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  • Quando ci si trova di fronte a un grave problema di salute
    Svegliatevi! 2001 | 22 gennaio
    • Quando ci si trova di fronte a un grave problema di salute

      “È stata una vera mazzata”.

      John, dopo aver saputo di avere una malattia debilitante.

      “Ero terrorizzata”.

      Beth, dopo aver capito la gravità del suo problema di salute.

      SENTIRSI diagnosticare una malattia cronica e invalidante o capire che un incidente subìto ci lascerà con un’invalidità permanente è una delle esperienze più dolorose che possano capitare. Che la diagnosi venga comunicata in un confortevole studio medico o che ci si trovi faccia a faccia con la propria invalidità nel viavai di un pronto soccorso affollato, la prima reazione è probabilmente uno stato di shock e di incredulità. Non siamo preparati ad affrontare il turbine di emozioni che ci assale quando un grave problema di salute ci sconvolge la vita.

      Per raccogliere informazioni che potrebbero essere utili a chi di recente si è ritrovato con un grosso problema di salute, Svegliatevi! ha parlato con vari individui di diversi paesi che da molti anni affrontano bene malattie croniche invalidanti. Sono state rivolte loro domande come: Quali emozioni avete provato? Cosa vi ha aiutato a superare il momento critico e a ritrovare l’equilibrio? Quali passi avete fatto per riacquistare in qualche misura il controllo della vostra vita? A beneficio di chi sta affrontando un grave problema di salute riportiamo i dati raccolti nel corso di queste interviste nonché ciò che hanno scoperto alcuni ricercatori che studiano gli effetti delle malattie croniche.a

      [Nota in calce]

      a Questi articoli sono scritti in particolare per coloro che sono malati o invalidi; gli articoli “Malattie croniche: Affrontarle come famiglia” (Svegliatevi! del 22 maggio 2000), invece, contenevano informazioni dirette particolarmente a chi assiste un infermo.

  • Prigionieri di un vortice di emozioni
    Svegliatevi! 2001 | 22 gennaio
    • Prigionieri di un vortice di emozioni

      “QUANDO mi dissero che avevo una malattia potenzialmente letale”, ricorda un uomo avanti con gli anni, “cercai di accantonare le mie paure, ma il senso di incertezza mi sfibrava”. Le sue parole sottolineano il fatto che una malattia, oltre a colpire nel fisico, assesta un duro colpo anche a livello emotivo. Nondimeno, ci sono persone che reggono bene questi colpi. Molte di loro desiderano rassicurarvi, spiegandovi che è possibile far fronte a una malattia cronica. Ma prima di vedere cosa potete fare, esaminiamo un po’ più da vicino alcune emozioni con cui inizialmente potreste trovarvi a fare i conti.

      Incredulità, negazione, disforia

      Le emozioni che provate voi possono essere molto diverse da quelle di altri. Nondimeno, operatori sanitari e persone inferme dicono che esistono diverse emozioni che accomunano spesso coloro che si trovano di colpo di fronte a un grave problema di salute. Allo shock e all’incredulità iniziali può subentrare un sentimento di negazione: ‘Non può essere vero’. ‘Ci dev’essere un errore’. ‘Avranno scambiato qualche provetta’. Descrivendo la sua reazione quando venne a sapere che aveva un tumore, una donna ha detto: “Ti viene voglia di infilare la testa sotto le coperte, nella speranza che quando la tirerai fuori di nuovo sarà tutto passato”.

      Tuttavia, man mano che si prende coscienza della realtà, la negazione può lasciare il posto alla disforia, uno stato d’animo di oppressione angosciosa e di tristezza. Possono assalirvi domande come: ‘Quanto tempo mi resta da vivere?’, ‘Sono condannato a soffrire per il resto dei miei giorni?’ e altre simili. Forse vi piacerebbe tornare indietro nel tempo, a prima della diagnosi, ma non è possibile. Ben presto potreste essere travolti da una valanga di altre emozioni forti e dolorose. Quali sono alcune di esse?

      Incertezza, ansia, paura

      Una malattia grave provoca grande incertezza e ansia. “A volte l’imprevedibilità della mia situazione è molto frustrante”, dice un uomo affetto dal morbo di Parkinson. “Ogni giorno devo aspettare e vedere cosa succederà”. La malattia può anche spaventarvi. Se vi ha colpito senza preavviso, può darsi che proviate una gran paura. Se invece la diagnosi è arrivata dopo che per anni avete sofferto di sintomi che i medici non avevano saputo interpretare, la paura può essere più insidiosa. All’inizio potreste persino provare un senso di sollievo, pensando che gli altri finalmente crederanno che state male per davvero e che non state recitando. Ben presto, però, al sollievo può subentrare la paura quando vi rendete conto di ciò che comporta la diagnosi.

      Un’altra cosa che potrebbe preoccuparvi è la paura di non avere più il controllo della vostra vita. Soprattutto se per voi è importante avere un certo grado di indipendenza, il pensiero di dipendere sempre più dagli altri può farvi rabbrividire. Potreste temere che la malattia stia cominciando a dominare la vostra vita e a condizionare ogni vostro movimento.

      Rabbia, vergogna, solitudine

      Il fatto di avvertire una crescente perdita di controllo potrebbe anche scatenare un senso di rabbia. Potreste chiedervi: ‘Perché proprio a me? Cosa ho fatto per meritare questo?’ Il vostro problema di salute sembra ingiusto e assurdo. Potreste anche essere sopraffatti dalla vergogna e dalla disperazione. Un uomo che è paralizzato ricorda: “Mi vergognavo da morire del fatto che tutto questo mi fosse successo per colpa di uno stupido incidente!”

      Potreste anche cominciare a sentirvi isolati. L’isolamento fisico porta facilmente all’isolamento sociale. Se il vostro problema di salute vi costringe a rimanere in casa, probabilmente non potete più stare insieme ai vecchi amici. Eppure sentite più che mai il desiderio e il bisogno di compagnia. Dopo una raffica iniziale di visite e telefonate, può succedere sempre più di rado che qualcuno faccia un salto da voi o vi telefoni.

      Dal momento che vedere allontanarsi gli amici fa male, può darsi che abbiate reagito a questa esperienza dolorosa chiudendovi in voi stessi. Naturalmente, è comprensibile che abbiate bisogno di un po’ di tempo prima di affrontare nuovamente gli altri. Ma se a questo punto tagliate sempre di più i ponti con gli altri, potreste passare dall’isolamento sociale (quando gli altri non vengono a trovarvi) all’isolamento emotivo (quando siete voi a non voler vedere gli altri). In entrambi i casi, potreste trovarvi a lottare con un forte senso di solitudine.a A volte potreste addirittura chiedervi se ce la farete ad affrontare un altro giorno.

      Imparare dagli altri

      Ma c’è speranza. Se vi siete trovati di recente ad affrontare un grosso problema di salute, ci sono delle cose pratiche che potete fare per riacquistare in una certa misura il controllo della vostra vita.

      È ovvio che questa serie di articoli non eliminerà il vostro problema di salute, qualunque esso sia. Può darsi, però, che le informazioni presentate vi aiutino a vedere come convivere con esso. Una donna con un tumore ha così riassunto le fasi che ha attraversato: “Dopo la negazione ho provato molta rabbia e infine mi sono messa a cercare le risorse a mia disposizione”. Anche voi potete fare la stessa cosa, rivolgendovi a persone che hanno affrontato gli stessi problemi prima di voi e imparando da loro come sfruttare le risorse a vostra disposizione.

      [Nota in calce]

      a Naturalmente, molti provano queste emozioni in maniera più o meno intensa, o in un ordine diverso.

      [Testo in evidenza a pagina 5]

      Potreste chiedervi: ‘Perché proprio a me? Cosa ho fatto per meritare questo?’

  • Come vivere bene nonostante la malattia?
    Svegliatevi! 2001 | 22 gennaio
    • Come vivere bene nonostante la malattia?

      SIATE certi che il turbine di emozioni che probabilmente provate è del tutto giustificato. Anche se la vostra malattia o invalidità è un dato di fatto, la mente non vuole accettare i cambiamenti che essa vi ha imposto. Potrebbe sembrare che tra voi e la vostra malattia si sia instaurata una specie di braccio di ferro, un conflitto tra quello che eravate e quello che potreste diventare. E in questo momento potrebbe sembrare che ad avere la meglio sia la malattia. Ma potete ribaltare la situazione. Come?

      “Quando una malattia provoca una perdita”, osserva la dott. Kitty Stein, “sotto molti aspetti si soffre come quando muore una persona cara”. Perciò, se avete perso una cosa così preziosa come la salute, è più che normale che vi concediate il tempo di piangere, come fareste se aveste perso un vostro caro. Anzi, può darsi che non abbiate perso solo la salute. Una donna spiega: “Ho dovuto rinunciare al lavoro. . . . Ho dovuto rinunciare all’indipendenza di cui avevo sempre goduto”. Nondimeno, mantenete un punto di vista equilibrato circa le cose che avete perduto. “Dovete piangere le cose perdute”, aggiunge la Stein, lei stessa affetta da sclerosi multipla, “ma dovete anche capire che cosa vi resta”. In effetti, una volta asciugate le lacrime iniziali, vedrete che vi restano importanti risorse a cui attingere. Innanzi tutto, avete la capacità di adattarvi.

      Un marinaio non può controllare una tempesta, ma può affrontarla con successo agendo sulla velatura della propria barca. Analogamente, può darsi che non possiate far nulla per controllare la malattia che vi ha sconvolto la vita, ma potete affrontarla agendo sulla vostra “velatura”, ovvero sulle vostre risorse fisiche, psicologiche ed emotive. Cosa ha aiutato altri malati cronici a far questo?

      Informatevi sulla vostra malattia

      Una volta superato l’impatto iniziale della diagnosi, molti concludono che conoscere la dolorosa verità è meglio che vivere nell’incertezza e nella paura. Mentre la paura può paralizzarvi, sapere cosa vi sta succedendo vi permette di pensare a cosa potete fare, e spesso questo ha di per sé un effetto positivo. “Qualsiasi cosa vi preoccupi, notate quanto vi sentite meglio quando ideate un piano per farvi fronte”, osserva David Spiegel, della Stanford University. “Molto prima di fare effettivamente qualcosa, potete ridurre la sensazione di disagio progettando il da farsi”.

      Può darsi che sentiate il bisogno di saperne di più sulla vostra malattia. Un proverbio biblico dice che “l’uomo di conoscenza rafforza la potenza”. (Proverbi 24:5) “Procuratevi dei libri dalla biblioteca. Imparate più cose che potete sulla vostra malattia”, suggerisce un uomo costretto a letto. Imparando quali sono le cure disponibili e i metodi per far fronte alla malattia, potreste scoprire che la vostra situazione forse non è così disperata come temevate. Potreste persino trovare qualche motivo per essere ottimisti.

      Ma il vostro vero obiettivo non è arrivare a comprendere la malattia a livello razionale. Spiegel spiega: “Questa acquisizione di informazioni fa parte di un importante processo in cui la persona accetta la malattia, se ne fa una ragione e comincia a vederla in maniera equilibrata”. Accettare l’idea che la vostra vita è cambiata ma non è finita è un processo delicato e spesso lento. Ma questo passo avanti — dal comprendere la malattia a livello razionale all’accettarla a livello emotivo — voi lo potete fare. Come?

      Trovare un difficile equilibrio

      Può darsi che dobbiate rivedere le vostre idee su cosa significa accettare la propria malattia. In fondo, accettare il fatto che state male non è un segno di fallimento, proprio come non lo è per un marinaio accettare il fatto che si trova in mezzo a una tempesta. Al contrario, un atteggiamento realistico nei confronti della tempesta lo spinge ad agire. Allo stesso modo, accettare la propria malattia non è una sconfitta, ma significa “procedere in una nuova direzione”, come ha fatto notare una donna affetta da una malattia cronica.

      Anche se le vostre capacità fisiche sono diminuite, forse dovete ricordare a voi stessi che ciò non significa necessariamente che anche le vostre qualità mentali, emotive e spirituali ne abbiano risentito. Ad esempio, avete ancora l’intelligenza e la facoltà di organizzare e ragionare? Forse avete ancora il vostro sorriso cordiale, il desiderio di rendervi utili e la capacità di essere buoni ascoltatori e veri amici. Ciò che più conta, avete ancora la vostra fede in Dio.

      Inoltre, ricordate che pur non potendo cambiare tutte le vostre circostanze, potete ugualmente decidere come reagire ad esse. Irene Pollin, dell’istituto americano per la lotta contro i tumori, afferma: “Il modo in cui reagite alla malattia dipende da voi. La malattia, per quanto vi condizioni, non vi potrà mai privare di questo potere”. Helen, una donna di 70 anni affetta da sclerosi multipla in uno stadio avanzato, è dello stesso avviso: “Non è tanto la malattia quanto il modo in cui reagite ad essa a determinare se ritroverete il vostro equilibrio”. Un uomo invalido da parecchi anni dice: “L’ottimismo è la chiglia che permette alla barca di rimanere dritta”. Non a caso Proverbi 18:14 afferma: “Lo spirito di un uomo può sostenere la sua malattia, ma in quanto a uno spirito abbattuto, chi lo può sollevare?”

      Riprendere il controllo

      Man mano che riacquistate l’equilibrio emotivo, domande come ‘Perché doveva succedere proprio a me?’ possono cedere il passo ad altre del tipo: ‘Visto che mi è successo, cosa posso fare?’ A questo punto potreste scegliere di fare ulteriori passi per migliorare la vostra situazione. Esaminiamone alcuni.

      Valutate la vostra condizione, pensate a quali cambiamenti dovete fare, e poi cercate di cambiare quello che si può cambiare. “La vostra malattia è un’occasione per riconsiderare la vostra vita: è il suono di una sveglia, non di una campana a morto”, afferma Spiegel. Chiedetevi: ‘A cosa davo importanza prima di ammalarmi? In che modo questo è cambiato?’ Fatevi queste domande non per scoprire cosa non siete più in grado di fare, ma per vedere cosa potete ancora fare, magari in modo diverso. Prendete il caso di Helen, menzionata in precedenza.

      Da 25 anni la sclerosi multipla le indebolisce i muscoli. All’inizio si spostava con un deambulatore. In seguito, quando perse l’uso della mano destra, cominciò ad usare la sinistra. Poi non poté più usare neanche la sinistra. Infine, circa otto anni fa, non fu più in grado di camminare. Ora ha bisogno di essere lavata, imboccata e vestita. Questo la rattrista, ma ugualmente dice: “Il mio motto continua ad essere: ‘Pensa a quello che puoi fare e non a quello che facevi un tempo’”. E con l’aiuto del marito, delle infermiere che l’assistono nonché di un po’ di inventiva da parte sua, riesce a continuare a svolgere alcune delle attività che le sono sempre piaciute. Ad esempio, parlare ad altri della promessa biblica di un pacifico nuovo mondo ha sempre avuto una parte importante nella sua vita sin da quando aveva 11 anni, e tuttora svolge questa attività ogni settimana. (Matteo 28:19, 20) Helen spiega come fa:

      “Chiedo a un’infermiera di reggermi il giornale. Insieme leggiamo i necrologi e ne scegliamo alcuni. Poi spiego all’infermiera quali pensieri vorrei comunicare per lettera ai parenti del deceduto, e l’infermiera dattiloscrive la lettera. Insieme alla lettera spedisco l’opuscolo Quando muore una persona cara,a che spiega la confortante speranza biblica della risurrezione. Faccio questo ogni domenica pomeriggio. Il fatto di poter ancora rendere partecipi altri della buona notizia del Regno di Dio mi rende felice”.

      Ponetevi mete ragionevoli e alla vostra portata. Un motivo per cui Helen si sforza di cambiare quello che si può cambiare è che ciò le permette di porsi delle mete e poi di raggiungerle. Questo è importante anche per voi. Perché? Perché ponendovi delle mete orientate la mente verso il futuro, e raggiungendole provate soddisfazione. Potete anche riacquistare un certo grado di fiducia in voi stessi. Ma le mete che vi ponete devono essere specifiche. Ad esempio, potreste stabilire: ‘Oggi leggerò un capitolo della Bibbia’. Inoltre, dovete porvi mete che siano realistiche per voi. Dal momento che la vostra costituzione fisica ed emotiva è diversa da quella di altri che sono affetti da malattie croniche, potreste non essere in grado di raggiungere le stesse mete che raggiungono loro. — Galati 6:4.

      “Per quanto piccola possa sembrare una meta, raggiungerla dà l’incentivo a fare di più”, dice Lex, che vive nei Paesi Bassi. Più di vent’anni fa, quando aveva 23 anni, rimase paralizzato in seguito a un incidente. Durante le molte sedute di fisioterapia che seguirono fu incoraggiato a porsi delle mete, come lavarsi la faccia con una pezza. Era estenuante, ma ci riuscì. Quando si rese conto di essere riuscito a raggiungere quella meta, se ne pose un’altra: aprire e chiudere da solo il tubetto del dentifricio. Riuscì a fare anche questo. “Anche se non è stato facile”, dice Lex, “ho scoperto che potevo fare più cose di quanto pensassi”.

      Non solo, ma con l’aiuto della moglie Tineke, Lex ha raggiunto mete più importanti. Ad esempio, insieme a Tineke ora va di casa in casa su una sedia a rotelle per parlare della Bibbia ad altri. Fa anche delle visite settimanali per incoraggiare un uomo gravemente invalido con cui studia la Bibbia. “Aiutare altri”, dice Lex, “mi dà molta soddisfazione”. La Bibbia conferma che “c’è più felicità nel dare che nel ricevere”. — Atti 20:35.

      Potete porvi anche voi delle mete per aiutare altri? Il fatto di essere malati o invalidi può rendervi particolarmente abili nell’offrire conforto, in quanto i vostri problemi vi rendono più sensibili verso chi soffre.

      Mantenete i contatti con gli altri. Studi medici confermano che avere contatti sociali fa bene alla salute. Un ricercatore afferma: “Il legame tra isolamento sociale e mortalità è . . . forte quanto il legame tra fumo . . . e mortalità”. E aggiunge: “Migliorare i rapporti sociali può essere importante per la salute quanto smettere di fumare”. Non c’è da stupirsi se arriva a dire che la capacità di mantenere rapporti sociali “aiuta a sopravvivere”! — Proverbi 18:1.

      Come osservava l’articolo precedente, però, il problema potrebbe essere che alcuni amici hanno smesso di farvi visita. Per il vostro stesso bene, dovete fare qualcosa per evitare di essere sempre più isolati. Ma cosa? Potreste cominciare con l’invitare i vostri amici a venirvi a trovare.

      Fate in modo che venirvi a trovare sia piacevole.b Potete far questo limitando i commenti sulla vostra malattia affinché gli ospiti non si stufino di sentirne parlare. Una donna affetta da una malattia cronica ha risolto questo problema ponendo un limite alla durata delle conversazioni con il marito che vertono sulla sua malattia. “Dovevamo porvi un limite”, dice. No, la malattia non deve soffocare tutti gli altri argomenti. Un uomo, dopo aver parlato con un amico costretto a letto di arte, di storia e dei motivi per nutrire fede in Geova Dio, ha detto di lui: “Non si è lasciato sopraffare dalla malattia. È stato molto piacevole chiacchierare con lui”.

      Inoltre i vostri amici vi verranno a trovare volentieri se conserverete il senso dell’umorismo. Dopo tutto, ridere fa bene anche a voi. “L’umorismo aiuta ad affrontare un sacco di problemi interni ed esterni”, dice un uomo affetto dal morbo di Parkinson. Sì, ridere può essere una buona medicina. Proverbi 17:22 osserva: “Il cuore che è gioioso fa bene come un rimedio”. Ridere anche solo per pochi minuti vi farà bene. Inoltre, “a differenza di certi altri rimedi, ridere non ha nessuna controindicazione, non è tossico ed è divertente”, fa notare la scrittrice Susan Milstrey Wells, lei stessa affetta da una malattia cronica. “L’unica cosa che ci si può rimettere è il cattivo umore”.

      Trovate modi per ridurre lo stress. È assodato che lo stress può aggravare i sintomi fisici di una malattia, mentre una riduzione dello stress contribuisce a renderli più tollerabili. Perciò, di tanto in tanto concedetevi una pausa. (Ecclesiaste 3:1, 4) Non lasciate che la vostra malattia o infermità riempia ogni attimo della vostra vita. Se siete costretti in casa, potreste provare a rilassarvi ascoltando musica soft, leggendo un libro, facendo un bel bagno, scrivendo lettere o poesie, dipingendo, suonando uno strumento, parlando con un amico fidato o impegnandovi in attività analoghe. Questo non risolverà in maniera definitiva il vostro problema, ma potrebbe darvi un po’ di respiro.

      Se potete muovervi fate una passeggiata, andate a far spese, dedicatevi al giardinaggio, fate un giro in macchina o, se possibile, andate in vacanza. È vero che a motivo della malattia viaggiare può essere più complicato, ma con un po’ di preparazione e un po’ di improvvisazione gli ostacoli si possono superare. Ad esempio Lex e Tineke, menzionati prima, sono riusciti a fare un viaggio all’estero. “All’inizio eravamo un po’ tesi”, dice Lex, “ma è stata una vacanza meravigliosa!” Sì, la malattia può entrare nella vostra vita, ma non è detto che debba controllarla.

      Traete forza dalla fede. I veri cristiani che hanno affrontato con successo gravi invalidità dicono che una fonte costante di conforto e forza è la fede in Geova Dio e lo stare insieme alla congregazione cristiana.c Ecco alcuni loro commenti sull’importanza di pregare, di studiare la Bibbia, di meditare sul futuro e di assistere alle adunanze cristiane nella Sala del Regno.

      ● “Ogni tanto mi sento ancora depresso. Quando succede, prego Geova e lui rinnova la mia determinazione di continuare a fare quello che posso”. — Salmo 55:22; Luca 11:13.

      ● “Leggere la Bibbia e meditare su ciò che leggo mi aiuta moltissimo a non perdere la pace mentale”. — Salmo 63:6; 77:11, 12.

      ● “Studiare la Bibbia mi ricorda che la vera vita deve ancora arrivare e che non sarò invalida per sempre”. — Isaia 35:5, 6; Rivelazione (Apocalisse) 21:3, 4.

      ● “La fede nel futuro che la Bibbia promette mi dà la forza di affrontare la vita un giorno per volta”. — Matteo 6:33, 34; Romani 12:12.

      ● “Essendo presente alle adunanze nella Sala del Regno mi mantengo concentrata su cose positive e non sulla mia malattia”. — Salmo 26:12; 27:4.

      ● “La compagnia incoraggiante dei membri della congregazione mi riscalda il cuore”. — Atti 28:15.

      La Bibbia assicura: “Geova è buono, una fortezza nel giorno dell’angustia. E conosce quelli che cercano rifugio in lui”. (Naum 1:7) Avere una stretta relazione con Geova Dio e associarsi con la congregazione cristiana dà conforto e forza. — Romani 1:11, 12; 2 Corinti 1:3; 4:7.

      Concedetevi del tempo

      Riuscire a convivere con una malattia grave o con un’invalidità è un processo che “si realizza nel corso del tempo e non da un giorno all’altro”, osserva un’assistente sociale che aiuta chi soffre di malattie croniche. Un altro esperto consiglia di concedersi del tempo, poiché si sta imparando “un’arte completamente nuova: quella di vivere con una grave malattia”. Rendetevi conto che, anche se siete ottimisti, potreste avere delle giornate o delle settimane “nere” in cui le conseguenze della malattia vi scoraggeranno. Con il tempo, però, potrete vedere dei progressi. Questa è stata l’esperienza di una donna, che ha detto: “Quando mi sono resa conto che era passata un’intera giornata senza che pensassi al tumore mi sono sentita felice. . . . Non molto tempo fa non avrei mai creduto che potesse accadere”.

      Sì, una volta che avete superato le paure iniziali e vi siete posti nuove mete, potreste sorprendervi scoprendo quanto ve la potete cavare bene, come illustra il prossimo articolo.

      [Note in calce]

      a Edito in Italia dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova.

      b Naturalmente, i suggerimenti su come trattare chi vi viene a trovare si applicano a maggior ragione ai vostri rapporti con il coniuge, con i figli o con chi si prende cura di voi.

      c È interessante osservare che numerosi studi medici hanno confermato che la fede migliora lo stato di salute e il benessere. Secondo il prof. Dale Matthews, dell’istituto di medicina dell’Università di Georgetown, “è stato dimostrato che il fattore fede è importante”.

      [Immagine a pagina 7]

      Conoscere meglio la malattia può aiutarvi ad accettarla

      [Immagine a pagina 8]

      Con l’aiuto di altri, Helen prepara lettere di incoraggiamento

      [Immagine a pagina 8]

      “Rendere partecipi altri della buona notizia del Regno di Dio mi rende felice”

      [Immagini a pagina 9]

      “Ho scoperto che, pur essendo paralizzato, potevo fare più cose di quanto pensassi”. — Lex

  • Reagire ai problemi ponendosi delle mete
    Svegliatevi! 2001 | 22 gennaio
    • Reagire ai problemi ponendosi delle mete

      IN UN appartamento non lontano dall’aeroporto LaGuardia di New York abitano William (Bill) Meiners e sua moglie Rose. Rose, una simpatica padrona di casa sulla settantina, ci accoglie con allegria. Dentro l’appartamento non si può fare a meno di notare come il soggiorno accogliente rifletta il suo carattere solare. La bella composizione floreale vicina all’ingresso e i quadri vivaci alle pareti trasmettono una sensazione di gioia e di voglia di vivere.

      Vicino al soggiorno c’è una stanza luminosa in cui Bill, che ha 77 anni, giace a letto, con la schiena sostenuta da un materasso reclinabile. Quando Bill ci vede, i suoi occhi buoni si illuminano e le labbra si allargano in un ampio sorriso. Sarebbe felice di alzarsi, stringerci la mano e abbracciarci, ma non può. Ad eccezione del braccio sinistro, è paralizzato dal collo in giù.

      Dato che Bill ha problemi di salute da quando aveva 26 anni, gli chiediamo cosa l’ha aiutato a tirare avanti nonostante l’invalidità per più di mezzo secolo. Bill e Rose si scambiano un’occhiata divertita. “Invalidità? Noi non conosciamo nessun invalido!”, dice Rose, e la stanza si riempie della sua fragorosa risata. Bill ammicca divertito, ridacchia e annuisce con il capo. “Qui non c’è nessun invalido”, dice con voce gutturale, interrompendo ogni tanto la frase. Tra Rose e Bill continua lo scambio di battute, e ben presto la camera risuona di risate. È chiaro che l’amore che Bill e Rose provavano l’uno per l’altro quando si incontrarono, nel settembre 1945, è ancora ben vivo. Chiediamo di nuovo a Bill: “Ma, seriamente, quali problemi avete dovuto affrontare? E cosa vi ha aiutato a superarli e a non perdere l’ottimismo?” Dopo qualche insistenza da parte nostra Bill acconsente a raccontare la sua storia. Le informazioni che seguono sono tratte da varie conversazioni che Svegliatevi! ha avuto con Bill e sua moglie.

      Cominciano i problemi

      Nell’ottobre 1949, tre anni dopo aver sposato Rose e tre mesi dopo la nascita della loro figlia Vicki, a Bill fu diagnosticato un carcinoma a una corda vocale, e il tumore gli fu asportato. Pochi mesi dopo il medico gli diede un’altra brutta notizia: il cancro si era esteso a tutta la laringe. “Mi disse che se non mi sottoponevo a una laringectomia, cioè se non mi veniva asportata l’intera laringe, mi restavano solo due anni di vita”.

      A Bill e Rose fu spiegato quali conseguenze avrebbe avuto questo intervento. La laringe, l’organo della fonazione, va dalla base della lingua fino alla trachea. All’interno ci sono due corde vocali. L’aria espirata dai polmoni passa attraverso le corde vocali e le fa vibrare, dando luogo alla fonazione. Quando si asporta la laringe l’estremità della trachea viene messa in comunicazione con l’esterno attraverso un foro permanente fatto sulla parte anteriore del collo. Dopo l’intervento il paziente respira attraverso questa apertura, ma ha perso la voce.

      “Quando sentii questa spiegazione provai rabbia”, dice Bill. “Avevamo una bambina piccola, avevo un buon lavoro, avevamo tanti progetti, e ora tutte le mie speranze andavano in fumo”. Ma visto che la laringectomia poteva salvargli la vita, Bill accettò di sottoporsi all’operazione. “Dopo l’intervento”, narra Bill, “non riuscivo a deglutire. Non riuscivo a pronunciare una sola parola. Ero muto”. Quando Rose lo andava a trovare, Bill poteva comunicare solo scrivendo appunti su un blocco. Fu un periodo difficile. Per reagire a questi problemi Rose e Bill dovettero porsi nuove mete.

      Senza voce e senza lavoro

      La laringectomia non fece perdere a Bill solo la voce, ma anche il lavoro. In precedenza Bill lavorava in un’officina meccanica, ma ora che poteva respirare solo attraverso l’apertura che aveva sul collo, la polvere e le esalazioni costituivano un pericolo per i suoi polmoni. Doveva trovare un altro lavoro. Ancora incapace di parlare, si iscrisse a un corso per diventare orologiaio. “Assomigliava al mio lavoro precedente”, dice Bill. “Io sapevo assemblare i pezzi di una macchina, e anche quando si montano orologi ci sono vari pezzi da mettere insieme. Solo che non pesano venti chili l’uno!” Appena finito il corso Bill trovò lavoro come orologiaio. Una meta era stata raggiunta.

      Nel frattempo, Bill aveva anche cominciato a frequentare un corso sull’utilizzo della voce esofagea. Con questa tecnica i suoni non vengono prodotti dalle corde vocali bensì dalle vibrazioni dell’esofago, il tratto del tubo digerente che porta il cibo dalla gola allo stomaco. Per prima cosa si impara a ingoiare aria e a farla scendere nell’esofago. Poi la si erutta in maniera controllata. Uscendo, l’aria fa vibrare le pareti dell’esofago. Questo produce un suono rauco, che può essere articolato con la bocca e le labbra, formando le parole.

      “Prima eruttavo solo quando avevo mangiato troppo”, dice Bill sorridendo, “ma ora dovevo imparare a farlo in continuazione. All’inizio riuscivo a pronunciare una sola parola alla volta, tipo: ‘[Inspira, deglutisce, erutta] Ciao. [Inspira, deglutisce, erutta] Come [inspira, deglutisce, erutta] stai?’ Non era facile. Poi il mio istruttore mi disse di bere un sacco di bibite gassate perché il gas mi avrebbe aiutato a eruttare. Così ogni volta che Rose usciva a fare una passeggiata con Vicki io bevevo ed eruttavo, bevevo ed eruttavo. Mi ci misi d’impegno!”

      Anche se circa il 60 per cento dei laringectomizzati non riesce a utilizzare la voce esofagea, Bill fece progressi. Vicki, che a quel tempo aveva quasi due anni, senza rendersene conto lo spronò in tal senso. Bill spiega: “Vicki mi parlava e poi mi guardava, aspettando una risposta. Ma io non riuscivo a pronunciare nemmeno una parola. Lei continuava a parlare, ma di nuovo non rispondevo. Irritata, si rivolgeva a mia moglie e diceva: ‘Di’ a papà che mi parli!’ Le sue parole mi scossero nell’intimo, così che dentro di me decisi che avrei parlato di nuovo”. Con gioia di Vicki, di Rose e di altri, Bill ci riuscì. Un’altra meta raggiunta.

      Un altro duro colpo

      Verso la fine del 1951 Bill e Rose si trovarono di fronte a un’altra scelta difficile. I medici, temendo che il cancro si ripresentasse, consigliarono a Bill di sottoporsi a radioterapia. Bill accettò. Alla fine della terapia non vedeva l’ora di riprendere la vita normale. Non sapeva che la sua salute stava per ricevere un altro duro colpo!

      Passò circa un anno. Poi, un giorno Bill sentì che le dita delle mani avevano perso la sensibilità. In seguito si accorse di non riuscire a salire le scale. Poco dopo cadde mentre camminava e non riuscì a rimettersi in piedi. Dalle analisi risultò che la radioterapia che aveva fatto (la quale, all’epoca, non era così accurata come lo è oggi) gli aveva danneggiato il midollo spinale. Gli dissero che le sue condizioni sarebbero peggiorate. Un medico gli disse persino che le sue speranze di sopravvivenza “non valevano un soldo”. Bill e Rose erano a pezzi.

      Nondimeno, nel tentativo di reagire a questo problema, Bill si ricoverò per fare un ciclo di fisioterapia di sei mesi. Anche se la fisioterapia non cambiò il decorso del suo problema di salute, quel ricovero cambiò la sua vita, innescando una serie di eventi che alla fine lo portarono a conoscere Geova. Come accadde?

      Rafforzato dal conoscere la causa dei problemi

      In quei sei mesi Bill divise la stanza di un ospedale ebraico con 19 uomini paralizzati, tutti ebrei ortodossi. Ogni pomeriggio questi parlavano della Bibbia. Bill, battista praticante, si limitava ad ascoltare. Ma quando arrivò il momento di essere dimesso dall’ospedale quello che aveva sentito era stato sufficiente a fargli capire che l’Iddio Onnipotente è una sola persona e che la dottrina della Trinità contraddice la Bibbia. Di conseguenza, non rimise più piede nella sua chiesa. Nondimeno, sentiva il bisogno di una guida spirituale per affrontare i suoi problemi. “Chiesi ripetutamente aiuto a Dio”, dice Bill, “e le mie preghiere furono esaudite”.

      Un sabato del 1953 venne a trovarlo Roy Douglas, un signore di una certa età che era stato suo vicino di casa e aveva saputo dei suoi problemi. Roy, un testimone di Geova, chiese a Bill di studiare la Bibbia con lui, e Bill accettò. Ciò che Bill lesse nella Bibbia e nel libro “Sia Dio riconosciuto verace”a gli aprì gli occhi. Parlò con Rose delle cose che imparava, e anche lei si unì allo studio. Rose ricorda: “In chiesa ci avevano detto che le malattie erano una punizione divina, ma dallo studio della Bibbia capimmo che non è così. Fu un grande sollievo”. Bill aggiunge: “Imparare dalla Bibbia qual è la causa di tutti i guai, compresa la mia malattia, e scoprire che ci attende un futuro migliore ci aiutò ad accettare la mia condizione”. Nel 1954 Bill e Rose raggiunsero un’altra meta. Entrambi si battezzarono come testimoni di Geova.

      Altri cambiamenti

      Nel frattempo la paralisi di Bill si era estesa al punto di impedirgli di lavorare. Per far quadrare il bilancio Bill e Rose si scambiarono i ruoli: Bill rimaneva a casa con Vicki e Rose cominciò a lavorare nell’orologeria, lavoro che fece per 35 anni!

      “Badare a nostra figlia mi dava molta gioia”, racconta Bill. “Anche alla piccola Vicki piaceva. Con orgoglio diceva a tutti quelli che incontrava: ‘Io mi prendo cura di papà!’ In seguito, quando andò a scuola, l’aiutavo con i compiti e spesso giocavamo insieme. Inoltre, ho avuto un’ottima opportunità di insegnarle la Bibbia”.

      Un’altra fonte di gioia per Bill e per la sua famiglia è stata frequentare le adunanze cristiane nella Sala del Regno. Bill ci metteva un’ora a trascinarsi zoppicando da casa fino alla Sala del Regno, ma non mancava alle adunanze. In seguito, dopo essersi trasferiti in un’altra parte della città, Bill e Rose acquistarono una piccola automobile, e Rose portava la famiglia in Sala. Pur potendo parlare solo per brevi periodi, Bill si iscrisse alla Scuola di Ministero Teocratico. Egli spiega: “Scrivevo i miei discorsi e un altro fratello li pronunciava. Dopo il discorso, il sorvegliante della scuola mi dava consigli sul contenuto”.

      Vari membri della congregazione aiutarono inoltre Bill a partecipare regolarmente all’opera di predicazione. E a suo tempo Bill fu nominato servitore di ministero nella congregazione, cosa che non stupì chi conosceva la sua devozione. Poi, quando perse l’uso delle gambe e la paralisi si estese ulteriormente, non poté più uscire di casa e alla fine fu costretto a letto. Poteva reagire a questo problema?

      Un hobby soddisfacente

      “Essendo costretto a rimanere in casa tutto il giorno, cominciai a cercare qualcosa con cui distrarmi”, dice Bill. “Prima di diventare paralizzato mi piaceva scattare fotografie. Così pensai di provare a dipingere, anche se non avevo mai dipinto in vita mia. Inoltre, sono destrimano, ma tutta la mano destra e due dita della sinistra erano paralizzate. Rose, comunque, comprò un sacco di libri sulle tecniche pittoriche. Li studiai e cominciai a dipingere con la sinistra. Un mucchio di miei dipinti finirono nell’inceneritore, ma alla fine cominciai a imparare”.

      La bella collezione di acquerelli che ora adorna l’appartamento di Bill e Rose dimostra che Bill divenne più bravo di quanto si aspettasse. “Circa cinque anni fa”, aggiunge Bill, “la mano sinistra cominciò a tremarmi a tal punto che dovetti rinunciare per sempre ai pennelli, ma per molti anni questo hobby mi ha dato molte soddisfazioni”.

      Una meta per il futuro

      Bill ricorda: “Sono passati ormai più di 50 anni da quando iniziai ad avere problemi di salute. Leggere la Bibbia mi è ancora di conforto, specie quando leggo i Salmi e il libro di Giobbe. E mi piace leggere le pubblicazioni della Società (Watch Tower). Un’altra cosa che mi incoraggia molto è quando i membri della congregazione e i sorveglianti viaggianti vengono a trovarmi e raccontano esperienze edificanti. In più, grazie a un collegamento telefonico posso ascoltare le adunanze, e c’è addirittura chi mi registra su videocassetta il programma delle assemblee di distretto.

      “Sono molto riconoscente di essere stato benedetto con una moglie amorevole. Nel corso degli anni è sempre stata al mio fianco. E nostra figlia, che ora serve Geova con una famiglia sua, è tuttora fonte di molta gioia. Ringrazio soprattutto Geova di avermi aiutato a rimanergli vicino. Oggi, mentre il mio fisico e la mia voce si indeboliscono sempre di più, penso spesso alle parole dell’apostolo Paolo: ‘Non veniamo meno, ma anche se l’uomo che siamo di fuori deperisce, certamente l’uomo che siamo di dentro si rinnova di giorno in giorno’. (2 Corinti 4:16) Sì, la mia meta continua ad essere quella di rimanere spiritualmente sveglio finché vivo”.

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