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IeuAusiliario per capire la Bibbia
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la casa di Ieu, e devo far cessare il governo reale della casa d’Israele”. (Osea 1:4) La casa di Ieu non poteva essere colpevole di spargimento di sangue per aver assolto l’incarico di annientare la casa di Acab, infatti Dio l’aveva lodato per questo. E neanche per aver messo a morte Acazia di Giuda e i suoi fratelli. Infatti in seguito al matrimonio di Ieoram di Giuda, figlio del re Giosafat, con Atalia, figlia di Acab e Izebel, la famiglia reale di Giuda si era imparentata con la malvagia casa di Omri e ne era stata contaminata. La spiegazione sta piuttosto nella dichiarazione che Ieu lasciò sussistere in Israele l’adorazione dei vitelli e non seguì la legge di Geova con tutto il cuore.
La vera potenza del regno di Israele fu spezzata quando cadde la casa di Ieu: difatti il regno sussisté ancora solo per cinquant’anni circa. Soltanto Menaen, che abbatté Sallum l’assassino di Zaccaria, ebbe un figlio che gli succedette al trono. Questo figlio, Pecachia, venne assassinato, e così pure il suo assassino e successore, Peca. Oshea, ultimo re di Israele, fu preso prigioniero dal re d’Assiria. — II Re 15:10, 13-30; 17:4.
Il principale peccato di Israele fu sempre l’adorazione dei vitelli. Questo provocò l’allontanamento da Geova e la conseguente corruzione della nazione. Quindi la colpa per lo “spargimento di sangue di Izreel”, insieme a omicidio, furto, adulterio e altri reati, fu una delle cose dovute alla falsa adorazione che i sovrani permisero al popolo di praticare. (Osea 4:2) Infine Dio dovette “far cessare il governo reale della casa d’Israele”. — Osea 1:4.
SIRIA E ASSIRIA ATTACCANO ISRAELE
Per non essere tornato interamente a Geova e non aver camminato nelle sue vie, Ieu ebbe difficoltà con Azael, re di Siria, per tutta la durata del suo regno. A poco a poco Azael conquistò il territorio di Israele dall’altra parte del Giordano. (II Re 10:32, 33; Amos 1:3, 4) Allo stesso tempo l’Assiria minacciava sempre più l’esistenza stessa di Israele.
IEU MENZIONATO IN ISCRIZIONI ASSIRE
In alcune iscrizioni, Salmaneser III re d’Assiria afferma di aver ricevuto un tributo da Ieu. Un’iscrizione dice: “Il tributo di Ieu (Ia-u-a), figlio di Omri (Hu-um-ri); ricevetti da lui argento, oro, una coppa d’oro da saplu, un vaso d’oro dal fondo a punta, bicchieri d’oro, secchi d’oro, stagno, uno scettro, ed un puruhtu [termine di cui si ignora il significato] di legno”. (In realtà Ieu non era figlio di Omri. Ma sin dall’epoca di Omri l’espressione ricorreva a volte per designare i re di Israele, senza dubbio a motivo del valore di Omri e del fatto che costruì Samaria, la capitale di Israele fino alla conquista del regno delle dieci tribù da parte dell’Assiria).
Oltre a questa iscrizione, sul famoso Obelisco Nero c’è un bassorilievo che rappresenta probabilmente un inviato di Ieu, che s’inchina davanti a Salmaneser e gli offre un tributo. Secondo alcuni commentatori questo, per quanto è dato sapere, è il primo ritratto di un israelita. (Vedi l’illustrazione a p. 120). Comunque non possiamo avere l’assoluta certezza che l’affermazione di Salmaneser rispondesse a verità. Inoltre non si può essere certi che la figura che compare nel bassorilievo fosse l’esatta rappresentazione di un israelita, perché le nazioni di allora potevano attribuire ai nemici un aspetto spiacevole, come al giorno d’oggi disegni o caricature raffigurano personaggi di una nazione nemica in modo meschino, grottesco o odioso.
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IeudiAusiliario per capire la Bibbia
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Ieudi
(Ieùdi) [giudeo].
Funzionario del re Ioiachim incaricato dai principi di Giuda di andare a prendere Baruc e il rotolo di Geremia. In seguito, quando Ieudi lesse il rotolo a Ioiachim, il re lo tagliò a pezzi e lo bruciò, un pezzo per volta, finché distrusse l’intero rotolo. — Ger. 36:14, 21-23, 27, 32.
Ieudi era pronipote di Cusi. (Ger. 36:14) Il suo nome (che significa “giudeo”) e quello del suo antenato indicherebbero secondo alcuni che non era giudeo per nascita, ma un proselito, e il nome del bisnonno potrebbe indicare che la famiglia era originaria di Cus, cioè dell’Etiopia. Tuttavia i rappresentanti delle due generazioni intermedie hanno nomi tipicamente ebraici (Netania il padre e Selemia il nonno) e lo stesso nome Cusi ricorre altrove come nome proprio di un giudeo naturale. (Sof. 1:1) Quindi Ieudi era molto probabilmente un nome proprio ricevuto alla nascita e non un nome acquisito diventando un proselito.
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IllegittimoAusiliario per capire la Bibbia
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Illegittimo
Non secondo la legge. Il termine ebraico per figlio illegittimo è mamzèr, termine di etimologia incerta, forse affine a un termine arabo che significa “corrotto, immondo, contaminato”, a indicare la corruzione o contaminazione della sua nascita.
In Deuteronomio 23:2 la Legge prescriveva: “Nessun figlio illegittimo può entrare nella congregazione di Geova. Fino alla decima generazione nessuno dei suoi può entrare nella congregazione di Geova”. Il numero dieci rappresenta completezza, quindi la “decima” generazione significherebbe che tale persona non avrebbe mai potuto entrare nella congregazione. La stessa legge è dichiarata a proposito di ammoniti e moabiti, e in questo caso è aggiunta l’espressione “a tempo indefinito”, per chiarire il punto. Comunque ammoniti e moabiti erano esclusi non, come dicono alcuni, perché i loro padri avevano avuto una nascita incestuosa, ma perché si erano opposti a Israele mentre era in viaggio verso la Terra Promessa. — Deut. 23:3-6; vedi AMMONITI.
Fornicazione, adulterio e incesto erano detestabili a Geova. Chi commetteva adulterio o incesto veniva messo a morte, e nessuna figlia di Israele doveva diventare una prostituta. (Lev. 18:6, 29; 19:29; 20:10; Deut. 23:17) Inoltre, se il figlio illegittimo avesse ricevuto un’eredità, ciò avrebbe creato confusione e alterato la disposizione familiare, per cui egli non poteva avere eredità in Israele.
Nelle Scritture Greche Cristiane il termine nòthos, che significa figlio illegittimo, nato non da un matrimonio legale, ricorre una volta, in Ebrei 12:8. Com’è indicato dal contesto, lo scrittore paragona Dio a un padre che disciplina suo figlio per amore. Quindi lo scrittore dice: “Se voi siete senza la disciplina della quale tutti son divenuti partecipi, siete realmente figli illegittimi e non figli”. Coloro che si dichiarano figli spirituali di Dio ma praticano il peccato e disubbidiscono sono stroncati dalla congregazione di Dio e non ricevono la disciplina che Dio impartisce ai figli legittimi per portarli alla perfezione.
FUOCO E INCENSO ILLEGITTIMO
In Levitico 10:1 viene usato il termine ebraico zaràh nel descrivere l’episodio in cui Nadab e Abiu figli di Aaronne presentarono a Geova “fuoco illegittimo, che egli non aveva loro prescritto”; per questo Geova li mise a morte mediante il fuoco. (Lev. 10:2; Num. 3:4; 26:61) In seguito Geova comandò che i sacerdoti non bevessero alcolici mentre svolgevano il servizio nel santuario. — Lev. 10:8-11.
Questo sembra indicare che Nadab e Abiu erano in uno stato di ebbrezza, e perciò ebbero la presunzione di offrire fuoco non prescritto. Tale fuoco era probabilmente illegale in quanto al tempo, al luogo o al modo di offrirlo, oppure poteva essere incenso di composizione diversa da quella descritta in Esodo 30:34, 35. L’ubriachezza non scusava il loro peccato.
Lo stesso termine, zaràh, è usato in Esodo 30:9 a proposito del bruciare incenso illegittimo sull’altare dell’incenso nel Santo.
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IlliricoAusiliario per capire la Bibbia
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Illirico
(Illìrico) [lat. Illyricum].
Provincia romana dai confini instabili che grosso modo corrispondeva alle regioni adriatiche dell’odierna Iugoslavia occidentale. Numerose isole pianeggianti si allungano parallele alla costa, e alle spalle della piacevole pianura costiera, lunga e stretta, si eleva un’irregolare catena montuosa. Nell’asciutto e sassoso altopiano che occupa gran parte di questa catena montuosa prevale un clima rigido.
Dopo tre anni di combattimento, nel 9 E.V. l’imperatore Tiberio sottomise completamente i dalmati, e Dalmazia, Giapidia e Liburnia formarono la provincia romana dell’Illirico. Il nome della regione meridionale, “Dalmazia”, finì per indicare l’intera provincia.
In Romani 15:19 l’apostolo Paolo dice di aver predicato in una circoscrizione “fino all’Illirico”. Tuttavia non si può stabilire con certezza se il termine originale greco voleva indicare che Paolo aveva effettivamente predicato nella zona o si era spinto soltanto fino ai confini dell’Illirico.
[Cartina a pagina 658]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
ILLIRICO
MACEDONIA
ACAIA
ITALIA
MARE ADRIATICO
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IllustrazioneAusiliario per capire la Bibbia
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Illustrazione
[gr. parabolè, accostamento o paragone].
Il termine greco ha un significato molto più ampio dei termini italiani “proverbio” e “parabola”. Perciò parabolè può benissimo tradursi “illustrazione”, termine che può avere vari significati, fra cui “parabola” e, in molti casi, “proverbio”. Un “proverbio” racchiude una verità espressa con linguaggio vivace, spesso metaforico, e una “parabola” è un paragone o similitudine, una breve narrazione, di solito immaginaria, da cui si trae una verità morale o spirituale.
Che le Scritture usino il termine parabolè in un senso più lato del termine italiano “parabola” è indicato in Matteo 13:34, 35, dove Matteo fa notare che, a proposito di Gesù Cristo, era stato predetto che avrebbe parlato con “illustrazioni” (NM), “in parabole” (CEI, VR). Il Salmo 78:2, citato a questo riguardo da Matteo, si riferisce a “un’espressione proverbiale” (ebr. mashàl), termine che lo scrittore del Vangelo traduce col greco parabolè. Come implica il significato letterale del termine greco, la parabolè serviva per insegnare o comunicare un’idea, per spiegare una cosa ‘accostandola’ a un’altra cosa simile. (Confronta Marco 4:30). Quasi tutte le traduzioni italiane usano semplicemente la forma italianizzata “parabola” per rendere il termine greco. Tuttavia tale versione non può rendere pienamente l’idea in ogni caso.
Per esempio, in Ebrei 9:9 e 11:19 quasi tutte le traduzioni trovano necessario ricorrere a altre espressioni per rendere il termine parabolè. Nel primo caso il tabernacolo, o tenda, usato da Israele nel deserto è definito dall’apostolo Paolo “un’illustrazione [parabolè, “figura”, CEI; “immagine”, PS; “simbolo”, PIB] per il tempo fissato”. Nel secondo caso l’apostolo dice che Abraamo riebbe Isacco dai morti “in modo illustrativo” (NM) (parabolè, “come un simbolo”, CEI; “quasi in figura”, Ga). Anche il detto “Medico, guarisci te stesso” è definito una parabolè. (Luca 4:23) In considerazione di ciò, un termine più comune come “illustrazione” (NM) permette di rendere in modo coerente parabolè in tutti i casi.
Un altro termine analogo è “allegoria”, che è una lunga metafora in cui una serie di azioni rappresentano altre azioni, mentre i personaggi spesso sono tipi o personificazioni. In Galati 4:24, parlando di Abraamo, Isacco e Sara, Paolo usa una forma del verbo greco allegorèo, che viene tradotta “hanno un senso allegorico”, “sono cose dette allegoricamente” (VR, Mar), più o meno traslitterando il termine, ma che è resa anche “sono come un dramma simbolico” (NM).
L’apostolo Giovanni usava anche un altro termine (paroimìa) nel senso di “paragone” (Giov. 10:6; 16:25, 29); questo viene tradotto “parabola”, “paragone” e “similitudine” (Ga, NM, VR). Pietro ricorse allo stesso termine a proposito del “proverbio” del cane che torna al proprio vomito e della scrofa che si rotola nel fango. — II Piet. 2:22.
EFFICACIA
Le illustrazioni o parabole servono come efficace mezzo didattico in almeno cinque modi: (1) Colpiscono e tengono viva l’attenzione; poche cose suscitano interesse come un’esperienza o un racconto.
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