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Figlio dell’UomoAusiliario per capire la Bibbia
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ogni cosa sotto i suoi piedi”. (Sal. 8:4-6; confronta Salmo 144:3). Paolo spiega che, per adempiere questo salmo profetico, Gesù senz’altro fu fatto “un poco inferiore agli angeli”, diventando realmente un mortale “figlio dell’uomo terreno”, affinché come tale potesse morire e quindi “gustasse la morte per ogni uomo”, essendo poi coronato di gloria e splendore dal Padre suo, che l’ha risuscitato. — Ebr. 2:8, 9; confronta il versetto Ebr. 2:14; Filippesi 2:5-9.
La designazione “Figlio dell’uomo” serve dunque anche a identificare Gesù Cristo come il grande Parente del genere umano, Colui che ha il potere di riscattarlo liberandolo dalla schiavitù al peccato e alla morte, e anche come il grande Vendicatore del sangue. — Lev. 25:48, 49; Num. 35:1-29; vedi RICOMPRA, RICOMPRATORE; RISCATTO; VENDICATORE DEL SANGUE.
Chiamando Gesù “Figlio di Davide” (Matt. 1:1; 9:27) si mette in evidenza che è l’erede del patto del Regno che si doveva adempiere nella discendenza di Davide; chiamandolo “Figlio dell’uomo” si richiama l’attenzione sul fatto che appartiene alla razza umana in virtù della sua nascita carnale; chiamandolo “Figlio di Dio” si dà risalto alla sua origine divina, poiché non è un discendente del peccatore Adamo né ha ereditato da lui l’imperfezione, ma è pienamente giusto agli occhi di Dio. — Matt. 16:13-17.
Il “segno del Figlio dell’uomo”
Evidentemente c’è un’altra ragione importante per cui Gesù usò spesso l’espressione “Figlio dell’uomo” parlando di se stesso. Si tratta dell’adempimento della profezia riportata in Daniele 7:13, 14. Daniele aveva visto in visione “qualcuno simile a un figlio d’uomo” venire con le nuvole dei cieli, essere ammesso alla presenza dell’Antico di Giorni e ricevere “dominio e dignità e regno, affinché tutti i popoli, i gruppi nazionali e le lingue servissero proprio lui”, essendo il suo un regno duraturo.
Siccome nell’interpretazione della visione data da un angelo, ai versetti 18, 22 e 27 sono menzionati i “santi del Supremo” che prendono possesso di tale regno, molti commentatori hanno cercato di dimostrare che in questo caso il “figlio d’uomo” sia un “personaggio multiplo”, cioè “i santi di Dio nella loro molteplicità. . . considerati collettivamente come popolo”, “il glorificato e ideale popolo d’Israele”. Tale ragionamento però risulta superficiale alla luce delle Scritture Greche Cristiane. Non tiene conto del fatto che Cristo Gesù, l’unto Re di Dio, fece un ‘patto per un regno’ coi suoi seguaci affinché potessero esser con lui nel suo regno, e che, anche se saranno re e sacerdoti, lo saranno sotto la sua direttiva e grazie all’autorità ricevuta da lui. (Luca 22:28-30; Riv. 5:9, 10; 20:4-6) Infatti ricevono l’autorità di regnare sulle nazioni solo perché Lui ha per primo ricevuto tale autorità dal Sovrano Dio. — Riv. 2:26, 27; 3:21.
Il corretto intendimento è reso più chiaro dalle parole di Gesù stesso. A proposito del “segno del Figlio dell’uomo” egli disse: “Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con potenza e gran gloria”. (Matt. 24:30) Questo era chiaramente un riferimento alla profezia di Daniele. E anche dalla sua risposta alla domanda del sommo sacerdote: “Lo sono [il Cristo, il Figlio di Dio]; e voi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza e venire con le nubi del cielo”. — Mar. 14:61, 62; Matt. 26:63, 64.
Perciò la profezia circa il Figlio dell’uomo ammesso alla presenza dell’Antico di Giorni, Geova Dio, si riferisce chiaramente a un singolo individuo, il Messia, Gesù Cristo. Risulta che così la comprendeva il popolo ebraico. Scritti rabbinici applicavano la profezia al Messia. Probabilmente perché si attendevano di vedere un adempimento letterale di questa profezia, i farisei e i sadducei chiesero a Gesù di “mostrar loro un segno dal cielo”. (Matt. 16:1; Mar. 8:11) Dopo che Gesù era morto come uomo ed era stato risuscitato alla vita spirituale, Stefano ebbe una visione in cui vide “i cieli aperti e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio”. (Atti 7:56) Ciò dimostra che Gesù Cristo, pur avendo sacrificato la sua natura umana come riscatto per il genere umano, giustamente nella sua posizione celeste conserva la designazione messianica di “Figlio dell’uomo”.
Nella prima parte della sua risposta al sommo sacerdote circa la venuta del Figlio dell’uomo, Gesù disse che sarebbe stato “seduto alla destra della potenza”. Questa è evidentemente un’allusione al profetico Salmo 110 che, come Gesù Cristo aveva precedentemente spiegato, si riferiva a lui. (Matt. 22:42-45) Questo salmo, come pure l’applicazione che ne fa l’apostolo in Ebrei 10:12, 13, rivela che ci sarebbe stato per Gesù Cristo un periodo di attesa prima che il Padre lo mandasse a ‘sottoporre in mezzo ai suoi nemici’. Quindi l’adempimento della profezia di Daniele 7:13, 14 non avviene al momento della risurrezione e ascensione di Gesù al cielo, ma quando è autorizzato da Dio ad agire contro tutti gli oppositori nell’energica manifestazione della sua autorità regale.
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Figlio (figli) di DioAusiliario per capire la Bibbia
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Figlio (figli) di Dio
L’espressione “Figlio di Dio” identifica principalmente Cristo Gesù. — Vedi GESÙ CRISTO; PAROLA, LA; UNIGENITO.
Poiché Gesù si riferiva a Dio come suo Padre, certi oppositori ebrei lo accusarono di bestemmiare, dicendo: “Tu, benché sia un uomo, fai di te stesso un dio”. (Giov. 10:33) Qui il termine greco non è preceduto dall’articolo determinativo e quindi non indica specificamente “Dio” (cioè “il Dio”). Nella lingua greca koinè non esisteva l’articolo indeterminativo (corrispondente a “un”, “uno”, “una”). Quasi tutte le versioni qui hanno “Dio”; la traduzione inglese di Torrey ha il termine “dio” con la lettera minuscola, mentre la versione interlineare dell’Emphatic Diaglott ha “un dio”. La traduzione “un dio” è giustificata soprattutto dalla risposta stessa di Gesù, nella quale citava il Salmo 82:1-7. E chiaro che questo brano non si riferisce ad alcuni come se si chiamassero “Dio”, ma piuttosto “dèi” e “figli dell’Altissimo”.
Secondo il contesto di questo salmo, quelli che Geova chiamava “dèi” e “figli dell’Altissimo” erano i giudici israeliti che praticavano l’ingiustizia, costringendo Geova stesso a intervenire per giudicare ‘in mezzo a tali dèi’. (Sal. 82:1-6, 8) Dal momento che Geova aveva applicato tali termini a uomini del genere, Gesù non stava certo bestemmiando quando diceva: “Sono Figlio di Dio”. Mentre le opere di quei giudici chiamati “dèi” non giustificavano la loro pretesa di essere “figli dell’Altissimo”, le opere di Gesù dimostravano innegabilmente che era in unità e pienamente d’accordo col Padre suo. — Giov. 10:34-38
“FIGLI DEL VERO DIO”
La prima volta che ricorre l’espressione “figli del vero Dio” è in Genesi 6:2-4, dove si legge che tali figli ‘notando che le figlie degli uomini erano di bell’aspetto, si presero delle mogli, cioè tutte quelle che scelsero’, e questo prima del diluvio universale. L’espressione “figli del vero Dio” ricorre poi in Giobbe 1:6 e qui si riferisce evidentemente a figli spirituali di Dio, radunati alla Sua presenza, fra i quali c’era anche Satana, venuto “dal percorrere la terra”. (Giob. 1:7; vedi anche 2:1, 2). Anche in Giobbe 38:4-7 i “figli di Dio”, che “emettevano urla d’applauso” quando Dio “pose la pietra angolare” della terra, erano senz’altro figli angelici e non esseri umani discendenti di Adamo (che allora non era neanche stato creato). Anche in Salmo 89:6 i “figli di Dio” sono senz’altro creature celesti, non terrestri. Evidentemente dunque i “figli del vero Dio” menzionati in Genesi capitolo 6 sono pure angeli.
È ragionevole che la menzione di un’ingerenza negli affari umani da parte di angelici figli di Dio comparisse in Genesi proprio perché poteva spiegare la gravità della situazione sviluppatasi sulla terra prima del Diluvio. A sostegno di ciò abbiamo le parole di Pietro a proposito degli “spiriti in prigione, che una volta erano stati disubbidienti quando la pazienza di Dio aspettava ai giorni di Noè” (I Piet. 3:19, 20), e degli “angeli che peccarono” menzionati insieme al “mondo antico” del tempo di Noè (II Piet. 2:4, 5), e anche quelle di Giuda a proposito degli “angeli che non mantennero la loro posizione originale ma abbandonarono il proprio luogo di dimora”. (Giuda 6) Se si nega che i “figli del vero Dio” di Genesi 6:2-4 erano creature spirituali, le dichiarazioni di tali scrittori cristiani sarebbero enigmatiche, e non si potrebbe spiegare in che cosa gli angeli disubbidirono, o che relazione avesse questo coi giorni di Noè.
Angeli chiaramente si materializzarono a volte in corpi umani, e perfino mangiarono e bevvero con gli uomini. (Gen. 18:1-22; 19:1-3) Le parole di Gesù a proposito di uomini e donne risuscitati che non si sposano ma sono come gli “angeli del cielo” indicano che non esiste matrimonio fra le creature celesti, perché fra loro non ci sono maschi e femmine. (Matt. 22:30) Ma questo non significa che tali creature angeliche non potessero materializzarsi in forma umana e stringere relazioni matrimoniali con donne. Si noti che le parole di Giuda a proposito di angeli che non mantennero la posizione originale e abbandonarono il “proprio luogo di dimora” (certo intendendo dire che abbandonarono il reame spirituale) sono seguite immediatamente dalla dichiarazione: “E anche Sodoma e Gomorra e le città vicine, dopo avere nella stessa maniera dei suddetti commesso fornicazione in eccesso ed essere andate dietro alla carne per uso non naturale, ci son poste davanti come esempio ammonitore”. (Giuda 6, 7) Tutte queste prove scritturali concorrono nell’indicare che all’epoca di Noè degli angeli si pervertirono compiendo atti contrari alla loro natura spirituale. Sembra che non ci sia dunque alcuna valida ragione per dubitare che i ‘figli di Dio’ di Genesi 6:2-4 fossero figli angelici. — Vedi ELOHIM (Angeli); NEFILIM.
IL PRIMO FIGLIO UMANO E I SUOI DISCENDENTI
Adamo fu il primo “figlio di Dio” umano essendo stato creato da Dio. (Gen. 2:7; Luca 3:38) Poiché venne espulso dal santuario di Dio in Eden, e venne condannato a morte come peccatore volontario, fu in effetti ripudiato da Dio e perciò perse la relazione filiale col Padre celeste. — Gen. 3:17-24.
I suoi discendenti sono tutti nati con tendenze peccaminose ereditarie. (Vedi PECCATO). Dal momento che il loro padre era stato rigettato da Dio, i discendenti di Adamo non potevano rivendicare per nascita qualche parentela con Dio. Questo è dimostrato dalle parole dell’apostolo Giovanni. In Giovanni 1:12, 13 egli spiega che coloro che riconoscevano Cristo Gesù, esercitando fede nel suo nome, ricevevano “l’autorità di divenire figli di Dio, . . . [essendo] nati non da sangue né da volontà carnale né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio”. La posizione di figli di Dio non è dunque qualche cosa che tutti i discendenti di Adamo ricevano automaticamente alla nascita. Questo e altri versetti indicano che, a motivo del peccato di Adamo, ci voleva uno speciale riconoscimento da parte di Dio perché degli uomini si potessero definire suoi “figli”. Ciò è illustrato nel caso di Israele.
“ISRAELE È MIO FIGLIO”
Al faraone, che si reputava un dio e figlio del dio egiziano Ra, Geova parlò di Israele come di “mio figlio, il mio primogenito”, ingiungendo al sovrano egiziano: “Manda via mio figlio affinché mi serva”. (Eso. 4:22, 23) Quindi l’intera nazione d’Israele era considerata da Dio come un “figlio”, il suo popolo eletto, una “speciale proprietà, [tratta] da tutti i popoli”. (Deut. 14:1, 2) Non solo perché Geova Dio è la Fonte di ogni vita, ma più precisamente perché in armonia col patto abraamico aveva prodotto questo popolo, è chiamato loro “Creatore”, “Formatore” e “Padre”, di cui portavano il nome. (Confronta Salmo 95:6, 7; 100:3; Isaia 43:1-7, 15; 45:11, 12, 18, 19; 63:16). Egli li aveva ‘aiutati fin dal ventre’, evidentemente riferendosi ai loro primissimi inizi come popolo, e li aveva ‘formati’ grazie al modo in cui li trattava e grazie al patto della Legge, modellandone la struttura e le caratteristiche nazionali. (Isa. 44:1, 2, 21; confronta le parole rivolte a Gerusalemme da Dio in Ezechiele 16:1-14; e anche le parole di Paolo in Galati 4:19 e I Tessalonicesi 2:11, 12). Geova li proteggeva, li portava in braccio, li correggeva e provvedeva ai loro bisogni come un padre farebbe per suo figlio. (Deut. 1:30, 31; 8:5-9; confronta Isaia 49:14, 15). Come un “figlio” la nazione avrebbe dovuto servire alla lode del proprio Padre. (Isa. 43:21; Mal. 1:6) Altrimenti non si sarebbero dimostrati figli suoi (Deut. 32:4-6, 18-20; Isa. 1:2, 3; 30:1, 2, 9); infatti alcuni di loro che avevano agito in modo sconveniente furono chiamati ‘figli di Belial’ (espressione ebraica tradotta “uomini buoni a nulla” in Deuteronomio 13:13 [NM] e in altri versetti; confronta II Corinti 6:15). Diventarono dei “figli rinnegati”. — Ger. 3:14, 22; confronta 4:22.
In tale senso nazionale, e a motivo del patto che aveva stipulato con loro, Dio trattava gli israeliti come figli, e questo è dimostrato dal fatto che Dio si riferisce a se stesso non solo quale loro “Fattore”, ma contemporaneamente anche quale loro “Ricompratore” e perfino loro “proprietario maritale”, espressione quest’ultima che pone Israele nella posizione di moglie. (Isa. 54:5, 6; confronta 63:8; Geremia 3:14). Probabilmente pensando al patto che Geova Dio aveva fatto con loro, e riconoscendo che era responsabile della formazione della nazione, gli israeliti si rivolgevano a Lui chiamandolo “nostro Padre”. — Isa. 63:16-19; confronta Geremia 3:18-20; Osea 1:10, 11.
La tribù di Efraim diventò la tribù più importante del regno settentrionale delle dieci tribù, e il suo nome spesso rappresentava l’intero regno. Poiché Geova aveva fatto in modo che Efraim ricevesse al posto di Manasse, il vero primogenito di Giuseppe, la benedizione spettante al primogenito, Geova a ragione chiamava la tribù di Efraim “mio primogenito”. — Ger. 31:9, 20; Osea 11:1-8, 12; confronta Genesi 48:13-20.
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