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  • Che cosa accade alle prigioni?
    Svegliatevi! 1972 | 22 giugno
    • Che cosa accade alle prigioni?

      IN TUTTA la storia un diritto riconosciuto dalle società è stato quello di punire i delitti. Oggi, il modo in cui quasi tutti i paesi trattano quelli che commettono gravi delitti è quello di chiuderli nelle prigioni. Alcuni vi rimangono per il resto della loro vita.

      Quanti sono quelli che ogni anno vedono in questo modo l’interno di una prigione? Solo negli Stati Uniti circa 2.500.000 persone. In un qualsiasi determinato giorno, circa 1.250.000 persone sono in attesa di giudizio o stanno scontando condanne in prigioni, riformatori, campi di lavoro e cliniche, o sono sulla parola o in libertà vigilata. Circa 120.000 persone si occupano di loro. A quale costo per il contribuente? Circa 585 miliardi di lire all’anno.

      In anni recenti, le prigioni di molti paesi sono state portate all’attenzione del pubblico a causa di tumulti e spargimenti di sangue in grandi proporzioni. Questo è avvenuto particolarmente negli Stati Uniti, dove le prigioni si trovano in crisi. Nel settembre del 1971 quella crisi esplose nel più sanguinoso scontro avvenuto in questo secolo in una prigione.

      Il luogo fu l’Attica State Correctional Facility di New York, dove 1.200 detenuti ribelli tennero prigionieri 38 agenti di custodia e dipendenti. Dopo quattro giorni, oltre 1.000 uomini delle truppe dello stato e della guardia nazionale presero d’assalto la prigione. La sparatoria che ne seguì fece in tutto queste vittime: 32 detenuti e 10 agenti di custodia e dipendenti tenuti in ostaggio furono uccisi e oltre 200 detenuti rimasero feriti. Nove ostaggi furono uccisi involontariamente dalle pallottole dei tutori della legge che avevano invaso il carcere.

      Giacché in molti luoghi le prigioni sono in difficoltà, è opportuno fare le seguenti domande: Come ebbero origine le moderne prigioni? Conseguono gli scopi per cui furono istituite? La vita della prigione è d’aiuto per riformare i criminali? Che dire delle vittime dei delitti: chi le risarcisce? C’è un modo migliore per punire i delitti contro la società? Verrà mai il tempo in cui le prigioni non saranno più necessarie?

      Come ebbero origine?

      Vi sorprenderete apprendendo che le prigioni, così come esistono oggi, sono di origine relativamente recente. Nei tempi antichi c’erano pochissime prigioni. Prima del 1700 l’imprigionamento non era di solito impiegato come punizione per un delitto. Solo chi commetteva uno speciale reato veniva punito con la prigione, essendovi forse messo in catene, o essendo costretto ai lavori forzati nell’isolamento, o essendo maltrattato in altri modi mentre era detenuto.

      Nei tempi antichi, le prigioni generalmente erano semplici luoghi di detenzione per tenervi gli imputati di reato non ancora processati. Dopo il processo, se trovati colpevoli venivano condannati a una punizione. Ma, salvo poche eccezioni, quella punizione non era una condanna alla prigione. O venivano giustiziati, di solito mediante decapitazione o impiccagione, o ricevevano una punizione corporale, cioè una punizione fisica, che poteva includere fustigazione, marchio a fuoco o mutilazione, e poi venivano messi in libertà.

      Alcuni criminali venivano puniti essendo messi nei ceppi, che consistevano di un telaio di legno con buchi per le caviglie e talvolta per i polsi. In questo modo, seduto, il colpevole era esposto al pubblico ludibrio per un certo periodo di tempo, e poi veniva messo in libertà. La gogna era simile, e consisteva di un telaio di legno posto in cima a un palo, con buchi per la testa e le mani del delinquente, che stava in piedi. Anch’esso veniva usato per esporlo al pubblico ludibrio per un breve periodo, dopo di che veniva liberato. A volte i criminali erano condannati a divenire schiavi, spesso sulle galere. Queste erano navi spinte da file di remi. Il delinquente, di solito incatenato, doveva scontare un certo tempo ai remi.

      Negli Stati Uniti e in Inghilterra ai primi del 1700 la punizione capitale (la pena di morte) veniva impiegata per oltre duecento separati delitti. Per i reati minori i delinquenti ricevevano la punizione corporale, come fustigazione, mutilazione o essendo messi nei ceppi. Ma poi erano liberati. Pochissimi scontavano ciò che oggi si conosce come condanna alla prigione.

      Nell’antico Israele, la legge data da Dio per mezzo di Mosè non prevedeva affatto le prigioni. L’unica volta in cui le persone venivano tenute temporaneamente in custodia era quando una causa era particolarmente difficile e doveva attendere d’essere chiarita. (Lev. 24:12; Num. 15:34) Ma nessuno scontò mai una condanna alla prigione nella primitiva storia dell’antico Israele.

      Questi antichi metodi di trattare i criminali significavano che pochissimo denaro pubblico veniva speso per i trasgressori. C’erano poche prigioni o secondini da mantenere.

      Il concetto della punizione cambia

      Nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo, i movimenti di riforma cominciarono a cambiare il metodo di trattare i trasgressori della legge. Queste riforme eliminarono gradualmente la pena di morte per molti delitti. In anni recenti, in molti paesi la pena di morte è stata completamente abolita. Pure la punizione fisica fu gradualmente eliminata. Vennero invece adottate le condanne alla prigione in sostituzione della pena di morte e della punizione corporale.

      Questo significò che le prigioni avrebbero dovuto ora contenere molte persone, alcune per lunghi periodi di tempo. Pertanto, si dovette costruire un gran numero di prigioni per accogliervi questi delinquenti. Alcune prigioni costruite negli Stati Uniti vennero chiamate “penitenziari”, perché si pensava che in essi il criminale si pentisse. Si sperava che avrebbe trovato il tempo di meditare sul suo delitto e di rammaricarsene, così che non volesse commettere un altro delitto dopo essere stato rimesso in libertà.

      Tuttavia, queste prime prigioni furono spesso camere degli orrori. Dapprima, sia i condannati che quelli in attesa di giudizio (inclusi gli innocenti), uomini e donne, vecchi e giovani, sani e malati, imputati di primo reato e incalliti criminali, venivano messi insieme. Le prigioni erano di solito infestate da parassiti, sudicie e sovraffollate. Divennero presto centri di degradazione fisica e morale. Di una tipica prigione dell’Inghilterra, The Gentleman’s Magazine del 1759 disse:

      “È divenuta un vivaio di malvagità in tutti i suoi rami. Il pigro novizio, non appena è messo nella casa di correzione, si associa a banditi, scassinatori, borsaioli e prostitute vagabonde, testimone della più orrenda empietà e della più depravata impudicizia e generalmente perde qualsiasi buona qualità avesse quando è entrato, insieme alla salute”.

      Nel 1834, un funzionario si recò nell’isola di Norfolk, colonia penale situata circa 1.500 chilometri a nord-est di Sydney, in Australia. Fu mandato lì a confortare alcuni uomini che stavano per essere giustiziati. Della sua esperienza scrisse:

      “Un fatto rimarchevole è che quando facevo i nomi degli uomini che stavano per morire, l’uno dopo l’altro, mentre venivano pronunciati i loro nomi, caddero in ginocchio e ringraziarono Dio perché stavano per essere liberati da quell’orribile posto [essendo giustiziati] mentre gli altri, quelli la cui pena doveva essere commutata [non essendo giustiziati], rimasero muti e in lacrime. Fu la più orribile scena cui avessi mai assistito”.

      Solo in questo ventesimo secolo, le condizioni nelle prigioni erano spesso abominevoli perfino negli Stati Uniti. Dopo l’ispezione in una prigione al principio degli anni venti, un funzionario fu così inorridito per il trattamento dei detenuti che dichiarò: “Eravamo di fronte ad atrocità”.

      Invece d’essere luoghi di detenzione in attesa del processo, per la maggior parte degli scorsi pochi secoli le prigioni divennero sempre più luoghi di punizione. L’isolamento, le condizioni, gli atteggiamenti verso i detenuti, erano tutte cose che rappresentavano una terribile prova. Ma la maggioranza parve accettarlo come il modo migliore per scoraggiare altri dal commettere delitti, e anche per scoraggiare chi aveva scontato una condanna dal commettere ulteriori reati. Si pensava che non avrebbe sicuramente voluto subire di nuovo tale prova. Ma furono fatti pochi tentativi se non nessuno per correggere i trasgressori e farne una parte più utile della società.

      Giunti a questa fase del trattamento dei trasgressori della legge, le prigioni vennero considerate un male deplorevole ma necessario. Quando alcuni compiangevano i detenuti per le avversità che subivano, in risposta si udiva il frequente commento: “Dovevano cercare di starne fuori”.

      Tuttavia, in base a questo concetto, furono le prigioni un migliore mezzo di prevenzione contro il delitto? Furono esse superiori ai precedenti metodi della pena capitale e corporale?

  • Le prigioni conseguono i loro scopi?
    Svegliatevi! 1972 | 22 giugno
    • Le prigioni conseguono i loro scopi?

      NO, IL concetto della prigione come punizione per impedire di commettere reati non diede in realtà dei risultati. Infatti, i delitti aumentarono.

      Né quelli che avevano scontato condanne alla prigione ne trassero vantaggio. Di solito, la prigione aveva un effetto negativo. Questo era il colmo dell’ironia, poiché la società aveva messo in prigione il trasgressore per il fatto che era cattivo per quella società, ma a causa del misero ambiente entro la prigione di solito il delinquente diventava peggiore. Quindi veniva rimesso in libertà nella società, per finire spesso nuovamente in prigione con una condanna più lunga!

      In tempi più recenti, l’idea fondamentale della prigione subì un altro considerevole cambiamento! La nuova idea promossa da sinceri riformatori fu che una delle principali mete della vita nella prigione fosse la riabilitazione, la correzione dei detenuti. L’isolamento in se stesso venne considerato una punizione sufficiente. Non si doveva infliggere nessun maltrattamento fisico al detenuto com’era avvenuto spesso in precedenza.

      James Bennett, ex direttore delle prigioni federali negli Stati Uniti per ventisette anni, disse riguardo all’abolizione della punizione fisica secondo questo nuovo concetto: “Al personale di custodia del sistema federale è severamente proibito l’impiego di qualsiasi cosa che somigli a un’azione diretta o di qualsiasi cosa che tuttavia si possa interpretare come punizione corporale. Essi non l’infliggono, in parte perché è indesiderabile e anche perché è meno efficace che togliere i privilegi, cambiare lavoro o annullare visite ambite”.

      I detenuti che non cooperano potevano anche perdere i ‘crediti di buona condotta’, che li avrebbero resi idonei a esser messi prima in libertà sulla parola, col risultato che sarebbero rimasti più a lungo in prigione. Si pensava che il timore di questa perdita inducesse a tenere un buon comportamento.

      Ma a parte l’abbandono della brutalità, e le migliorate condizioni di vita, su che cosa si basava la riabilitazione? Si supponeva che insegnasse al detenuto a volgersi dalla sua ribelle condotta con la debita istruzione. Questo avrebbe incluso l’addestramento in nuovi lavori così che quando fosse stato rimesso in libertà fosse in grado di inserirsi più utilmente nella società.

      È questo effettivamente avvenuto? Le moderne prigioni conseguono le loro mète?

      Condizioni nelle prigioni

      Non può esserci dubbio che le condizioni nelle prigioni sono molto migliorate rispetto agli orrori di un secolo o due fa. Tuttavia, le condizioni sono forse tali da avere un buon effetto sulle persone, migliorando la loro prospettiva mentale?

      Il senatore Edward Brooke del Massachusetts dichiarò che ‘le condizioni delle prigioni sono quasi universalmente deplorevoli e hanno un effetto disumanante’. William Anderson, rappresentante del Tennessee al Congresso, dichiarò: “Il sistema correttivo degli U.S.A. è un’assoluta vergogna nazionale”.

      Le autorità federali che visitarono un penitenziario nello stato della Virginia Occidentale lo definirono “un completo disastro” e “un incubo di prigionia”. La violenza era largamente incontrollata. Droghe e alcool erano diffusi. Un procuratore generale disse della prigione: “È assolutamente senza senso mandare un uomo in quella prigione, perché ne verrà fuori peggiore”.

      Il Chronicle di San Francisco riferì il caso di un testimone di Geova che era in prigione a motivo della sua obiezione di coscienza verso la guerra. Un giorno questo uomo amante della pace osservò un tumulto in un’altra cella. Più tardi, vennero gli agenti di custodia e picchiarono i detenuti, incluso il Testimone! Il giornale disse: “Lo strinsero e lo colpirono alla gola e poi lo portarono in fondo al corridoio, dove ‘le brutali e disumane percosse inflitte agli altri detenuti erano tali che non poté sopportarne la vista’ e girò la testa”. Accusò un agente di custodia di averlo anche colpito a un occhio e alla tempia con una mazza. Fu quindi messo in segregazione cellulare e privato di assistenza medica. Tuttavia non era stato nemmeno implicato nel tumulto iniziale.

      Inoltre, poiché non ci sono persone del sesso opposto, l’omosessualità è diffusa nelle prigioni maschili, come il lesbismo nelle prigioni femminili. Gli atti di violenza omosessuale in massa sono comuni. Nel libro I Chose Prison, un ex funzionario di una prigione federale dice a questo riguardo: “Nessuno ha trovato la soluzione del problema”.

      In Canada, lo Star di Windsor riferisce che dopo avere esaminato il problema ventitré giudici rimasero “sbigottiti” per ciò che avevano scoperto. Il giornale diceva: “Ex detenuti hanno comunicato alle commissioni ufficiali che è quasi impossibile per un giovane sottrarsi all’assalto sessuale per qualsiasi periodo di tempo nella maggioranza delle carceri del paese’. ‘Accade di continuo’, dice John Tennant, che ha trascorso 13 anni dietro le sbarre. ‘Ho visto giovani aggrediti da tre o quattro detenuti una notte dopo l’altra’”.

      Per le donne, la vita nella prigione può essere anche demoralizzante. I movimenti limitati, le futili cose della vita nella prigione, il programma rigidamente regolato, gli infrequenti contatti con le persone care e la minaccia d’immoralità sessuale sono tutte cose assai deprimenti.

      Krishna Nehru Hutheesing, sorella dell’ex primo ministro dell’India, disse della sua permanenza in una prigione indiana alcuni anni fa per accuse politiche: “Riscontrai che la mancanza di contatti umani, il modo insolente in cui ci parlavano e l’atmosfera oppressiva del posto, erano a volte intollerabili”. Ella parlò di una vita “piena di minacce, violenza, meschinità e corruzione e c’erano sempre imprecazioni da un parte e servilità dall’altra. La persona con un minimo di sensibilità era in uno stato di continua tensione con i nervi a fior di pelle”.

      Riguardo ai ragazzi mandati in centri detentivi da tribunali minorili, il Times di New York del 27 luglio 1971 riferì: “Nel centro detentivo è messo in prigione con ragazzi che hanno commesso omicidi, rapine, aggressioni e altri reati. L’omosessualità è diffusa. Nel tentativo di risolvere un problema, la corte lo ha messo in una situazione che può solo provocare ulteriori problemi”.

      Che dire della riforma?

      È chiaro che nessuna di queste condizioni aiuta una persona a correggersi. Ma che dire dei programmi di riabilitazione, come quelli di imparare a fare nuovi lavori? Possono combattere le altre influenze negative?

      Anche tra i funzionari delle prigioni il parere unanime è No. Essi ammettono francamente che imparano pochi lavori utili, che l’attività è priva di interesse e monotona e che in realtà non c’è nessun valido programma per migliorare la condizione mentale del detenuto, che è il segreto della riforma.

      Il Post di New York del 18 settembre 1971 riferì che il giudice Burger, presidente della Corte Suprema degli U.S.A., avrebbe detto: “Oggi poche prigioni hanno sia pure un programma di minima istruzione o addestramento professionale per condizionare il detenuto al suo ritorno nella società quale utile essere umano in grado di mantenersi da sé”.

      Il Guardian Weekly dell’Inghilterra pubblicava la lettera di un detenuto recentemente liberato dopo avervi scontato una condanna alla prigione. Egli diceva: “Era malsana e sovraffollata e gli impianti igienici erano così scarsi che ‘immonda’ nel senso peggiore possibile è la sola parola che possa descriverla. . . . La condanna alla prigione può essere un’umiliazione, una degradazione e un affronto al proprio orgoglio e al proprio carattere . . . Essa non è in nessun modo, tipo o forma un periodo correttivo per il criminale o una prevenzione contro ulteriori reati”.

      Tale valutazione è sostenuta da evidenze da ogni parte. Le moderne prigioni non scoraggiano i delitti, poiché essi stanno ‘esplodendo’ in quasi ogni paese della terra. E le prigioni non servono a ciò che si erano attesi i riformatori, non riabilitano i criminali per una vita più utile dopo il loro ritorno nella società. Come disse U.S. News & World Report del 27 settembre 1971: “L’insuccesso delle prigioni nel correggere i criminali è indicato dalle statistiche comprovanti che circa l’80 per cento di tutti i delitti [reati gravi] è commesso da ‘recidivi’”.

      [Testo in evidenza a pagina 9]

      Un ex detenuto in Inghilterra dice: ‘Una condanna alla prigione non è in nessun modo, tipo o forma un periodo correttivo né una prevenzione contro ulteriori reati’.

      Una rivista di attualità dice: “Circa l’80 per cento di tutti i delitti sono commessi da ‘recidivi’”.

      [Immagine a pagina 8]

      I ragazzi mandati nei centri detentivi sono messi spesso in una situazione che può solo provocare ulteriori problemi

  • Quali soluzioni offrono?
    Svegliatevi! 1972 | 22 giugno
    • Quali soluzioni offrono?

      GIACCHÉ le prigioni in genere non emendano i delinquenti e non scoraggiano certo l’estendersi della delinquenza, che si deve fare ora? Che si dovrebbe fare di quelli che commettono delitti?

      Le risposte date da funzionari, dalla polizia e dall’uomo comune sono contrastanti. Non c’è coerenza. Gli esperti stessi si contraddicono fra loro.

      Più severità o più clemenza?

      Una corrente di pensiero è di smettere di “coccolare” i detenuti. Quelli che si attengono a questa veduta dicono che la punizione dovrebbe essere molto peggiore, che le condanne alla prigione dovrebbero essere più severe.

      Il Times di Londra osserva che il Police Review inglese dice che è venuto il tempo di appendere, fustigare, affamare o fare varie cose a certi criminali perché soffrano”. Esso dice che le persone “sono stufe” dell’indulgenza mostrata ai criminali.

      Perfino alcuni detenuti convengono sull’impiego della punizione fisica, purché significhi abbreviare le condanne. Uno che era stato ad Alcatraz disse al funzionario di una prigione: “Le ragioni per cui gli uomini sono mandati in prigione sono tre. Per punizione, per riabilitazione e per proteggere il pubblico. Talvolta, penso che le ultime due siano perse di vista quando vengono inflitte le condanne. Se un uomo passa tre o cinque o dieci anni lontano dalla famiglia e dagli amici, con un trattamento equo, ma repressivo, chiuso dentro una cella, privato di ogni piacere della vita normale e costretto a seguire un monotono programma, non è troppo?

      Che cosa raccomanda egli? Questo detenuto disse: “Credo che la maggioranza dei detenuti direbbe di no alla riforma carceraria; direbbe: ‘Avanti, rendete dure le prigioni, rendetele realmente severe, perfino brutali, ma la condanna sia breve e facciamola finita’. Nessuno penserebbe di frustare un uomo, giorno dopo giorno, mese dopo mese, per lo stesso reato. Ma anni di prigione sono peggio”.

      Tuttavia altri dicono esattamente l’opposto. Dicono che la vita nelle prigioni è già troppo brutale. Vorrebbero che si usasse più denaro delle tasse per farne luoghi piacevoli dove i detenuti potessero condurre una vita decente e svolgere un lavoro produttivo e interessante. Vogliono rendere più facile e più felice la sorte del detenuto.

      Ovviamente, non c’è accordo in merito. Ma c’è una cosa che non dovrebbe sfuggire alla nostra attenzione. Nei recenti secoli si è provato quasi tutto in relazione alle prigioni. Ciò che ora alcuni raccomandano in quanto a maggiore brutalità o minore brutalità, condanne più lunghe o condanne più brevi, riforme o non riforme è già stato provato. E in genere non hanno avuto successo. Sembra ragionevole tornare indietro e provare di nuovo ciò che in passato non ha avuto successo?

      Discusse le prigioni stesse

      Questa è la ragione per cui alcuni esperti cominciano ora a discutere l’intero concetto delle prigioni. Si chiedono se la stragrande maggioranza di quelli che vi si trovano dovrebbero esserci.

      Il libro The Ethics of Punishment dice: “Dopo più di 150 anni di riforme carcerarie, l’aspetto notevole dell’attuale movimento è il suo scetticismo verso le prigioni nel complesso e la ricerca di nuovi e più adeguati metodi di trattamento fuori delle mura della prigione”.

      L’ex direttore delle prigioni federali negli U.S.A., James Bennett, disse della vita nelle prigioni: “Toglie gli uomini alla famiglia e agli amici per periodi assai lunghi. Imprime un marchio che rimarrà per tutta la vita. Li isola su pochi tristi ettari e li costringe a rispettare un monotono programma preciso come un orologio. Li veste di uniformi a buon mercato da cui è stata cancellata l’individualità. Distrugge la loro intimità e li raggruppa insieme a individui che potrebbero aborrire. Li priva di normali relazioni sessuali e impone la tentazione dell’omosessualità. Una condanna alla prigione equivale nella peggiore delle ipotesi a una raffinata tortura molto più severa della punizione corporale”.

      Altri sono d’accordo. Un avvocato presente a un raduno di amministratori carcerari scrive questo riguardo alle loro vedute:

      “Ciascuno dirigeva un maggiore istituto carcerario; erano tutti veterani nel ramo; nessuno era un ‘cuore tenero’, ‘dolce’ verso la delinquenza o ingenuo rispetto ai criminali.

      “Chiesi all’agente di custodia seduto accanto a me quale percentuale di quelli che erano sotto la sua sorveglianza doveva essere in prigione. ‘Secondo quali norme?’ chiese. ‘Per proteggere la società dal danno personale’, risposi. ‘Dal 10 al 15 per cento circa’, disse. Interrogammo gli altri agenti di custodia nella sala; nessuno espresse disaccordo.

      “Da allora, nelle visite a numerose prigioni del paese e all’estero, ho sempre fatto la stessa domanda. Non ho mai ricevuto una risposta diversa”.

      Ramsey Clark, ex procuratore generale degli Stati Uniti, ha pressappoco la stessa veduta. Egli mette in risalto “la filosofia di evitare la detenzione ovunque sia possibile mediante sforzi preventivi, trattamento nella comunità e libertà vigilata”.

      Pertanto, dopo anni di prove e fallimenti, ora un crescente numero di funzionari pervengono alla conclusione che le prigioni non scoraggino la delinquenza né correggano i trasgressori. Semplicemente non fanno quanto si era previsto, e ci vuole qualche altra cosa. Ma in quanto alla norma da seguire per stabilire qualcosa in sostituzione, non sono d’accordo. Invece, c’è un’anarchia di idee.

      C’è dell’altro

      Comunque, non si dovrebbe affrettatamente pervenire alla conclusione che l’insuccesso delle prigioni in generale sia la causa fondamentale dell’esplosione della delinquenza. Non è così, benché l’insuccesso delle prigioni effettivamente faccia peggiorare una situazione già cattiva.

      Si tratta di qualcosa di più fondamentale. C’è un male basilare che pervade l’umanità in genere. La crescente popolazione delle prigioni riflette semplicemente questo male della società.

      Per lungo tempo, specialmente dalla prima guerra mondiale, le nazioni sono state saturate di influenze negative. Ci sono state violenza e distruzione in massa nelle guerre, pregiudizi razziali, crescenti bassifondi, ghetti, povertà, egoismo e ipocrisia nelle più alte sfere della vita politica, religiosa ed economica. Gli insegnamenti permissivi riguardo alla morale hanno ulteriormente eroso gli alti princìpi e incoraggiato le tendenze alla criminalità.

      Si miete quello che si semina, dice appropriatamente la Bibbia. Poiché tali influenze negative hanno bombardato le menti per oltre mezzo secolo, in realtà non dovrebbe sorprendere che si mieta una gigantesca messe di trasgressori della legge.

      Inoltre, una relazione pubblicata dal Dipartimento statunitense della Giustizia osserva “che il 75% di tutte le persone arrestate per rapina avevano meno di 25 anni”. Essa mostra che, di esse, “il 33% erano minorenni”. Perciò, molti giovani commettono reati ancora prima di aver visto l’interno di una prigione. Non si può dunque dare alla vita nella prigione la colpa di gran parte dell’aumento della delinquenza. Sono i difetti della società a generarla.

      Né sono poche le persone implicate nei delitti e che sostengono la delinquenza. La responsabilità grava su un notevole settore della popolazione. L’ex consulente presidenziale sul delitto organizzato, Ralph Salerno, parlando a un uditorio canadese disse:

      “Quelli che scommettono e chiedono beni e servizi ai rappresentanti della malavita organizzata sono gli stessi che dicono ai vostri raccoglitori di dati statistici e ai miei che vogliono legge e ordine e giustizia.

      “Volete far cessare domani mattina alle 8 la Delinquenza Organizzata? Inducete ogni Canadese e io indurrò ogni Americano a smettere di sostenere le sue attività illegali e la Delinquenza Organizzata cesserà di operare. Non avete bisogno di poliziotti. Avete bisogno di cittadini onesti. Dovete attaccare l’ipocrisia”.

      Pertanto, gli sforzi di riforma all’interno delle prigioni falliscono per la medesima ragione per cui i criminali vengono prodotti fuori della prigione: gli insegnamenti, gli atteggiamenti e le azioni del mondo operano contro la creazione di menti sane. Non ci si può realisticamente aspettare che le riforme carcerarie portino risultati, o che la delinquenza diminuisca, se si considera come le persone alimentano la loro mente. Qual è il rimedio? Che cosa si può fare riguardo alle prigioni stesse? Si farà mai qualche cosa circa le condizioni che producono i trasgressori della legge?

      [Riquadro a pagina 11]

      ALCUNE PRINCIPALI CAUSE DI DELITTI

      Violenza in massa nella guerra, pregiudizi razziali, bassifondi e ghetti, povertà, ipocrisia politica e religiosa e insegnamenti permissivi.

      [Riquadro a pagina 12]

      LA PROTEZIONE CONTRO LA DELINQUENZA È COSTOSA

      Gli Stati Uniti hanno circa 500.000 poliziotti. Il costo annuo complessivo supera i 2.300 miliardi di lire, non includendo le paghe di giudici, personale di custodia o il costo degli edifici e degli impianti. In molte città il salario iniziale del singolo poliziotto è ora di circa 5.000.000 di lire.

      [Immagine a pagina 11]

      L’ex direttore delle prigioni federali dice: “Una condanna alla prigione equivale nella peggiore delle ipotesi a una raffinata tortura molto più severa della punizione corporale”

  • Qual è il rimedio?
    Svegliatevi! 1972 | 22 giugno
    • Qual è il rimedio?

      LA POPOLAZIONE delle prigioni continua ad aumentare. E anche la delinquenza. È ovvio che si deve fare qualche altra cosa. Ma che cosa?

      Ci sono parecchie cose da considerare. Una è ciò che è alla portata degli uomini. Un’altra è ciò che non è in loro potere, ma che sarà fatto immancabilmente.

      Quali sono alcune cose che le persone e i governi potrebbero cambiare se vi fossero propensi?

      Necessaria una giustizia uniforme

      Una cosa che potrebbero cambiare è la mancanza di uniformità ora esistente. La pena per un reato in un luogo non è sempre la stessa che in un altro. Ciò scoraggia il rispetto per la legge e fa inasprire i trasgressori.

      Per esempio, nel Connecticut, U.S.A., chi commette violenza carnale sconta in media un anno e nove mesi di prigione. Ma proprio oltre la linea di confine nello stato di New York si afferma che la condanna media sia di quattro anni e due mesi. Nel Texas l’omicida sconta in media due anni e nove mesi. Ma nell’Ohio, il colpevole dello stesso delitto sconta in media quindici anni e due mesi.

      Un uomo di trentadue anni, disoccupato e con la moglie che aveva appena avuto un aborto, falsificò un assegno di L. 34.160. Non aveva nessun precedente penale ed era un reduce di guerra congedato con onore. Il giudice lo condannò a quindici anni di prigione. Lo stesso anno, un altro trentaduenne, pure disoccupato, falsificò un assegno di L. 20.600. Comunque, era già stato in prigione due volte, una volta per sei mesi perché non aveva provveduto al mantenimento della moglie e del figlio. Tuttavia, il giudice che considerò questa causa lo condannò a soli trenta giorni. L’uomo che aveva la fedina più pulita ricevette una punizione circa 180 volte più severa!

      Ad Atlanta, U.S.A., il tesoriere di un istituto di credito di mezza età fu condannato a soli 117 giorni per appropriazione indebita di L. 14.000.000 circa. In prigione conobbe un altro malversatore della sua stessa età, senza alcun precedente penale e una buona vita familiare, che stava scontando vent’anni di prigione con cinque successivi anni di libertà condizionata. Una spogliarellista del Texas ricevette una condanna di quindici anni di prigione per il possesso di marijuana. Ma tre scienziati di una ditta farmaceutica che si dichiararono colpevoli di avere falsificato i dati di medicinali che danneggiano centinaia di persone ricevettero condanne di sei mesi con la condizionale. Simili casi illustrano il bisogno di una legge uniforme, equa, che tenga conto del passato dei trasgressori. Ma questo tipo di equità, questo tipo di giustizia uniforme, non si scorge minimamente all’orizzonte dal punto di vista dell’uomo.

      Che dire delle vittime?

      Un elemento quasi interamente trascurato nel trattamento dei criminali è la considerazione verso le loro vittime. La persona può essere mutilata, rapinata, frodata, violentata eppure vien fatto poco per compensare la vittima. Invece, il trasgressore riceve una condanna alla prigione, e in seguito pare che il peso della compassione penda verso il criminale, mentre l’innocente vittima è spesso dimenticata.

      Quale alternativa c’è a questo stato di cose privo di equilibrio? L’avvocato Ronald Goldfarb di Washington, nel Distretto di Columbia, suggeriva questo:

      “Un programma per il pieno risarcimento delle vittime è la maggiore alternativa all’imprigionamento. Oltre l’80 per cento dei reati riguardano la proprietà e punendo il trasgressore si fa poco per proteggere la vittima o risarcirla.

      “Nella maggioranza dei casi, mi pare che l’unica cosa che la vittima, diciamo, di un furto vuole e che la società in genere vuole per la sua collettiva pace mentale è il risarcimento della vittima.

      “Se qualcuno mi ruba 100 dollari, a me serve ben poco che il ladro sia mandato in prigione per un anno. Preferirei avere indietro i miei 100 dollari, possibilmente un poco di più per compensarmi del danno”.

      Come suggerisce che si faccia questo se il delinquente non ha denaro? Egli dice: “Il delinquente sprovvisto di denaro potrebbe scontare la sua condanna lavorando al progetto di un’opera pubblica per guadagnare il denaro con cui pagare il prezzo del suo reato. Il trasgressore straordinario potrebbe essere privato del diritto di lavorare fuori della prigione in libertà vigilata, ma anch’egli dovrebbe lavorare in prigione per pagare la sua vittima”.

      Potrebbe un tale sistema dare risultati con alcuni di quelli che sono ora in prigione? Parrebbe di sì, giacché la maggioranza non sono ciò che si chiamerebbero ‘incalliti’ criminali. Infatti, l’amministratore carcerario Bennett osservò:

      “Un’idea errata circa le prigioni è che siano piene di sadici assassini, disperati banditi, romantici scassinatori e astuti truffatori. Infatti, i ‘pezzi grossi’ non sono più di uno su dieci . . .

      “Gli altri sono pivellini, e il detenuto tipico non ha mai ricavato più di cinquanta dollari da un solo reato. È un giovane ladro d’auto che scappa in cerca del suo Eldorado, o uno sciocco che rischierebbe dieci anni di prigione per portar via dieci dollari dal registratore di cassa di un negozio”.

      Un crescente numero di funzionari è del parere che molti di questi detenuti potevano restare del tutto fuori di prigione senza mettere in pericolo la società. Infatti, alcuni di questi tipi di detenuti sono già in un sistema di ‘prigione aperta’ che la Svezia e alcuni altri paesi hanno sperimentato. Questi istituti non hanno né mura né sbarre, né pattuglie di agenti armati. I detenuti sono in un sistema basato sull’onore e si presentano alle loro stanze dopo il lavoro. Per tale specie di detenuti, se il lavoro fosse in relazione con il risarcimento della vittima, alcuni esperti ritengono che la maggioranza delle prigioni potrebbero essere praticamente vuotate. Essi pensano che solo l’incallito criminale dovrebbe stare in carcere.

      Ci fu mai un tempo in cui un’intera nazione impiegasse un simile sistema di risarcimento da parte del trasgressore anziché l’imprigionamento? Sì. Diede risultati? Sì. Fu impiegato a livello nazionale dall’antico Israele.

      Come operava la legge d’Israele

      Le leggi che governavano l’antico Israele erano state date da Dio mediante Mosè. Giacché Dio aveva fatto l’uomo, certo avrebbe saputo meglio come regolare tutte le attività umane, incluso il trattamento dei delinquenti.

      Come si è notato prima, la legge data da Dio mediante Mosè non prevedeva nessuna condanna alla prigione. Prevedeva altre specifiche pene per i reati. Reati contro la proprietà come furto, distruzione o frode, non erano mai puniti mettendo in prigione il trasgressore. Invece, la punizione basilare era il compenso per le vittime.

      Per esempio, se una persona rubava un toro o una pecora, ed era trovata con l’animale, doveva compensare la vittima dandole due tori o due pecore. La pena era il doppio dell’ammontare del furto o del danno recato. Se il ladro aveva già scannato o venduto il toro o la pecora, allora il compenso saliva: per il toro doveva pagare cinque tori; per la pecora, quattro pecore. All’infuori del bestiame, per gli oggetti rubati si richiedeva doppio compenso. — Eso. 22:1-9.

      Ma che dire se il trasgressore non poteva dare un compenso per il furto? Allora veniva venduto schiavo e il prezzo serviva per il compenso. Serviva il suo padrone finché non avesse estinto il suo debito. Come schiavo, comunque, la legge richiedeva che fosse trattato benignamente come lavoratore salariato. Così, la vittima era risarcita, e anche quello che pagava lo schiavo, giacché in cambio avrebbe ricevuto il lavoro. — Eso. 22:3.

      Oggi la persona che ne assale un’altra riceve o una condanna alla prigione o una condanna con la condizionale in libertà vigilata. Ma la vittima può perdere settimane o mesi di lavoro. Chi paga i conti della vittima mentre è inabilitata? Non il trasgressore. In alcuni luoghi la vittima può non avere entrate di alcun genere e così divenire un peso per la comunità.

      Ma sotto la legge che Dio aveva data all’antico Israele il trasgressore doveva compensare la vittima per il tempo perduto dal lavoro: “Nel caso che degli uomini dovessero litigare e uno in effetti colpisce il suo prossimo con una pietra o con una zappa e non muore ma deve stare a letto; . . . chi l’ha colpito . . . compenserà solo il tempo perduto dal lavoro di quel tale finché sia completamente sanato”. — Eso. 21:18, 19.

      Con questo non si vuoi dire che nell’odierno complesso e confuso stato di cose si potessero usare precisamente gli stessi metodi. Ma certo un metodo in cui il trasgressore compensasse la vittima sarebbe superiore a una condanna del colpevole alla prigione senza alcun compenso per la vittima, come avviene ora.

      Che dire della pena capitale?

      Oggi c’è la tendenza ad abolire la pena capitale, anche per gli induriti assassini. Il colpevole è invece messo in prigione.

      Tuttavia, dopo essere stati in prigione per alcuni anni, alcuni sono messi in libertà. A volte tornano a uccidere. Il presidente francese Pompidou menzionò di recente un episodio in cui i detenuti di una prigione in Francia uccisero due ostaggi. Colse l’occasione per narrare di un uomo che aveva ucciso sua moglie, aveva scontato un periodo di tempo in prigione come detenuto ‘modello’, era stato liberato, aveva sposato l’assistente sociale della prigione, e due anni dopo l’aveva uccisa.

      Un altro omicida si vantò di avere assassinato ventidue persone. Giurò di assassinare un agente di custodia per fare ventitré. Mentre era in prigione a Leavenworth, nel Kansas, attuò quella minaccia. Uccise un agente di custodia. Un’altra innocente vittima era morta.

      Troppe volte, questo è ciò che accade. Gli assassini messi in libertà uccidono di nuovo. E troppo spesso le prime vittime innocenti, nonché le successive vittime innocenti, sono dimenticate per errata compassione verso l’assassino.

      Qual era la legge che Dio diede all’antico Israele riguardo a tali delitti? L’assassino condannato era immancabilmente messo a morte. Questo serviva sia a punire che a scoraggiare. E non c’era ambiguità al riguardo. Una corte non decideva in un modo mentre un’altra corte decideva in qualche altro modo. La cosa veniva risolta uniformemente in tutto il paese perché vigevano ovunque le stesse leggi. — Eso. 12:49.

      Pertanto, nell’antico Israele non c’era mai la possibilità che gli assassini fossero messi in libertà per uccidere altri innocenti. Essi, i colpevoli, essendo preavvertiti dalla legge che la vita era preziosa agli occhi di Dio, ne pagavano il prezzo.

      Gli omicidi accidentali erano trattati diversamente, benché non fossero ugualmente messi in prigione. Ma poiché avevano tolto una vita, dovevano vivere per uno specifico periodo di tempo in luoghi riservati a tale scopo. Lì potevano svolgere le normali attività della vita, ma non potevano andarsene, sotto pena di morte. Era dunque imposta una restrizione perché avevano tolto una vita, ma era presa per loro una misericordiosa disposizione perché ciò era avvenuto involontariamente. — Num. 35:6-32.

      Pure molto interessante è il modo in cui erano trattati in Israele gli incorreggibili criminali, anche quando i loro delitti non meritavano in origine la pena di morte. Se alcuni rifiutavano deliberatamente di osservare la legge, se erano incorreggibili, venivano messi a morte. In tal modo si ottenevano due cose. Come dice Deuteronomio 17:12, 13: “Tu devi togliere [mediante l’esecuzione] ciò che è male da Israele. E tutto il popolo udrà e avrà timore, e non agiranno più presuntuosamente”. Sì, gli impenitenti criminali erano ‘tolti’, giustiziati. Questo serviva da punizione, da prevenzione e anche da protezione per l’innocente che desiderava vivere rispettando la legge.

      Nell’antico Israele non c’erano dunque condanne alla prigione. Costose prigioni e le alte tasse necessarie per mantenerle erano sconosciute. E finché i governanti e il popolo ubbidirono a queste leggi, la nazione prosperò. Ma quando smisero di rispettare e sostenere quelle leggi divine, allora la nazione cominciò a degenerare nell’illegalità. Infine, la decadenza portò alla distruzione della nazione.

      Permanente riforma

      Il segreto della vera riforma è l’istruzione. L’istruzione in che cosa? Nelle giuste norme di vita, nella giusta morale, nei giusti atteggiamenti. Chi può garantire che un certo tipo di istruzione sia giusto, il migliore per il popolo? Solo l’istruzione che viene da Dio può esserlo.

      Questo non significa che dobbiate aspettarvi che le nazioni d’oggi adottino le disposizioni prese nell’antico Israele per il trattamento dei trasgressori. Nessuna di esse è sotto il dominio di Dio. Perciò, non ci si può attendere che impieghino pienamente le leggi e i princìpi di Dio. Comunque, più si avvicinano a ciò, più giusta e umana sarà l’imposizione della loro legge e più efficacia avrà nel prevenire i delitti.

      Ad ogni modo, la vera riforma, anche in questo corrotto sistema di cose, è possibile a livello individuale. Oggi, ci sono persone che fanno decisamente il cambiamento mentale che produce giusti pensieri e condotta. Come? Dando ascolto al consiglio della Bibbia: “Cessate di conformarvi a questo sistema di cose, ma siate trasformati rinnovando la vostra mente, per provare a voi stessi la buona e accettevole e perfetta volontà di Dio”. — Rom. 12:2.

      Anche alcuni che un tempo erano criminali hanno fatto questo. Si sono completamente trasformati mediante lo studio delle leggi di Dio scritte nella sua Parola, la Bibbia. Adottando il superiore modo di vivere che Dio raccomanda sono divenuti osservanti della legge, preziosi per la comunità.

      Che cosa accadrebbe se masse di persone facessero questo? Ebbene, non dobbiamo chiedercelo. Non è solo una domanda teorica. In effetti viene fatto oggi da masse di persone! In 207 paesi del mondo i testimoni di Geova, in numero di oltre 1.500.000, hanno adottato il superiore divino modo di vivere. Possono attestare che è efficace, pratico. E un’evidenza di ciò è il fatto che come società di persone i testimoni di Geova riscontrano che i delitti sono praticamente assenti dalle loro file. Questa è una ragione per cui centinaia di migliaia di persone si sono associate con loro in anni recenti e continuano ad associarvisi.

      Ma i testimoni di Geova affrontano le cose in maniera realistica. Sanno che questo sistema di cose nel suo insieme non si può riformare. Quindi non si aspettano affatto di convertire il mondo così che tutti adottino il codice divino per il comportamento umano. In realtà, Dio stesso ha decretato la fine di questo illegale sistema di cose. La storia dei suoi rapporti con gli uomini pure contiene questa profetica garanzia: “I malfattori stessi saranno stroncati, . . . I giusti stessi possederanno la terra e risiederanno su di essa per sempre”. — Sal. 37:9, 29.

      Presto verrà il tempo in cui Dio porrà fine a questo sistema. Quindi strapperà ogni autorità ai governi umani. (Dan. 2:44) I loro contrastanti codici di leggi spariranno così con un solo rapido colpo.

      Dopo ciò, solo le leggi di Dio governeranno il popolo. Quelle leggi saranno eque, amorevoli, uniformi, basate non solo sugli ideali della legge data all’antico Israele, ma sui princìpi del cristianesimo insegnati da Gesù. Le superiori norme di Dio saranno fatte rispettare da un governo amorevole ma fermo e incorruttibile, il celeste regno di Dio retto da Cristo, quello per cui è stato insegnato ai cristiani di pregare. — Matt. 6:10.

      In quel nuovo ordine saranno insegnate a ogni abitante le superiori leggi di Dio. Allora si potrà dire come mai prima che “la terra sarà per certo piena della conoscenza di Geova come le acque coprono il medesimo mare”. (Isa. 11:9) Con quale risultato? Nel nuovo ordine gli abitanti rispettosi verso la legge “in realtà proveranno squisito diletto nell’abbondanza della pace”. — Sal. 37:11.

      Ci saranno prigioni in quel nuovo ordine? No, invece possiamo aspettarci che qualsiasi reato sia considerato in maniera simile a come si faceva nell’antico Israele, senza che ci siano prigioni. Per cui quelli che ripongono la loro fiducia nelle promesse di Dio e vivono sin da ora secondo le sue leggi vedranno immancabilmente il tempo in cui le prigioni spariranno dalla superficie della terra.

      [Prospetto a pagina 17]

      (Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

      ESEMPI SOTTO LA LEGGE MOSAICA

      REATO COMPENSO

      Furto di una pecora Due pecore

      Furto e uccisione di un toro Cinque tori

      Furto ma impossibilità Lavoro per pagare il doppio

      di dare compenso del valore della cosa rubata

      Assassinio Pena di morte (Di solito

      mediante lapidazione)

      Incorreggibile criminale Pena di morte

      [Immagine a pagina 15]

      Quale compenso riceve la vittima dal delinquente?

  • Padri e figli
    Svegliatevi! 1972 | 22 giugno
    • Padri e figli

      ● Una delle cose più utili che un padre possa fare per i suoi figli è di mostrare profondo amore per la loro madre.

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