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  • 7C Gesù risuscitato il giorno “dopo il sabato”
    Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture con riferimenti
    • 7C Gesù risuscitato il giorno “dopo il sabato”

      Mt 28:1 — “Dopo il sabato”

      Gr. Ὀψὲ . . . σαββάτων (opsè . . . sabbàton)

      J. H. Thayer, in A Greek-English Lexicon of the New Testament, 4ª ed., Edimburgo (1901), p. 471, dice: “ὀψὲ σαββάτων, essendo appena passato il sabato, dopo il sabato, cioè all’alba del primo giorno della settimana: (interpretazione assolutamente richiesta dalla specificazione aggiunta τῇ ἐπιφωσκ. κτλ. [tei epifosk(oùsei) ktl. “quando cominciava a sorgere la luce” ecc.]), Mt. xxviii. 1”. Inoltre ZorellGr, col. 969, dice: “post [dopo]: ὀψὲ σαββάτων Mt 28:1 ‘post sabbatum’ [‘dopo il sabato’]”. E Bauer, p. 601, dice alla voce ὀψέ: “dopo ὀψὲ σαββάτων dopo il Sabato Mt 28:1”.

  • 7D “Patto” secondo il suo antico significato ebraico
    Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture con riferimenti
    • 7D “Patto” secondo il suo antico significato ebraico

      Eb 9:16 — Gr. διαθήκη (diathèke)

      1887

      “poiché dove c’è un patto, è necessario che avvenga la morte della vittima del patto”.a

      The Holy Bible, di Robert Young, Edimburgo.

      1897

      “Poiché dove c’è un patto è necessario che intervenga la morte di colui che ha fatto il patto”.b

      The Emphasised Bible, di J. B. Rotherham, Cincinnati (USA).

      1950

      “Poiché dove c’è un patto, è necessario che abbia luogo la morte dell’[uomo] che ha fatto il patto”.

      New World Translation of the Christian Greek Scriptures (Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane), Brooklyn (New York).

      La parola diathèke ricorre 33 volte nel testo greco, cioè in Mt 26:28; Mr 14:24; Lu 1:72; 22:20; At 3:25; 7:8; Ro 9:4; 11:27; 1Co 11:25; 2Co 3:6, 14; Gal 3:15, 17; 4:24; Ef 2:12; Eb 7:22; 8:6, 8, 9, 9, 10; 9:4, 4, 15, 15, 16, 17, 20; 10:16, 29; 12:24; 13:20; Ri 11:19. La Traduzione del Nuovo Mondo rende la parola greca diathèke “patto” in questi 33 luoghi.

      La parola diathèke ricorre sette volte in citazioni tratte dalle Scritture Ebraiche, cioè in Ro 11:27 (da Isa 59:21); Eb 8:8 (da Ger 31:31), 9 (due volte, da Ger 31:32), 10 (da Ger 31:33); 9:20 (da Eso 24:8); 10:16 (da Ger 31:33). In questi versetti citati la parola ebraica nel M è ברית (berìth, “patto”), e la parola greca nei LXX è διαθήκη (diathèke).

      Benché l’ovvio significato di diathèke nelle Scritture Greche Cristiane sia quello antico ebraico di “patto”, molti traduttori moderni rendono diathèke in Eb 9:16, 17 con “testamento”. Essi indicano così che lo scrittore del libro di Ebrei intese dare un significato diverso a questa parola greca.

      Comunque, la Cyclopedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, di John McClintock e James Strong, Grand Rapids, Michigan, ristampa del 1981, vol. II, p. 544, dichiara: “Avendo i Sett. reso בְּרִית (che non significa mai testamento, ma sempre patto o accordo) con διαθήκη tutte le volte che ricorre nel V. T., si può naturalmente supporre che gli scrittori del N. T., nell’adottare tale parola, intendessero trasmettere la stessa idea ai loro lettori, la maggioranza dei quali conoscevano bene il V. T. in greco. . . . Nel passo, indubbiamente difficile, di Eb ix, 16, 17, la parola διαθήκη secondo molti commentatori deve assolutamente significare testamento. D’altra parte, però, si può far notare che, oltre a ciò che è stato appena detto circa il consueto significato della parola nel N. T., la parola ricorre due volte nel contesto, in casi in cui il suo significato deve necessariamente essere uguale alla traduzione di בְּרִית, e nell’incontestabile senso di patto (cfr. διαθήκη καινή [diathèke kainè, “nuovo patto”], Ebr. ix, 15, con la stessa espressione in viii, 8; e διαθήκη, ix, 16, 17, col vers. 20, ed Eso. xxiv, 8)”.

      Similmente, B. F. Westcott, coeditore del testo greco di Westcott e Hort, nella sua opera The Epistle to the Hebrews, Londra, 1892, p. 300, scrisse quanto segue:

      “La testimonianza biblica dunque, fin dove si può vedere, è interamente a favore del significato di ‘patto’, con la necessaria limitazione del senso della parola a un patto divino. Quando passiamo a trattare il senso di διαθήκη nel cap. ix. 15 e segg. va fatta un’osservazione preliminare. La relazione tra i vv. da 15 a 18 è strettissima: v. 16 ὅπου γάρ [hòpou gar, “Poiché dove”] . . . : v. 18 ὅθεν οὐδέ [hòthen oudè, “Di conseguenza nemmeno”]. . . .

      “Questa relazione rende assai arduo supporre che la parola chiave διαθήκη sia usata con significati diversi nel corso dei versetti, e specialmente che al v. 16 si debba chiamare in causa la caratteristica di un particolare genere di διαθήκη essenzialmente diverso dal πρώτη διαθήκη [pròte diathèke, “patto precedente”] dei vv. 15, 18. È infatti impossibile sostenere che i sacrifici con cui fu inaugurato il Vecchio Patto si potessero spiegare con la supposizione che quello fosse un ‘Testamento’. Né sembra che lo si potesse definire un ‘Testamento’ in alcun senso.

      “È quindi più che ragionevole concludere che διαθήκη ha lo stesso senso da per tutto, e che il senso è quello altrimenti universale di ‘patto’, a meno che non ci siano argomenti schiaccianti contro tale opinione”.

      Perciò in Eb 9:16, 17 la parola greca diathèke ha lo stesso significato che ha nei versetti circostanti, cioè quello di “patto”, corrispondente alla parola ebraica berìth. Questi versetti sono inclusi nella trattazione che l’apostolo fa del patto della Legge mosaica in paragone col suo antitipo, il nuovo patto. Paolo parla della necessità della morte del mediatore (‘colui che ha fatto il patto’) perché il patto divenga legale e vincolante. Nel caso del patto della Legge, le vittime animali presero il posto di Mosè, il mediatore del patto della Legge, e il loro sangue sostituì il suo, legalizzando il patto e rendendolo operante. In maniera corrispondente, nel caso del nuovo patto, Gesù Cristo, il mediatore del nuovo patto, diede realmente la sua perfetta vita umana in sacrificio. Come risultato del versamento del suo sangue, il nuovo patto fu convalidato. — Eb 9:17.

      a Tradotto dall’inglese.

      b Tradotto dall’inglese.

  • 7E Le espressioni “Vecchio Testamento” e “Nuovo Testamento”
    Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture con riferimenti
    • 7E Le espressioni “Vecchio Testamento” e “Nuovo Testamento”

      2Co 3:14 — Gr. ἐπὶ τῇ ἀναγνώσει τῆς παλαιᾶς διαθήκης (epì tei anagnòsei tes palaiàs diathèkes);

      lat. in lectione veteris testamenti

      1607

      “nella lettura del vecchio testamento”

      La Sacra Bibbia, di Giovanni Diodati.

      1769

      “nella lettura del Vecchio Testamento”

      La Bibbia, di Antonio Martini.

      1950

      “alla lettura del vecchio patto”

      New World Translation of the Christian Greek Scriptures (Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane), Brooklyn (New York).

      Oggi è abitudine comune riferirsi a quella parte delle Scritture che fu scritta in ebraico e aramaico come al “Vecchio Testamento”. Questo si basa sulla lezione di 2Co 3:14 nella Vulgata latina e nelle versioni successive. Le Scritture Greche Cristiane sono comunemente chiamate “Nuovo Testamento”. È da notare che in 2Co 3:14 la parola diathèkes significa “patto”, come negli altri 32 luoghi in cui ricorre nel testo greco. — Vedi App. 7D.

      Riguardo al significato della parola latina testamentum (genitivo: testamenti), Edwin Hatch, nella sua opera Essays in Biblical Greek, Oxford, 1889, p. 48, dichiarò che “per ignoranza della filologia del latino più tardo e volgare, una volta si supponeva che ‘testamentum’, con cui la parola [diathèke] è resa sia nelle prime versioni latine che nella Vulgata, significasse ‘testamento’, mentre in realtà significa anche, se non esclusivamente, ‘patto’”. In modo simile, in A Bible Commentary for English Readers by Various Writers, a cura di Charles Ellicott, New York, vol. VIII, p. 309, W. F. Moulton scrisse che “nell’antica traduzione latina delle Scritture testamentum divenne la comune versione della parola [diathèke]. Poiché comunque questa versione si trova molto spesso dove è impossibile pensare al significato di testamento (per esempio, in Sl. lxxxiii, 5, dove nessuno supporrà che il salmista dica che i nemici di Dio ‘hanno fatto un testamento contro di Lui’), è chiaro che il termine latino testamentum fu usato con un significato esteso, che corrisponde all’ampia applicazione della parola greca”. — Vedi ntt. a Sl 25:10 e 83:5.

      In vista di quanto sopra, la traduzione “vecchio testamento” in 2Co 3:14 nelle versioni di Diodati, Martini e altri è inesatta. In questo punto varie traduzioni moderne leggono correttamente “vecchio patto”. Qui l’apostolo Paolo non si riferisce alle Scritture Ebraiche e Aramaiche nella loro interezza. Né vuol dire che gli ispirati scritti cristiani costituiscano un “nuovo testamento (patto)”. L’apostolo sta parlando del vecchio patto della Legge, che fu messo per iscritto da Mosè nel Pentateuco e che costituisce solo una parte delle Scritture precristiane. Per questa ragione nel versetto seguente egli dice: “ogni volta che si legge Mosè”.

      Non c’è quindi nessuna base valida per chiamare le Scritture Ebraiche e Aramaiche “Vecchio Testamento” e le Scritture Greche Cristiane “Nuovo Testamento”. Gesù Cristo stesso si riferì alla collezione degli scritti sacri come alle “Scritture”. (Mt 21:42; Mr 14:49; Gv 5:39) L’apostolo Paolo vi si riferì come alle “sacre Scritture”, le “Scritture” e gli “scritti sacri”. (Ro 1:2; 15:4; 2Tm 3:15) In armonia con l’espressione ispirata di Ro 1:2, la Traduzione del Nuovo Mondo contiene nel suo titolo l’espressione “Sacre Scritture”.

  • 8A Monete, pesi, misure
    Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture con riferimenti
    • 8A Monete, pesi, misure

      I seguenti sono valori medi basati sulle testimonianze bibliche e sulle scoperte archeologiche. Tutti gli equivalenti moderni indicati devono considerarsi approssimativi.

      Per calcolare il valore attuale dell’oro e dell’argento, determinate il più recente valore per grammo e moltiplicate per il numero dei grammi.

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