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Perché un “sì gran nuvolo di testimoni”?La Torre di Guardia 1963 | 15 agosto
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Comprendiamo dunque che lo scrittore di Ebrei scelse accuratamente, in questo caso, una parola insolita, néphos, o massa di nubi, per mettere in risalto il gran numero di testimoni, in armonia con la sua osservazione: “E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi parlare di Gedeone”, ecc. Sì, ve ne furono così tanti che non si possono menzionare tutti; non erano solo una folla, ma come una massa di nubi. — Ebr. 11:32, Na.
Quanto abbiamo detto è più che di semplice interesse accademico per i cristiani; per essi ha più valore di una semplice, bella espressione linguistica. Con l’uso della parola néphos ci viene fatto comprendere che il numero di quelli che furono fedeli testimoni di Geova Dio è veramente grande, che moltissimi ci diedero un brillante esempio di fede, benché nelle Scritture ne siano menzionati comparativamente pochi. Perciò quando Elia pensò di essere l’unico che era geloso del nome di Geova, Dio lo tranquillizzò dicendogli che in Israele vi erano settemila persone che non si erano chinate davanti a Baal. (1 Re 19:18) Poiché come cristiani siamo circondati da un “sì gran nuvolo di testimoni” (martýron, “martiri”), non osservatori, possiamo farci coraggio, poiché anche noi siamo in grado di mantenerci fedeli se cerchiamo di seguire il “Perfezionatore della fede, Gesù”. — Ebr. 12:2, Na.
Pure degna di nota è la cura con cui lo scrittore di Ebrei scelse le parole, facendo uso di un’insolita ma espressiva metafora per far capire il suo argomento. Tutti i ministri che desiderano persuadere con la parola o con lo scritto faranno bene a seguire il suo esempio per recare il massimo beneficio possibile. “Com’è buona una parola detta a tempo!” — Prov. 15:23, VR.
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Domande dai lettori (1)La Torre di Guardia 1963 | 15 agosto
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Domande dai lettori
● Come possiamo mettere in armonia Matteo 8:11, dove si parla di Abraamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, con Matteo 11:11, che indica che in tale regno non vi sarà nemmeno Giovanni Battista?
In Ebrei 11:8-19 (VR) leggiamo: “Per fede Abramo . . . [abitò] in tende con Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha i veri fondamenti e il cui architetto e costruttore è Dio. . . . Ma ora ne desiderano una migliore, cioè una celeste; perciò Iddio non si vergogna d’esser chiamato il loro Dio, poiché ha preparato loro una città. Per fede Abramo, quando fu provato, offerse Isacco . . . ritenendo che Dio è potente anche da far risuscitare dai morti; ond’è che lo riebbe per una specie di risurrezione”.
In che modo pensava Abraamo di riavere Isacco dai morti? In cielo come spirito? No, sulla terra come creatura umana. In modo figurativo egli riebbe Isacco dai morti sulla terra. Quindi Abraamo non aspettava una risurrezione spirituale e celeste che lo portasse tra gli angeli celesti più di quanto non si aspettava che Isacco ricevesse tale risurrezione e si riunisse a lui in cielo.
Abraamo era uscito da Ur dei Caldei, e non voleva più quella città. Egli, suo figlio Isacco e il nipote Giacobbe volevano un luogo migliore, cioè un luogo che appartiene al cielo, una città per governo, cioè il governo o città che Dio ha preparato, nella quale la promessa Progenie o Stirpe di Abraamo sarà Re di Dio. Questo è il “regno di Dio” o “il regno dei cieli”, poiché due espressioni si possono usare l’una per l’altra, dato che l’espressione “i cieli” si riferisce a Dio. Abraamo, Isacco e Giacobbe aspettavano di vivere sulla terra sotto questo regno dei cieli o regno di Dio.
Nell’anno 30 (d.C.) Gesù disse a Nicodemo che Abraamo, Isacco e Giacobbe non erano in cielo. (Giov. 3:13) Tre anni dopo, nel giorno di Pentecoste del 33, l’apostolo Pietro disse che il discendente di Abraamo, Isacco e Giacobbe, cioè il re Davide, non era asceso al cielo e quindi non si trovava nel regno dei cieli o regno di Dio. (Atti 2:34) Pietro disse ciò dopo che Gesù aveva fatto la dichiarazione riportata in Matteo 8:11 relativa ad Abraamo, Isacco e Giacobbe, al tempo in cui aveva guarito il servo di un centurione romano.
Quindi questi tre patriarchi non potevano far parte della classe del Regno come coeredi del Signore Gesù Cristo. Erano suoi antenati, e lo avevano preceduto di oltre settecento anni.
È dunque evidente che in Matteo 8:11 Gesù si riferì ad Abraamo, Isacco e Giacobbe in modo figurativo. Nell’occasione in cui Abraamo offrì suo figlio Isacco, Abraamo rappresentava Geova Dio e Isacco rappresentava l’unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, che fu offerto in sacrificio. Conformemente Giacobbe rappresentava la congregazione cristiana spirituale, la classe del “regno dei cieli”; infatti, come la congregazione riceve la vita mediante Gesù Cristo, così Giacobbe ricevette la vita da Abraamo mediante Isacco. Da questo punto di vista, Abraamo, Isacco e Giacobbe menzionati insieme nell’illustrazione di Gesù raffigurerebbero il grande governo teocratico, in cui Geova è il Grande Teocrata, Gesù Cristo il suo unto Re rappresentativo, e la fedele, vittoriosa congregazione cristiana di 144.000 membri è il corpo di quelli che sono coeredi di Cristo nel Regno.
Quando fu fondata la congregazione cristiana il giorno di Pentecoste, i suoi membri unti dallo spirito furono resi coeredi di Cristo e cominciarono ad aspirare a un posto nel regno celeste, per sedere ivi alla mensa spirituale come il più grande Abraamo e il più grande Isacco. I Giudei naturali o carnali della nazione d’Israele affermavano di essere “figliuoli del regno” o futuri membri del regno di Dio. Dal giorno di Pentecoste in poi essi videro l’inizio e lo sviluppo graduale di questa disposizione teocratica, ma a causa della loro mancanza di fede in Cristo non entrarono a farne parte. Quindi, come disse Gesù (Matt. 8:12, VR): “I figliuoli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Quivi sarà il pianto e lo stridor de’ denti”.
Per questa ragione fu necessario che molti Gentili (non Giudei), come il centurione romano la cui fede gli procurò una guarigione da parte di Gesù, venissero “dall’Oriente e dall’Occidente”, da tutte le parti della terra, per divenire cristiani dedicati e battezzati. E poterono contribuire così a completare il numero di quelli che compongono la classe del Regno. Poiché mantengono la fedeltà fino alla morte, questi convertiti Gentili sono risuscitati alla vita celeste per sedere alla mensa celeste, per così dire, con Geova Dio e Gesù Cristo “nel regno dei cieli”.
Compreso in questo modo, il versetto di Matteo 8:11 è in armonia con le parole di Gesù che leggiamo in Matteo 11:11 (VR): “Fra i nati di donna non è sorto alcuno maggiore di Giovanni Battista; però, il minimo nel regno de’ cieli è maggiore di lui”. Poiché Abraamo, Isacco e Giacobbe non sono maggiori di Giovanni, essi non saranno letteralmente nel regno dei cieli. Gesù li usò solo per fare un’illustrazione di quelli che vi saranno veramente.
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Domande dai lettori (2)La Torre di Guardia 1963 | 15 agosto
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Domande dai lettori
● Perché fu comandato a Giosuè di tagliare i garretti ai cavalli? Ha questo un significato per i cristiani oggi? — R. B., Stati Uniti.
Questo comando è riportato in Giosuè 11:6 (VR) dove leggiamo: “Non li temere, perché domani, a quest’ora, io farò che saran tutti uccisi davanti a Israele; tu taglierai i garretti ai loro cavalli e darai fuoco ai loro carri”. E in Giosuè 11:9 (VR) leggiamo che Giosuè fece “come gli avea detto l’Eterno: tagliò i garretti ai loro cavalli e dette fuoco ai loro carri”.
I garretti del cavallo sono i tendini posteriori che stanno sopra l’articolazione delle gambe posteriori del cavallo; e l’articolazione delle gambe posteriori corrisponde al ginocchio delle gambe anteriori del cavallo. Tagliando questi tendini i cavalli erano azzoppati e non potevano più servire a scopi bellici, né per la cavalleria né per tirare carri da guerra. Questo era il modo più semplice per mettere fuori combattimento un cavallo. Ovviamente questi cavalli, dopo che erano stati tagliati loro i garretti, e resi inutili, venivano messi a morte o distrutti, come i carri da guerra.
Riguardo ai cavalli la Cyclopædia di McClintock & Strong dice: “L’elemento più straordinario nelle note bibliche sul cavallo è il fatto che esso veniva usato esclusivamente per scopi militari. In nessun caso è detto che fosse usato come ordinario mezzo di locomozione o nell’agricoltura”. Erano tuttavia usati per affari di stato. (Ester 6:8; 8:14) Furono menzionati specialmente in relazione all’Egitto, come notiamo in Isaia 31:1, 3 (VR): “Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di soccorso, e s’appoggian su cavalli, e confidano ne’ carri perché son numerosi, e ne’ cavalieri, perché molto potenti, ma non guardano al Santo d’Israele, e non cercano l’Eterno! Or gli Egiziani son uomini, e non Dio; i loro cavalli son carne, e non spirito”. Vengono fatte simili osservazioni sfavorevoli in Salmo 20:7 e 33:17.
Al re d’Israele specialmente era dato questo avvertimento: “Non abbia egli gran numero di cavalli”. (Deut. 17:16, VR) Senza dubbio, una delle ragioni per cui Geova, con le esigenze esposte in Levitico 11, stabilì che il cavallo doveva essere considerato un animale impuro, fu quella che i Giudei non fossero tentati di acquistare cavalli per avere cibo e usarli poi per scopi bellici e riporre in essi la loro fiducia. L’azione di Giosuè fu conforme alle istruzioni
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