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Prosperità materiale: una meta universaleSvegliatevi! 1982 | 8 maggio
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Prosperità materiale: una meta universale
“SI DICE che il consumismo sia la religione nazionale degli americani. Tutti sono tenuti a voler essere ricchi, ed è una cultura di agi e piaceri. . . . Il materialismo permea ogni aspetto della vita americana”. Questa sarebbe l’idea della vita americana correntemente espressa nei testi scolastici francesi.a
Pur ammettendo che è esagerata, non si può negare che c’è del vero in questa valutazione. Il tenore di vita negli Stati Uniti è diventato il metro per misurare il successo economico di qualsiasi altra nazione. Solo pochi altri paesi (come la Svizzera e la Svezia) possono vantare un simile tenore di vita. Questi pochi sono invidiati da tutti gli altri, inclusi i paesi comunisti.
“Paga più alta”, “meno ore lavorative” e “migliori condizioni di vita”. Questo è ciò che chiedono le classi lavoratrici in tutti i paesi, sia che il loro sistema di governo sia capitalista, socialista o comunista.
Applicato al modo di vedere la vita, il termine “materialismo” è stato così definito: “La dottrina secondo cui agi, piacere e ricchezza sono gli unici o i massimi valori od obiettivi”. Chi negherebbe che una grande percentuale dell’umanità ha adottato tale concezione materialistica della vita? Per molti la prosperità materiale è diventata sinonimo di felicità. Sembra diventata la meta universale da conseguire. Ma con quali mezzi?
Nei paesi industriali molti credono sinceramente che il sistema capitalista offra la migliore speranza di prosperità e felicità. Sono a favore della libera impresa, con le minori ingerenze che sia possibile da parte dello stato.
Milioni d’altri invece sono convinti che il capitalismo favorisca la minoranza, a discapito della maggioranza. Preferiscono il comunismo, un sistema economico e politico in virtù del quale tutta la proprietà è posseduta dalla comunità o dallo stato. Sono disposti a rinunciare a certe libertà purché lo stato garantisca loro la prosperità materiale.
In mezzo a questi due gruppi ci sono milioni d’altri per i quali la via della prosperità materiale non passa né attraverso il capitalismo né attraverso il comunismo. Riconoscono gli svantaggi del sistema capitalista, ma anche i pericoli del comunismo. Sperano di realizzare, per mezzo di riforme, una società democratica egualitaria basata sulla pianificazione statale e sul pubblico controllo dei principali mezzi di produzione. Questi sono i socialisti, chiamati in vario modo: socialdemocratici, laburisti, ecc.
Un breve esame della storia del capitalismo, del comunismo e del socialismo, e dei risultati conseguiti da questi sistemi, ci aiuterà a vedere se alcuno di essi può dare vera felicità.
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Possono dare vera felicità?Svegliatevi! 1982 | 8 maggio
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Possono dare vera felicità?
Capitalismo? Comunismo? Socialismo?
L’IDEA di conseguire la felicità attraverso la prosperità materiale non è nuova. Caratterizzava il modo di vivere di molti antichi greci e romani, ma nel medioevo divenne impopolare. Perché? Più che altro per motivi religiosi.
La società medievale era dominata dalla religione in ogni aspetto dell’attività umana. Per la Chiesa Ortodossa Orientale e la Chiesa Cattolica Romana la povertà era una virtù. Era una “prova” che doveva essere accettata dai poveri. I ricchi erano ricchi e i poveri erano poveri in virtù di quello che era definito un ordinamento stabilito da Dio. La povertà volontaria era considerata “santa” e l’“usura” (prestare denaro dietro compenso) era condannata dal diritto canonico.
Ma mentre da un lato i capitoli delle cattedrali cattoliche lanciavano anatemi contro gli usurai ebrei, dall’altro prestavano denaro a interesse elevato. Il papato stesso divenne “il più grande istituto finanziario del medioevo”. Questo ordinamento fu in vigore durante gran parte di quel periodo.
Il sorgere del capitalismo
Con il crollo del sistema feudale si sviluppò il commercio nelle città e fra le città. Anche il commercio fra le nazioni. E le idee circolavano più liberamente, in particolare dopo l’invenzione della macchina da stampa. L’influenza della Chiesa Cattolica cominciò a calare.
Il cattolicesimo medievale era stato il maggiore ostacolo allo sviluppo di un nuovo sistema economico. Tuttavia verso la fine del medioevo proprio nell’ambito della cristianità cattolica erano sorte imprese capitalistiche basate su attività commerciali, industriali e bancarie. Questo era avvenuto in città cattoliche come Venezia in Italia, Augusta in Germania e Anversa nelle Fiandre.
Poi nel XVI secolo ci fu la Riforma protestante. Anche se è un’esagerazione dire che la Riforma generò il capitalismo, essa diffuse idee che vi contribuirono. Anzitutto il calvinismo liberò il legittimo profitto commerciale dal marchio di “usura”. Inoltre, certe convinzioni protestanti diedero alle persone l’incentivo a lavorare strenuamente per avere successo nella vita e dimostrare così che erano fra gli “eletti”. Il successo negli affari era considerato un segno della benedizione divina. La ricchezza ottenuta divenne “capitale” da investire nelle proprie imprese commerciali o in quelle di qualcun altro. Così l’etica protestante del duro lavoro e della parsimonia contribuì all’espansione del capitalismo.
Non sorprende che l’economia capitalistica si sia sviluppata più in fretta nei paesi protestanti che negli stati cattolici. Ma la Chiesa Cattolica ricuperò in fretta il tempo perduto. Permise che il capitalismo si sviluppasse nei paesi dov’essa era potente e divenne di diritto un’organizzazione capitalistica estremamente ricca.a
Il capitalismo rappresentò senz’altro un miglioramento rispetto al sistema feudale, se non altro per la maggiore libertà che portò alle classi lavoratrici. Ma portò anche molte ingiustizie. L’abisso fra i ricchi e i poveri tendeva ad allargarsi. Dal lato negativo causò sfruttamento e lotta di classe. Dal lato positivo produsse in alcuni paesi una ricca società dei consumi con abbondanza di beni materiali. Ma ha prodotto anche un vuoto spirituale e non ha recato felicità autentica e duratura.
Il comunismo porta alla felicità?
La Riforma protestante fu una rivolta contro gli abusi papali di potere e di privilegi. Ma scatenò una valanga di idee che andavano molto più in là di quanto non avessero previsto in origine i riformatori. Queste idee — prima o poi — avrebbero causato rivoluzioni in altri campi oltre che in quello religioso. Non solo la rivolta contro Roma favorì lo sviluppo del capitalismo ma contribuì anche a innovazioni nel campo scientifico, tecnologico e filosofico, facendo nascere idee ateistiche.
Con l’avvento della macchina a vapore e di altre macchine, il capitalismo si estese dal campo commerciale a quello industriale. L’ultima parte del XVIII secolo e il XIX secolo videro sorgere enormi fabbriche che richiedevano molta forza lavorativa reclutata fra contadini, artigiani e perfino bambini. Ma lo “sfruttamento [capitalistico] dell’uomo sull’uomo” portò alla creazione di movimenti operai e di filosofie rivoluzionarie come il comunismo.
In teoria, il termine “comunismo” si riferisce a “sistemi di organizzazione sociale basati sul possesso comune di tutti i beni, o su un’uguale distribuzione del reddito e della ricchezza”. In pratica, il comunismo è un sistema di governo in cui i beni appartengono allo stato, che controlla l’economia in virtù di una struttura politica unipartitica.
Per milioni di non abbienti in varie parti del mondo il comunismo sembrava offrire la speranza di una vita migliore e il modo di eliminare le evidenti disuguaglianze create dal sistema capitalista. Molti erano anche disposti a rinunciare a immediate speranze di libertà se, con la rivoluzione, si potevano ottenere migliori condizioni di vita. La libertà sarebbe venuta poi, così pensavano. Ma sono passati anni. Il sistema di governo comunista ha avuto il tempo di mostrare cos’era capace di fare in molti paesi. I risultati sono stati deludenti, anche per quanto riguarda la prosperità materiale, per non parlare di libertà e felicità.
Per anni nel mondo occidentale molti giovani — e perfino alcuni non tanto giovani — sono stati attratti dall’ideologia comunista. Ma le insistenti cattive notizie che filtrano da molti paesi comunisti e l’esodo dei profughi hanno finito per deludere molti.
Socialismo: un sistema migliore?
La parola “socialismo” viene dal latino socius, che significa “compagno”. Fu usata per la prima volta in Inghilterra all’inizio del XIX secolo e un po’ più tardi in Francia. Fu applicata alle teorie sociali dell’inglese Robert Owen (1771-1858) e dei francesi Saint-Simon (1760-1825) e Charles Fourier (1772-1837).
Owen criticava l’organizzazione capitalistica dell’industria, basata sulla competizione e sullo sfruttamento degli operai. Egli raccomandò un sistema cooperativo in cui gli uomini e le donne sarebbero vissuti in “comunità confederate”, godendo dei frutti delle loro fatiche sia nell’agricoltura che nell’industria. Furono stabilite varie comunità di questo genere in Scozia, Irlanda e perfino negli Stati Uniti. Ma alla fine si disgregarono.
In Francia Fourier incoraggiò la creazione di comunità modello dette falansteri, formate di persone che lavoravano secondo le proprie preferenze. A differenza di Owen, che accettava l’intervento dello stato per aprire le sue “comunità”, Fourier credeva che il suo sistema avrebbe funzionato su base interamente volontaria. Inoltre i membri delle sue comunità sarebbero stati pagati in base al proprio lavoro ed era consentita la proprietà privata. Fourier pensava di avere scoperto un’organizzazione sociale rispondente ai naturali desideri dell’uomo nella ricerca della felicità. Comunità di questo tipo sorsero effettivamente in Europa e negli Stati Uniti. Ma anch’esse fallirono.
Più vicine al socialismo moderno furono le idee del francese Saint-Simon. Egli propugnò la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e la loro amministrazione a opera di esperti nel campo scientifico, tecnologico, industriale e finanziario. Saint-Simon credeva che la cooperazione fra scienza e industria avrebbe prodotto una nuova società in cui gli uomini avrebbero avuto uguali opportunità di trovare la prosperità secondo le loro capacità e la quantità e qualità del loro lavoro.
Nessuna di queste prime ideologie socialiste ebbe successo, ciò nondimeno prepararono il terreno ai movimenti successivi. Furono le prime voci del socialismo moderno, definito un sistema di organizzazione sociale in cui il possesso e il controllo dei principali mezzi di produzione e di distribuzione dei beni sono affidati allo stato. Sebbene le sue mire fondamentali siano simili a quelle del comunismo, l’attuale socialdemocrazia differisce dal marxismo in quanto incoraggia riforme progressive ma non la rivoluzione e un sistema unipartitico.
Pur rispettando la libertà individuale più del comunismo, il socialismo non è riuscito a portare pace e felicità internazionale. Perché?
Perché ha fallito?
Anzitutto il socialismo non si è dimostrato più potente del nazionalismo. Riguardo alla Seconda Internazionale, una federazione di partiti socialisti e di sindacati fondata nel 1889, leggiamo che “emanò molti patetici e stimolanti manifesti contro la guerra, ma quando [nel 1914] la guerra scoppiò, essa rivelò la sua incapacità d’agire. La maggioranza delle componenti nazionali si schierarono dalla parte dei rispettivi governi e rinunciarono all’idea di solidarietà internazionale delle classi lavoratrici”. — Encyclopædia Britannica.
Da allora il movimento socialista ha continuato a frammentarsi e ad avere significati diversi a seconda delle persone. Il nome socialista è usato da vari governi del mondo, alcuni dei quali differiscono pochissimo dai governi conservatori illuminati, mentre altri sono autoritari e perfino totalitari. La parola “socialista” ha dunque perso gran parte del suo significato per molte persone sincere che pensavano avrebbe portato alla fratellanza mondiale in una società senza classi contrassegnata da prosperità materiale e felicità.
C’è poco da meravigliarsi che il sindacalista francese Edmond Maire abbia scritto in Le Monde: “Il fallimento storico del movimento laburista nella sua ambizione di costruire il socialismo . . . [ha] indotto alcuni militanti — sia operai che intellettuali — a rinunciare anche alle speranze a lungo termine. . . . I giovani sembrano risentire particolarmente di questo affievolirsi della speranza socialista”.
Pertanto, la ricerca umana di un sistema che recasse prosperità materiale e vera felicità — sia attraverso il capitalismo che il comunismo o il socialismo — è fallita. Il sociologo americano Daniel Bell ammette: “Per l’intellighenzia radicale, le vecchie ideologie hanno perso la loro ‘verità’, e il loro potere persuasivo. Poche menti serie credono ancora di poter fare i ‘piani’ e, attraverso l’‘ingegneria sociale’, attuare una nuova utopia di armonia sociale”. — The End of Ideology.
La ricerca della prosperità materiale e della felicità è una cosa naturale. Perché allora i sistemi economici e politici dell’uomo non sono riusciti a realizzarle? Il seguente articolo prenderà in esame questa domanda.
[Nota in calce]
a Si veda The Vatican Empire, dello scrittore cattolico Nino Lo Bello
[Testo in evidenza a pagina 7]
Il comunismo ha deluso molti, come mostra l’esodo dei profughi
[Riquadro a pagina 8]
Capitalismo
Sistema economico in cui quasi tutti o tutti i mezzi di produzione e di distribuzione dei beni (terra, miniere, fabbriche, ferrovie, ecc.) appartengono a privati e sono gestiti a scopo di lucro; i padroni (capitalisti) pagano persone prive di capitale (operai) per il loro lavoro
Comunismo
Sistema di organizzazione sociale nel quale tutta la proprietà appartiene alla comunità o allo stato, che pianifica e controlla l’economia in una struttura politica unipartitica
Socialismo
Sistema di organizzazione sociale in cui il possesso e il controllo dei principali mezzi di produzione e di distribuzione dei beni sono affidati allo stato; differisce dal comunismo del mondo occidentale in quanto incoraggia riforme progressive in una società democratica
[Immagine a pagina 6]
Fanciullo che lavora in una miniera di carbone (Inghilterra, 1842)
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Basta la prosperità materiale?Svegliatevi! 1982 | 8 maggio
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Basta la prosperità materiale?
IL DESIDERIO di prosperità materiale non è in se stesso errato. Ma basta per dare vera felicità? È possibile che capitalismo, comunismo e socialismo trascurino il principale elemento della vera felicità? E questa grave lacuna potrebbe spiegare, almeno in parte, perché questi sistemi non sono riusciti a rendere le persone veramente felici?
Non si può dubitare della sincerità di uomini che hanno dedicato tutta la vita perché capitalismo, comunismo o socialismo avessero successo. E ciascun sistema è riuscito a elevare il tenore di vita in certi paesi, per certuni. Ma sono riusciti a dare vera felicità alla maggioranza in quegli stessi paesi? Hanno posto fine a delinquenza, violenza e guerra? È riuscito alcuno di questi sistemi a eliminare suicidi, vizio della droga o alcolismo? Forse che le persone felici commettono suicidio, “evadono” per mezzo della droga o “annegano i loro dispiaceri” nell’alcool?
Il dichiarato proposito di questi vari sistemi umani è quello di promuovere un tenore di vita considerato il migliore per tutti o, almeno, per “la maggioranza”. Attribuiscono maggiore o minore importanza alla libertà o all’uguaglianza come base della felicità umana. Il capitalismo è disposto a sacrificare l’uguaglianza a favore della libertà. Il comunismo mette l’uguaglianza al di sopra della libertà. La socialdemocrazia cerca di trarre il meglio da entrambi i sistemi. Ma nessuno di essi è riuscito a cambiare la natura umana. L’egoismo umano fa rivelare ai capitalisti il loro lato peggiore, rendendoli in molti casi ingiusti sfruttatori; ha trasformato gli esperimenti comunisti in capitalismo di stato, e la gente comune è sfruttata dallo stato invece che dai singoli capitalisti o da grandi società; e infine, ha infranto i sogni utopistici del socialismo.
La tecnologia non basta
Fino a poco tempo fa, ideologi politici ed economici d’ogni tendenza riponevano le loro speranze nel progresso scientifico e nella tecnologia. Leggiamo: “La nuova tecnologia sembrava calzare come un guanto [al capitalismo basato sulla libera impresa] e garantire la rapida realizzazione dell’ideale dei filosofi utilitaristi, quello del ‘massimo bene per il massimo numero’. Perfino Marx ed Engels, con un orientamento politico radicalmente diverso, non vedevano altro che bene nella tecnologia”. — Encyclopædia Britannica.
Sia il capitalista più intransigente che il comunista più rivoluzionario acclamarono la tecnologia come la chiave della futura felicità dell’uomo. Macchine nuove e migliori avrebbero eliminato il lavoro faticoso. Le ore di lavoro sarebbero state ridotte e ci sarebbe stato più tempo libero da dedicare a viaggi, istruzione e piaceri. Come poteva tutto questo non dare la felicità?
Oggigiorno l’ottimismo è calato. Ha la tecnologia creato tanti problemi quanti ne ha risolti, o direste anche di più? L’opera di consultazione appena citata parla inoltre dei “difetti sociali del progresso tecnologico, come vittime del traffico automobilistico, inquinamento dell’aria e dell’acqua, sovraffollamento delle città ed eccessivo rumore”. Menziona pure il serio problema della “tirannide tecnologica sull’individualità dell’uomo e sui tradizionali modelli di vita”.
Chi può oggi affermare seriamente che la tecnologia abbia migliorato la vita familiare, dato alle persone un lavoro soddisfacente o reso il mondo un luogo in cui sia più sicuro vivere? È innegabile che ci vuole qualcosa di più della tecnologia per dare la felicità.
‘Non solo di pane’
Sin dagli inizi della rivoluzione tecnologica, alcuni uomini lungimiranti ne compresero i pericoli. Lo statista inglese William Gladstone (1809-1898) mise in guardia contro il “crescente predominio delle cose che si vedono sulle cose che non si vedono” e contro il “potere di un materialismo latente e inconfessato”. Il saggista americano Ralph Waldo Emerson (1803-1882) espresse in modo poetico questo avvertimento contro il materialismo emergente: “Le cose sono in sella e cavalcano l’umanità”.
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