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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • discepoli: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più”. È vero, i suoi discepoli l’avrebbero visto, non solo perché sarebbe apparso loro dopo la risurrezione, ma anche perché a suo tempo sarebbero stati risuscitati per essere con lui nei cieli e ‘contemplare la gloria che il Padre suo gli ha dato’. (Giov. 14:19; 17:24) Comunque il mondo in generale non l’avrebbe visto e, dopo la sua risurrezione alla vita come creatura spirituale (I Piet. 3:18), Gesù apparve solo ai discepoli. Anche la sua ascensione al cielo fu vista solo da loro, non dal mondo, e gli angeli presenti assicurarono i discepoli che il ritorno di Gesù sarebbe avvenuto “nella stessa maniera” (gr. tròpos, non morphè, “forma”), quindi senza manifestazione pubblica e visto solo dai fedeli seguaci. — Atti 1:1-11.

      Chiaramente gli uomini si renderanno conto di ciò che avverrà alla “rivelazione” (gr. apokàlypsis) di Gesù Cristo “con i suoi potenti angeli in un fuoco fiammeggiante, allorché recherà vendetta su quelli che non conoscono Dio e su quelli che non ubbidiscono alla buona notizia intorno al nostro Signore Gesù”. (II Tess. 1:7-9) Questo però non esclude una presenza invisibile di cui, prima di quella rivelazione, si accorgono solo i fedeli. Si ricordi che Gesù, nel fare un parallelo fra la sua presenza e i “giorni di Noè”, dichiara che all’epoca di Noè gli uomini “non si avvidero di niente” finché non si abbatté su di loro la distruzione, e “così sarà la presenza del Figlio dell’uomo”. — Matt. 24:37-39.

      Avvenimenti che contrassegnano la sua presenza

      Gesù aveva promesso che sarebbe stato coi suoi seguaci nelle loro comuni adunanze (Matt. 18:20), e li assicurò che sarebbe stato ‘con loro’ anche nell’opera di fare discepoli “tutti i giorni fino al termine del sistema di cose”. (Matt. 28:19, 20) Certo la parousìa di Matteo 24:3 e dei brani analoghi dev’essere qualche cosa di più di questo. Chiaramente si riferisce a una presenza speciale, che avrebbe riguardato tutti gli abitanti della terra e avrebbe influito su di loro, inseparabilmente legata alla piena espressione dell’autorità di Gesù quale unto Re di Dio.

      Fra gli avvenimenti che avrebbero contrassegnato la presenza di Gesù investito del potere del Regno sono: la risurrezione dei suoi seguaci già morti, che sono coeredi con lui del regno celeste (I Cor. 15:23; Rom. 8:17); il radunamento in unione con lui di altri seguaci che sono in vita all’epoca della sua presenza (Matt. 24:31; II Tess. 2:1); l’annientamento dell’apostata “uomo dell’illegalità”, effettuato ‘mediante la manifestazione [epiphaneìai] della presenza [di Gesù]’ (II Tess. 2:3-8; vedi UOMO DELL’ILLEGALITÀ); la distruzione di tutti coloro che non approfittano dell’opportunità di essere liberati (Matt. 24:37-39); e, naturalmente, l’introduzione del suo regno millenario. — Riv. 20:1-6.

      Condizioni che accompagnano la sua presenza

      Il libro di Rivelazione presenta con espressioni simboliche molte informazioni relative alla presenza di Cristo e alla sua manifestazione e rivelazione. La figura simbolica del cavaliere incoronato che cavalca il cavallo bianco descritta in Rivelazione 6:1, 2 corrisponde a quella del cavaliere di Rivelazione 19:11-16, che è il “Re dei re e Signore dei signori”, Cristo Gesù. Rivelazione capitolo 6 mostra che quando Cristo avanza come re vittorioso non elimina immediatamente la malvagità dalla terra ma, piuttosto, la sua cavalcata è accompagnata da guerra che toglie “la pace dalla terra”, e anche da penuria di viveri e da una piaga mortale. (Riv. 6:3-8) Questo, a sua volta, trova un parallelo nella profezia di Cristo riportata in Matteo 24, Marco 13 e Luca 21. È dunque chiaro che la profezia di Gesù riportata nei Vangeli, che senz’altro riguarda la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio (avvenuta nel 70 E.V.), si riferisce anche al tempo della presenza di Cristo, e costituisce quindi un “segno” che permette di determinare quando ha luogo questa presenza e quando la “liberazione s’avvicina”. — Matt. 24:3, 32, 33; Luca 21:28-31.

      Altri riferimenti alla presenza di Cristo incoraggiano in genere a essere fedeli e a perseverare fino a quel tempo e per tutta la sua durata. — I Tess. 2:19; 3:12, 13; 5:23; Giac. 5:7, 8; I Giov. 2:28.

      LA PRESENZA DEL GIORNO DI GEOVA

      Nella sua seconda lettera Pietro esorta i fratelli a ‘aspettare e tenere bene in mente la presenza del giorno di Geova’, dimostrando di far questo col loro modo di vivere. (II Piet. 3:11, 12) Ciò è in contrasto con l’atteggiamento degli schernitori che, come predetto, negli “ultimi giorni” avrebbero schernito, dicendo: “Dov’è questa sua promessa presenza? Infatti, dal giorno che i nostri antenati si addormentarono nella morte, tutte le cose continuano esattamente come dal principio della creazione”. — II Piet. 3:2-4.

      Dal momento che Geova Dio interviene per mezzo del Figlio suo e Re nominato, Cristo Gesù (Giov. 3:35; confronta I Corinti 15:23, 24), c’è senz’altro una relazione tra questa promessa “presenza” di Geova e la “presenza” di Cristo Gesù. Logicamente quelli che scherniscono alla proclamazione dell’una scherniscono anche alla proclamazione dell’altra. Ancora una volta l’atteggiamento della popolazione antidiluviana è usato come esempio corrispondente. — II Piet. 3:5-7; confronta Matteo 24:37-39.

      LA PRESENZA DELL’ILLEGALE

      In II Tessalonicesi 2:9-12 l’apostolo dice che la “presenza dell’illegale” sarebbe avvenuta “secondo l’operazione di Satana con ogni opera potente, e segni e portenti di menzogna, e con ogni ingiusto inganno”. Anche questo chiarisce il fatto che parousìa significa più che un arrivo o una venuta momentanea, poiché la realizzazione di tutte queste opere, segni e portenti e di questo inganno richiede senz’altro un periodo di tempo abbastanza lungo.

  • Presunzione
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    • Presunzione

      Atteggiamento di chi pretende più di quanto sia giusto o corretto, o senza averne diritto; ardire impertinente nel comportamento o nel pensiero; il prendersi indebite libertà; temerario atteggiamento di sfida. Termini affini sono superbia, arroganza, orgoglio e impudenza. Contrari sono mansuetudine e modestia.

      L’ORGOGLIO E L’IRA RENDONO PRESUNTUOSI

      Il termine ebraico zadhòhn deriva dal verbo zidh o zudh, “ribollire, agitarsi”, quindi “ribollire d’orgoglio, agire in modo orgoglioso”. L’ardore dell’ira o dell’orgoglio può far agire in modo avventato, diventare eccessivamente arditi e oltrepassare i limiti dei propri diritti. Il proverbio dice: “Presuntuoso, millantatore arrogante è il nome di chi agisce in una furia di presunzione”. (Prov. 21:24) In Deuteronomio 1:43 la forma verbale ricorre per descrivere l’azione del popolo di Israele nel disubbidire al comando di Dio e procedere senza autorizzazione. Mosè disse al popolo: “Dunque vi parlai, e voi non ascoltaste ma vi comportavate in maniera ribelle contro l’ordine di Geova e v’infiammavate, e cercaste di salire sul monte”. Un altro verbo ebraico, ‘aphàl, significa “gonfiarsi”. Questo termine ricorre nella descrizione dello stesso episodio in Numeri 14:40-44: “Mosè disse: ‘. . . Non salite, perché Geova non è in mezzo a voi’ . . . Comunque, essi ebbero la presunzione di salire in cima al monte”, dove subirono una sconfitta per mano degli abitanti. Erano ‘gonfi’ di falsa sicurezza.

      Il fatto che l’ira possa provocare deleteria presunzione e gravi violazioni della legge di Dio è dimostrato anche dal comando dato da Dio a Israele: “Nel caso che un uomo s’accenda [forma di zidh] contro il suo prossimo fino al punto d’ucciderlo con astuzia, lo devi prendere perfino da presso al mio altare perché muoia”. — Eso. 21:14.

      SI DEVE EVITARE ASSOLUTAMENTE

      Il re Davide, al quale Dio concesse molti favori e grande autorità, si rese conto che, nonostante tutto, poteva esser colpevole di presunzione, e pregò: “Gli errori, chi li può discernere? Dai peccati nascosti dichiarami innocente. Anche dagli atti presuntuosi trattieni il tuo servitore; non mi dominino. In tal caso sarò completo, e sarò rimasto innocente da molta trasgressione”. (Sal. 19:12, 13) Il pericolo è dunque grande, ed è qualcosa da cui guardarsi bene. Un atto presuntuoso costituisce un peccato molto più grave di un semplice errore. Sia che uno abbia una posizione elevata o no, il prendersi delle libertà è cosa detestabile agli occhi di Dio. Uzzia, pur essendo un re potente che aveva provato le benedizioni di Dio, fu colpito dalla lebbra per essersi arrogato presuntuosamente compiti sacerdotali. (II Cron. 26:16-21) La presunzione spinse il re Saul a ribellarsi contro Geova. Non volendo aspettare l’arrivo di Samuele, Saul si sentì autorizzato a offrire sacrifici. (I Sam. 13:8-14) Inoltre si affidò al proprio giudizio risparmiando l’amalechita re Agag e il meglio delle spoglie, mentre il comando di Geova era di votare gli amalechiti alla distruzione. Per il suo comportamento presuntuoso Saul fu rigettato come re. — I Sam. 15:8, 9, 11, 18, 19.

      Un notevole esempio di presunzione da parte di un israelita non di stirpe reale è quello di Uzza. L’arca del patto veniva trasportata a Gerusalemme su un carro tirato da bovini. Quando i bovini quasi la fecero rovesciare, Uzza, che non era un levita discendente di Cheat e quindi non aveva diritto di toccare l’Arca (Num. 4:15), tese la mano e l’afferrò per tenerla ferma. Per questa presunzione che denotava mancanza di fede Geova lo colpì ed egli morì. — II Sam. 6:6, 7.

      Chi non è sicuro sul da farsi, o non è certo di essere autorizzato a fare una determinata cosa, dovrebbe assolutamente consultarsi prima con altri che hanno conoscenza e discernimento. Le Scritture consigliano: “Mediante la presunzione si causa solo zuffa, ma presso quelli che si consultano c’è sapienza”. (Prov. 13:10) La presunzione produce risultati disastrosi; la modestia può salvare. Il saggio dice: “È venuta la presunzione? Quindi verrà il disonore; ma la sapienza è coi modesti”. — Prov. 11:2.

      MANCANZA DI RISPETTO E DISPREGIO PER LA SOVRANITÀ DI DIO

      Chi agisce con presunzione nei confronti di Dio mostra mancanza di rispetto per la Divinità e sovranità di Geova. Ancor più riprovevole è la condotta di chi si dichiara suo servitore e mal lo rappresenta. Dei falsi profeti Geova disse: “Il profeta che presume di pronunciare in mio nome una parola che io non gli ho comandato di pronunciare . . . quel profeta deve morire. . . . Quando il profeta parla nel nome di Geova e la parola non accade o non s’avvera, . . . il profeta la disse con presunzione”. — Deut. 18:20-22.

      Si mostra mancanza di rispetto a Geova mancando di rispetto ai suoi servitori nominati, forse per presunzione. In Israele i casi difficili venivano presentati nel ‘luogo che Geova aveva scelto’ (che, dai giorni di Davide in poi, era Gerusalemme). Chiunque disprezzasse il giudizio reso doveva essere messo a morte, poiché resistendo ai rappresentanti di Dio aveva in dispregio Dio stesso. La legge diceva: “Dovresti fare secondo la legge che t’avranno indicata e secondo la decisione giudiziaria che ti avranno dichiarata. . . . E l’uomo che agirà con presunzione non ascoltando il sacerdote che sta lì a servire Geova tuo Dio o il giudice, quell’uomo deve morire; e tu devi togliere ciò che è male da Israele. E tutto il popolo udrà e avrà timore, e non agiranno più presuntuosamente”. (Deut. 17:8-13; confronta Numeri 15:30). L’apostolo Pietro parla di alcuni che mostrano grande mancanza di rispetto per Dio e i suoi unti servitori, descrivendoli come uomini “audaci [dal gr. tolmetès, “presuntuosi”, AV], caparbi, [i quali] non tremano davanti ai gloriosi ma parlano ingiuriosamente”. Costoro, dice Pietro, subiranno “la distruzione nel proprio corso di distruzione”. — II Piet. 2:10, 12, NW.

      Vantarsi della propria parentela carnale può essere un laccio. Giovanni il Battezzatore si rese conto di ciò che pensavano gli ebrei che andavano da lui, e li ammonì: “Non presumete di dire a voi stessi: ‘Per padre abbiamo Abraamo’. Poiché io vi dico che Dio può suscitare figli ad Abraamo da queste pietre”. (Matt. 3:9) Il termine greco in questo caso è dòxete, voce del verbo dokèo, che fondamentalmente significa “pensare; farsi un’opinione (giusta o sbagliata)”.

      FINE DELLA PRESUNZIONE

      L’antica Babilonia fu un prototipo di presunzione nei confronti di Dio, per cui l’eterna inimicizia di Dio verso di lei. Il profeta Geremia le disse: “‘Ecco, io sono contro di te, o Presunzione’, è l’espressione del Sovrano Signore. . . . La Presunzione per certo inciamperà e cadrà”. (Ger. 50:29, 31, 32) La simbolica Babilonia la Grande ha mostrato di essere la più irriducibile e presuntuosa nemica di Dio sulla terra, e ha fatto ubriacare gli abitanti della terra “col vino della sua fornicazione”, ed è colpevole del “sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che sono stati scannati sulla terra”. Perciò subirà distruzione eterna. (Riv. 17:2, 5; 18:7, 8, 20, 24) Questo è in armonia con la promessa di Geova di porre fine a ogni presunzione di carattere babilonico: “Effettivamente farò cessare l’orgoglio dei presuntuosi, e abbasserò la superbia dei tiranni”. — Isa. 13:11.

  • Prezzo della sposa
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    • Prezzo della sposa

      Vedi MATRIMONIO.

  • Prigione
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    • Prigione

      Luogo di reclusione per chi è in attesa di processo o risulta colpevole di aver violato la legge. Presso vari popoli dell’antichità, fra cui egiziani, filistei, assiri, babilonesi e persiani, la detenzione era una forma di punizione prevista dalla legge. (Gen. 39:20; Giud. 16:25; II Re 17:4; Esd. 7:26; Ger. 52:31-33) I prigionieri a volte venivano messi ai ceppi o costretti a svolgere lavori pesanti, come quello di macinare. (Giud. 16:21; II Re 17:4; Sal. 105:17, 18; Ger. 52:11) In Egitto, un prigioniero fidato (come Giuseppe) poteva essere incaricato

  • Prestito
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    • Prestito

      Vedi DEBITO, DEBITORE.

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