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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • di malattia o nell’incendio, oppure erano stati uccisi in guerra. (Ger. 52:15; II Re 25:11) I figli di Sedechia, i principi di Giuda, i funzionari di corte, alcuni sacerdoti e molti altri cittadini eminenti furono messi a morte per ordine del re di Babilonia. (II Re 25:7, 18-21; Ger. 52:10, 24-27) Tutto questo può spiegare il numero piuttosto esiguo di quelli portati effettivamente in esilio, solo 832, probabilmente capifamiglia, senza contare le mogli e i figli. — Ger. 52:29.

      Circa due mesi più tardi, dopo l’assassinio di Ghedalia, il resto degli ebrei rimasti in Giuda fuggì in Egitto, portando con sé Geremia e Baruc. (II Re 25:8-12, 25, 26; Ger. 43:5-7) Alcuni potevano anche esser fuggiti in altre nazioni vicine. Probabilmente i 745 prigionieri, capifamiglia, esiliati cinque anni dopo quando Nabucodonosor, come simbolica mazza di Geova, frantumò le nazioni che confinavano con Giuda, provenivano da queste nazioni e dall’Egitto. (Ger. 51:20; 52:30) Giuseppe Flavio dice che cinque anni dopo la caduta di Gerusalemme, Nabucodonosor invase Ammon e Moab e poi proseguì e si vendicò dell’Egitto. — Antichità giudaiche, Libro X, cap. IX, 7.

      Gerusalemme ricevette un trattamento diverso da quello delle altre città conquistate. A differenza di Samaria, che fu ripopolata da prigionieri provenienti da altre parti dell’impero assiro, e contrariamente alla solita tattica dei babilonesi nei confronti delle città conquistate, in questo caso particolare Gerusalemme e dintorni furono evacuati e rimasero desolati, proprio come Geova aveva prestabilito. I critici della Bibbia possono mettere in dubbio che il paese di Giuda un tempo prosperoso fosse diventato improvvisamente “una distesa desolata, senza abitante”, ma ammettono che non c’è alcuna evidenza storica, nessun documento dell’epoca, per dimostrare altrimenti. (Ger. 9:11; 32:43) L’archeologo G. E. Wright dichiara: “La violenza che si abbatté su Giuda è evidente . . . dai rilevamenti archeologici indicanti che una città dopo l’altra cessò di essere abitata in quell’epoca, molte per non essere mai più ripopolate”. (Biblical Archaeology, 1957, p. 179) W. F. Albright conferma: “Non si conosce un solo caso in cui una città di Giuda sia stata occupata in continuità durante il periodo dell’esilio”. — L’archeologia in Palestina, Sansoni 1958, p. 181.

      CONDIZIONE DEGLI ESILIATI

      La cattività era considerata in generale un periodo di oppressione e schiavitù. Geova aveva detto che, invece di mostrar misericordia a Israele, Babilonia ‘avrebbe reso il suo giogo assai pesante sul vecchio’. (Isa. 47:5, 6) Senza dubbio si esigevano da loro certi pagamenti (tasse, tributi, imposte), in base a quello che erano in grado di produrre o guadagnare, come erano imposti ad altri prigionieri. (Esd. 4:20) Inoltre, il fatto stesso che il grande tempio di Geova a Gerusalemme era stato saccheggiato e distrutto, i suoi sacerdoti uccisi o portati in esilio, e i suoi adoratori trascinati in cattività e assoggettati a una potenza straniera, costituiva senz’altro uno stato di oppressione.

      Tuttavia essere esiliati in un paese straniero non era così grave come essere venduti in crudele schiavitù perpetua, o essere condannati a morte alla sadica maniera tipica delle conquiste assire e babilonesi. (Isa. 14:4-6; Ger. 50:17) I prigionieri ebrei pare godessero di una certa libertà di movimento, ed esercitavano fino a un certo punto l’amministrazione interna dei loro affari. — Esd. 8:1, 16, 17; Ger. 29:4-7; Ezec. 1:1; 14:1; 20:1.

      Alcuni di loro esercitavano vari mestieri che si dimostrarono utili dopo la fine della cattività. (Nee. 3:8, 31, 32) Imprese e scambi commerciali divennero la loro specialità. Le scoperte relative a una ben nota famiglia ebraica di Nippur indicano che svolgevano una fiorente attività bancaria, patrimoniale e assicurativa; nei loro documenti commerciali compaiono molti nomi ebraici. Tali scambi commerciali e contatti sociali con non ebrei col tempo finirono per far infiltrare l’aramaico nella lingua ebraica.

      Il periodo di cattività, che per alcuni fu di ottant’anni, influì naturalmente sull’adorazione del vero Dio Geova da parte della comunità. Senza tempio, senza altare e senza sacerdozio organizzato, non era possibile immolare i sacrifici giornalieri. Comunque, la circoncisione, l’astensione dai cibi impuri, l’osservanza del sabato e la costanza nella preghiera erano cose che i fedeli potevano osservare nonostante le beffe e gli scherni altrui. Era ben noto al re Dario e ad altri che Daniele, prigioniero, ‘serviva con costanza’ il suo Dio. Anche quando fu interdetto per legge di fare richieste a chiunque tranne il re, Daniele “si inginocchiava sulle sue ginocchia pure tre volte al giorno e pregava e offriva lode dinanzi al suo Dio, come aveva fatto regolarmente prima di ciò”. (Dan. 6:4-23) Tale fedeltà nella loro adorazione limitata aiutò gli esiliati a non perdere la propria identità nazionale. Potevano inoltre trarre profitto dal contrasto che osservavano fra la pura semplicità dell’adorazione di Geova e la pomposa idolatria materialista di Babilonia. Senza dubbio beneficiavano anche della presenza dei profeti di Geova, Ezechiele e Daniele. — Ezec. 8:1; Dan. 1:6; 10:1, 2.

      Man mano che si affermava fra gli ebrei la disposizione delle sinagoghe locali, crebbe la necessità di avere copie delle Scritture per le comunità degli esiliati ebrei in tutta la Media, la Persia e la Babilonia. Esdra era noto come “esperto copista della legge di Mosè”, a indicare che copie della legge di Geova erano state portate da Giuda, ed erano state riprodotte. (Esd. 7:6) Senza dubbio questi preziosi rotoli delle passate generazioni includevano il libro dei Salmi e probabilmente il Salmo 137, e forse anche il Salmo 126, furono composti durante la cattività o poco dopo. I sei cosiddetti Salmi di Hallel (113-118) venivano cantati durante le solennità della Pasqua dopo il ritorno del rimanente da Babilonia.

  • Cauda
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    • Cauda

      (Càuda).

      Isola al largo della costa SO di Creta, lungo la quale navigarono l’apostolo Paolo e Luca nell’autunno del 58 E.V. durante il viaggio a Roma. Dopo esser salpata da Bei Porti, la loro nave seguì la costa S di Creta finché, probabilmente dopo aver doppiato il Capo Litino, furono colti e trascinati da un vento tempestoso che rischiava di sospingere l’imbarcazione sui banchi di sabbia al largo della costa nordafricana. Tuttavia trovarono riparo presso “una piccola isola chiamata Cauda” che evidentemente attutiva la forza del vento, consentendo loro di navigare in acque più calme, forse lungo la sua costa SO. Così l’equipaggio ebbe il tempo di issare a bordo la scialuppa, rinforzare di sotto la nave e ammainare le vele. — Atti 27:13-17.

      La Cauda del racconto di Luca, attualmente chiamata Gaudos o Gozzo, è un’isola lunga 11 km e larga 5, circa 65 km a O–SO di Bei Porti.

  • Causa legale
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    • Causa legale

      Udienze e processi sono spesso indicati nella Bibbia da espressioni ebraiche che significano “causa”, “controversia” e “disputa”. Fra i servitori di Dio il principale scopo di una causa legale era quello di soddisfare i requisiti divini e, in secondo luogo, di rendere giustizia alla persona o alle persone implicate col risarcimento di eventuali danni. Dio si considerava parte in causa anche nelle vertenze private fra gli esseri umani, come si nota dalle parole rivolte da Mosè ai giudici israeliti in Deuteronomio 1:16, 17.

      Una causa fu intentata nel giardino di Eden, per esporre i fatti e le questioni inerenti, renderli di dominio pubblico e anche emettere una sentenza contro i colpevoli. Geova invitò Adamo ed Eva a presentarsi a lui per essere interrogati. Pur essendo a conoscenza di ogni cosa, Geova tenne un’udienza, fece accuse precise, con l’interrogatorio mise in chiaro i fatti, diede agli imputati l’opportunità di parlare a propria difesa e ottenne da loro una confessione. Poi prese la sua decisione in merito e, con giustizia e immeritata benignità, applicò la legge e mostrò misericordia alla progenie non nata di Adamo ed Eva differendo per qualche tempo l’esecuzione della condanna a morte dei trasgressori. — Gen. 3:6-19.

      Con ciò Geova Dio, il Supremo Giudice, stabilì la norma per tutti i successivi procedimenti giudiziari che avrebbero avuto luogo fra il suo popolo. (Gen. 3:1-24) Le cause sostenute secondo i regolamenti giudiziari di Dio servivano a scoprire e discutere i fatti allo scopo di rendere giustizia e, se possibile, giustizia mitigata da misericordia. (Deut. 16:20; Prov. 28:13; confronta Matteo 5:7; Giacomo 2:13). L’intera procedura era intesa a mantenere la nazione d’Israele incontaminata e a provvedere al benessere personale dei suoi componenti come pure dei residenti forestieri e degli avventizi fra loro. (Lev. 19:33, 34; Num. 15:15, 16; Deut. 1:16, 17) La Legge data alla nazione includeva la procedura che si doveva seguire nelle cause civili e anche nelle cause penali riguardanti reati minori o crimini (inclusi quelli contro Dio e lo stato), malintesi, liti e difficoltà di carattere personale, familiare, tribale e nazionale.

      PROCEDURA

      In caso di vertenze di natura personale, le parti erano incoraggiate a evitare liti e ad appianare la cosa in privato. (Prov. 17:14; 25:8, 9) Se non giungevano a un accordo, potevano rivolgersi ai giudici. (Matt. 5:25) Gesù diede questo consiglio. (Matt. 18:15-17) Né in epoca premosaica né sotto la Legge esisteva una procedura complicata o formale per lo svolgimento delle cause legali, anche se un certo formalismo prevalse dopo l’istituzione del Sinedrio. Tuttavia le cause venivano dibattute in modo ordinato e con fermezza. Nei tribunali avevano accesso le donne, gli schiavi e i residenti forestieri, affinché la giustizia fosse uguale per tutti. (Giob. 31:13, 14; Num. 27:1-5; Lev. 24:22) L’accusato doveva essere presente quando era presentata una testimonianza contro di lui e poteva difendersi. Nella società patriarcale e presso gli israeliti non esisteva l’equivalente di un pubblico ministero, e non era necessario neanche un avvocato difensore. I contendenti non dovevano pagare spese processuali.

      Chi aveva un problema di diritto civile o intendeva sporgere una denuncia penale presentava la sua causa ai giudici. (Luca 18:1-8) Veniva convocata l’altra parte, si raccoglievano testimonianze, e l’udienza si svolgeva di solito in luogo pubblico, quasi sempre alle porte della città. (Deut. 21:19; Rut 4:1) I giudici interrogavano i contendenti ed esaminavano prove e testimonianze. Prendevano senza indugio una decisione in merito, a meno che non mancassero le prove; oppure, se il caso era troppo difficile, i giudici lo rinviavano a una corte superiore. Le condanne, alla flagellazione o alla pena di morte, erano eseguite immediatamente. La Legge non prevedeva la detenzione. Si ricorreva a tale misura solo se si doveva consultare Geova prima di prendere una decisione. — Lev. 24:12; vedi CORTE DI GIUSTIZIA; REATI E PUNIZIONI.

      Una colpa comportava sempre responsabilità; non esistevano eccezioni. Non ci si doveva passare sopra. Ogni volta che la Legge lo richiedeva, si doveva infliggere la punizione oppure, in certi casi, esigere il risarcimento dei danni. Quindi il colpevole, per tornare in pace con Dio, doveva presentare un’offerta al santuario. Sacrifici di espiazione erano richiesti per ogni specie di colpa. (Lev. 5:1-19) Anche un peccato involontario implicava una colpa, e si dovevano fare offerte per l’espiazione. (Lev. 4:1-35) Per certe trasgressioni, fra cui inganno, frode ed estorsione, se la persona si pentiva e confessava spontaneamente, doveva risarcire il danno e presentare anche un’offerta per la colpa. — Lev. 6:1-7.

      PROVE

      Testimoni

      Se uno era stato testimone di atti di apostasia, sedizione, assassinio, che contaminavano il paese, e di certi altri delitti gravi, aveva l’obbligo di riferire la cosa e attestare quello che sapeva, altrimenti sarebbe incorso nella maledizione divina, proclamata pubblicamente. (Lev. 5:1; Deut. 13:8; confronta Proverbi 29:24; Ester 6:2). Un solo testimone non era però sufficiente per stabilire la cosa. Ce ne volevano due o più. (Num. 35:30; Deut. 17:6; 19:15; confronta Giovanni 8:17, 18; I Timoteo 5:19; Ebrei 10:28). La Legge imponeva ai testimoni di dire la verità (Eso. 20:16; 23:7), e in certi casi, sotto giuramento. (Matt. 26:63) Questo specialmente quando la persona su cui ricadevano i sospetti era l’unico testimone del fatto. (Eso. 22:10, 11) Dal momento che quelli che avevano presentato una causa davanti ai giudici o al santuario era come se stessero davanti a Geova, i testimoni riconoscevano di dover rendere conto a Dio. (Eso. 22:8; Deut. 1:17; 19:17) Un testimone non doveva accettare regali né permettere che qualche malvagio lo persuadesse a non dire la verità o a progettare violenza. (Eso. 23:1, 8) Non doveva alterare la sua testimonianza a motivo della pressione della folla né a motivo della ricchezza o povertà delle parti in causa. (Eso. 23:2, 3) Neanche la parentela più stretta doveva trattenerlo dal testimoniare contro un malvagio violatore della legge, quale un apostata o un ribelle. — Deut. 13:6-11; 21:18-21; Zacc. 13:3.

      Chi testimoniava il falso riceveva la punizione che avrebbe ricevuto l’accusato se fosse stato colpevole. (Deut. 19:17-21) Tutte le volte che si eseguiva una condanna a morte i testimoni dovevano lanciare la prima pietra. Così la legge ingiungeva ai testimoni di dimostrare il proprio zelo per la vera, pura adorazione e nell’eliminare il male da Israele. Ciò avrebbe pure scoraggiato la falsa testimonianza. Infatti uno doveva essere davvero insensibile per fare un’accusa falsa, sapendo di dover essere il primo ad agire per mettere a morte l’accusato. — Deut. 17:7.

      Prove e indizi

      Se del bestiame era stato affidato a qualcuno e un animale veniva ucciso da una bestia feroce, egli poteva presentare come prova il corpo dilaniato e così essere assolto da ogni responsabilità. (Eso. 22:10-13) Se una donna sposata era accusata dal marito di aver dichiarato falsamente di essere vergine all’epoca del matrimonio, il padre della ragazza poteva portare ai giudici il mantello tolto dal letto matrimoniale come prova della sua verginità per proscioglierla dall’accusa. (Deut. 22:13-21) Anche sotto la legge patriarcale in alcuni casi oggetti erano accettati come prove. (Gen. 38:24-26) Si teneva conto anche delle prove indiziarie. Se una ragazza fidanzata veniva assalita in città, il fatto che non avesse gridato era considerato una prova che aveva ceduto volontariamente ed era colpevole. — Deut. 22:23-27.

      Documenti

      Esistevano registrazioni e documenti di vario genere. Quando mandava via la moglie, il marito doveva darle un certificato di divorzio. (Deut. 24:1; Ger. 3:8; confronta Isaia 50:1). Si tenevano registrazioni genealogiche, come risulta in particolare da I Cronache. È anche menzionata la registrazione di atti di compravendita di proprietà immobiliari. (Ger. 32:9-11) Annali storici sono esistiti sin dall’inizio della storia umana. (Gen. 5:1; 6:9) Si scrivevano molte lettere, alcune delle quali venivano conservate ed esibite in cause legali. — II Sam. 11:14; I Re 21:8-14; II Re 10:1; Nee. 2:7.

      IL PROCESSO DI GESÙ

      Il peggiore travisamento della giustizia mai perpetrato fu il processo e la condanna di Gesù Cristo. Prima del processo i capi sacerdoti e gli anziani del popolo si erano consultati con l’intento di mettere a morte Gesù. Quindi i giudici erano prevenuti e avevano già deciso il verdetto prima ancora che avesse inizio il processo. (Matt. 26:3, 4) Assoldarono Giuda perché tradisse Gesù. (Luca 22:2-6) Poiché la loro azione era così scorretta non lo arrestarono di giorno nel tempio, ma attesero fino al calare della notte, e poi mandarono una folla armata di spade e bastoni per arrestarlo in un luogo isolato fuori della città. — Luca 22:52, 53.

      Gesù fu condotto prima in casa di Anna, l’ex sommo sacerdote, che aveva ancora molta autorità, il cui genero Caiafa era il sommo sacerdote in carica. (Giov. 18:13) Là Gesù venne interrogato e schiaffeggiato. (Giov. 18:22) Poi fu condotto legato al sommo sacerdote Caiafa. I capi sacerdoti e tutto il Sinedrio si misero alla ricerca di falsi testimoni. Molti si presentarono a testimoniare contro Gesù, ma non riuscivano a mettersi d’accordo sulla loro testimonianza, tranne due che travisavano le sue parole riportate in Giovanni 2:19. (Matt. 26:59-61; Mar. 14:56-59) Alla fine il sommo sacerdote chiese a Gesù di dire sotto giuramento se era il Cristo il Figlio di Dio. Quando Gesù rispose affermativamente alludendo alla profezia di Daniele 7:13, il sommo sacerdote si strappò gli abiti e invitò la corte a dichiararlo colpevole di bestemmia. Il verdetto fu emesso e Gesù fu condannato a morte. Dopo di che gli sputarono in faccia e lo colpirono coi pugni, schernendolo contrariamente alla Legge. — Matt. 26:57-68; Luca 22:66-71; Atti 23:3; confronta Deuteronomio 25:1, 2 e Giovanni 7:51.

      Dopo l’illegale processo notturno il Sinedrio si riunì la mattina presto per confermare la sentenza e per consultarsi. (Mar. 15:1) Gesù fu poi condotto, di nuovo legato, al palazzo del governatore, da Pilato, avendo essi detto: “Non ci è lecito uccidere alcuno”. (Giov. 18:31) Lì fu accusato di vietare di pagare le tasse a Cesare e di dichiararsi Cristo re. La bestemmia contro il Dio degli ebrei non sarebbe stata un’accusa tanto grave agli occhi dei romani, ma la sedizione sì. Pilato, dopo vani tentativi per indurre Gesù a testimoniare contro se stesso, disse agli ebrei che non trovava in lui nessuna colpa. Saputo però che Gesù era galileo, Pilato fu ben lieto di mandarlo da Erode, sotto la cui giurisdizione si trovava la Galilea. Erode interrogò Gesù sperando di vedergli compiere un segno, ma invano. Erode allora screditò Gesù prendendosi gioco di lui, e lo rimandò da Pilato. — Luca 23:1-11.

      Pilato cercò di rimettere in libertà Gesù secondo un’usanza dell’epoca, ma gli ebrei non acconsentirono, chiedendo invece la liberazione di un sedizioso assassino. (Giov. 18:38-40) Pilato fece dunque flagellare Gesù, e i soldati ancora una volta lo maltrattarono. Dopo di che Pilato condusse fuori Gesù e cercò di farlo liberare, ma gli ebrei insisterono: “Al palo! Al palo!” Alla fine egli diede ordine che Gesù fosse messo al palo. — Matt. 27:15-26; Luca 23:13-25; Giov. 19:1-16.

      Nel processo di Cristo gli ebrei commisero fra l’altro le seguenti flagranti violazioni di alcune leggi di Dio: corruzione (Deut. 16:19; 27:25); cospirazione e perversione del giudizio e della giustizia (Eso. 23:1, 2, 6, 7; Lev. 19:15, 35); falsa testimonianza, in cui i giudici furono conniventi (Eso. 20:16); proscioglimento di un assassino (Barabba), facendo ricadere su di sé e sul paese la colpa del sangue sparso (Num. 35:31-34; Deut. 19:11-13); tumulto, cioè ‘seguire la folla per fare il male’ (Eso. 23:2, 3); gridando che Gesù fosse messo al palo violarono la legge che vietava di seguire gli statuti di altre nazioni, e non prescriveva alcuna tortura, anzi prevedeva che un criminale fosse lapidato o messo a morte prima di essere appeso al palo (Lev. 18:3-5; Deut. 21:22); riconobbero come re non uno della loro nazione ma un pagano (Cesare), e rigettarono il Re che Dio aveva scelto (Deut. 17:14, 15); e infine si resero colpevoli di assassinio. — Eso. 20:13.

  • Cava
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    • Cava

      Scavo a cielo aperto per l’estrazione di vari tipi di pietra. Così venivano estratti da vene in superficie marmo e calcare. Una vasta zona presso l’attuale porta di Damasco a Gerusalemme si ritiene fosse un’antica cava. La prima menzione di un luogo del genere si trova in Giosuè 7:4, 5, dov’è riferito che circa 3.000 israeliti da Ai fuggirono a Sebarim, che significa “Le Cave”. Nel fare i preparativi per la costruzione del tempio, Salomone ordinò che le grandi pietre di fondamenta fossero estratte dai monti del Libano, e decine di migliaia di uomini furono coscritti per questo lavoro. (I Re 5:13-18; 6:7) Quando fu necessario riparare il tempio all’epoca di Ioas, vennero assunti dei tagliapietre. — II Re 12:11, 12.

      Con un’eloquente metafora, Geova, per bocca di Isaia, richiama alla mente una cava e il lavoro che vi viene svolto. (Isa. 51:1) Com’è indicato nel versetto successivo, l’evidente relazione fra la “roccia” e la “buca del pozzo” si riferisce ad Abraamo, da cui la nazione aveva avuto origine, e a Sara, dal cui grembo era nato Isacco, antenato d’Israele. (Isa. 51:2) Tuttavia, dato che la nascita di Isacco era avvenuta mediante la potenza divina e con un atto miracoloso, la metaforica cava poteva avere anche una più alta applicazione spirituale. Infatti Deuteronomio 32:18 si riferisce a Geova come ‘la Roccia che generò’ Israele, “Colui che ti diede alla luce [lo stesso verbo usato a proposito di Sara in Isaia 51:2] con dolori di parto”.

  • Cavalletta
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    • Cavalletta

      Traduzione di hhagàv, anche se non è certo quale insetto o insetti fossero indicati da questo termine ebraico, pare derivato da una radice che significa “nascondere, coprire”. Quindi

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