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  • g89 8/9 pp. 14-19
  • “Nemmeno per tutto il tè della Cina!”

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  • “Nemmeno per tutto il tè della Cina!”
  • Svegliatevi! 1989
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  • Il tè conquista l’Estremo Oriente
  • L’Europa scopre il tè
  • La tazza che rallegra gli inglesi
  • Tè, tasse e guerre
  • Perché non prendere una tazza di tè?
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Svegliatevi! 1989
g89 8/9 pp. 14-19

“Nemmeno per tutto il tè della Cina!”

HA CAMBIATO il corso della storia. Ha fatto nascere la più potente compagnia commerciale del suo tempo. I marinai olandesi fecero viaggi di migliaia di chilometri per andare a cercarlo. Dopo l’acqua, è la bevanda preferita nel mondo. Cos’è? Il tè!

Vi siete mai chiesti come abbia fatto il tè a diventare così popolare? Da dove viene? Come innumerevoli altre novità, ha avuto origine in Cina. Circa 500 anni prima dell’era volgare, Confucio accennò al tè in una sua poesia. La storia parla di un imperatore cinese che, 300 anni dopo, riempì i suoi forzieri vuoti con una tassa sul tè.

Sebbene le leggende che ne spiegano l’origine abbondino, probabilmente non sapremo mai come fu veramente scoperto il tè. Si racconta che l’imperatore Shen Nung bevesse solo acqua bollita quando andava in giro per il suo paese. Una volta un rametto di un arbusto in fiamme fu spinto dal vento nell’acqua già in ebollizione. Con sua grande sorpresa, l’imperatore notò che la nuova bevanda aveva un gradevolissimo sapore e un piacevole aroma. Aveva scoperto il tè!

Secondo un’altra leggenda, un discepolo del Budda, un certo Bodhidharma, credeva che la vera santità si potesse conseguire solo meditando di continuo, giorno e notte. Durante una delle sue lunghe veglie, fu infine sopraffatto dal sonno. Per non cedere una seconda volta a una così meschina debolezza umana, si tagliò le palpebre. Esse caddero a terra e cominciarono miracolosamente a germogliare. Il giorno dopo comparve un arbusto verde. Egli assaggiò le foglie e riscontrò che avevano un sapore gradevolmente rinfrescante. Naturalmente era la pianta del tè.

Il tè conquista l’Estremo Oriente

Non passò molto che il tè conquistò il Giappone. Vi fu portato da monaci buddisti cinesi, che arrivarono nel IX secolo con la ‘teiera nello zaino’. Il tè divenne subito una bevanda così gradita ai giapponesi che 400 anni dopo un “rituale estremamente formalizzato” per preparare e servire il tè, detto cha-no-yu, divenne un’istituzione nazionale.

Comunque, mentre i giapponesi elaboravano una meticolosa cerimonia del tè, in Cina esso era quasi imbevibile. Anche se i poeti cinesi definivano il tè “schiuma di giada liquida”, molte volte assomigliava più che altro a un brodo. Tra i modi allora più comuni di preparare il tè c’era quello di bollire le foglie verdi in acqua salata, aromatizzandolo a volte con zenzero e cannella o anche cipolle; altre volte lo si preparava con latte e perfino riso.

Tuttavia fu un cinese a scrivere il primo libro dedicato alla preparazione del tè. Verso il 780 E.V., Lu Yu pubblicò il Tscha-King (Il libro del tè), che divenne ben presto la “Bibbia” degli amanti del tè in Estremo Oriente. Sotto l’influsso di questo uomo di lettere, la Cina cominciò a raffinare le sue abitudini relative al tè, preparando la bevanda in modo più ingegnoso eppure non complicato: sopra le foglie del tè essiccate veniva versata semplice acqua bollita con al massimo un pizzico di sale, unica concessione alle antiche e amate ricette. Lu Yu osservò che il fatto che il tè sia buono o no dipende soprattutto dall’aroma. Riconobbe che il sapore e la qualità sono determinati non solo dalla pianta stessa ma ancor più, come nel caso del vino, da fattori come terreno e clima. Questo spiega perché egli poté dire che ci sono “mille e diecimila” tipi di tè.

Ben presto i cinesi cominciarono a produrre miscele di tè, e ne vennero messe in commercio centinaia di varietà. Non sorprende che il paese che ha fatto conoscere il tè al mondo gli abbia anche dato il nome con cui è universalmente conosciuto: viene da un carattere cinese del dialetto cinese di Amoy.

L’Europa scopre il tè

Gli europei impiegarono un bel po’ a scoprire la loro predilezione per il tè. Anche se il mercante ed esploratore veneziano Marco Polo (1254-1324) viaggiò in lungo e in largo per la Cina, nei resoconti dei suoi viaggi menzionò il tè solo una volta. Parlò di un ministro delle finanze cinese che fu destituito per avere arbitrariamente aumentato la tassa sul tè. Circa 200 anni dopo, un altro veneto, Giovan Battista Ramusio, fornì all’Europa la prima descrizione particolareggiata sulla produzione e il consumo di tè. Così, ai primi del XVII secolo, venivano venduti nelle farmacie d’Europa i primi campioni di questa nuova bevanda esotica, a un prezzo che inizialmente era pari a quello dell’oro. C’è poco da meravigliarsi se l’espressione di origine australiana “Nemmeno per tutto il tè della Cina!” significa “Assolutamente no!”

Nel frattempo gli olandesi avevano intrapreso scambi commerciali con l’Estremo Oriente, e il tè era uno dei prodotti di importazione più esotici. Un intraprendente mercante, Johan Nieuhof, racconta delle sue interminabili trattative con i mandarini cinesi, trattative che culminavano di solito con un banchetto durante il quale veniva servita una bevanda. Egli la chiamò sprezzantemente “brodo di fagioli”. Dopo avere descritto come prepararla e che si “sorseggia più calda che si può”, aggiunse che “questa bevanda è tanto cara ai cinesi quanto lo è agli alchimisti la loro Lapidum Philosophorum . . . la pietra filosofale”. Tuttavia decantò anche il tè come rimedio efficace, benché costoso, per ogni sorta di mali.

La tazza che rallegra gli inglesi

Sebbene oggi gli inglesi siano i più grandi bevitori di tè, sia gli olandesi che i portoghesi li aiutarono a convertirsi alla bevanda. Si crede che gli ebrei, invitati da Oliver Cromwell a tornare in Inghilterra dal loro esilio ad Amsterdam, portassero con sé il tè. Il 23 settembre 1658 fu una data memorabile nella storia del tè. Fu la prima volta che venne reclamizzato su un giornale inglese. Il Mercurius Politicus annunciò che una bevanda chiamata tchan dai cinesi e tè da altri sarebbe stata venduta nel Sultan’s Head, un caffè di Londra. Tre anni dopo, il re inglese Carlo II sposò la principessa portoghese Caterina di Braganza, che di tè se ne intendeva e che introdusse l’ora del tè alla corte inglese. Quella fu una vittoria sugli alcolici, che a quanto si dice venivano centellinati “di mattina, a mezzogiorno, di sera”, da uomini e donne indistintamente. All’improvviso il tè divenne la bevanda alla moda.

Benché prodotto a migliaia di chilometri di distanza, il tè venne portato a Londra in quantità sempre maggiori. Col tempo la Compagnia delle Indie Orientali ottenne il diritto esclusivo al commercio del tè con la Cina, detenendo il monopolio degli scambi commerciali con l’Estremo Oriente per circa 200 anni. La maggior parte dell’Europa cominciò a bere tè, anche se la Francia non si convertì alla nuova bevanda.

Tè, tasse e guerre

Il tè fu una manna per i governi in difficoltà. Dapprima venne riscossa quotidianamente una tassa sull’effettiva quantità di tè bevuto nei caffè di Londra. Questo laborioso sistema fu abolito nel 1689, quando venne applicato un dazio su ciascuna libbra di foglie di tè essiccate. Le tasse, che arrivavano fino al 90 per cento, e la crescente domanda portarono a un fiorente traffico clandestino lungo la costa meridionale dell’Inghilterra, poiché il tè costava molto meno sul continente. Si producevano anche surrogati del tè. Le foglie del tè già usate venivano trattate con melassa e argilla — si suppone per ridare al tè il colore originale — e poi venivano essiccate e rivendute. Un “sofisticatore” produceva un pessimo e maleodorante intruglio di foglie di frassino essiccate e immerse in sterco di pecora che poi veniva mischiato a tè vero e venduto!

Il tè ha cambiato anche il corso della storia. La scintilla che fece scoppiare la guerra di indipendenza americana fu una tassa sul tè di tre penny per libbra. Gli adirati bostoniani criticarono questa tassa definendola “insignificante ma tirannica”. Gli infuriati coloni, alcuni travestiti da oriundi americani (pellerossa), presero d’assalto tre navi della Compagnia delle Indie ormeggiate nel porto, aprirono le casse del tè e gettarono l’intero carico in mare. Il resto è storia.

Fu combattuta un’altra guerra per il tè, la guerra dell’oppio. Le esportazioni di tè cinese erano state pagate in argento, visto che non c’era richiesta di merci europee. L’oppio, però, era una mercanzia molto ricercata, benché vietata. La Compagnia delle Indie Orientali fu pronta a soddisfare la domanda barattando l’oppio col tè. Questa Compagnia priva di scrupoli coltivava papaveri da oppio nell’India orientale per rifornire l’immenso mercato cinese. Tale traffico illegale continuò per una decina d’anni, approvvigionando largamente le innumerevoli fumerie d’oppio, sin quando alla fine il governo cinese non vi pose un freno. Dopo alcune scaramucce in proposito tra inglesi e cinesi, scoppiò una guerra che si concluse nel 1842 con un’umiliante sconfitta per i cinesi. Il tè fu di nuovo esportato in Inghilterra e la Cina fu costretta ad accettare le importazioni di oppio.

Perché non prendere una tazza di tè?

Sin dal principio della sua storia, si riconobbe che il tè aveva un effetto stimolante, soprattutto per il suo contenuto di caffeina. Dapprima il tè era venduto nelle farmacie ed era considerato una panacea per malattie così diverse come idropisia e scorbuto. Era anche preso per combattere sia l’inappetenza che il troppo appetito. Oggi si sa che il tè contiene varie vitamine del complesso B. Tuttavia, accresce anche il consumo di caffeina. Inoltre, nella società occidentale dove si sta tanto attenti alle calorie, vale la pena di ricordare che una tazza di tè ha solo quattro calorie se presa senza latte e senza zucchero.

Il tè si guasta con facilità. Si può conservare solo per pochi mesi. E soprattutto, dev’essere conservato nel modo appropriato. Non tenetelo mai insieme ad altre erbe aromatiche o, peggio ancora, insieme a spezie. Il tè assorbe facilmente il sapore di qualsiasi cosa sia conservata accanto ad esso, tanto che i sorveglianti inglesi delle piantagioni di tè del secolo scorso facevano fare la doccia a chi raccoglieva il tè tutte le volte che andava al lavoro!

Fra parentesi, anche il tè ghiacciato può essere squisito. Durante l’Esposizione Universale di Saint Louis nel 1904, un inglese non poteva vendere il suo tè fumante ai visitatori già in un bagno di sudore. Allora lo versò sopra del ghiaccio, e così nacque la rinfrescante bevanda estiva d’America.

Gli inglesi prendono il tè col latte, ai frisoni della Germania settentrionale piace con lo zucchero candito bianco e la panna sopra, i marocchini lo aromatizzano con la menta, mentre i tibetani vi aggiungono sale e burro di yak. Tuttavia molti patiti del tè seguono il suggerimento del vecchio Lu Yu e preparano il tè con acqua di montagna appena bollita, dovunque sia ancora possibile trovarla.

Dopo avere letto tante cose sul tè, avete sete? Perché non vi fate subito una bella tazza di tè?

[Testo in evidenza a pagina 15]

“Sia ringraziato Dio per averci dato il tè! Cosa farebbe il mondo senza il tè? Come avrebbe fatto a vivere? Sono lieto di non essere nato prima del tè”. Sydney Smith (1771-1845), scrittore inglese

[Riquadro/Immagine a pagina 18]

Dalla piantagione alla teiera

Oggi esistono centinaia di diverse piante del tè, tutti ibridi di tre principali varietà. Le piantagioni di tè si trovano di solito in regioni montuose dove il terreno è ben drenato. La regione dove oggi si coltiva la maggior quantità di tè è l’Assam, nell’omonimo stato settentrionale dell’India. Tuttavia, il “fior fiore” dei tè si dice sia quello che viene da Darjeeling, ai piedi della catena dell’Himalaya. Il clima piovoso e il suolo acido contribuiscono insieme a produrre uno dei migliori tè, facendo di Darjeeling la “terra promessa” del tè.

A Darjeeling la raccolta è stagionale: il primo raccolto si fa in marzo e aprile, ed è quello che dà un tè molto pregiato, dall’aroma delicato. Il secondo raccolto, che si fa d’estate, dà un tè corposo e color ambra, mentre i tè comuni si raccolgono più tardi, in autunno. In altri luoghi la raccolta si fa tutto l’anno a intervalli che vanno da pochi giorni soltanto ad alcune settimane. Più giovani e più teneri sono i germogli, migliore sarà il tè. Il lavoro di raccolta richiede molta abilità e attenzione. Dopo tutto, da circa 30.000 germogli, quello che una persona capace raccoglie in un giorno, si ricavano solo 6 chili di tè di Darjeeling. Ma ciò che viene raccolto non è ancora tè.

Ora ha inizio un processo di preparazione in quattro fasi. Prima di tutto, bisogna far appassire i giovani germogli verdi così che perdano circa il 30 per cento dell’umidità e divengano morbidi e lisci come pelle. Quindi sono pronti per essere arrotolati, la fase seguente. Nell’arrotolamento, le pareti cellulari delle foglie si aprono, lasciando uscire i succhi naturali che danno al tè il suo caratteristico aroma. Nella terza fase le foglie del tè cambiano da verde giallastro a bruno ramato, il loro colore caratteristico. Questo processo si chiama fermentazione. Le foglie frantumate vengono sparse su tavoli in un ambiente umido e cominciano a fermentare. Ora le foglie si devono essiccare, o tostare. Questo processo le fa diventare nere, e solo quando si versa l’acqua bollente sopra le foglie riappare il colore bruno ramato.

Infine, le foglie essiccate vengono selezionate e imballate in casse di compensato rivestite di carta di riso e foglio d’alluminio, pronte per essere spedite ai commercianti in tutto il mondo. Poi, una volta fatte le varie miscele, non resta che metterle in infusione nella teiera.

[Immagine a pagina 14]

Cinesi che pesano il tè

[Immagini alle pagine 16 e 17]

Stabilimento di tè nel Sikkim (India) — A destra

Raccolta del tè in India — Estrema destra

Piantagione di tè a Srī Lanka — In basso a destra

Foglie e fiori della pianta del tè — Al centro

Raccolta del tè in Giappone — In basso a sinistra

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