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Prodotto il principale Agente del Dominio DivinoLa Torre di Guardia 1973 | 1° giugno
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Prodotto il principale Agente del Dominio Divino
“Dio lo ha esaltato come principale Agente e Salvatore alla sua destra, per dare a Israele pentimento e perdono dei peccati”. — Atti 5:31.
1. Perché non risulterà salvezza per noi se trascureremo il principale Agente del Dominio Divino?
NON possiamo permetterci di trascurare Colui che il Divino Governatore dell’universo esalta perché sia il suo principale Agente e Salvatore. Se trascurassimo quel principale Agente e cercassimo di avvicinarci al Divino Governatore per adorarlo, non ce ne risulterebbe nessuna salvezza. Solo per mezzo del suo principale Agente il Divino Governatore ci dà il mezzo per ottenere la salvezza nella vita perfetta e nella felicità nel benedetto nuovo ordine promesso dal Divino Governatore. Persone di ogni luogo devono conoscere questo fatto essenziale.
2. In considerazione di quale recente azione del Sinedrio di Gerusalemme quella corte giudiziaria doveva conoscere questo fatto?
2 Millenovecento anni fa i più alti dignitari religiosi di Gerusalemme ebbero bisogno di conoscere questo fatto. Questi uomini formavano la suprema corte giudiziaria del paese, il Sinedrio. Nel giudizio emanato alcune settimane prima, avevano condannato a morte quella persona tanto discussa che era Gesù Cristo. Ora avevano dinanzi a sé i dodici principali seguaci di quella persona controversa. Al banco dei testimoni Simon Pietro e gli altri undici seguaci dissero alla Corte che l’uomo che avevano condannato a morte era stato reso il divino “principale Agente e Salvatore”. Rispondendo all’ordine della Corte essi dissero:
3. Rispondendo all’ordine del Sinedrio, che cosa dissero quei dodici seguaci dell’uomo condannato riguardo all’ubbidienza e al principale Agente?
3 “Dobbiamo ubbidire a Dio quale governante anziché agli uomini. L’Iddio dei nostri antenati ha destato Gesù, che voi avete ucciso, appendendolo al legno. Dio lo ha esaltato come principale Agente e Salvatore alla sua destra, per dare a Israele pentimento e perdono dei peccati. E noi siamo testimoni di queste cose, e anche lo spirito santo, che Dio ha dato a quelli che gli ubbidiscono quale governante”. — Atti 5:29-32.
4. Che cosa doveva dare a Israele colui che era stato esaltato per essere principale Agente e Salvatore, e secondo quale patto di Dio?
4 Piacesse o no a quell’alta corte di Gerusalemme, il Gesù messo al palo era tornato in vita dai morti ed era perfino alla destra di Dio, in grado così d’agire quale principale Agente e Salvatore per conto del Governatore Divino, a favore della nazione d’Israele. “Principale Agente e Salvatore”, per fare che cosa? “Per dare a Israele pentimento e perdono dei peccati”. Questo “perdono dei peccati” doveva avvenire secondo un “nuovo patto” che il Divino Governatore aveva promesso di stabilire con il suo popolo eletto. — Ger. 31:31-34; Luca 22:20.
5. (a) Prima della morte di Gesù, da chi era stato predicato il pentimento a Israele? (b) Quali domande sorgevano ora riguardo al pentimento e al perdono dei peccati e alla relazione dei membri del Sinedrio con Dio?
5 Quella Corte di Gerusalemme sapeva che prima che Gesù Cristo comparisse sulla scena terrestre, Giovanni Battista aveva predicato: “Pentitevi, poiché il regno dei cieli si è avvicinato”. Quindi, dopo che Giovanni Battista era stato messo in prigione, questo Gesù Cristo che Giovanni aveva battezzato predicò lo stesso messaggio, dicendo: “Pentitevi, poiché il regno dei cieli si è avvicinato”. (Matt. 3:1, 2, 13-17; 4:12-17) Questo continuò fino alla morte di Gesù avvenuta per istigazione della Corte del Sinedrio di Gerusalemme. C’era ora qualche differenza per quanto riguardava il pentimento da parte d’Israele? Quali erano i peccati che dovevano essere perdonati? I membri della Corte non ebbero forse una buona ragione di pensare in seguito alle parole dette loro da Simon Pietro? Che effetto aveva ora subìto la loro relazione con Dio? Questa relazione si fondava sulla stessa base di prima? Vediamo.
6. Come Geova fu obbligato a redimere il suo popolo Israele dall’Egitto, e come lo redense?
6 La nazione d’Israele venne all’esistenza nel paese d’Egitto, durante i 215 anni di soggiorno di Giacobbe (Israele) e dei suoi discendenti in quel luogo. (Gen. 49:28-33) Qualche tempo dopo la morte del primo ministro egiziano Giuseppe, figlio di Giacobbe, gli Israeliti divennero schiavi e fu fatto un tentativo per annientare la nazione. Quindi al tempo predetto da Dio egli trasse questi discendenti di Giacobbe (Israele) “dal paese d’Egitto, dalla casa degli schiavi”. Ciò avvenne dopo che Dio aveva ordinato loro di celebrare una nuova Cena, la cena di Pasqua, lì in Egitto il 14 Nisan dell’anno 1513 a.E.V. La sera di quel giorno fu scannato l’agnello pasquale e il suo sangue fu spruzzato sugli stipiti e sull’architrave delle case israelite, e fu poi arrostito intero e mangiato dietro le porte chiuse contrassegnate dal sangue. Dio accettò il sacrificio di quell’agnello pasquale e li liberò dall’Egitto dopo la loro cena di sacrificio. Per così dire, li aveva acquistati per mezzo di quel sacrificato agnello pasquale. (Eso. da 12:1 a 13:18) Pertanto la nazione d’Israele fu un popolo “che Dio redense a sé come popolo”. — 2 Sam. 7:23.
7, 8. (a) Al mar Rosso, come Dio stabilì ulteriormente che il popolo d’Israele gli apparteneva? (b) Che cosa si accinse Geova a concludere con Israele al monte Sinai, e quale proposta Dio disse a Mosè di fare al popolo?
7 Al comando del profeta Mosè, Dio condusse i redenti Israeliti sani e salvi attraverso le acque del mar Rosso ma fece annegare dietro di loro l’esercito egiziano che li inseguiva. (Eso. da 14:1 a 15:21) Questa miracolosa liberazione della nazione d’Israele stabilì ancora di più che Dio ne era il proprietario; in realtà essi appartenevano a lui. Nel terzo mese lunare (Sivan) dopo che erano usciti dal paese d’Egitto, Dio li condusse ai piedi del monte Sinai sulla penisola araba. Il profeta Mosè, quale mediatore fra Dio e la nazione d’Israele, salì sul monte Sinai (Horeb) per trattare con Dio a favore di questo popolo redento. Ora furono fatti i passi per stabilire un patto, cioè un solenne contratto convalidato fra Dio e questo redento popolo d’Israele. Notate ciò che Dio disse a Mosè di dire al popolo:
8 “Voi stessi avete visto ciò che io feci agli Egiziani, per portarvi su ali d’aquile e condurvi a me. E ora se ubbidirete strettamente alla mia voce e osserverete in realtà il mio patto, per certo diverrete di fra tutti gli altri popoli la mia speciale proprietà, perché l’intera terra appartiene a me. E voi stessi mi diverrete un regno di sacerdoti e una nazione santa”. — Eso. 19:3-6.
9. Si accinse Dio a portare Israele in un santo patto con lui in base al suo diritto, o come trattò la cosa?
9 In questo modo gli obblighi del patto furono chiaramente espressi e il patto ebbe uno scopo specifico, di produrre un “regno di sacerdoti”, una “nazione santa”, appartenente a Dio. Qui non si deve trascurare che Dio non obbligò la nazione d’Israele a fare questo patto. Egli non disse: ‘Vi ho redenti dalla schiavitù d’Egitto e vi ho liberati anche dalle acque del mar Rosso e perciò mi appartenete di diritto e per acquisto. Posso fare di voi quello che voglio e quello che dico sarà legge e voi dovrete ubbidirvi’. Ciò che Dio comandò a Mosè di dire al popolo indica invece che Dio voleva sapere se il suo popolo redento desiderava, se voleva concludere un santo patto con lui. Anziché imporre loro in maniera dittatoriale e tirannica un patto, Dio attendeva che esprimessero la loro volontà a questo riguardo. Se non volevano, non ci sarebbe stato nessun patto!
ATTESA L’ESPRESSIONE DELLA VOLONTÀ DEL POPOLO REDENTO
10. Perché quel patto richiese un mediatore e quale fattore umano riconobbe Dio nella cosa?
10 Doveva essere un patto bilaterale, cioè un solenne contratto o impegno fra due parti. Poiché doveva essere un patto fra il Santissimo Dio e imperfette, peccatrici creature umane che avevano ereditato la condanna e la morte da Adamo ed Eva, questo patto richiedeva un mediatore, che Dio riconobbe come giusto a motivo della fede, cioè Mosè figlio di Amram il Levita. (Gal. 3:19, 20) Dio, una Parte, mostrò il suo desiderio di concludere il patto, ma qual era ora la volontà dell’altra parte invitata a concludere il patto? La formale inaugurazione del patto fra Dio e Israele dipendeva dall’espressione della volontà della parte invitata di minore importanza. Dio riconobbe fino a questo punto la volontà umana.
11. Quale attitudine espresse Israele verso il patto proposto, e prima che facessero tale espressione a Geova, che cosa Geova non dichiarò loro?
11 Quale attitudine assunse il popolo, rappresentato lì dai capi nazionali, verso il patto profferto? Il racconto biblico dice: “Mosè dunque venne e chiamò gli anziani del popolo e pose dinanzi a loro tutte queste parole che Geova gli aveva comandate. Dopo ciò tutto il popolo rispose unanimemente e disse: ‘Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito’. Immediatamente Mosè riportò a Geova le parole del popolo”. (Eso. 19:7, 8) Prima che il popolo dichiarasse così d’essere disposto, Geova Dio non dichiarò loro dalla cima del monte Sinai i Dieci Comandamenti, le leggi fondamentali del proposto patto della Legge. — Eso. da 19:9 a 20:22.
12. (a) Che cosa ebbe quindi la possibilità di fare il popolo riguardo al patto? (b) Come chiameremo quell’atto degli Israeliti verso il patto e quale termine descrittivo è usato in Romani 6:13?
12 Il popolo ebbe la possibilità di esprimere la sua libera scelta, di accettare o di respingere la proposta divina. Poterono decidere con il loro libero arbitrio se divenire ‘di fra tutti gli altri popoli la speciale proprietà’ di Geova o rifiutar di divenirlo a motivo dei termini stabiliti. Quando dunque questo popolo redento rispose come un sol uomo alla proposta divina: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito”, o, letteralmente, “faremo”, che cosa stavano facendo? Come chiameremo in altre parole il loro atto? È troppo dire che si impegnavano verso Geova Dio per fare la sua volontà com’Egli la dichiarava? È parallelo a ciò che il cristiano apostolo Paolo disse alla congregazione cristiana di Roma: “Presentate voi stessi a Dio come viventi dai morti, e le vostre membra a Dio come armi di giustizia”? (Rom. 6:13) La Sacra Bibbia a cura di mons. S. Garofalo lo rende in modo più vigoroso, dicendo: “Offrite invece a Dio voi stessi”. La Sacra Bibbia con note a cura del Pontificio Istituto Biblico: “Mettete a servizio di Dio voi stessi”. La Revised Standard Version: “Cedetevi a Dio”. A New Translation di Moffatt: “Dovete dedicarvi a Dio”.
13, 14. (a) Perché Geova offrì loro il patto anziché imporlo a Israele, e con la loro risposta, che cosa facevano in effetti? (b) Quando riaffermarono la loro volontà e che cosa divennero così rispetto a Geova?
13 Geova non cercò di persuadere gli Israeliti con le maniere forti, dicendo: ‘Vi ho redenti dall’Egitto e vi ho liberati dal mar Rosso. Inoltre, siete il seme naturale di Abraamo mio amico. Perciò dovete entrare in questo patto con me’. È vero che queste furono le ragioni per cui Dio offrì loro una relazione di patto con lui e pose effettivamente dinanzi a loro un’invitante prospettiva se concludevano il patto. Ma dipendeva dagli Israeliti scegliere di divenire il popolo di Geova come loro Dio. Perciò, quando dissero: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito”, si dedicavano a Geova per essere il Suo popolo, per fare la Sua volontà che doveva essere esposta nel patto. In seguito, dopo che erano stati dati i Dieci Comandamenti e che era stato consegnato un codice di leggi a Mosè, il patto fu convalidato con il sangue di vittime animali. E con ciò gli Israeliti divennero il dedicato popolo di Dio in un patto vincolante con Geova Dio. In quell’occasione, con una conoscenza anche migliore, il popolo riaffermò la sua determinazione di fare la volontà di Geova, poiché il racconto di Esodo 24:7, 8 ci dice:
14 “Infine [Mosè] prese il libro del patto e lo lesse agli orecchi del popolo. Allora essi dissero: ‘Noi siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito e a ubbidire’. Mosè prese dunque il sangue e lo asperse sul popolo e disse: ‘Ecco il sangue del patto che Geova ha concluso con voi rispetto a tutte queste parole’”. — Si veda anche Ebrei 9:18-20.
15. Che durata aveva quel patto e per chi era vincolante?
15 Quel patto, inaugurato con quei membri lì al monte Sinai, non vincolava solo i presenti ma vincolava anche i loro carnali, naturali discendenti. Era “un patto a tempo indefinito”. (Lev. 24:8) Ciò pose tutti i loro discendenti naturali in una relazione di patto con Dio per tutto il tempo che durava il patto. Di conseguenza gli Israeliti che nacquero nel deserto dopo l’inaugurazione di quel patto al monte Sinai furono nel patto con Dio nel quarantesimo e ultimo anno che furono costretti a vagare nel deserto. Essi continuarono dunque a essere un popolo o nazione dedicata.
16. Sulle pianure di Moab, in che modo molti scelsero di non rimanere in una relazione di patto con Geova?
16 Comunque, quell’ultimo anno (1473 a.E.V.) migliaia di membri di quella nazione dedicata non scelsero di rimanere in una relazione di patto con Geova. Essi ne diedero prova sulle pianure di Moab. Nel racconto che ne fa Mosè, in Numeri 25:1-5, leggiamo:
“Ora Israele dimorava in Sittim. Quindi il popolo cominciò ad avere relazione immorale con le figlie di Moab. E le donne vennero a invitare il popolo ai sacrifici dei loro dèi, e il popolo mangiava e s’inchinava ai loro dèi. Israele si unì dunque [o: Israele si accoppiò, American Translation; o: Israele si aggiogò, RS] al Baal di Peor; e l’ira di Geova s’infiammava contro Israele.
“Per cui Geova disse a Mosè: ‘Prendi tutti i capi del popolo ed esponili a Geova verso il sole, affinché l’ardente ira di Geova si ritiri da Israele’. Quindi Mosè disse ai giudici d’Israele: ‘Ciascuno di voi uccida i suoi uomini che hanno attaccamento [che si sono accoppiati, AT; aggiogati, RS] per il Baal di Peor’”. — NM; Mo.
17. (a) Quanti vi morirono per avere infranto il loro patto con Geova? (b) In Osea 9:10, come Geova parla del loro attaccamento al Baal di Peor?
17 Ventiquattromila morirono per avere infranto il loro impegno di ‘fare tutto ciò che Geova ha proferito’. (Num. 25:9; 1 Cor. 10:8) Oltre settecento anni dopo Geova si riferì a questo vergognoso episodio, per mezzo del suo profeta Osea. Prima egli dice come gli era desiderabile la nazione d’Israele e quindi dice come fu che molti Israeliti gli divennero disgustosi. Geova dice: “Trovai Israele come uve nel deserto. Come i fichi primaticci su un fico al suo principio vidi i vostri antenati. Essi stessi andarono al Baal di Peor, e si dedicavano alla cosa vergognosa, e divennero disgustanti come la cosa del loro amore”. (Osea 9:10) La Sacra Bibbia a cura del Pontificio Istituto Biblico dice: “Si votarono all’infame divinità”. Poiché quegli Israeliti si separavano da Dio per passare a un’altra divinità, La Sacra Bibbia a cura di mons. S. Garofalo dice: “Essi . . . si consacrarono all’infamia”. (Anche La Sacra Bibbia di Fulvio Nardoni)
18. (a) In che modo La Sacra Bibbia di Giovanni Diodati mette in evidenza in Osea 9:10 la slealtà del loro atto verso Geova? (b) Com’è messa in risalto la slealtà in relazione alla stessa parola ebraica in Ezechiele 14:7, 8?
18 Quegli infedeli Israeliti erano stati dedicati al solo vivente e vero Dio, ma ora si erano separati da Lui per votarsi o dedicarsi a Baal. Per mettere in evidenza tale atto sleale, La Sacra Bibbia di Giovanni Diodati dice: “Si separarono dietro a quella cosa vergognosa”. Qui l’essenziale verbo ebraico è na·zarʹ e viene usato in relazione a ciò che un nazireo giudeo faceva quando si separava in maniera speciale a Dio. (Num. 6:1-8) Nei giorni del profeta Ezechiele, poco prima della prima distruzione di Gerusalemme nel 607 a.E.V., molti Israeliti agirono in maniera simile a ciò che avevano fatto gli infedeli Israeliti ai giorni di Mosè nelle pianure di Moab. Riguardo a tali sleali Geova disse al profeta Ezechiele:
“Qualsiasi uomo della casa d’Israele o dei residenti forestieri che risiedono come forestieri in Israele, che si ritrae [na·zarʹ] dal seguirmi e che si porta sul cuore i suoi idoli di letame e che si mette di fronte alla faccia la medesima pietra d’inciampo che causa il suo errore . . . lo devo stroncare di mezzo al mio popolo; e dovrete conoscere che io sono Geova”. — Ezec. 14:7, 8.
19. (a) La dedicazione di quegli sleali Israeliti al Baal di Peor comporta forse qualche altra dedicazione? (b) Invece di parlare di separarsi al Baal di Peor, che cosa dice specificamente Numeri 25:3?
19 Il linguaggio stesso indica che quegli Israeliti separatisti si trovavano prima in una relazione di patto con Geova Dio, nella quale relazione li avevano portati i loro antenati dicendo al mediatore Mosè: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito e a ubbidire”. (Eso. 24:7; 19:8) Ma ora, abbandonando il patto e dandosi all’idolatria, infrangevano la loro dedicazione a Geova e si dedicavano alla cosa idolatrata. Numeri 25:3, invece di dire che Israele si separava a Baal, dice specificamente: “Israele si unì dunque [si aggiogò, RS; gli Israeliti si asservirono, PIB; si congiunse, Yg;a Mo; Le; Je;b anche il versetto 5] al Baal di Peor”. Oggi dovrebbe essere un avvertimento per noi, se qualcuno di noi ha una relazione con Geova Dio. (1 Cor. 10:6, 11) Non desideriamo commettere lo stesso fatale errore. Significherebbe slealtà o ribellione contro il dominio divino.
LA VIA CHE CONDUCE A UN NUOVO PATTO
20. (a) Perché il primo patto non fu senza difetto, e quindi che cosa permise questo? (b) Per mezzo di quale profeta fu predetto il nuovo patto, e che cosa disse Mosè del mediatore migliore?
20 Il patto che Geova fece per mezzo di Mosè con il dedicato popolo d’Israele fu un “patto a tempo indefinito”. Quel patto concluso al monte Sinai non fu senza difetto, a motivo dell’imperfezione degli israeliti e del loro mediatore Mosè. Esso lasciava il posto, perciò, a un patto migliore, un nuovo patto. Geova Dio si propose dunque un nuovo patto e il privilegio di entrare a far parte di questo secondo patto doveva essere offerto alla nazione dell’Israele naturale. Oltre seicento anni prima che questo nuovo patto fosse inaugurato per mezzo di un nuovo mediatore, Geova lo predisse per mezzo del profeta Geremia nel settimo secolo prima della venuta di quel Mediatore migliore. (Ger. 31:31-34; Ebr. 8:6-13) La venuta di questo migliore e più grande Mediatore fu predetta dal profeta Mosè ed egli disse che questo futuro mediatore sarebbe stato suscitato di fra gli Israeliti; sarebbe stato un Israelita naturale. — Deut. 18:15-19; Atti 3:22, 23; 7:37, 38.
21. (a) Quando, dove e con quale annuncio nacque questo mediatore migliore? (b) Perché Gesù celebrò la Pasqua giudaica, e alla sua ultima celebrazione, come che cosa si identificò, e in che modo?
21 Nell’anno 2 a.E.V. nacque quel Mediatore migliore, come discendente del re Davide e nella città di Davide, Betleem. Nello stesso tempo egli era il Figlio di Dio e alla sua nascita l’angelo di Dio annunciò ai pastori nei campi vicino a Betleem: “Vi dichiaro la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà, perché vi è nato oggi un Salvatore, che è Cristo il Signore”. (Luca 2:10, 11) Essendo nato da madre giudea, questi che doveva essere “Cristo il Signore” era un Giudeo naturale e sotto la Legge del patto fra Dio e Israele di cui Mosè era stato mediatore. A conferma di ciò leggiamo, in Galati 4:4: “Ma quando arrivò il pieno limite del tempo, Dio mandò il suo Figlio, che nacque da una donna e che nacque sotto la legge”. Essendo sotto la legge del patto con Israele, Gesù Cristo celebrò la cena pasquale. Alla sua ultima celebrazione della Pasqua, nel 33 E.V., si riferì a sé come al Mediatore del promesso nuovo patto. In che modo? Egli istituì ora ciò che si chiama la Cena del Signore e porgendo il calice di vino ai suoi fedeli apostoli, disse: “Questo calice significa il nuovo patto in virtù del mio sangue, che sarà versato in vostro favore”. (Luca 22:20) Gesù sparse il proprio sangue per convalidare quel patto.
22. (a) Quando si impegnò Gesù a divenire il mediatore del nuovo patto? (b) Perché dapprima Giovanni si rifiutò di battezzare Gesù?
22 Comunque, come il profeta Mosè, il Signore Gesù dovette impegnarsi a divenire quel Mediatore del nuovo patto. Quando prese questo impegno? Al tempo del suo battesimo nel fiume Giordano. All’età di trent’anni lasciò la bottega di falegname a Nazaret e andò da Giovanni Battista per essere immerso in acqua. Questo era un nuovo tipo di battesimo da compiere per Giovanni. Fino ad allora, come leggiamo in Marco 1:4, “Giovanni il battezzatore [era comparso] nel deserto, predicando il battesimo quale simbolo di pentimento per il perdono dei peccati”. (Luca 3:3) Ma Gesù il Figlio di Dio non andò da Giovanni Battista per essere battezzato come simbolo di pentimento per il perdono dei peccati. Gesù era perfetto e senza peccato. (Ebr. 7:26) Non andò da Giovanni con una cattiva coscienza, chiedendo che si facesse ‘richiesta a Dio d’una buona coscienza’. (1 Piet. 3:21) Giovanni lo sapeva e per questa ragione leggiamo che Giovanni “cercava d’impedirglielo, dicendo: ‘Son io che ho bisogno d’esser battezzato da te, e tu vieni a me?’” Ma che cosa rispose Gesù?
23. Che cosa rispose Gesù a Giovanni, e perché disse che conveniva “che adempiamo in questo modo tutto ciò che è giusto” anche se aveva osservato la Legge?
23 “Rispondendo, Gesù gli disse: ‘Lascia fare, questa volta, poiché conviene che adempiamo in questo modo tutto ciò che è giusto’”. (Matt. 3:13-15) Che cosa volle dire Gesù con questo? Quale Giudeo naturale, aveva osservato perfettamente la legge del patto mosaico. Su questo punto disse in seguito nel suo Sermone del Monte: “Non pensate che io sia venuto a distruggere la Legge o i Profeti. Io non sono venuto a distruggere, ma ad adempiere”. (Matt. 5:17) Naturalmente, il patto della Legge con Israele era volontà di Dio, ma sotto questo aspetto Gesù aveva adempiuto la volontà di Dio per tutta la sua vita terrena fino al suo battesimo. Quindi le parole di Gesù: “tutto ciò che è giusto”, significavano qualche cosa che andava oltre il patto della Legge, ma qualche cosa che avrebbe adempiuto gli aspetti simbolici del patto della Legge. Questo era “tutto ciò che è giusto”, poiché era volontà di Dio che egli l’adempisse. Questo è dunque ciò che egli si impegnò a fare al suo battesimo.
24. Secondo Ebrei 10:5-10, quale particolare profezia adempiva Gesù presentandosi per il battesimo?
24 Presentandosi per il battesimo, Gesù adempì realmente le parole dei “Profeti”, com’egli disse. L’apostolo Paolo indica quale profezia Gesù adempì, in Ebrei 10:5-10, dove leggiamo riguardo a Gesù al tempo che venne per il battesimo: “Perciò quando egli viene nel mondo dice: ‘Non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo. Non hai approvato interi olocausti né offerta per il peccato’. Quindi ho detto: ‘Ecco, io vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) per fare, o Dio, la tua volontà’. . . . Mediante la quale ‘volontà’ noi siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo una volta per sempre”. Gesù adempiva così Salmo 40:6-8. La “volontà” di Dio richiedeva che Gesù sacrificasse se stesso, il suo “corpo”.
25. (a) Di che cosa, dunque, fu un simbolo il battesimo in acqua di Gesù? (b) In che modo Gesù era già dedicato e redento?
25 Giacché la profezia lo richiedeva, Gesù avrebbe quindi avuto una cattiva coscienza se non fosse venuto per fare la speciale volontà di Dio e non si fosse perciò presentato a Giovanni per il battesimo. È evidente che il battesimo di Gesù fu simbolico. Il suo battesimo non fu un “simbolo di pentimento per il perdono dei peccati”. Simboleggiò che Gesù veniva o si presentava per fare la volontà di Dio, la quale divina “volontà” includeva l’offerta del corpo di Gesù in sacrificio una volta per sempre. Come Giudeo naturale era già sotto la legge mosaica ed era membro della sola nazione della terra allora dedicata a Dio, per fare “tutto ciò che Geova ha proferito”. Inoltre, come figlio primogenito di Maria, il quale figlio primogenito suo marito Giuseppe adottò come suo proprio figlio primogenito, Gesù fu santificato a Dio e gli appartenne. (Eso. 13:1, 2) Per questa ragione Gesù dovette essere redento da Giuseppe e Maria per permettergli di impegnarsi nel lavoro secolare. (Num. 3:13-51; 18:14-16) Il battesimo di Gesù raffigurò dunque non la dedicazione di se stesso a Dio, ma la presentazione di se stesso per fare la volontà di Dio fino al punto del sacrificio.
26. (a) Come manifestò Dio di avere accettato la presentazione che Gesù gli fece di sé? (b) Fino a che punto Gesù adempì nella carne quella “volontà” divina?
26 Geova Dio rese manifesto che accettava questa presentazione di suo Figlio Gesù in quanto versò il suo spirito santo sul battezzato Gesù e fece udire dal cielo la Sua voce, che disse: “Questo è il mio Figlio, il diletto, che io ho approvato”. (Matt. 3:16, 17) Dopo di che Giovanni Battista annunciò l’unto Gesù come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. (Giov. 1:28-36; Atti 10:37, 38) Gesù adempì la volontà di Dio sino alla fine dei suoi giorni nella carne sulla terra. L’ultima notte che fu sulla terra con il suo naturale corpo umano pregò Dio e disse: “Padre mio, se non è possibile che questo passi senza che io lo beva, si compia la tua volontà”. (Matt. 26:39-44) Il pomeriggio successivo, verso le tre, mentre Gesù era appeso al palo di tortura, come ci dice Giovanni 19:30, “Gesù disse: ‘È compiuto!’ e, chinando la testa, rese il respiro”. Pertanto, secondo la volontà di Dio, il corpo di Gesù fu offerto una volta per sempre.
27. (a) Che specie di risurrezione ebbe Gesù Cristo, e perché? (b) Come venne quindi in possesso di tutto il genere umano, avendo in serbo che cosa per i morti?
27 In armonia con questa offerta in sacrificio del suo perfetto corpo umano, Gesù Cristo fu destato dai morti il terzo giorno non con un corpo di sangue e carne, ma con un corpo spirituale. (1 Piet. 3:18; 1 Cor. 15:42-45) Il quarantesimo giorno dalla sua risurrezione, Gesù ascese al cielo e vi presentò a Dio il valore o merito del suo sacrificio umano a favore di tutto il genere umano. Sulla terra aveva detto che era venuto per “servire e per dare la sua anima come riscatto in cambio di molti”. (Matt. 20:28) L’apostolo Paolo, parlando di Gesù, dice che “[subì] la morte, affinché per immeritata benignità di Dio egli gustasse la morte per ogni uomo”. Paolo parla anche dell’“uomo Cristo Gesù, che diede se stesso quale riscatto corrispondente per tutti”. (Ebr. 2:9; 1 Tim. 2:5, 6) Pertanto Gesù Cristo, presentando a Dio il valore vitale del suo sacrificio umano, riscattò tutto il genere umano, lo comprò, anche senza che esso glielo chiedesse. Per tale motivo, sotto il suo celeste regno ci sarà “una risurrezione sia dei giusti che degli ingiusti”. (Atti 24:15) Gesù Cristo li possiede tutti.
28. (a) Pertanto, che cosa divenne il risuscitato Gesù Cristo rispetto alla salvezza del genere umano? (b) Di quale cosa più grande serve anche quale principale Agente?
28 In tal modo, secondo la divina “volontà”, Gesù Cristo il Figlio di Dio divenne il principale Agente della salvezza per tutto il genere umano. Questo è ciò che dobbiamo comprendere da Ebrei 2:9, 10, che dice: “Vediamo Gesù, che è stato fatto un poco inferiore agli angeli, coronato di gloria e d’onore per aver subìto la morte, affinché per immeritata benignità di Dio egli gustasse la morte per ogni uomo. Poiché conveniva che colui per il quale son tutte le cose e per mezzo del quale sono tutte le cose, conducendo molti figli alla gloria, rendesse perfetto il principale Agente della loro salvezza mediante le sofferenze”. E in Ebrei 5:9, 10: “E dopo essere stato reso perfetto divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono responsabile di salvezza eterna, perché è stato da Dio specificamente chiamato sommo sacerdote secondo la maniera di Melchisedec”. Questi mostrò d’essere degno di servire quale principale Agente del Dominio Divino.
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Seguite il principale Agente del Dominio Divino
1. (a) Perché la decisione presa dai loro antenati al monte Sinai non contò per i naturali circoncisi Giudei quando si trattò ora del nuovo patto? (b) Chi dovevano imitare quei Giudei, e in che modo?
PER i naturali circoncisi Giudei le cose non furono le stesse dopo che Gesù Cristo fu asceso alla celeste presenza di Geova Dio e gli ebbe offerto il prezioso merito del suo sacrificio umano. A causa di ciò il vecchio patto mosaico fu abrogato e fu messo in vigore un nuovo patto col sangue del Figlio di Dio, il Mediatore di questo patto. L’opportunità d’essere portati in questo nuovo patto fu offerta prima ai Giudei naturali. I loro antenati di quindici secoli prima avevano dichiarato al mediatore Mosè: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito”. Ma questo non contava per i loro discendenti rispetto al nuovo patto. Per questo patto successivo ci fu un nuovo Mediatore più grande di Mosè, cioè Gesù Cristo. Per essere portati nel nuovo patto dovevano rispondere a questo Mediatore migliore e più grande: “Noi siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito e a ubbidire”. Imitando il principale Agente del Dominio Divino, Gesù Cristo il Mediatore, questi Giudei naturali dovettero presentarsi a Geova per fare la sua volontà trasmessa loro per mezzo di questo nuovo e più grande Mediatore.
2. Secondo ciò che Pietro disse ai Giudei alla Pentecoste del 33 E.V., che cosa aveva fatto Dio a Gesù che aveva cambiato la situazione per quei Giudei naturali?
2 Veramente era sorta una nuova situazione per i Giudei naturali e vi si dovevano individualmente adattare. Il cristiano apostolo Pietro lo indicò loro il giorno festivo di Pentecoste del 33 E.V., dopo che Geova Dio per mezzo di Gesù Cristo ebbe versato lo spirito santo sui fedeli seguaci del principale Agente del Dominio Divino. Dopo avere spiegato quanto era miracolosamente avvenuto, Pietro disse a quelle migliaia di Giudei radunati: “Effettivamente Davide non ascese ai cieli, ma egli stesso dice: ‘Geova ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”’. Perciò sappia per certo tutta la casa d’Israele che Dio l’ha fatto Signore e Cristo, questo Gesù che voi avete messo al palo”. — Atti 2:34-36.
3. (a) In che modo, come fu illustrato dai loro antenati al monte Sinai, quei Giudei si sarebbero mostrati degni d’essere portati nel nuovo patto? (b) Dopo aver fatto ciò che Pietro e gli altri apostoli avevano detto loro di fare, che cosa indicava che quei Giudei erano stati portati nel nuovo patto?
3 Ora, nella nuova serie di circostanze, in che modo quegli uditori giudei dichiararono: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito”, mostrandosi così degni d’essere portati nel nuovo patto? Fecero questo accettando Gesù, una volta messo al palo, come loro Signore e come Cristo o Messia di Geova e come loro Mediatore predetto e prefigurato dal profeta Mosè. La salvezza non poteva venir loro in nessun altro modo. Migliaia di quei Giudei furono feriti al cuore da ciò che udirono dire da Pietro. Quando chiesero dunque a Pietro e al resto degli apostoli: “Fratelli, che cosa faremo?” Pietro li indirizzò al principale Agente divino della vita, dicendo: “Pentitevi, e ciascuno di voi si battezzi nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei peccati, e riceverete il gratuito dono dello spirito santo. Poiché la promessa è per voi e per i vostri figli e per tutti quelli che son lontani, quanti Geova nostro Dio chiami a sé. . . . Salvatevi da questa perversa generazione”. (Atti 2:37-40) Se dopo essersi immersi in acqua ricevettero il gratuito dono dello spirito santo di Dio per mezzo di Cristo questo significò che furono portati nel nuovo patto.
4. Che cosa simboleggiò, dunque, il battesimo in acqua di quei Giudei?
4 Or dunque, che cosa simboleggiò il loro battesimo in acqua? Dato che il loro battesimo doveva essere fatto “nel nome di Gesù Cristo” e giacché era stato preceduto dal loro pentimento verso Geova Dio, simboleggiava che si presentavano a Dio per fare la sua volontà. Che facessero la sua volontà includeva accettare Gesù Cristo come “Signore” dato da Dio e come “Cristo” o Messia dato da Dio.
5, 6. (a) Per mezzo di chi avrebbero ricevuto il perdono dei peccati, e quali erano i peccati da cui dovevano ora essere perdonati? (b) Secondo Ebrei 9:14, che cosa avrebbe fatto loro ottenere il perdono dei peccati?
5 Senza accettare Gesù Cristo quale “Signore e Cristo” non avrebbero potuto ottenere il “perdono dei [loro] peccati”. Questi peccati che ora Dio perdonava per mezzo di Gesù Cristo non erano i peccati che avevano commesso contro il patto della Legge mosaica. Quel patto con l’Israele naturale era ora passato, annullato, e il promesso nuovo patto era stato ora stipulato tramite il Mediatore migliore, Gesù Cristo. Quindi i peccati di cui avevano bisogno di pentirsi verso Dio erano primariamente il loro peccato contro Dio per aver partecipato a far mettere al palo il suo Figlio Gesù Cristo insieme ai loro peccati in genere. Che ricevessero da Dio il perdono dei peccati per mezzo di Cristo avrebbe permesso loro d’avere una buona coscienza. Riguardo a ciò leggiamo:
6 “Quanto più il sangue del Cristo, che per mezzo di uno spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte affinché rendiamo sacro servizio all’Iddio vivente?” — Ebr. 9:14.
7. Secondo i termini del nuovo patto, che cosa fu promesso riguardo ai peccati, e per mezzo di chi furono portati nel nuovo patto quei battezzati Giudei?
7 Questo perdono dei peccati che dà luogo a una buona coscienza verso Dio era quanto Egli aveva promesso nei termini del nuovo patto. Quando Geova per mezzo del profeta Geremia predisse il nuovo patto, Geova terminò questa profezia dicendo: “Poiché perdonerò il loro errore, e non ricorderò più il loro peccato”. (Ger. 31:31-34) Secoli dopo, scrivendo agli Ebrei convertiti al cristianesimo, discendenti naturali di Abraamo, “amico di Geova”, l’apostolo Paolo citò la profezia di Geremia e proseguì, dicendo: “‘Poiché sarò misericordioso verso le loro opere ingiuste, e non rammenterò più i loro peccati’. Dicendo ‘un nuovo patto’ egli ha reso il precedente antiquato. Ora ciò che è reso antiquato e invecchia è presso a sparire”. (Ebr. 8:12, 13) Perciò, ne consegue logicamente che i tremila Giudei che si pentirono e furono battezzati nel nome di Gesù Cristo e ricevettero il gratuito dono dello spirito santo furono portati nel nuovo patto per mezzo del ‘mediatore migliore’, Gesù Cristo. — Atti 2:41.
8, 9. Alcuni giorni dopo nel tempio, Pietro chi additò ai Giudei, e che cosa dichiarò che dovevano fare, con quale risultato per loro?
8 Alcuni giorni dopo quell’evento di Pentecoste, Pietro e Giovanni si trovarono nel tempio di Gerusalemme. Parlando alla folla che si era radunata intorno a loro, Pietro additò di nuovo ai Giudei il principale Agente del dominio divino. Pietro indicò pure che avevano bisogno di pentirsi e convertirsi, cercando il ristoro che sarebbe venuto da Dio mediante il perdono dei loro peccati per mezzo di Cristo. Pietro continuò a dire:
9 “Il Dio d’Abramo e d’Isacco e di Giacobbe, il Dio dei padri nostri ha glorificato il figlio suo Gesù, che voi deste in mano di Pilato e rinnegaste al suo cospetto, quando egli era deciso a liberarlo. Voi invece rinnegaste il Santo e il Giusto, e chiedeste che vi fosse graziato un assassino. Voi uccideste l’autore [principe, Ga; il principale Agente, NM] della vita; ma Dio lo risuscitò dai morti, e di questo noi siamo testimoni. . . . Ravvedetevi adunque e convertitevi, perché si cancellino i vostri peccati, e possano giungere i tempi del ristoro da parte del Signore, ed Egli mandi colui che è stato a voi destinato per Messia, Gesù, . . . A voi per i primi Iddio, risuscitato il Figlio suo, lo ha inviato a recarvi benedizione, convertendosi ciascuno di voi dalle sue iniquità”. — Atti 3:13-26, PIB; Ga; NM.
10. Perché non ci fu nessun battesimo di pentiti Giudei in quell’occasione, e qual era il solo nome mediante cui esser salvati come dissero Pietro e Giovanni alla Corte?
10 Prima che Pietro e Giovanni potessero disporre che alcuni Giudei pentiti lì nel tempio fossero battezzati, la situazione cambiò, poiché leggiamo: “Or mentre i due parlavano al popolo, sopraggiunsero loro i capi sacerdoti e il capitano del tempio e i Sadducei, infastiditi perché insegnavano al popolo e dichiaravano chiaramente la risurrezione dai morti nel caso di Gesù”. (Atti 4:1, 2) Pietro e Giovanni furono quindi messi sotto custodia per quella notte e il giorno dopo furono processati e rilasciati. Dinanzi alla Corte dichiararono che non c’era sotto il cielo nessun altro nome dato fra gli uomini mediante cui essere salvati eccetto il nome del principale Agente del divino dominio di Geova. (Atti 4:3-23) Gli apostoli si rifiutarono di smettere di seguire colui che aveva tale prezioso nome.
11. (a) Come Filippo l’Evangelizzatore si trovò a predicare in Samaria? (b) Nel nome di chi furono battezzati i credenti samaritani, e così di chi divennero discepoli?
11 In seguito scoppiò a Gerusalemme una violenta persecuzione e il fedele giudeo cristiano Stefano fu lapidato a morte. I discepoli di Cristo si dispersero da Gerusalemme, a eccezione dei dodici apostoli. Fra i dispersi ci fu Filippo l’Evangelizzatore. Egli andò a nord verso la città di Samaria e “predicava loro il Cristo”. Filippo recò grande gioia alla città mediante ciò che predicò e i miracolosi segni che compì. I Samaritani si attenevano al Pentateuco o cinque libri scritti da Mosè e praticavano la circoncisione. Perciò, molti di essi accettarono Gesù Cristo come il ‘mediatore migliore’ prefigurato da Mosè. Nel caso di questi credenti samaritani, Filippo adempì ciò che Gesù aveva comandato di fare, poiché leggiamo: “Ma quand’ebbero creduto a Filippo, che dichiarava la buona notizia del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, erano battezzati, uomini e donne”. (Atti 8:1-13; Matt. 28:19, 20; Atti 1:8) Quei Samaritani furono battezzati nel nome di Gesù, di cui divennero credenti discepoli battezzati.
12. (a) Come Filippo andò a predicare a un eunuco etiope sul suo carro, e nel nome di chi lo battezzò Filippo? (b) Quale corso indicò quel battesimo che era stato intrapreso dall’Etiope?
12 Dopo aver fatto molti discepoli fra quei circoncisi Samaritani, Filippo fu da un angelo di Dio indirizzato verso un circonciso proselito del giudaismo. Quest’uomo, un eunuco etiope, tornava dall’aver adorato in Gerusalemme. Quando Filippo si accostò al carro ed espresse il suo saluto, l’Etiope stava leggendo la profezia d’Isaia, in quello che ora è il cinquantatreesimo capitolo. L’Etiope chiese a Filippo chi vi era descritto da Isaia. Quindi, come ci narra Atti 8:35, “Filippo aprì la bocca e, cominciando da questa Scrittura, gli dichiarò la buona notizia riguardo a Gesù”. Filippo parlò all’Etiope anche del battesimo in acqua e l’uomo chiese d’essere battezzato appena giunsero a un conveniente specchio d’acqua. Filippo lo battezzò, naturalmente, nel nome di Gesù. (Atti 8:36-39) Come quei credenti Samaritani, questo circonciso Etiope si presentò a Geova Dio per fare la sua volontà come discepolo di Gesù Cristo.
“CONVERSIONE DI PERSONE DELLE NAZIONI”
13. (a) Come differivano i Gentili dai Giudei per quanto riguardava la responsabilità nella morte di Gesù e la maledizione della Legge? (b) Quando e con chi Geova cominciò a concedere il pentimento ai Gentili?
13 A differenza dei circoncisi Giudei che condividevano la responsabilità della comunità per aver messo a morte Gesù Cristo fuori di Gerusalemme, il popolo delle nazioni gentili non doveva pentirsi non avendo partecipato in nessun modo a mettere al palo l’innocente Figlio di Dio. Non erano sotto la maledizione del patto della Legge mosaica. (Gal. 3:13) Comunque, erano peccatori discesi dai peccaminosi Adamo ed Eva e avevano molti peccati pagani di cui pentirsi e per cui erano da Dio condannati a morte. Erano, come disse loro l’apostolo Paolo, “senza Cristo, alienati dallo stato d’Israele ed estranei ai patti della promessa, e non avevate nessuna speranza ed eravate senza Dio nel mondo”. (Efes. 2:12) Erano in genere persone incirconcise. Ma nell’anno 36 E.V. Geova Dio cominciò a concedere misericordiosamente “anche alle persone delle nazioni il pentimento a vita”, per mezzo di Gesù Cristo. (Atti 11:18) Colui col quale Egli cominciò fu Cornelio di Cesarea. Questa città era la sede provinciale di Ponzio Pilato, il governatore romano della provincia di Giudea.
14. Cornelio e quelli che erano radunati insieme nella sua casa sapevano già qualche cosa di Gesù, e che cosa disse loro Pietro su come ottenere il perdono dei peccati?
14 Il centurione italiano Cornelio e quelli che aveva radunati nella sua casa sapevano già qualche cosa di Gesù Cristo. Quindi l’apostolo Pietro, mandato a predicare loro, disse loro: “Voi conoscete il soggetto di cui si è parlato in tutta la Giudea, a cominciare dalla Galilea dopo il battesimo predicato da Giovanni, cioè Gesù di Nazaret, come Dio lo unse con spirito santo e potenza, ed egli andò per il paese facendo il bene e sanando tutti quelli che erano oppressi dal Diavolo; perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose che egli fece”. Pietro continuò a dire infine: “A lui tutti i profeti rendono testimonianza, che chiunque ripone fede in lui ottiene per mezzo del suo nome il perdono dei peccati”. — Atti 10:37-43.
15. Che cosa mostra se quei Gentili che ascoltavano ricevettero il perdono dei peccati, e, dietro comando di Pietro, che cosa divennero?
15 Silenziosamente, nel loro cuore, Cornelio e quei Gentili che si erano riuniti con lui divennero credenti in Gesù Cristo e ricevettero il perdono dei peccati per mezzo del suo nome e di conseguenza una buona coscienza verso Dio. Quale evidenza ce ne fu? Il racconto ce lo dice, con le parole: “Mentre Pietro parlava ancora di queste cose lo spirito santo scese su tutti quelli che udivano la parola. E i fedeli venuti con Pietro . . . li udivano parlare in lingue e [magnificare] Dio. Quindi Pietro rispose: ‘Può alcuno proibire l’acqua così che non siano battezzati questi che hanno ricevuto lo spirito santo come noi?’ Allora comandò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo”. (Atti 10:44-48) Essi divennero battezzati discepoli credenti in Cristo.
16. Come Paolo e Sila vennero a trovarsi in prigione a Filippi di Macedonia, e che cosa vi accadde a mezzanotte?
16 Questo fu l’inizio, e in seguito, con l’andare del tempo, altri incirconcisi Gentili furono convertiti e vennero battezzati nel nome di Gesù. Prendete il caso di Filippi di Macedonia, verso l’anno 50 E.V. Dopo che l’apostolo Paolo aveva sanato una ragazza indemoniata che prediceva la fortuna, egli e il suo compagno Sila furono messi in prigione dietro false accuse. Verso mezzanotte, mentre pregavano e lodavano Dio udibilmente, ci fu un grande terremoto e tutti i prigionieri si trovarono miracolosamente liberi dalle catene. Paolo chiamò lo spaventato carceriere perché non si uccidesse, poiché non era fuggito nessun prigioniero. Ora che cosa accadde? Leggiamo:
17. Paolo e Sila come dissero al carceriere e alla sua casa che potevano salvarsi, e come agirono seguendo le informazioni?
17 “Preso da tremore, cadde dinanzi a Paolo e Sila. E li condusse fuori e disse: ‘Signori, che cosa devo fare per esser salvato?’ Essi dissero: ‘Credi al Signore Gesù e sarai salvato, tu e la tua casa’. E dichiararono la parola di Geova a lui e a tutti quelli della sua casa. Ed egli, presili in quell’ora della notte, bagnò le loro vergate; e, tutti, lui e i suoi, furono battezzati senza indugio. E li condusse nella sua casa e apparecchiò loro la tavola, e si rallegrò grandemente con tutta la sua casa ora che aveva creduto in Dio”. — Atti 16:29-34.
18. (a) Di quale gruppo divennero membri il carceriere e la sua casa? (b) Secondo il comando “Credi al Signore Gesù”, la principale azione per la salvezza doveva forse essere rivolta a Gesù, e in che modo la risposta dipende da ciò che accadde poi a questo riguardo?
18 Quell’incirconciso carceriere filippese e la sua famiglia divennero membri battezzati della congregazione cristiana di Filippi, e ricevettero senz’altro lo spirito santo con l’imposizione delle mani dell’apostolo Paolo su di loro. (Filip. 1:1) “Credi al Signore Gesù e sarai salvato”, fu detto loro. Da questa semplice espressione, “Credi al Signore Gesù”, si devono comprendere molte cose. Questo, e anche il fatto che l’incirconciso gentile Cornelio e i conservi credenti che erano nella sua casa furono “battezzati nel nome di Gesù Cristo”, fanno sorgere la domanda: Verso chi fu diretta la principale azione per la salvezza, verso Gesù Cristo o verso Geova Dio? La risposta dipende dal fatto che, dopo avere semplicemente detto al carceriere filippese come ‘salvarsi’, Paolo e Sila “dichiararono la parola di Geova” a lui e a tutta la sua casa e il carceriere si rallegrò grandemente “ora che aveva creduto in Dio”.
19. Secondo Paolo, qual era la condizione religiosa o spirituale di quegli incirconcisi pagani, e a chi dovevano dedicarsi per la salvezza?
19 Dobbiamo ricordare che questi incirconcisi pagani erano non solo “senza Cristo”, ma anche “alienati dallo stato d’Israele ed estranei ai patti della promessa” e “senza Dio nel mondo”. (Efes. 2:12) Appartenevano a quella classe di pagani a cui Paolo scrisse, dicendo: “Voi sapete che quando eravate persone delle nazioni, eravate trascinati dietro quegli idoli senza voce secondo che eravate condotti”. Inoltre: “Vi volgeste dai vostri idoli a Dio per essere schiavi di un Dio vivente e vero”. (1 Cor. 12:2; 1 Tess. 1:9) Erano dedicati a quegli idoli o ai falsi dèi che quegli idoli rappresentavano. Può darsi che avessero sul corpo segni indicanti apertamente a quale dio erano specialmente devoti. (Si paragonino Ezechiele 9:4-6; Osea 9:10). Fondamentalmente, quindi, questi ignoranti pagani incirconcisi avevano bisogno di udire intorno al “Dio vivente e vero”, che è Geova. Quindi, per ottenere la salvezza, dovevano dedicarsi a Lui, per fare la sua volontà. Questo Dio li avrebbe informati mediante chi poteva farsi questa dedicazione a Lui. UbbidendoGli, si sarebbero potuti battezzare.
20, 21. In Romani, capitolo dieci, quali parole di Mosè agli Israeliti cita Paolo riguardo alla disponibilità del comandamento di Dio?
20 Questo è chiaramente esposto dall’apostolo Paolo in Romani, capitolo dieci. Lì, ai versetti da cinque a dieci, egli fa l’applicazione di ciò che Geova Dio ispirò Mosè a dire in Deuteronomio 30:11-14. Ecco ciò che dice quest’ultima citazione:
21 “Poiché questo comandamento che oggi ti comando non è troppo difficile per te, né è lontano. Non è nei cieli, così che tu dica: ‘Chi ascenderà per noi nei cieli e lo prenderà per noi, affinché egli ce lo faccia udire per metterlo in pratica?’ Né è al di là del mare, così che tu dica: ‘Chi passerà al di là del mare e lo prenderà per noi, affinché egli ce lo faccia udire per metterlo in pratica?’ Poiché la parola è molto vicina a te, nella tua propria bocca e nel tuo proprio cuore, affinché tu la metta in pratica”.
22. (a) In che modo il comandamento di Dio fu molto vicino a quegli Israeliti lì sulle pianure di Moab, nella loro bocca e nel loro cuore? (b) Quindi che cosa rimaneva solo da fare a quegli Israeliti? (c) Che cosa conclusero con Dio a quel tempo per indicare che fecero questo?
22 Notiamo che l’ispirato Mosè lo chiama un “comandamento”, qualche cosa che devono fare verso Dio. Dal monte Sinai in poi questo “comandamento” è stato rivelato loro in modo esteso. Come risultato di questo scritto codice della Legge, ripetutamente presentato loro durante i quarant’anni, lo conoscevano e lo potevano proferire con la loro bocca, come se fosse sulla punta della loro lingua. Era stato anche inculcato nel loro cuore, per aiutarli ad afferrarne il senso e ad apprezzarlo. Per cui, tutto ciò che ora rimaneva loro da fare era che determinassero di mettere in pratica questa espressa volontà di Dio. Questo è evidentemente ciò che Geova aiutò questi Israeliti a fare inducendoli a concludere un supplementare patto con Lui per mezzo di Mosè. Riguardo a ciò, Deuteronomio 29:1 dice: “Queste sono le parole del patto che Geova comandò a Mosè di concludere coi figli d’Israele nel paese di Moab oltre al patto che egli aveva concluso con loro in Horeb”.
23. (a) Chi ci spiega il significato antitipico di ciò, e dove? (b) Quanto vicino ai Giudei pose Dio il suo provvedimento per la giustizia, ma perché non se ne valsero?
23 Tutto ciò ebbe un significato tipico, che prefigurava qualche cosa in relazione al più grande Mosè, il ‘mediatore migliore’, Gesù Cristo. Il cristiano apostolo Paolo ci spiega il significato antitipico, nella sua lettera ai Romani, capitolo dieci, per mostrare come possiamo ottenere giustizia presso Dio e una buona coscienza verso di lui. Questo richiede fede verso Dio, in quanto non si può ottenere giustizia con i propri sforzi d’osservare la Legge mosaica. Confidando nelle proprie opere di mostrarsi giusti dinanzi a Dio, i Giudei non sentirono nessun bisogno di esercitare fede nel provvedimento che Dio aveva reso loro disponibile, ponendolo proprio vicino a loro, in mezzo a loro, dove potevano valersene. Per ottenere la salvezza, i cristiani devono agire in modo assai diverso da come agirono quegli increduli Giudei.
CONFESSIONE CON LA BOCCA
24. (a) Che cosa disse Mosè riguardo alla Legge, ma la giustizia che richiede fede che cosa dice della disponibilità del comandamento di Dio? (b) Che parte hanno il cuore e la bocca in quanto alla giustizia e alla salvezza?
24 In armonia con questa esigenza, che è conforme al comandamento di Dio, l’apostolo Paolo prosegue, dicendo: “Poiché Mosè scrive che l’uomo che ha osservato la giustizia della Legge vivrà per essa. Ma la giustizia risultante dalla fede parla in questa maniera: ‘Non dire nel tuo cuore: “Chi ascenderà in cielo?” cioè per farne scendere Cristo; o: “Chi scenderà nell’abisso?” cioè per far salire Cristo dai morti’. Ma che cosa dice? ‘La parola è presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore’; cioè la ‘parola’ della fede, che noi predichiamo. Poiché se pubblicamente dichiari quella ‘parola della tua bocca’, che Gesù è il Signore, ed eserciti fede nel tuo cuore che Dio lo ha destato dai morti, sarai salvato. Poiché col cuore si esercita fede per la giustizia, ma con la bocca si fa pubblica dichiarazione per la salvezza”. — Rom. 10:5-10.
25. (a) Quanto vicino ai Gentili portò Paolo quella “parola”, e come il Signore Gesù specialmente ci rese possibili queste informazioni? (b) Ora che quella “parola” era così vicina, quale domanda sorgeva riguardo a quelli che cercavano la salvezza?
25 Specialmente per mezzo dell’apostolo Paolo, che fu, “in realtà, apostolo delle nazioni”, e per mezzo dei suoi compagni missionari, la “parola” riguardo a Dio e al suo Cristo fu portata vicino al popolo delle nazioni gentili, così che la ripetessero con la loro bocca e la tenessero con apprezzamento nel loro cuore. Inoltre, Gesù Cristo aveva reso loro possibili queste informazioni scendendo dal cielo per rendere testimonianza a Dio e al suo proposito; ed era stato anche destato dai morti dall’Onnipotente Dio affinché fosse una vivente testimonianza dell’adempimento e della realizzazione del proposito di Dio. Fu anche inequivocabilmente provato che era il “Signore”, il principale Agente del divino dominio di Geova. La salvifica “parola” era dunque lì, dove questi Gentili potevano ottenerla, così vicino a loro come se fosse stata nella loro bocca e nel loro cuore. Ma sorgeva la domanda: Che cosa ne avrebbero fatto? Se volevano la salvezza eterna, dovevano fare solo una cosa. Per giunta, ciò che dovevano fare con essa per la salvezza era comandato loro da Dio stesso. Ricordate che Mosè fu ispirato a chiamare quella “parola” un “comandamento che oggi ti comando”. (Deut. 30:11-14) Per salvarci, dobbiamo ubbidire.
26, 27. (a) Qual è la “parola” che Dio ci comanda di accettare con fede? (b) Quale disse Gesù ai Giudei che era “l’opera di Dio” riguardo a cui avevano chiesto, e in che modo Paolo disse ai Greci sull’Areopago, in Atene, che questa è l’“opera” che Dio comanda?
26 Sì, Geova Dio, che stabilisce tutti i termini per la salvezza, ci comanda di accettare con fede la parola, cioè che Gesù Cristo è il Signore e che Dio lo ha destato dai morti. Questo è esattamente ciò che Gesù disse ai Giudei in risposta alla loro domanda: “Che faremo per eseguire le opere di Dio?” Gesù disse: “Questa è l’opera di Dio, che voi esercitiate fede in colui che Egli ha mandato”. (Giov. 6:28, 29) Ciò si applica anche ai non Giudei o incirconcisi Gentili. Non c’è perciò nessun altro corso se non che i Gentili informati si dedichino a Dio per fare la Sua volontà, per eseguire l’opera di Dio. Si dovevano perciò allontanare dai falsi dèi idolatrici a cui erano stati sino ad allora dedicati. Questo è in armonia con ciò che l’apostolo Paolo disse ai Greci pagani radunati sull’Areopago, ad Atene:
27 “È vero che Dio non ha tenuto conto dei tempi di tale ignoranza, ma ora dice [chiama, Ga; intìma, PIB; impone, Rotherham] al genere umano che tutti, in ogni luogo, si pentano. Perché ha stabilito un giorno in cui si propone di giudicare la terra abitata con giustizia mediante un uomo che ha costituito, e ne ha fornito garanzia a tutti in quanto lo ha risuscitato dai morti”. — Atti 17:30, 31.
“PUBBLICA DICHIARAZIONE PER LA SALVEZZA”
28. (a) Che cosa ci è comandato di fare per mezzo del cuore? (b) Qual è la “parola” che dobbiamo accettare con fede? (c) Come coltiviamo tale fede nel nostro cuore, così che facciamo che cosa?
28 In armonia con la nostra dedicazione a Geova Dio per fare la sua volontà mediante l’osservanza dei suoi comandamenti, dobbiamo con ubbidienza fare come fu comandato: ‘esercitare fede nel proprio cuore’. Sappiamo che è dal cuore che nasce l’affetto o l’amore e che esso ha il potere di spronare il suo possessore. Con esso proviamo apprezzamento. Col cuore dobbiamo dunque ‘esercitare fede’ in che cosa? In quella “parola” che Geova Dio ha recato vicino a noi per mezzo di Gesù Cristo. L’apostolo Paolo dice che questa “parola”, per citare lui, è “la ‘parola’ della fede, che noi predichiamo”. L’accettazione di quella “parola” predicata dall’apostolo Paolo richiede che si eserciti fede e dobbiamo fare questo col cuore. Dobbiamo volgere il nostro cuore a quella “parola” predicata. Nel nostro cuore dobbiamo nutrire amore per quella “parola”. Nel nostro cuore dobbiamo edificare sincero apprezzamento per quella “parola”. Questa condizione di cuore ci spingerà o ci spronerà a riporre fede in quella parola e ad accettarla e a metterla in pratica.
29. Riguardo a che cosa dobbiamo esercitare fede nel nostro cuore, e verso chi è dunque diretta la nostra principale azione per la salvezza?
29 Riguardo a che cosa ci è chiesto di ‘esercitare fede nel nostro cuore’? Riguardo a questo: “che Dio lo ha destato dai morti”. Ah, qui vediamo che non si tratta solo di ‘credere al Signore Gesù’ per salvarsi. (Atti 16:31) Anzitutto, dobbiamo esercitare fede in Dio. È sempre vero, come ci rammenta Paolo, che “chiunque invoca il nome di Geova sarà salvato”. (Rom. 10:13) È Geova che dobbiamo amare con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima, con tutta la nostra mente e con tutta la nostra forza. Egli è l’Onnipotente che destò Gesù Cristo dai morti alla vita immortale. Geova è perciò colui verso il quale è diretta la nostra principale azione. È a lui che dobbiamo fare la dedicazione di noi stessi per compiere la Sua volontà, per osservare i Suoi comandamenti. — Rom. 10:8, 9.
30. (a) Con il nostro cuore, che cosa dobbiamo credere che Dio fece riguardo a Gesù Cristo? (b) Pertanto in che senso Dio ci rese disponibile una sostanziale “parola”?
30 Quindi i nostri cuori dedicati, pieni d’amore e d’apprezzamento, devono spingerci a esercitare fede che Geova Dio compì lo stupendo miracolo di destare dai morti Gesù Cristo che era stato messo al palo. In tal modo Dio rese possibile che Gesù Cristo ascendesse alla divina presenza nel cielo e vi presentasse il valore del suo sacrificio di espiazione per il beneficio di tutto il genere umano, acquistandoli in tal modo tutti. Con la morte di sacrificio, Gesù Cristo scese nell’“abisso”, ma lo spirito o forza attiva di Geova scese in quell’“abisso” per “far salire Cristo dai morti”. Per mezzo di un Cristo vivente, quindi, l’Onnipotente Dio Geova poté renderci disponibile la “parola”, poté dare un contenuto o sostanza a quella “parola”, poté fare in modo che quella “parola” contenesse per noi un messaggio di vita. Tutto considerato, quindi, Geova è Colui verso cui principalmente dovremmo agire dedicandoci a lui. Ma dobbiamo far questo per mezzo del suo principale Agente, Gesù Cristo. — Rom. 10:6, 7; Ebr. 2:9, 10; 5:8, 9.
31. Il nome di chi dobbiamo dunque invocare per la salvezza, ma perché la nostra bocca deve anche fare una confessione riguardo a Gesù Cristo?
31 Ne consegue inevitabilmente che dobbiamo invocare “il nome di Geova” per essere salvati. (Rom. 10:13; Atti 2:21; Gioe. 2:32) Ciò richiede che la bocca, spronata dal cuore, faccia qualche cosa. Con la bocca siamo obbligati a invocare il nome di Geova. Ma ora, siccome Dio destò Cristo dai morti, non possiamo invocarlo indipendentemente da Gesù Cristo. Con la nostra bocca dobbiamo anche fare confessione riguardo a Gesù Cristo. Ecco perché l’apostolo Paolo, considerando la “parola” della fede che predicava, continua dicendo: “Poiché se pubblicamente dichiari quella ‘parola della tua bocca’, che Gesù è il Signore, ed eserciti fede nel tuo cuore che Dio lo ha destato dai morti, sarai salvato. Poiché [1] col cuore si esercita fede per la giustizia, ma [2] con la bocca si fa pubblica dichiarazione per la salvezza”. — Rom. 10:9, 10.
32. (a) Il fare questa pubblica dichiarazione con la nostra bocca com’è chiamato in altre traduzioni della Bibbia? (b) Quand’è che viene fatta questa confessione orale per la salvezza?
32 Quand’è che “si fa pubblica dichiarazione per la salvezza”? Questo si fa e deve farsi prima che il dedicato credente si battezzi “nel nome del Padre e del Figlio e dello spirito santo”. (Matt. 28:19, 20; Atti 16:31-33; 17:33; 19:1-7) Questa pubblica dichiarazione è una confessione, come mostrano la Traduzione interlineare del Regno (inglese) e altre traduzioni della Bibbia. (Na; PIB) La traduzione di Byington e An American Translation lo rendono come un “riconoscimento”. Questa confessione o riconoscimento è ciò che ora in qualità di credenti dedicati facciamo oralmente al ministro cristiano che presiede il battesimo in acqua o dinanzi a lui. Naturalmente, continuiamo poi a fare questa confessione nelle nostre adunanze di congregazione. (Ebr. 10:23) Anche dinanzi ad autorità governative o giudiziarie che possono chiederci spiegazione della nostra speranza cristiana. (1 Piet. 3:15) Inoltre, nella nostra predicazione pubblica di casa in casa e nelle nostre visite ulteriori alle case private dove abbiamo trovato persone interessate. Ma, necessariamente, questa confessione comincia prima del battesimo. La semplice testimonianza orale come persona non dedicata prima del battesimo non salva.
33. Che cosa significa una confessione, e che cosa dobbiamo confessare dinanzi ad altri per la salvezza?
33 Naturalmente, una confessione significa una dichiarazione, rivelazione, ammissione o un riconoscimento di qualche cosa a un altro o ad altri. Or dunque, che cos’è che dobbiamo dichiarare, o riconoscere, oralmente dinanzi ad altri? È la “parola”, naturalmente. Paolo dice: “Se pubblicamente dichiari quella ‘parola della tua bocca’, che Gesù è il Signore, . . . sarai salvato”. (Rom. 10:9) Per cui non possiamo escludere Gesù Cristo dai propositi e dalle disposizioni di Dio, poiché Gesù è il “principale Agente della loro salvezza”. (Ebr. 2:10) Dobbiamo oralmente dichiarare, confessare, ammettere, riconoscere che Gesù è non solo il “Signore” del re Davide, ma anche il nostro personale “Signore”. (Sal. 110:1; Atti 2:34-46) Dobbiamo fare questa dichiarazione dinanzi ad altri secondo la “parola” che fu ispirata dallo spirito di Dio.
34. Secondo I Corinti 12:2, 3, sotto la direttiva di che cosa confessiamo che Gesù è Signore, e per quanto tempo ci atteniamo a quella confessione per la salvezza?
34 Per questa ragione l’apostolo Paolo disse: “Perciò vi faccio conoscere [agli ex devoti di idoli] che nessuno quando parla per lo spirito di Dio dice: ‘Gesù è maledetto!’ e nessuno può dire: ‘Gesù è Signore!’ se non per lo spirito santo”. (1 Cor. 12:2, 3) Lo spirito di Dio che è in noi ci guida a fare la giusta confessione, riconoscimento o dichiarazione ad altri, cioè che Gesù è “Signore” per nomina di Dio. Dio destò Gesù dai morti affinché fosse un Signore vivente. Dio pose il risuscitato Gesù a sedere alla sua destra e lo rese “Signore” più alto di ogni altra creazione. Se desideriamo la salvezza eterna, dobbiamo attenerci alla pubblica dichiarazione, confessione o riconoscimento che facemmo prima del nostro battesimo in acqua, cioè che Gesù Cristo è il Signore costituito da Geova Dio su di noi e che noi amorevolmente accettiamo.
COME RINNEGARE SE STESSI
35. Che cosa disse Gesù agli apostoli che doveva fare chi vuole andare dietro a lui?
35 Confessando con la nostra bocca che Gesù è il nostro Signore assumiamo un certo obbligo. Gesù vi si riferì dopo avere rimproverato Pietro che aveva cercato di dissuaderlo dal continuare nella sua via fino alla morte sul palo di tortura a Gerusalemme. Leggiamo: “Gesù disse quindi ai suoi discepoli: ‘Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda il suo palo di tortura e mi segua’”. (Matt. 16:24) La traduzione di Byington dice: “Se qualcuno desidera venire dietro a me, disconosca se stesso e prenda la sua croce e mi segua”. Spiegando il significato di “rinnegare”, Il Vocabolario della Lingua Italiana di Nicola Zingarelli dice, fra l’altro: “Dichiarare di non riconoscere, negare di voler ritenere e osservare. . . . Dichiarare di non conoscere”.
36. (a) Quando fu che Pietro rinnegò Gesù tre volte, e con ciò chi riconosceva? (b) Disconoscendo Gesù, a chi Pietro asserì di appartenere?
36 La notte che Gesù fu tradito da Giuda Iscariota, l’apostolo Pietro rinnegò Gesù tre volte. Dopo che quelli che sospettavano di Pietro lo ebbero accusato tre volte d’essere un associato di Gesù, allora, come ci narra Matteo 26:74, Pietro, “cominciò a maledire e a giurare: ‘Io non conosco quell’uomo!’” Rinnegando così Gesù, Pietro si escluse dagli associati o seguaci di Gesù. Ciò facendo, Pietro non si allontanò solo da tutti gli altri. No, si pose piuttosto dalla parte di quelli che non seguivano Gesù, ma che pensavano che Gesù doveva essere processato per sopprimerne la vita. O, per usare l’altra parola, “disconoscere”, Pietro, disconoscendo Gesù come suo Capo e Insegnante asseriva di appartenere a qualcun altro come suo capo e insegnante. Disconoscendo Gesù, Pietro non si metteva in una posizione neutrale, in un posto che non favorisca nessuna parte della contesa, in un posto che esiste per proprio conto e non ha nessuna relazione con nessun altro. Disconoscendo Gesù, Pietro dovette asserire di appartenere a qualcun altro.
37. Che cosa significa dunque rinnegare se stessi per seguire Gesù, e secondo la volontà di chi si fa questo?
37 Vale la stessa cosa per ciò che Gesù disse ai suoi discepoli in Matteo 16:24. Chi rinnega se stesso e prende il suo palo di tortura e continua a seguire Gesù non dice soltanto No! a se stesso rispetto a un desiderio personale ora e a un altro desiderio personale poi. In effetti, dice No! a se stesso per quanto riguarda il continuare a vivere come un egoista che non segue Gesù Cristo. Rinnegando se stesso volta le spalle a tale corso di vita egotistico, materialistico e diviene seguace di Gesù, portando il palo di tortura della morte come lo portò Gesù. Rinnega se stesso quale persona che guida e decide e riconosce per proprio conto, ammettendo che Gesù Cristo è il suo Capo e Insegnante. Questo passo si fa, naturalmente, secondo la volontà di Dio.
38. Che cosa significa rinunziare a se stessi per seguire Gesù, e, come lui, di chi diveniamo schiavi?
38 La Sacra Bibbia a cura del Pontificio Istituto Biblico rende Matteo 16:24: “Chi vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Che cosa significa dunque, in questo caso, rinunziare a se stesso? Per certo significa non pretendere più d’esser padrone di sé. In tal caso, concediamo o cediamo la proprietà di noi stessi a qualcun altro e ammettiamo, riconosciamo che egli è nostro proprietario. Non che diveniamo semplicemente di nessuno. Chi diviene, allora, nostro proprietario perché abbiamo rinunziato a noi stessi per portare il palo e seguire del continuo Gesù Cristo? Senza dubbio, Gesù rinunziò a se stesso; il che significò riconoscere, ammettere che Geova era il suo proprietario e che era egli stesso uno schiavo di Geova. Coerentemente, quindi, allorché noi, per divenire seguaci di Gesù, rinunziamo a noi stessi, concediamo, cediamo la proprietà di noi stessi a Geova, di cui diveniamo schiavi a somiglianza di Cristo. Non siamo più di noi stessi.
39. (a) Che cosa richiede dunque questo da parte di quelli che fanno tale scelta? (b) Come si simboleggia, ma solo dopo aver fatto quale confessione?
39 Che cosa richiede dunque questo da parte nostra dopo che abbiamo fatto questa scelta? Richiede che ci dedichiamo senza riserve a Geova Dio per fare la sua volontà a imitazione di suo Figlio Gesù Cristo. La sua volontà è che siamo fedeli discepoli di Gesù Cristo. La sua volontà è che dichiariamo, confessiamo, riconosciamo che Gesù Cristo è il nostro “Signore” costituito da Dio. Gesù diviene così il nostro Padrone con l’autorità di comandarci e assegnarci compiti. Questa dedicazione a Geova Dio, naturalmente, la facciamo dopo esserci pentiti e convertiti a lui. Indirizziamo la nostra convertita condotta verso il vero obiettivo dedicandoci a Geova Dio per mezzo del suo principale Agente Gesù Cristo. Simboleggiamo ora questa dedicazione con l’immersione in acqua. Questa è la volontà di Dio e noi ci siamo dedicati a Lui per fare tale volontà. Prima del nostro battesimo in acqua dobbiamo fare una pubblica dichiarazione o confessione con la nostra bocca per la salvezza, ciò facendo in aperta espressione di quello che crediamo nel nostro cuore. Solo facendo così intraprendiamo la via dell’eterna salvezza che viene da Dio per mezzo di Cristo.
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La “pubblica dichiarazione per la salvezza” dei dedicati credenti ha inizio prima del battesimo quando essi rispondono oralmente alle domande del ministro che presiede il battesimo
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La relazione del battesimo in acqua con la salvezzaLa Torre di Guardia 1973 | 1° giugno
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La relazione del battesimo in acqua con la salvezza
1. (a) Come I Pietro 3:20, 21 mette in relazione la sopravvivenza di otto anime umane al Diluvio con il battesimo cristiano? (b) Come si distingue il battesimo cristiano dall’acqua?
LA RELAZIONE del battesimo in acqua con la salvezza è commentata dall’apostolo Pietro nella sua prima lettera, al capitolo tre. Dopo aver detto che Gesù fu destato nello spirito e andò a predicare agli spiriti in prigione, Pietro continua dicendo: “La pazienza di Dio aspettava ai giorni di Noè, mentre era costruita l’arca, in cui alcune persone, cioè otto anime, furono salvate attraverso l’acqua. Ciò che corrisponde a questo salva ora anche voi, cioè il battesimo (non il togliere del sudiciume della carne, ma la richiesta fatta a Dio d’una buona coscienza), per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo”. (1 Piet. 3:20, 21) Non è l’acqua a salvare. Il battesimo non è l’acqua battesimale. Il battesimo è il passaggio attraverso l’acqua mediante l’immersione in essa. Il battesimo è un atto, non l’acqua.
2. (a) Come Ebrei 11:7 mostra ciò che recò salvezza a Noè nel diluvio? (b) Nonostante Noè camminasse con Dio prima del diluvio, quale passo decisivo dovette fare per salvarsi?
2 Noè fu salvato dall’acqua del Diluvio. Come fu salvato, lo narra Ebrei 11:7: “Per fede Noè, dopo aver ricevuto divino avvertimento di cose non ancora viste, mostrò santo timore e costruì un’arca per la salvezza della sua casa; e per mezzo di questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia che è secondo la fede”. Anche prima del diluvio “Noè fu uomo giusto. Egli si mostrò senza difetto fra i suoi contemporanei. Noè camminò col vero Dio”. (Gen. 6:9) Ma venne il tempo in cui Noè dovette prendere una grande decisione. Ciò avvenne quando Dio lo avvertì di cose che sarebbero accadute nella sua generazione e gli comandò di costruire un’enorme arca. Per far ciò ci vollero fede e ubbidienza da parte di Noè. Sorse ora la domanda: Avrebbe fatto Noè la volontà di Dio? Egli decise di fare la cosa più grande della sua vita. Quindi si impegnò, si dedicò a fare la volontà di Dio. Questo portò alla salvezza lui e la sua famiglia. Furono salvati in quell’arca. — Si paragoni Ebrei 10:7-9.
3. (a) Quell’arca di salvezza di che cosa divenne dunque un simbolo rispetto a Noè e alla sua famiglia? (b) Quale intimo possedimento ottennero quelle otto anime ubbidendo a motivo della loro fede?
3 Quell’arca divenne dunque un simbolo della dedicazione di Noè a fare la volontà di Dio e del suo adempimento di quella volontà divina con fede e ubbidienza. Quest’arca, che fu un’espressione concreta, tangibile, pratica di dedicazione a fare la volontà di Dio, fu ciò che salvò Noè e altre sette anime umane. Le acque del Diluvio non li salvarono; esse portarono la morte a quelli che erano fuori dell’arca. Dentro l’arca, Noè e la sua famiglia passarono attraverso l’acqua e furono salvati. Dedicandosi a fare la volontà di Dio riguardo all’arca e quindi costruendola Noè ottenne una buona coscienza verso Dio. La sua famiglia fece la stessa cosa con lui. La giustizia che ebbero fino alla costruzione dell’arca non li avrebbe da sola, di per sé, salvati dal Diluvio. La casa in cui vissero Noè e la sua famiglia finché entrarono nell’arca perì.
4. Perché, come illustra il caso dei Giudei sotto il patto della Legge mosaica, una buona coscienza è una cosa che dobbiamo chiedere a Dio?
4 Una cosa corrispondente a ciò è quanto accade a quelli che divengono battezzati discepoli di Gesù Cristo. Una buona coscienza verso Dio non è qualche cosa con cui si nasce o che acquistiamo per noi stessi secondo i nostri termini con opere di nostra propria giustizia. I Giudei cercarono di ottenere una buona coscienza verso Geova Dio sforzandosi di perfezionarsi nel fare le opere comandate dal patto della Legge mosaica con la loro nazione, ma non vi riuscirono. Ecco perché, annualmente, ogni Giorno di Espiazione (10 Tishri), dovevano essere offerti sacrifici propiziatori a loro favore dal sommo sacerdote d’Israele, per ristabilire la loro buona coscienza verso Dio. Pertanto una buona coscienza è qualche cosa di cui dobbiamo fare richiesta a Geova Dio.
5. (a) Come facciamo richiesta a Dio d’una buona coscienza, e come l’otteniamo? (b) Fino ad allora, la volontà di chi facevamo?
5 Per tale motivo Pietro, dichiarando ciò che comporta il battesimo, dice: “Non il togliere del sudiciume della carne, ma la richiesta fatta a Dio d’una buona coscienza”. (1 Piet. 3:21) Come facciamo allora la richiesta a Dio di tale buona coscienza? Agendo come Noè, dedicandoci, prima di passare attraverso l’acqua. Come Noè ci dedichiamo a Geova Dio per fare la sua volontà e d’allora in poi la facciamo. E giacché questo ha relazione con l’essere associati al nuovo patto di Geova di cui Gesù Cristo è Mediatore, dobbiamo agire come agì il popolo d’Israele al monte Sinai prima d’essere portato nel patto della Legge mosaica, allorché si dedicò a Dio con le parole: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito”. (Eso. 19:8; 24:7, 8) Sino ad allora avevamo fatto “la volontà delle nazioni” e avevamo vissuto “per i desideri degli uomini”; ma ora ci dedichiamo a vivere secondo “la volontà di Dio”. (1 Piet. 4:1-3, 19) Questo ci fa ottenere una buona coscienza, poiché quando sappiamo che facciamo la volontà di Dio abbiamo una buona coscienza.
6. Giacché ora possiamo fare la volontà di Dio solo in modo imperfetto, che cosa abbiamo bisogno che sia applicato a nostro favore per mantenere una buona coscienza?
6 Naturalmente, possiamo fare la volontà di Dio solo in modo imperfetto e per tale ragione abbiamo bisogno che il sangue di espiazione di Gesù Cristo sia dal Sommo Sacerdote di Dio applicato a nostro favore, perché siamo purificati dalla macchia del peccato e dell’imperfezione. Come chiede Ebrei 9:14: “Quanto più il sangue del Cristo, che per mezzo di uno spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte affinché rendiamo sacro servizio all’Iddio vivente?”
7. (a) In realtà, che cosa rappresenta dunque la nostra dedicazione a Dio per mezzo di Cristo, secondo le parole di I Pietro 3:21? (b) Per mantenere questa buona coscienza, a che cosa dobbiamo ricorrere di continuo?
7 Così la dedicazione di noi stessi a Dio per fare la sua volontà è invero una “richiesta fatta a Dio d’una buona coscienza”. La buona coscienza risulta non dal fare le nostre proprie opere di personale giustizia, che sono “opere morte”, ma dal fare le opere prescritte da Dio, la volontà di Dio. Ci dedichiamo a Lui per fare questo. Per mantenere questa buona coscienza da che in principio la ricevemmo, dobbiamo ricorrere di continuo ai benefici del sangue sparso da Gesù Cristo quale sacrificio propiziatorio del grande antitipico Giorno di Espiazione. Come ci rammenta Ebrei 9:22, “se il sangue non è versato non ha luogo nessun perdono”. Per questo motivo noi, che siamo perdonati per mezzo di Cristo, non abbiamo più “alcuna consapevolezza di peccati”. — Ebr. 10:1, 2.
8. (a) Per il fatto che ci pentiamo e ci convertiamo e ci dedichiamo, che cosa applica Dio a nostro favore, e che cosa ce ne risulta? (b) Che cosa si può dunque dire che simboleggi il nostro battesimo in acqua? (c) Quali scritture indicano se è il solo battesimo in acqua a salvarci?
8 Pertanto la dedicazione di noi stessi a Dio per mezzo di Cristo costituisce “la richiesta fatta a Dio d’una buona coscienza”. Perché? Perché noi, nella nostra condizione imperfetta e peccaminosa, non siamo accettevoli a Dio. Così, siccome ci pentiamo del peccato e torniamo indietro o ci convertiamo e ci dedichiamo a Dio per mezzo di Cristo, Geova ci applica il purificatore sangue del sacrificio di espiazione di Cristo, liberandoci in tal modo dalla condanna del peccato e dandoci una buona coscienza verso di Lui. Può dunque dirsi che il nostro battesimo in acqua, il nostro passare ubbidientemente attraverso le acque battesimali, simboleggia la nostra dedicazione a Geova Dio per mezzo di Gesù Cristo. Che Noè si impegnasse con ubbidienza a fare la volontà di Dio costruendo l’arca salvò lui e la sua casa, e che noi ci dedichiamo a Dio per fare la sua volontà e quindi l’adempiamo fedelmente “salva ora anche” noi. A questo proposito invochiamo il nome di Geova per essere salvati. (Ebr. 13:15) Crediamo nel Signore Gesù per essere salvati. (Atti 4:12) Facciamo aperta confessione o pubblica dichiarazione con la nostra bocca che “Gesù è il Signore” e crediamo nel nostro cuore che “Dio lo ha destato dai morti”, affinché siamo salvati.
9. Chi ha fatto questi passi positivi che cosa non può dire in seguito rispetto alla sua “richiesta fatta a Dio d’una buona coscienza”?
9 Per tale ragione nessuno che faccia tali positivi passi del pentimento, della conversione e della dedicazione ha motivo di dire in seguito che la sua “richiesta fatta a Dio d’una buona coscienza” non fosse mai esaudita e che Dio non gli desse mai una buona coscienza per cui la sua dedicazione non avesse valore e non sia ora valida per lui.
10. (a) Affinché siamo salvati, per che cosa dobbiamo presentarci? (b) Perché è tramite la “risurrezione di Gesù Cristo” che ora tale battesimo salva anche noi?
10 Perciò possiamo ora comprendere che se vogliamo essere salvati dobbiamo presentarci per il battesimo in acqua, a imitazione di Gesù Cristo e in ubbidienza al suo comando. (Matt. 28:19, 20) Nulla potrebbe essere dichiarato più esplicitamente, in I Pietro 3:21, cioè: “Ciò che corrisponde a questo salva ora anche voi, cioè il battesimo, . . . per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo”. Dobbiamo credere con il nostro cuore che Dio lo risuscitò dai morti. Un Gesù Cristo risuscitato è necessario per la nostra salvezza, poiché solo un risuscitato Figlio di Dio poteva agire come Sommo Sacerdote di Dio offrendo a Dio in cielo il valore del suo vitale sangue versato affinché ottenessimo il perdono dei peccati e una risultante buona coscienza. Egli è necessario perché Dio ci dia una buona coscienza esaudendo la nostra richiesta. — 1 Piet. 3:22.
IL NOSTRO MESSIANICO CONDOTTIERO
11. Lavando le sue vesti nel sangue dell’Agnello che cosa ottiene la “grande folla”, e quale buona ragione ha di acclamare questo Agnello di Dio?
11 Anche la “grande folla” radunata oggi da ogni nazione, tribù, popolo e lingua lava le proprie vesti e le rende bianche nel sangue dell’Agnello Gesù Cristo, ottenendo così una buona coscienza verso Dio. Questa è una buona ragione perché stiano dinanzi al trono di Dio e agitino rami di alberi delle palme, gridando ad alta voce: “La salvezza la dobbiamo al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello”. (Riv. 7:9-14) Essi acclamano così il principale Agente del divino dominio di Geova. Essi lo seguono quale loro Pastore e Condottiero.
12. Da chi dev’essere seguito sulla terra il principale Agente del Dominio Divino, e che facciano questo che cosa significherà per loro?
12 Tutti quelli che divengono dedicati, battezzati discepoli di quel principale Agente del dominio divino devono seguirlo. Per farlo, devono ‘guardare attentamente il principale Agente e Perfezionatore della nostra fede, Gesù’. (Ebr. 12:1, 2) Che facciamo amorevolmente questo significherà per noi eterna salvezza a eterna lode del grande Governatore Divino, Geova Dio.
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L’adunanza di Pittsburgh mette in risalto l’urgenza dei tempiLa Torre di Guardia 1973 | 1° giugno
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L’adunanza di Pittsburgh mette in risalto l’urgenza dei tempi
IL PRIMO giorno di ottobre del 1972, prima dell’alba, cominciarono a radunarsi persone nei pressi dell’Arena Civica di Pittsburgh, in Pennsylvania. L’avvenimento che li attirò fu l’annuale adunanza amministrativa della Watch Tower Bible and Tract Society di Pennsylvania abbinata al conferimento dei diplomi alla cinquantatreesima classe della Scuola Biblica Torre di Guardia di Galaad.
Il programma ebbe inizio alle 8,30 e, dopo la preghiera e la considerazione della scrittura biblica del giorno, i presenti udirono incoraggianti notizie ed esperienze da rappresentanti delle filiali della Società in Germania, Svizzera, Canada, Giamaica e Messico. Quindi il direttore M. G. Henschel lesse alla classe dei diplomandi i saluti inviati dai fratelli di molti paesi: Laos, Hawaii e Micronesia, nonché di molte parti dell’Africa, dell’America Meridionale e dell’Europa.
Il vicepresidente della Società, F. W. Franz, rivolse quindi una vigorosa esortazione di non lasciare che oggi sorga apatia fra il popolo di Dio. È alcuno di noi incline a pensare che il tempo fissato da Dio per agire nel giudizio sia ancora abbastanza lontano e che possiamo tornare allo spensierato modo di vivere che distingue questo mondo? Quindi dobbiamo correggere
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