser rimandato dopo il sabato. (Eso. 20:10) La Legge stabiliva che il cadavere di un uomo giustiziato e appeso a un palo non doveva “restare sul palo per tutta la notte”. (Deut. 21:22, 23; confronta Giosuè 8:29; 10:26, 27). Poiché Gesù e con lui due malfattori erano stati messi al palo il pomeriggio della Preparazione, era importante per gli ebrei affrettarne se necessario la morte perché potessero essere seppelliti prima del tramonto. Tanto più che il giorno che stava per iniziare al tramonto era oltre che un normale sabato (il settimo giorno della settimana) anche un sabato essendo il 15 nisan (Lev. 23:5-7), quindi era un ‘grande’ sabato. (Giov. 19:31, 42; Mar. 15:42, 43; Luca 23:54) Giuseppe Flavio cita un decreto di Cesare Augusto secondo il quale gli ebrei “non erano obbligati a presentarsi al giudice il sabato, né il giorno della sua preparazione, dopo la nona ora”, indicando che cominciavano a prepararsi per il sabato alla nona ora del venerdì. — Antichità giudaiche, Libro XVI, cap. VI, 2.

      Parlando della mattina del processo e della comparizione di Gesù davanti a Pilato, nella mattinata del 14 nisan (il giorno di Pasqua iniziato la sera prima), Giovanni 19:14 dice: “Ora era la preparazione della pasqua”. (Co, Ga, NM, PIB, VR) Secondo alcuni commentatori questo significherebbe “preparazione per la pasqua”, e alcune versioni rendono questa espressione “vigilia della pasqua”. (Con) Questo però farebbe pensare che la Pasqua non fosse ancora stata celebrata, mentre i Vangeli indicano chiaramente che Gesù e gli apostoli l’avevano celebrata la sera prima. (Luca 22:15; Matt. 26:18-20; Mar. 14:14-17) Cristo osservò alla perfezione i regolamenti della Legge, incluso quello di celebrare la Pasqua il 14 nisan. (Eso. 12:6; Lev. 23:5; vedi PASQUA). Il giorno del processo e della morte di Gesù poteva esser considerato la “preparazione della pasqua” nel senso che era la preparazione per la festa dei pani non fermentati che iniziava l’indomani e durava sette giorni. Poiché una festa veniva immediatamente dopo l’altra, l’intero periodo festivo veniva spesso incluso nel termine Pasqua. Inoltre il giorno dopo il 14 nisan era sempre considerato un sabato; per di più nel 33 E.V. il 15 nisan cadeva proprio di sabato, così che quel giorno era un ‘grande’ o doppio sabato.

  • Presagio
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    • Presagio

      Indizio di eventi futuri, segno premonitore. (Gen. 30:27; Num. 24:1) L’uso di cercare presagi, come forma di divinazione, era espressamente vietato dalla legge data da Dio a Israele. (Lev. 19:26; Deut. 18:10) Ma apostati come Manasse re di Giuda cercarono effettivamente presagi. (II Re 17:17; 21:6) Dal momento che questa pratica è condannata dalle Scritture, evidentemente le parole del fedele Giuseppe circa l’uso del suo calice d’argento per trarre presagi facevano semplicemente parte di uno stratagemma. (Gen. 44:5, 15) In tal modo Giuseppe si presentò non come uno che avesse fede in Geova, ma come l’amministratore di un paese dove prevaleva la falsa adorazione. Così non fornì nessun indizio che lo collegasse con i suoi fratelli e tenne loro nascosta la sua vera identità. — Vedi DIVINAZIONE.

  • Presenza
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    • Presenza

      Questo termine traduce il greco parousìa, composto da parà (“presso”) e ousìa (“l’essere”, dal participio di eimì, “essere”). Quindi parousìa significa letteralmente “essere presso”, cioè “presenza”. Ricorre ventiquattro volte nelle Scritture Greche Cristiane, spesso a proposito della presenza di Cristo in relazione al regno messianico.

      Molte traduzioni rendono in svariati modi questo termine. Pur traducendolo “presenza” in alcuni versetti, più spesso lo rendono “venuta”. Questo ha dato origine all’espressione “seconda venuta” o “secondo avvento” di Cristo Gesù (essendo adventus la traduzione della Vulgata latina di parousìa in Matteo 24:3). Anche se la presenza di Gesù implica necessariamente il suo arrivo nel luogo in cui è presente, traducendo parousìa con “venuta” si dà risalto unicamente all’arrivo oscurando la successiva presenza. Pur ammettendo come traduzioni di parousìa sia “arrivo” che “presenza”, in genere i lessicografi riconoscono che la presenza della persona è l’idea principale resa da questo termine.

      Infatti dell’uso di parousìa in Matteo 24:3 un’opera di consultazione (The Expositor’s Greek Testament, Vol. I, p. 289) dice: “Παρουσία [parousìa] (letteralmente presenza, seconda presenza)”. E Vine afferma: “PAROUSIA . . . indica sia un arrivo che una successiva presenza. Per esempio, in una lettera papiracea [scritta in greco] una signora parla della necessità della sua parousia in un luogo al fine di occuparsi di faccende relative alla sua proprietà. . . . A proposito del ritorno di Cristo, quando la Chiesa viene rapita in cielo, non significa semplicemente una Sua momentanea venuta per i Suoi santi, ma la Sua presenza con loro da quel momento fino alla Sua rivelazione e manifestazione al mondo”. (Expository Dictionary of New Testament Words, Vol. I, p. 208) A Greek-English Lexicon di Liddell e Scott (p. 1343) spiega che nella letteratura greca secolare a volte parousìa è usato a proposito della “visita di un regnante o di un alto funzionario”.

      Scritti secolari in greco sono certo utili per determinare il significato di questo termine. Ma ancora più chiaro è l’uso del termine nella Bibbia stessa. In Filippesi 2:12, per esempio, Paolo dice che i cristiani di Filippi dovevano essere ubbidienti “non solo durante la [sua] presenza [parousìai], ma ancor più prontamente durante la [sua] assenza [apousìai]”. E anche in II Corinti 10:10, 11, dopo aver menzionato chi diceva che “le sue lettere sono gravi e vigorose, ma la sua presenza [parousìa] personale è debole e la sua parola spregevole”, Paolo aggiunge: “Un tal uomo prenda questo in considerazione, che ciò che siamo nella nostra parola mediante lettere quando siamo assenti [apòntes], tali saremo anche nell’azione quando saremo presenti [paròntes]”. (Confronta anche Filippesi 1:24-27). Il paragone viene fatto tra presenza e assenza, non tra arrivo (o venuta) e partenza.

      A questo proposito nell’appendice della sua Emphasised Bible (p. 271) J. B. Rotherham afferma: “In questa edizione il sostantivo parousia è uniformemente reso ‘presenza’ (escludendo ‘venuta’, come corrispondente di questo termine). . . . Il significato di ‘presenza’ è [mostrato] così chiaramente dalla contrapposizione con ‘assenza’ . . . che sorge spontanea la domanda: Perché non renderlo sempre così?”

      Che la parousìa di Gesù non sia semplicemente una venuta momentanea seguita da una rapida partenza, ma sia piuttosto una presenza che si protrae per un periodo di tempo, è indicato anche dalle sue stesse parole riportate in Matteo 24:37-39 e Luca 17:26-30. Qui i “giorni di Noè” sono paragonati alla “presenza del Figlio dell’uomo” (“ai giorni del Figlio dell’uomo” nel Vangelo di Luca). Gesù dunque non limita il paragone alla sola venuta del Diluvio come punto culminante durante i giorni di Noè, anche se spiega che la sua stessa “presenza” o i suoi stessi “giorni” vedranno un simile punto culminante. Poiché i “giorni di Noè” in effetti si protrassero per un periodo di anni, c’è ragione di ritenere che la predetta “presenza [o “giorni”] del Figlio dell’uomo” si sarebbe similmente protratta per un periodo di alcuni anni, culminando con la distruzione di coloro che non avrebbero approfittato dell’opportunità offerta loro di cercare scampo.

      NATURA DELLA “PAROUSIA” DI CRISTO

      Una parousìa o presenza può naturalmente essere visibile, e in sei casi il termine si riferisce alla presenza umana, visibile, di uomini come Stefana, Fortunato, Acaico, Tito e Paolo. (I Cor. 16:17; II Cor. 7:6, 7; 10:10; Filip. 1:26; 2:12) Che una parousìa possa essere anche invisibile è indicato dall’uso che Paolo fa dell’analoga forma verbale (pàreimi) quando dice di essere “presente nello spirito” benché assente nel corpo. (I Cor. 5:3) E anche lo storico ebreo Giuseppe Flavio, scrivendo in greco, parla della ‘presenza’ di Dio presso il monte Sinai, presenza invisibile resa evidente dai tuoni e i lampi. — Antichità giudaiche, Libro III, cap. V, 2.

      Dato che al risuscitato Figlio di Geova, Gesù Cristo, fu concessa ‘ogni autorità in cielo e sulla terra’, ed egli divenne ‘l’esatta rappresentazione dello stesso essere [di Dio]’, ne consegue che anche lui poteva essere invisibilmente presente in maniera simile. (Matt. 28:18; Ebr. 1:2, 3) A questo proposito si noti che, anche quando era sulla terra, Gesù Cristo fu in grado di effettuare guarigioni a distanza, come se fosse stato personalmente presente. — Matt. 8:5-13; Giov. 4:46-53.

      È pure chiaro che Geova Dio ha sottoposto gli angeli al comando del suo Figlio glorificato. (I Piet. 3:22) I versetti che si riferiscono alla presenza di Gesù lo descrivono sempre ‘accompagnato’ da schiere di angeli o nell’atto di ‘mandarli’. (Matt. 13:37-41, 47-49; 16:27; 24:31; Mar. 8:38; II Tess. 1:7) Questo non significa però che la sua predetta “presenza” con la potenza e gloria del Regno consista unicamente nel servirsi di messaggeri angelici inviati in missioni sulla terra, poiché questo era già avvenuto nel I secolo E.V. in relazione agli apostoli e ad altri. (Atti 5:19; 8:26; 10:3, 7, 22; 12:7-11, 23; 27:23) Le parabole di Gesù e altri brani mostrano che la sua ‘presenza’ è simile a quella di un padrone che torna a casa e a quella di un uomo investito del potere regale che torna per assumere le redini del governo, e che la presenza di Gesù significa un giudizio e un’ispezione personale seguiti dall’effettiva espressione o esecuzione di quel giudizio e dalla ricompensa data a quelli che sono approvati. (Matt. 24:43-51; 25:14-45; Luca 19:11-27; confronta Matteo 19:28, 29). Dato che il potere regale di Cristo abbraccia l’intera terra, la sua presenza è mondiale (confronta Matteo 24:23-27, 30) e le ispirate parole di Paolo in I Corinti 15:24-28, come pure i riferimenti al regno di Cristo in Rivelazione (5:8-10; 7:17; 19:11-16; 20:1-6; 21:1-4, 9, 10, 22-27), indicano che la presenza di Cristo è il tempo in cui rivolge l’attenzione all’intera terra e alla sua popolazione e assume appieno il potere regale per compiere la volontà del Padre suo per la terra e i suoi abitanti. — Confronta Matteo 6:9, 10.

      Alcuni, in base ai versetti che dicono che si sarebbe visto Gesù “venire nelle nubi con grande potenza e gloria” (Mar. 13:26; Riv. 1:7), concludono che la sua presenza debba essere visibile. La menzione di nubi in relazione a altre manifestazioni divine fa pensare a invisibilità piuttosto che a visibilità. Quindi anche il ‘vedere’ può avere significato figurativo, riferirsi alla percezione della mente e del cuore. (Isa. 44:18; Ger. 5:21; Ezec. 12:2, 3; Matt. 13:13-16; Efes. 1:17, 18) Negare questo significherebbe negare che anche il contrario della vista, cioè la cecità, possa essere usato in senso figurativo o spirituale, anziché letterale. Eppure Gesù usò chiaramente sia la vista che la cecità in questo senso figurativo o spirituale. (Giov. 9:39-41; Riv. 3:14-18; confronta anche II Corinti 4:4; II Pietro 1:9). Giobbe, a cui Geova parlò “dal turbine” (probabilmente accompagnato da nuvole), in seguito disse: “Per sentito dire ho udito di te, ma ora il mio proprio occhio in effetti ti vede”. (Giob. 38:1; 42:5) Anche in questo caso si trattava di percezione della mente e del cuore anziché dell’occhio letterale, dato il chiaro insegnamento scritturale che “nessun uomo ha in nessun tempo veduto Dio”. — Giov. 1:18; 5:37; 6:46; I Giov. 4:12.

      La prova che la presenza di Gesù non poteva essere visibile (nel senso di comparire in forma corporea visibile agli occhi umani) si ha nella sua stessa affermazione che con la sua morte avrebbe sacrificato la sua carne a favore della vita del mondo (Giov. 6:51) e nella dichiarazione dell’apostolo Paolo che il risuscitato Gesù “dimora in una luce inaccessibile, che nessuno degli uomini ha visto né può vedere”. (I Tim. 6:14-16) Perciò Gesù poté dire ai discepoli: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più”. È vero, i suoi discepoli l’avrebbero visto, non solo perché sarebbe apparso loro dopo la risurrezione, ma anche perché a suo tempo sarebbero stati risuscitati per essere con lui nei cieli e ‘contemplare la gloria che il Padre suo gli ha dato’. (Giov. 14:19; 17:24) Comunque il mondo in generale non l’avrebbe visto e, dopo la sua risurrezione alla vita come creatura spirituale (I Piet. 3:18), Gesù apparve solo ai discepoli. Anche la sua ascensione al cielo fu vista solo da loro, non dal mondo, e gli angeli presenti assicurarono i discepoli che il ritorno di Gesù sarebbe avvenuto “nella stessa maniera” (gr. tròpos, non morphè, “forma”), quindi senza manifestazione pubblica e visto solo dai fedeli seguaci. — Atti 1:1-11.

      Chiaramente gli uomini si renderanno conto di ciò che avverrà alla “rivelazione” (gr. apokàlypsis) di Gesù Cristo “con i suoi potenti angeli in un fuoco fiammeggiante, allorché recherà vendetta su quelli che non conoscono Dio e su quelli che non ubbidiscono alla buona notizia intorno al nostro Signore Gesù”. (II Tess. 1:7-9) Questo però non esclude una presenza invisibile di cui, prima di quella rivelazione, si accorgono solo i fedeli. Si ricordi che Gesù, nel fare un parallelo fra la sua presenza e i “giorni di Noè”, dichiara che all’epoca di Noè gli uomini “non si avvidero di niente” finché non si abbatté su di loro la distruzione, e “così sarà la presenza del Figlio dell’uomo”. — Matt. 24:37-39.

      Avvenimenti che contrassegnano la sua presenza

      Gesù aveva promesso che sarebbe stato coi suoi seguaci nelle loro comuni adunanze (Matt. 18:20), e li assicurò che sarebbe stato ‘con loro’ anche nell’opera di fare discepoli “tutti i giorni fino al termine del sistema di cose”. (Matt. 28:19, 20) Certo la parousìa di Matteo 24:3 e dei brani analoghi dev’essere qualche cosa di più di questo. Chiaramente si riferisce a una presenza speciale, che avrebbe riguardato tutti gli abitanti della terra e avrebbe influito su di loro, inseparabilmente legata alla piena espressione dell’autorità di Gesù quale unto Re di Dio.

      Fra gli avvenimenti che avrebbero contrassegnato la presenza di Gesù investito del potere del Regno sono: la risurrezione dei suoi seguaci già morti, che sono coeredi con lui del regno celeste (I Cor. 15:23; Rom. 8:17); il radunamento in unione con lui di altri seguaci che sono in vita all’epoca della sua presenza (Matt. 24:31; II Tess. 2:1); l’annientamento dell’apostata “uomo dell’illegalità”, effettuato ‘mediante la manifestazione [epiphaneìai] della presenza [di Gesù]’ (II Tess. 2:3-8; vedi UOMO DELL’ILLEGALITÀ); la distruzione di tutti coloro che non approfittano dell’opportunità di essere liberati (Matt. 24:37-39); e, naturalmente, l’introduzione del suo regno millenario. — Riv. 20:1-6.

      Condizioni che accompagnano la sua presenza

      Il libro di Rivelazione presenta con espressioni simboliche molte informazioni relative alla presenza di Cristo e alla sua manifestazione e rivelazione. La figura simbolica del cavaliere incoronato che cavalca il cavallo bianco descritta in Rivelazione 6:1, 2 corrisponde a quella del cavaliere di Rivelazione 19:11-16, che è il “Re dei re e Signore dei signori”, Cristo Gesù. Rivelazione capitolo 6 mostra che quando Cristo avanza come re vittorioso non elimina immediatamente la malvagità dalla terra ma, piuttosto, la sua cavalcata è accompagnata da guerra che toglie “la pace dalla terra”, e anche da penuria di viveri e da una piaga mortale. (Riv. 6:3-8) Questo, a sua volta, trova un parallelo nella profezia di Cristo riportata in Matteo 24, Marco 13 e Luca 21. È dunque chiaro che la profezia di Gesù riportata nei Vangeli, che senz’altro riguarda la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio (avvenuta nel 70 E.V.), si riferisce anche al tempo della presenza di Cristo, e costituisce quindi un “segno” che permette di determinare quando ha luogo questa presenza e quando la “liberazione s’avvicina”. — Matt. 24:3, 32, 33; Luca 21:28-31.

      Altri riferimenti alla presenza di Cristo incoraggiano in genere a essere fedeli e a perseverare fino a quel tempo e per tutta la sua durata. — I Tess. 2:19; 3:12, 13; 5:23; Giac. 5:7, 8; I Giov. 2:28.

      LA PRESENZA DEL GIORNO DI GEOVA

      Nella sua seconda lettera Pietro esorta i fratelli a ‘aspettare e tenere bene in mente la presenza del giorno di Geova’, dimostrando di far questo col loro modo di vivere. (II Piet. 3:11, 12) Ciò è in contrasto con l’atteggiamento degli schernitori che, come predetto, negli “ultimi giorni” avrebbero schernito, dicendo: “Dov’è questa sua promessa presenza? Infatti, dal giorno che i nostri antenati si addormentarono nella morte, tutte le cose continuano esattamente come dal principio della creazione”. — II Piet. 3:2-4.

      Dal momento che Geova Dio interviene per mezzo del Figlio suo e Re nominato, Cristo Gesù (Giov. 3:35; confronta I Corinti 15:23, 24), c’è senz’altro una relazione tra questa promessa “presenza” di Geova e la “presenza” di Cristo Gesù. Logicamente quelli che scherniscono alla proclamazione dell’una scherniscono anche alla proclamazione dell’altra. Ancora una volta l’atteggiamento della popolazione antidiluviana è usato come esempio corrispondente. — II Piet. 3:5-7; confronta Matteo 24:37-39.

      LA PRESENZA DELL’ILLEGALE

      In II Tessalonicesi 2:9-12 l’apostolo dice che la “presenza dell’illegale” sarebbe avvenuta “secondo l’operazione di Satana con ogni opera potente, e segni e portenti di menzogna, e con ogni ingiusto inganno”. Anche questo chiarisce il fatto che parousìa significa più che un arrivo o una venuta momentanea, poiché la realizzazione di tutte queste opere, segni e portenti e di questo inganno richiede senz’altro un periodo di tempo abbastanza lungo.

  • Presunzione
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    • Presunzione

      Atteggiamento di chi pretende più di quanto sia giusto o corretto, o senza averne diritto; ardire impertinente nel comportamento o nel pensiero; il prendersi indebite libertà; temerario atteggiamento di sfida. Termini affini sono superbia, arroganza, orgoglio e impudenza. Contrari sono mansuetudine e modestia.

      L’ORGOGLIO E L’IRA RENDONO PRESUNTUOSI

      Il termine ebraico zadhòhn deriva dal verbo zidh o zudh, “ribollire, agitarsi”, quindi “ribollire d’orgoglio, agire in modo orgoglioso”. L’ardore dell’ira o dell’orgoglio può far agire in modo avventato, diventare eccessivamente arditi e oltrepassare i limiti dei propri diritti. Il proverbio dice: “Presuntuoso, millantatore arrogante è il nome di chi agisce in una furia di presunzione”. (Prov. 21:24) In Deuteronomio 1:43 la forma verbale ricorre per descrivere l’azione del popolo di Israele nel disubbidire al comando di Dio e procedere senza autorizzazione. Mosè disse al popolo: “Dunque vi parlai, e voi non ascoltaste

  • Prescienza
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    • Prescienza

      Vedi PRECONOSCERE, PREORDINARE.

  • Prestito
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    • Prestito

      Vedi DEBITO, DEBITORE.

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