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  • Un’alta corte europea sostiene il diritto di predicare in Grecia
    La Torre di Guardia 1993 | 1° settembre
    • [Immagine a pagina 31]

      Minos Kokkinakis e la moglie

  • Un’alta corte europea sostiene il diritto di predicare in Grecia
    La Torre di Guardia 1993 | 1° settembre
    • Un’alta corte europea sostiene il diritto di predicare in Grecia

      PERCHÉ un uomo stimato dai suoi vicini è stato arrestato più di 60 volte dal 1938? Perché questo onesto negoziante dell’isola di Creta è stato portato ben 18 volte davanti ai tribunali ellenici e ha scontato più di sei anni di carcere? Sì, perché questo industrioso capofamiglia, Minos Kokkinakis, è stato separato dalla moglie e dai cinque figli e confinato in varie isole adibite a colonia penale?

      In gran parte la responsabilità è di leggi che vietano il proselitismo varate negli anni 1938 e 1939. Queste leggi furono emanate dal dittatore greco Ioannis Metaxas, che operava sotto l’influenza della Chiesa Ortodossa Greca.

  • Un’alta corte europea sostiene il diritto di predicare in Grecia
    La Torre di Guardia 1993 | 1° settembre
    • Precedenti

      Nel 1938 quest’uomo, Minos Kokkinakis, fu il primo testimone di Geova condannato in base alla legge greca che considera il proselitismo un illecito penale. Senza nemmeno un processo, fu mandato al confino per 13 mesi sull’isola di Amorgo, nell’Egeo. Nel 1939 fu condannato due volte e imprigionato ogni volta per due mesi e mezzo.

      Nel 1940 Kokkinakis fu confinato per sei mesi sull’isola di Milo. L’anno dopo, durante la seconda guerra mondiale, venne rinchiuso per più di 18 mesi nel carcere militare di Atene. Riguardo a quel periodo egli ricorda:

      “In carcere il vitto era sempre più scarso. Diventammo così deboli che non potevamo più camminare. Se non fosse stato per i Testimoni di Atene e del Pireo che ci portavano da mangiare nonostante i loro pochi mezzi, saremmo morti”. In seguito, nel 1947, fu di nuovo condannato e scontò altri quattro mesi e mezzo di carcere.

      Nel 1949 Minos Kokkinakis fu relegato nell’isola di Makronisos, nome che evoca immagini di orrore nella mente dei greci a motivo della prigione che vi si trova. Fra i circa 14.000 detenuti reclusi all’epoca a Makronisos c’erano una quarantina di Testimoni. Un’enciclopedia greca osserva: “I crudeli metodi di tortura, . . . le condizioni di vita, inaccettabili per una nazione civile, e il comportamento depravato delle guardie nei confronti dei detenuti . . . fanno disonore alla storia della Grecia”. — Papyros Larousse Britannica.

      Kokkinakis, che trascorse un anno nella prigione di Makronisos, ne descrisse le condizioni: “Le guardie, come funzionari dell’Inquisizione, interrogavano ciascun recluso dalla mattina alla sera. Le torture cui ricorrevano sono indescrivibili. Molti prigionieri impazzirono; altri vennero uccisi; diversi rimasero fisicamente menomati. Durante quelle terribili notti, mentre udivamo le urla e i gemiti di quelli che venivano torturati, pregavamo tutti insieme”.

      Dopo essere sopravvissuto agli orrori di Makronisos, Kokkinakis fu arrestato altre sei volte negli anni ’50 e scontò dieci mesi di carcere. Negli anni ’60 fu arrestato quattro volte e condannato a otto mesi di reclusione. Ma ricordate: Minos Kokkinakis è solo uno delle centinaia di testimoni di Geova che nel corso degli anni sono stati arrestati e imprigionati per aver parlato ad altri della loro fede!

      Com’è stato che le terribili ingiustizie perpetrate contro i testimoni di Geova in Grecia sono finalmente giunte davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo?

      La causa che ha fissato un principio giuridico

      Tutto ebbe inizio il 2 marzo 1986. Quel giorno Minos Kokkinakis, allora un pensionato di 77 anni, e sua moglie bussarono alla porta di Georgia Kyriakaki a Sitia, sull’isola di Creta. Il marito della signora Kyriakaki, cantore della locale chiesa ortodossa, chiamò la polizia, la quale arrivò e arrestò i coniugi Kokkinakis. Questi furono portati al commissariato e costretti a trascorrervi l’intera notte.

      Qual era l’accusa? La stessa mossa migliaia di volte ai testimoni di Geova nei precedenti 50 anni: proselitismo. L’articolo 13 della Costituzione greca (1975) dichiara: “È vietato il proselitismo”. Ci sono poi le leggi 1363/1938 e 1672/1939 del codice greco (sezione IV), secondo le quali il proselitismo è un reato. Vi si legge:

      “Per ‘proselitismo’ si intende, in particolare, qualunque tentativo diretto o indiretto di ingerirsi nelle credenze religiose di una persona di diversa convinzione religiosa . . . , allo scopo di minare tali credenze, con qualsiasi tipo di incentivo o promessa di incentivo o aiuto morale o materiale, o con mezzi fraudolenti o approfittando della sua inesperienza, fiducia, necessità, incapacità o ingenuità”.

      Il tribunale penale di Lasiti, a Creta, dibatté la causa il 20 marzo 1986 e giudicò i coniugi Kokkinakis colpevoli di proselitismo, condannandoli a quattro mesi di reclusione ciascuno. Nel pronunciare la sentenza, la corte dichiarò che gli imputati si erano ingeriti “nelle credenze religiose di cristiani ortodossi . . . approfittando della loro inesperienza, incapacità e ingenuità”. Gli imputati furono inoltre accusati di “aver incoraggiato [la signora Kyriakaki] con le loro assennate e abili spiegazioni . . . a rinunciare alle sue convinzioni di cristiana ortodossa”.

      La sentenza fu impugnata presso la Corte d’Appello di Creta. Il 17 marzo 1987 questa corte assolse la signora Kokkinakis ma confermò la condanna del marito, pur riducendo la pena a tre mesi. Nella sentenza si sosteneva che il signor Kokkinakis aveva “approfittato dell’inesperienza, dell’incapacità e dell’ingenuità” della signora Kyriakaki. Si diceva che egli “aveva cominciato a leggere passi della Sacra Scrittura, per poi analizzarli con un’abilità tale che quella cristiana, per mancanza di un’adeguata conoscenza dottrinale, non era stata in grado di controbattere”.

      Esprimendo un’opinione di minoranza, uno dei giudici d’appello scrisse che il signor Kokkinakis “andava anche lui assolto, in quanto non c’era nessuna prova che Georgia Kyriakaki . . . fosse particolarmente inesperta nella dottrina cristiana ortodossa, tanto più che era moglie di un cantore, né che fosse particolarmente incapace o ingenua al punto che l’imputato potesse approfittarne e . . . indurla a entrare nella setta dei testimoni di Geova”.

      Kokkinakis presentò appello alla Corte di Cassazione, la Corte Suprema greca, che però il 22 aprile 1988 lo respinse. Così il 22 agosto 1988 Kokkinakis si rivolse alla Commissione europea dei diritti dell’uomo. Il 21 febbraio 1992 il suo ricorso venne infine accettato e sottoposto al giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo.

      Le questioni in gioco

      Essendo membro del Consiglio d’Europa, la Grecia è tenuta a rispettare gli articoli della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. L’articolo 9 della Convenzione recita: “Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo e la libertà di manifestare la propria religione o credo individualmente o collettivamente, sia in pubblico che in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti”.

      Perciò il governo greco è comparso davanti alla corte europea nel ruolo di imputato, con l’accusa di violare apertamente il fondamentale diritto di un cittadino greco di praticare la sua religione in armonia con il comando di Gesù Cristo di ‘insegnare e fare discepoli’. (Matteo 28:19, 20) Anche l’apostolo Pietro disse: “[Gesù] ci ordinò di predicare al popolo e di dare completa testimonianza”. — Atti 10:42.

      Nel 1992 un numero speciale di una rivista sui diritti dell’uomo titolava: “Grecia: deliberate violazioni dei diritti umani”. (Human Rights Without Frontiers) A pagina 2 diceva: “La Grecia è l’unico paese della Comunità Europea e in Europa il cui codice penale commini multe e pene detentive a chiunque convinca un’altra persona a cambiare religione”.

      A questo punto il fermento dentro e fuori gli ambienti giuridici andava crescendo. Quale sarebbe stata la decisione in merito alla legge greca che vieta di insegnare la propria fede ad altri?

      Udienza a Strasburgo

      Arrivò infine il giorno del dibattimento, il 25 novembre 1992. Strasburgo era coperta da una fitta coltre di nubi e l’aria era gelida, ma all’interno dell’aula giudiziaria gli avvocati si accalorarono nell’esporre le loro tesi. Per due ore vennero presentate prove. Il prof. Phedon Vegleris, legale di Kokkinakis, arrivò al nocciolo della questione chiedendo: ‘Questa legge illiberale, che mira a proteggere i membri della Chiesa Ortodossa Greca dal pericolo di essere convertiti ad altre fedi religiose, dovrebbe continuare ad esistere e ad essere applicata?’

      Manifestamente perplesso, il prof. Vegleris chiese: “Mi domando perché questa legge [sul proselitismo] equipari l’ortodossia alla stupidità e all’ignoranza. Mi sono sempre chiesto perché l’ortodossia abbia bisogno di essere protetta dalla stupidità, dall’incapacità spirituale . . . Questo è qualcosa che mi turba e mi sconcerta”. Fatto significativo, il rappresentante del governo non è stato capace di citare un solo caso in cui questa legge sia stata applicata a qualcuno che non fosse testimone di Geova.

      Il secondo avvocato di Kokkinakis, Panagiotis Bitsaxis, spiegò quanto fosse irragionevole la legge sul proselitismo, dicendo: “Accettare di esporsi alla reciproca influenza è un presupposto necessario del dialogo fra persone adulte. Altrimenti apparterremmo a una strana società di animali bruti, che pensano ma non si esprimono, che parlano ma non comunicano, che esistono ma non coesistono”.

      Bitsaxis aggiunse che “Kokkinakis era stato condannato non ‘per qualcosa che aveva fatto’ ma [per] ‘quello che era’”. Pertanto, spiegò Bitsaxis, i princìpi della libertà religiosa non solo erano stati violati, ma del tutto calpestati.

      I rappresentanti del governo greco cercarono di dipingere un quadro diverso dalla realtà, definendo la Grecia il “paradiso dei diritti umani”.

      La sentenza

      Finalmente arrivò il giorno tanto atteso in cui sarebbe stata pronunciata la sentenza: il 25 maggio 1993. Con una maggioranza di sei contro tre, la Corte decretò che il governo greco aveva violato la libertà religiosa dell’84enne Minos Kokkinakis. Oltre a riconfermare la liceità del suo ministero pubblico e restituirgli la sua dignità, la Corte gli riconobbe un risarcimento pari a circa 20 milioni di lire. Pertanto la Corte respinse la tesi del governo greco secondo cui Kokkinakis e i testimoni di Geova ricorrerebbero a tattiche coercitive quando parlano delle loro convinzioni con altri.

      Anche se in Grecia la Costituzione e una vecchia legge vietano il proselitismo, l’alta corte europea ha stabilito che usare questa legge per perseguitare i testimoni di Geova è ingiusto. È in contrasto con l’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

      Nella sentenza si legge: ‘La religione fa parte del “flusso continuamente rinnovabile del pensiero umano” ed è impossibile pensare che possa essere esclusa dal pubblico dibattito’.

      Esprimendo la sua opinione, uno dei nove giudici ha detto: “Il proselitismo, definito come ‘zelo nel diffondere la fede’, non può essere punibile in quanto tale; è un modo — di per sé perfettamente legittimo — di ‘manifestare la propria religione’.

      “Nel caso in questione il ricorrente è stato condannato per il semplice fatto di aver manifestato tale zelo, senza che avesse compiuto alcuna scorrettezza”.

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