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Come prendere squali mentre si dormeSvegliatevi! 1978 | 22 dicembre
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Come prendere squali mentre si dorme
Narrato al corrispondente di “Svegliatevi!” nelle Isole Leeward
“SQUALO!” Questo allarmante grido spinge generalmente anche le persone più intrepide a mettersi frettolosamente in salvo. Per noi pescatori delle Indie Occidentali, però, tale avvertimento significa spesso pesce in tavola e un lauto guadagno.
Tuttavia catturare uno di questi mangiatori di uomini non è cosa da poco. E dopo essermi guadagnato da vivere con la pesca per 32 anni, sono convinto che il metodo più sicuro è quello che chiamo il mio “metodo del sonno”. Consiste nel prendere uno squalo mentre si dorme. Permettetemi di spiegare.
Alcuni anni fa cominciai a pescare con trappole fatte di rete metallica tesa su telai di legno. Sono di forma esagonale e hanno imboccature a imbuto da cui entrano i pesci e altre creature marine, che restano così intrappolate. Del diametro generalmente di un metro, le trappole sono ancorate a una pesante pietra. Le deposito a circa tre chilometri dalla spiaggia dell’isola dove abito, Anguilla, nel mar dei Caraibi.
Tuttavia c’era il perenne problema dei grossi pescicani. Cozzavano contro le mie trappole distruggendole, e quindi s’ingozzavano dei pesci liberati. Gli squali più piccoli entravano a volte dalle imboccature delle trappole, divorandone il contenuto.
Una notte, irritato dopo avere aspettato per ore di prendere all’amo uno di questi ladri, ragionai fra me: Perché non mettere la trappola agli squali e prenderli con facilità mentre me ne sto pacificamente a casa a dormire?
Ideai un sistema, ma il mio compagno di pesca era scettico. Conoscendo la natura violenta degli squali in circostanze normali, il mio compagno pensava che era molto meglio non rischiare il collo per salvare pochi pesci. Convinto però che la cosa non era così rischiosa come lui immaginava, raccolsi il materiale per mettere in atto il mio piano.
Trappola semplice ma efficace
In se stessa la trappola era semplice. Presi un pezzo di filo d’acciaio lungo sei metri e del diametro di circa mezzo centimetro e lo attaccai a una pietra di una ventina di chilogrammi. Legai l’altra estremità a un grosso pezzo di legno che sarebbe servito da galleggiante. All’altra estremità di questo galleggiante di legno era attaccato un secondo pezzo dello stesso filo d’acciaio. All’estremità di questo secondo pezzo di filo legai un grosso amo con del pesce per esca. Poi gettai la pietra in fondo al mare vicino alle trappole (alla profondità di quattro metri), lasciando il galleggiante sull’acqua. Quindi mi misi a remare lentamente verso riva, più fiducioso che mai di fare buona pesca se uno squalo fosse venuto a dar fastidio alle mie reti.
La mattina dopo il mio compagno ed io uscimmo in mare come di consueto. Giunti a circa 500 metri dal galleggiante notai immediatamente che un’estremità era sollevata e l’altra sommersa. Con nostra grande soddisfazione vedemmo attaccata all’amo metà di uno squalo lungo un metro e mezzo. Uno squalo più grosso aveva mangiato l’altra metà. Da che uso il mio metodo ho preso più di 500 squali, fra cui squali toro, squali nutrice, ecc. La loro lunghezza varia da 1 a 3 metri.
Si potrebbe pensare che uno squalo preso all’amo e ancorato alla grossa pietra debba soffrire. Ma non è necessariamente così, poiché un esperto in materia dice: “Il cervello piccolo e il sistema nervoso sottosviluppato proteggono lo squalo da sensazioni di dolore o paura, ragion per cui è assai difficile escogitare un mezzo efficace per difendersi dagli squali”.
Tuttavia non si deve pensare che sia una cosa da nulla trascinare a terra uno squalo ancora vivo, anche se preso all’amo. Non è assolutamente facile.
Non è lavoro per i pusillanimi
Lasciate che vi racconti come andò durante due dei miei più difficili incontri con squali di tre metri. Nel primo caso si trattava di un grosso esemplare [Carcharius limbatus], riconoscibile dalla macchia nera all’estremità delle pinne. Accostatomi al galleggiante vicino alle trappole, notai una di queste grosse creature presa nella mia trappola speciale. Il mio compagno suggerì di non toccarlo, perché sembrava troppo grosso per la nostra barchetta di tre metri. Osservando il pesce attraverso una maschera da sub, notai che era stanco e girato a pancia in su.
Nonostante le proteste del mio amico, ero sicuro che se riuscivamo a farlo salire in superficie nella stessa posizione (a pancia in su) potevamo catturarlo. Servendomi di un lungo rampino, lo tirai delicatamente in superficie. Per fortuna non diede segno di voler lottare. Il bianco ventre del pesce fu ben presto sulla linea di galleggiamento della nostra imbarcazione. Rapidamente sventrammo lo squalo, facendo venire allo scoperto i due strati del fegato. Questi fornirono alla carcassa una sufficiente spinta di galleggiamento mentre lo rimorchiavamo a riva.
Tirato in secco un ‘mangiatore di uomini’
Parecchi anni fa presi un grosso ‘mangiatore di uomini’, uno squalo di tre metri, e quello fu un esempio dei pericoli cui si può andare incontro. Giunto nei pressi del luogo dove lo squalo era rimasto intrappolato, procedetti con cautela per accertarmi che era veramente preso all’amo. Osservatane la mole, però, dubitai di potere rimorchiare da solo questo squalo con una barca così piccola. Ma il pensiero di realizzare il guadagno di quasi due mesi (700 dollari in valuta locale, o circa 240.000 lire) con un pesce di questa grossezza mi diede coraggio. Dopo avere riesaminato la situazione, decisi di staccare dal galleggiante la corda a cui era fissato lo squalo, e poi rimorchiare il pesce a riva.
Ora cominciava il difficile. Con quel mostro dietro, feci forza sui remi con tutti i miei 92 chilogrammi, dirigendomi verso la baia più vicina, distante meno di 500 metri. Dapprima non fu molto difficile. Lo squalo mi seguiva come un agnellino. Ma a una novantina di metri dalla riva cominciò a opporre forte resistenza, spingendo la piccola barca a zigzag e facendo ribollire con violenza l’acqua. Più lo squalo tirava, più io premevo disperatamente sui remi.
A circa quattro metri dalla spiaggia balzai nell’acqua che mi arrivava alla cintola, sempre tirando la corda a cui era attaccato lo squalo. Giratami la corda attorno alla vita e alle braccia, indietreggiai a fatica finché la testa del pescecane non poggiò sulla sabbia a circa mezzo metro dal pelo dell’acqua. Tirata in secco la barca e assicurata la corda ad essa, cercai freneticamente qualcosa con cui uccidere il gigantesco pesce. Ma non c’era nulla in vista. Feci di corsa 400 metri buoni e infine trovai un grosso pezzo di legno. Con mio disappunto si spezzò al primo colpo, col risultato che il gigante cominciò a dibattersi nell’acqua e nella sabbia.
Disperato ripresi a correre in giro in cerca di un’arma, percorrendo questa volta più di mezzo chilometro. Trovato un robusto bastone di legno, riuscii in qualche modo a sconfiggere lo squalo. Esausto, tentai di rotolare nella barca questo gigante di quasi tre quintali per trasportarlo in un luogo dove avrei trovato aiuto. Ma non ce la feci a spostarlo. Come ultima risorsa, decisi di rimettere in acqua lo squalo, rimorchiandolo dietro la barca per oltre un chilometro fino a un punto dove trovai ulteriore aiuto.
Davvero utile
Tutte le parti di questa pericolosa creatura marina sono commestibili, eccetto i denti, affilati come un rasoio. Nelle isole la notizia della cattura di uno squalo si sparge rapidamente e le donne vengono direttamente alla barca per acquistarne parti da servire in tavola. Alcune lo preparano a stufato, in casseruola o tagliato a fette. Forse la zuppa di pinne di pescecane è più di vostro gradimento.
Vi sorprenderà sapere che il fegato di alcuni squali è quasi il 10 per cento del peso totale. Ho visto fegati di squalo lunghi un metro e mezzo e larghi quasi un metro. Erano stati messi al sole per far scolare il pregiato olio ricco di vitamine. Ci vogliono un paio di settimane per estrarre tutto l’olio. Comunque, con il metodo della bollitura, ci vuole molto meno. Alcuni pescatori preferiscono eseguire questo lavoro in un luogo isolato a causa dell’odore sgradevole. In media il fegato di squali di questa grandezza produce da 28 a 38 litri di olio. Gli isolani lo usano per combattere raffreddori di testa, epilessia, polmonite, reumatismi e tanti altri malanni.
No, finora non sono stato morso da un pescecane, sebbene una volta, mentre ne uccidevo uno, mi graffiassi un dito con un dente. Il dolore del piccolo graffio durò per ore, e questo mi convinse che il morso di un pescecane può essere mortale.
Da queste parti il grido “SQUALO!” non si ode più tanto spesso. Suppongo che abbiamo preso la maggioranza di quelli più grossi. O forse si è diffusa fra i pescicani la notizia del mio “metodo del sonno”.
[Diagramma/Immagine a pagina 18]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
TRAPPOLA PER SQUALI
GALLEGGIANTE
STACCARE LO SQUALO DI QUI
CORDA O CAVETTO METALLICO
FILO D’ACCIAIO DI 6 mm
4 m
NASSA
ESCA E AMO
PIETRA
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L’antico uso del vischioSvegliatevi! 1978 | 22 dicembre
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L’antico uso del vischio
L’USANZA di regalare il vischio a parenti e amici e di metterlo alle porte d’ingresso degli appartamenti nel corso delle feste natalizie, come simbolo di buona fortuna, è molto diffusa ai nostri giorni. Ma qual è la sua origine e a quali credenze è legata? Il quotidiano italiano La Nazione del 27 dicembre 1977, in un articolo a cura di Alfredo Scanzani intitolato “Le magiche virtù del vischio”, diceva in proposito:
“Il vischio cresce senza bisogno di zolla, abbarbicato al tronco dell’albero ospite, ed è per questo che dagli antichi era chiamato ‘il ramo celeste’, prezioso dono degli dei elargito ai poveri mortali. Elemento indispensabile della liturgia druidica, veniva tagliato dai fusti delle querce con un falcetto d’oro e raccolto in candidi lini, evitando che toccasse il suolo, per non commettere sacrilegio. Il rito voleva che la cerimonia del taglio del vischio fosse compiuta nella sesta notte di luna, perché i sacerdoti potessero così utilizzare al massimo le forze magiche della pianta, durante le funzioni sacre del solstizio d’inverno e quello d’estate. Il sacrificio di due tori offerti agli dei, accompagnato da lunghe litanie propiziatorie, era il ringraziamento per il dono del ‘farmaco universale’ i cui semi, caduti dalle stelle, viaggiando con il fulmine nelle notti di tempesta, si deponevano sulla corteccia delle querce immortali.
“. . . Generalmente nel passato si è creduto che la raccolta del vischio, per favorire fortuna e benessere, dovesse essere fatta prima della mezzanotte della vigilia di Natale; in caso contrario avrebbe favorito soltanto il male e le disgrazie. Non pochi, però, lo tagliavano la notte di Halloween, il 31 ottobre, dopo aver danzato tre volte attorno all’albero, per proteggersi dai demoni e dai fulmini.
“I Latini raccoglievano i magici ramoscelli nel bosco dedicato a Nemi e loro stessi usavano una lama d’oro per ferire l’arbusto. È rappresentato proprio dal vischio il lasciapassare che permetterà a Enea di raggiungere gli Inferi. Un potere quest’ultimo, ricordato anche da una leggenda degli Ainu di Hokkaido [Giappone] che attribuiscono all’albicare delle bacche del vischio, in cui si nasconde la fiamma della saetta, la facoltà di mettere in comunicazione gli uomini con le anime dei morti”.
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