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  • Settanta settimane
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • fatto dai suoi seguaci. Devono riferirsi ai sacrifici e alle offerte di dono fatti dagli ebrei nel tempio di Gerusalemme secondo la legge mosaica.

      La “metà della settimana” cadrebbe a metà di sette anni o dopo tre anni e mezzo di quella “settimana” di anni. Poiché la settantesima “settimana” era iniziata nell’autunno del 29 E.V. col battesimo e l’unzione di Gesù per essere Cristo, metà di quella settimana (tre anni e mezzo) sarebbe terminata nella primavera del 33 E.V. o all’epoca della Pasqua (14 nisan) di quell’anno. Secondo il calendario gregoriano quel giorno doveva essere il 1º aprile del 33 E.V. L’apostolo Paolo ci dice che Gesù ‘era venuto per fare la volontà di Dio’, volontà che richiedeva di ‘sopprimere ciò che è primo [i sacrifici e le offerte fatti secondo la Legge] per stabilire ciò che è secondo’. Egli fece questo offrendo come sacrificio il proprio corpo. — Ebr. 10:1-10.

      Anche se i sacerdoti ebrei continuarono a offrire sacrifici presso il tempio di Gerusalemme fino alla sua distruzione avvenuta nel 70 E.V., i sacrifici per il peccato cessarono di essere graditi e validi agli occhi di Dio. Poco prima di morire Gesù disse rivolto a Gerusalemme: “La vostra casa vi è abbandonata”. (Matt. 23:38) Cristo “offrì un solo sacrificio per i peccati in perpetuo . . . Poiché con una sola offerta di sacrificio ha reso perfetti in perpetuo quelli che sono santificati”. “Ora dove vi è il perdono [dei peccati e delle azioni illegali], non vi è più offerta per il peccato”. (Ebr. 10:12-14, 18) L’apostolo Paolo fa notare che la profezia di Geremia aveva parlato di un nuovo patto, poiché il precedente patto [della Legge] sarebbe stato in tal modo reso antiquato e “presso a sparire”. — Ebr. 8:7-13.

      Posto termine a trasgressione e peccato

      Lo stroncamento di Gesù nella morte, la sua risurrezione e comparsa in cielo ebbero il risultato di “porre termine alla trasgressione, e porre fine al peccato, e fare espiazione per l’errore”. (Dan. 9:24) Il patto della Legge aveva denunciato gli ebrei quali peccatori e come tali li aveva condannati e aveva recato su di loro la maledizione quali violatori del patto. Ma dove il peccato “abbondò” essendo denunciato o reso evidente dalla legge mosaica, la misericordia e il favore di Dio abbondarono ancora di più per mezzo del Messia. (Rom. 5:20) Grazie al sacrificio del Messia la trasgressione e il peccato dei peccatori pentiti possono essere cancellati e le relative sanzioni abolite.

      Il valore della morte di Cristo sul palo permise la riconciliazione di peccatori pentiti. Un coperchio propiziatorio venne chiuso sui loro peccati, e fu aperta la via perché fossero “dichiarati giusti” da Dio. Questa sarà una giustizia eterna e procurerà vita eterna a coloro che sono dichiarati giusti. — Rom. 3:21-25.

      L’unzione del Santo dei Santi

      Gesù fu unto con spirito santo al momento del battesimo, e lo spirito santo scese visibilmente su di lui sotto forma di colomba. Ma l’unzione del “Santo dei Santi” si riferisce a qualcosa di più dell’unzione del Messia, perché questa espressione non si riferisce a una singola persona. L’espressione “Santo dei Santi” o “Santissimo” è usata per indicare il vero santuario di Geova Dio. (Eso. 26:33, 34; I Re 6:16; 7:50) Perciò l’unzione del “Santo dei Santi” menzionata nel libro di Daniele deve riferirsi alla “tenda più grande e più perfetta non fatta con mani”, in cui Gesù Cristo quale grande sommo sacerdote entrò “col proprio sangue”. (Ebr. 9:11, 12) Quando Gesù presentò il valore del suo sacrificio umano al Padre suo, il cielo stesso aveva l’aspetto della realtà spirituale rappresentata dal Santissimo del tabernacolo e poi del tempio. Quindi la celeste dimora di Dio era senz’altro stata unta o riservata quale “Santo dei Santi” nella grande disposizione del tempio spirituale che venne all’esistenza nel 29 E.V., al momento dell’unzione di Gesù con spirito santo. — Matt. 3:16; Luca 4:18-21; Atti 10:37, 38; Ebr. 9:24.

      ‘Impresso un suggello su visione e profeta’

      Tutta l’attività svolta dal Messia — il suo sacrificio, la sua risurrezione e comparsa al cospetto del Padre celeste col valore del proprio sacrificio, e le altre cose che accaddero durante la settantesima settimana — ha ‘impresso un suggello su visione e profeta’, dimostrando che sono veraci e da Dio. Li contrassegna col suggello dell’approvazione divina, essendo di origine divina e non provenienti da un uomo soggetto a sbagliare. Suggella la visione limitandola al Messia per il fatto che trova adempimento in lui e nell’opera di Dio compiuta per mezzo suo. (Riv. 19:10) In lui si trova la sua interpretazione, e non ne possiamo cercare l’adempimento in nessun altro. Nient’altro ne rivelerà il significato. — Dan. 9:24.

      Desolazione della città e del luogo santo

      Gli avvenimenti descritti nell’ultima parte di Daniele 9:26 e 27 si verificarono dopo le settanta “settimane”, ma come diretta conseguenza del fatto che gli ebrei avevano rigettato Cristo durante la settantesima “settimana”. La storia insegna che Tito, figlio dell’imperatore romano Vespasiano, era il comandante degli eserciti romani che mossero contro Gerusalemme. Quegli eserciti effettivamente penetrarono nella città e nel tempio stesso, come un’inondazione, e desolarono la città e il suo tempio. Il fatto che si erano stabiliti nel luogo santo aveva reso quegli eserciti pagani una “cosa disgustante”. (Matt. 24:15) Tutti i tentativi fatti prima della fine di Gerusalemme per calmare la situazione fallirono a motivo del decreto di Dio: “Sono decise le desolazioni”, e “fino allo sterminio, la medesima cosa decisa si verserà anche su colui che renderà desolato”

  • Sette
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    • Sette

      Vedi NUMERI, NUMERAZIONE.

  • Settimana
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    • Settimana

      Nelle Scritture Ebraiche “settimana” traduce il termine shavùa‘, che letteralmente significa “settuplicato”, cioè un’unità o un periodo di tempo moltiplicato per sette. Nelle Scritture Greche traduce il sostantivo sàbbaton, che a sua volta è derivato dal termine ebraico per sabato.

      La consuetudine di contare i giorni in cicli di sette risale ai primordi della storia umana. Questa divisione del tempo trova un precedente nel fatto che Geova Dio divise il periodo della sua opera creativa in sei giorni o unità di tempo, coronati da un settimo giorno di riposo. (Gen. 2:2, 3) Quindi troviamo il successivo riferimento a un ciclo di sette giorni nel caso di Noè all’epoca del diluvio, ma senza che sia menzionato un settimo giorno di riposo. (Gen. 7:4, 10; 8:10, 12) Periodi di sette giorni venivano osservati in relazione al matrimonio in Paddan-Aram e in Filistea. (Gen. 29:27, 28; Giud. 14:12, 17) Un periodo di sette giorni fu osservato anche in occasione del funerale di Giacobbe. (Gen. 50:10) Comunque la Bibbia non indica che quei periodi di sette giorni seguissero una disposizione settimanale, iniziando in un giorno stabilito e susseguendosi in modo regolare. Presso alcuni popoli antichi i cicli di sette giorni erano determinati dalle quattro fasi della luna e ricominciavano con ciascuna luna nuova. Dato che un mese lunare dura 29-30 giorni, non potevano esserci cicli di sette giorni completamente consecutivi.

      Un primo riferimento a un periodo di dieci giorni si trova in Genesi 24:55. Nell’antico Egitto il tempo era diviso in cicli di dieci giorni (tre al mese), e ovviamente gli israeliti ne erano venuti a conoscenza durante il loro lungo soggiorno in Egitto.

      SOTTO LA LEGGE

      Insieme alle istruzioni relative alla Pasqua troviamo per la prima volta un decreto divino che richiedeva l’osservanza di uno specifico periodo di sette giorni. Questo periodo divenne l’annuale festa dei pani non fermentati celebrata d’allora in poi dagli israeliti dopo la Pasqua. Sia il primo giorno che l’ultimo o settimo giorno dovevano essere giorni di riposo. — Eso. 12:14-20; 13:6-10; vedi SABATO.

      Periodi festivi

      C’erano naturalmente certi periodi festivi della durata di sette giorni indicati nella Legge, che non iniziavano né terminavano necessariamente come la regolare settimana basata sul sabato. Questi iniziavano in un particolare giorno del mese lunare e perciò il giorno iniziale cadeva ogni anno in un diverso giorno della settimana. Alcuni di questi erano la festa dei pani non fermentati, che seguiva la Pasqua e ricorreva dal 15 al 21 nisan, e la festa delle capanne dal 15 al 21 etanim. Anche la ricorrenza della festa delle settimane o Pentecoste si basava su un conto di sette settimane e un giorno, ma le sette settimane si cominciavano a contare dal 16 nisan e perciò non sempre corrispondevano alle settimane normali che terminavano con un normale sabato. — Eso. 12:2, 6, 14-20; Lev. 23:5-7, 15, 16; Deut. 16:9, 10, 13.

      I giorni della settimana non avevano nomi particolari ma erano semplicemente indicati da un numero, con l’eccezione del settimo giorno chiamato “sabato”. (Eso. 20:8) Questo si verificava anche ai giorni di Gesù e degli apostoli, benché fosse invalsa la consuetudine di chiamare “Preparazione” il giorno che precedeva il sabato. — Matt. 28:1; Atti 20:7; Mar. 15:42; Giov. 19:31.

      “Sabato” sta per un periodo di sette giorni o di sette anni

      A motivo dell’importanza che il patto della Legge attribuiva al settimo giorno, il sabato, il termine “sabato” era usato comunemente per l’intera settimana di sette giorni. (Lev. 23:15, 16) Similmente era usato per il settimo anno, che era un anno sabatico di riposo per il paese. E stava anche per l’intero periodo di sette anni o settimana di anni che terminava con un anno sabatico. (Lev. 25:2-8) Nella Mishnàh ricorre due volte l’espressione “settimana di anni”. — Vedi SETTANTA SETTIMANE.

  • Settimane, festa delle
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    • Settimane, festa delle

      Vedi PENTECOSTE.

  • Sgabello
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    • Sgabello

      Uno sgabello basso veniva usato come poggiapiedi quando si stava seduti. Il termine ebraico kèvesh ricorre solo una volta nelle Scritture ed è usato a proposito del poggiapiedi d’oro del trono del re Salomone. (II Cron. 9:18) L’espressione ebraica hadhòm raghlàyim (lett. “sgabello dei piedi”) ricorre sei volte ed è usata in senso figurativo riferita al tempio (I Cron. 28:2; Sal. 99:5; 132:7; Lam. 2:1), alla terra (Isa. 66:1) e ai nemici sgominati dal governo del Messia. (Sal. 110:1) Giacomo riprende coloro che fanno distinzioni di classe nella congregazione, usando l’illustrazione di un povero a cui viene detto: “Prendi quel posto là, sotto lo sgabello dei miei piedi”. (Giac. 2:3) Tutte le altre volte che ricorre nelle Scritture Greche Cristiane, si tratta di citazioni o riferimenti alle Scritture Ebraiche. — Matt. 5:35; Luca 20:43; Atti 2:35; 7:49; Ebr. 1:13; 10:13.

  • Sichem
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    • Sichem

      (Sìchem) [spalla].

      1. Figlio di Emor, capotribù ivveo. (Gen. 33:19; Gios. 24:32) Dopo che Giacobbe si era stabilito nei pressi della città di Sichem (vedi n. 2 più avanti), sua figlia Dina cominciò a frequentare le ragazze di quella città. Sichem, descritto come l’uomo “più onorevole nell’intera casa di suo padre”, vide Dina e “giacque con lei e la violentò”. Poi s’innamorò di lei e la voleva sposare. Ma i figli di Giacobbe, adirati per tutta la faccenda, “con inganno” dissero che potevano prendere accordi matrimoniali solo con uomini circoncisi. Questo sembrò giusto a Sichem e a suo padre Emor ed essi convinsero i sichemiti a farsi circoncidere. Tuttavia, prima che gli uomini di Sichem potessero rimettersi dalla circoncisione, Simeone e Levi, figli di Giacobbe, attaccarono la città e uccisero Emor, Sichem e tutti gli altri uomini. — Gen. 34: 1-31.

      2. Antica città identificata con Nablus o, più precisamente, col vicino Tell Balatah (Sal. 60:6; 108:7), che si trova all’estremità E della stretta valle che separa il monte Gherizim dal monte Ebal, quasi 50 km a N di Gerusalemme. C’è una buona riserva idrica, e a E si stende una fertile pianura. Anticamente Sichem dominava le vie carovaniere che attraversavano la Palestina in direzione E-O e N-S. (Confronta Giudici 21:19). Non avendo il vantaggio di essere costruita su un monte, la sicurezza della città dipendeva dalle sue fortificazioni. — Giud. 9:35.

      Quando Abramo (Abraamo) giunse per la prima volta nella Terra Promessa, si spinse fino “al luogo di Sichem” e si accampò presso i grossi alberi di More, dove in seguito costruì un altare. (Gen. 12:6-9) Quasi due secoli dopo Giacobbe, di ritorno da Paddan-Aram, si accampò di fronte a Sichem, dove acquistò un pezzo di terra. Allorché Sichem figlio di Emor violentò la loro sorella Dina, Simeone e Levi, figli di Giacobbe, reagirono uccidendo gli uomini della città. (Gen. 33:18-34:31) Per ordine di Dio Giacobbe se ne andò da Sichem ma, prima di andarsene, prese tutti gli dèi stranieri e gli orecchini in possesso della sua famiglia e li seppellì sotto il grosso albero vicino a Sichem. (Gen. 35:1-4) In seguito i figli di Giacobbe pascolavano le loro greggi vicino alla città, senza correre alcun pericolo perché il “terrore di Dio”, che aveva impedito ai popoli vicini di inseguire Giacobbe, aveva ancora un certo effetto su di loro. — Gen. 35:5; 37:12-17.

      Quando gli israeliti, discendenti di Giacobbe, giunsero nella Terra Promessa dopo essere stati per oltre due secoli in Egitto, seppellirono le ossa di Giuseppe “in Sichem nel tratto di campo che Giacobbe aveva acquistato dai figli di Emor”. (Gios. 24:32) Tuttavia, nella sua difesa di fronte agli ebrei, Stefano disse che Giuseppe era stato sepolto “nella tomba che Abraamo aveva comprata . . . dai figli di Emor, in Sichem”. (Atti 7:16) Forse la dichiarazione di Stefano era ellittica. Colmando l’ellissi, la dichiarazione di Stefano si potrebbe leggere: “Giacobbe scese in Egitto. E decedette; e così i nostri antenati, e furon trasferiti a Sichem e posti nella tomba che Abraamo aveva comprata a prezzo con denaro d’argento [e in quella comprata] dai figli di Emor, in Sichem”. (Atti 7:15, 16) Inoltre è possibile che, essendo Giacobbe nipote di Abraamo, l’acquisto possa essere stato attribuito ad Abraamo, il capo patriarcale. Questo sarebbe un uso del

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