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Chi l’ha fatto per primo?Svegliatevi! 2010 | Marzo
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Chi l’ha fatto per primo?
NEL 1973 Martin Cooper dimostrò per la prima volta il funzionamento di un telefono cellulare portatile. Il telefono era dotato di una batteria, un ricetrasmettitore e un microprocessore. Cooper lasciò a bocca aperta i newyorkesi effettuando una telefonata dalla strada. Ma questa invenzione fu possibile solo perché nel 1800 Alessandro Volta aveva inventato la pila. Inoltre erano stati messi a punto nel 1876 il telefono, nel 1895 la radio e nel 1946 il computer. Infine, a rendere possibile la realizzazione del telefono cellulare ci fu l’invenzione del microprocessore, datata 1971. Comunque potremmo chiederci: la comunicazione mediante congegni sofisticati è davvero una novità?
Un sistema per la comunicazione su cui spesso non ci si sofferma è la voce umana. Più della metà dei miliardi di neuroni presenti nella corteccia motoria del cervello sono deputati al controllo degli organi della fonazione, e un centinaio di muscoli intervengono nei complessi meccanismi in cui lingua, labbra, mandibola, gola e torace interagiscono.
Dello stesso sistema di comunicazione fa parte anche l’orecchio. Esso converte i suoni in impulsi elettrici che il cervello può interpretare. L’elaborazione dei suoni da parte del cervello permette di riconoscere le persone dal timbro della voce. Il cervello valuta con quanti milionesimi di secondo di anticipo un orecchio riceve un suono rispetto all’altro e così ne determina con precisione la provenienza. Queste sono solo due delle caratteristiche che permettono di ascoltare una persona alla volta anche in mezzo a tanta gente che parla.
Quindi la sofisticata comunicazione wireless (senza fili) con tanto di riconoscimento del chiamante non è nulla di nuovo: esisteva già in natura.
[Diagramma/Immagini a pagina 3]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
1800
Pila
1876
Telefono
1971
Microprocessore
1973
Martin Cooper inventa il telefono cellulare
[Fonte]
Cooper con il cellulare: © Mark Berry
[Immagini a pagina 2]
Sulla destra di pagina 2, a partire dal primo piano, ricostruzioni: Guglielmo Marconi con il suo apparecchio radiofonico; Thomas Edison con la lampadina; Granville T. Woods, inventore nel campo delle comunicazioni; i fratelli Wright e il Flyer del 1903
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L’aereo a motoreSvegliatevi! 2010 | Marzo
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L’aereo a motore
PER secoli l’uomo ha sognato di volare. Ma i suoi muscoli non sono abbastanza potenti da sollevarlo in aria. Nel 1781 James Watt inventò una macchina a vapore che produceva un moto rotatorio e nel 1876 Nikolaus Otto fece ulteriori passi avanti realizzando il motore a combustione interna. Ora l’uomo aveva a disposizione un motore che poteva azionare un aeromobile. Ma chi sarebbe stato in grado di costruire un mezzo del genere?
Sin da ragazzi, da quando giocavano con gli aquiloni, i fratelli Wilbur e Orville Wright avevano il desiderio di volare. In seguito acquisirono alcune competenze tecniche costruendo biciclette. Intuirono che la più grossa difficoltà era realizzare un velivolo governabile. Un aeromobile che non poteva essere manovrato in aria era inutile quanto una bicicletta senza manubrio. Osservando il volo dei piccioni, Wilbur notò che si inclinavano nella direzione in cui svoltavano, proprio come fa un ciclista. Concluse che gli uccelli viravano e mantenevano l’assetto torcendo le estremità alari. Così gli venne l’idea di realizzare un’ala che si potesse torcere.
Nel 1900 Wilbur e Orville costruirono un velivolo con ali flessibili. Lo fecero prima volare a mo’ di aquilone e poi come un aliante manovrato. Scoprirono che necessitava di tre basilari dispositivi per controllare il beccheggio, il rollio e l’imbardata. Tuttavia, delusi dal fatto che le ali non generavano sufficiente forza ascensionale, crearono una galleria del vento e fecero centinaia di esperimenti per trovare la forma, la misura e l’angolo di attacco giusti per le ali. Nel 1902 produssero un nuovo velivolo che riuscirono a governare sfruttando il vento. A questo punto avevano bisogno di un motore.
Per prima cosa dovettero costruirsi loro stessi il motore. Con le conoscenze acquisite grazie agli esperimenti nella galleria del vento, riuscirono nel difficile compito di progettare un’elica. Infine il 17 dicembre 1903, in una gelida giornata, misero in funzione il motore, le eliche cominciarono a girare e il velivolo prese quota controvento. “Avevamo realizzato il sogno che ci animava da ragazzi”, disse Orville. “Avevamo imparato a volare”. I fratelli Wright acquistarono fama internazionale. Ma come erano riusciti a librarsi nell’aria? La natura aveva fatto la sua parte.
[Immagine a pagina 4]
Il “Flyer” dei fratelli Wright, North Carolina (USA), 1903 (ricostruzione)
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Solo una copia della naturaSvegliatevi! 2010 | Marzo
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Solo una copia della natura
“Chiedi, ti prego, . . . alle creature alate dei cieli, e ti informeranno. . . . La stessa mano di Geova ha fatto ciò”. — Giobbe 12:7-9.
OGNI parte del corpo degli uccelli sembra progettata per il volo. Per esempio, le rachidi delle penne remiganti devono sostenere tutto il peso dell’uccello durante il volo. Com’è possibile che le ali siano leggere e forti al tempo stesso? Lo si può capire ispezionando la sezione longitudinale della rachide di una penna. Essa è paragonabile a quello che in termini tecnici viene chiamato pannello sandwich in schiuma. L’interno si presenta spugnoso e l’esterno rigido. Gli ingegneri hanno studiato le rachidi delle penne e ora i pannelli sandwich trovano impiego negli aerei.
Anche le ossa degli uccelli sono progettate in modo straordinario. Sono perlopiù cave, e alcune sono rinforzate da minute strutture interne, dette trabecole, che agli ingegneri ricordano la travatura reticolare di Warren. È da notare che una struttura simile è stata usata per le ali dello space shuttle.
Per manovrare i moderni velivoli i piloti utilizzano solo pochi flap situati sulle ali e sulla coda. Ma un uccello utilizza circa 48 muscoli dell’ala e della spalla per modificare la configurazione e la posizione delle ali e delle singole penne più volte al secondo. Non sorprende che l’abilità acrobatica degli uccelli faccia invidia agli ingegneri aeronautici.
Il volo, specialmente il decollo, causa un grande dispendio energetico. Pertanto gli uccelli hanno bisogno di un potente “motore” a combustione rapida. Il loro cuore batte più velocemente di quello dei mammiferi di dimensioni simili e di solito è più grande e più potente. Inoltre, la particolare struttura dei polmoni, in cui il flusso d’aria si sposta in un’unica direzione, conferisce loro una maggiore efficienza rispetto ai mammiferi.
Molti uccelli sono fatti in modo da portare abbastanza “carburante” per voli sorprendentemente lunghi. Durante un volo migratorio di dieci ore un tordo può perdere quasi metà del peso corporeo. E pensate alla pittima minore: quando lascia l’Alaska diretta in Nuova Zelanda, il grasso costituisce più della metà del peso corporeo. Questo le permette di compiere un volo sorprendente: un tragitto ininterrotto di circa 190 ore, ovvero otto giorni. Nessun aereo civile è in grado di far questo.
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La televisioneSvegliatevi! 2010 | Marzo
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La televisione
POCO dopo che l’uomo era riuscito a trasmettere i suoni, gli inventori cominciarono a chiedersi se si potevano trasmettere anche immagini dal vivo. Per comprendere cosa comportava l’impresa, vediamo come funziona oggi la televisione.
Per prima cosa una telecamera mette a fuoco la scena su una superficie sensibile che “legge” l’immagine più o meno come un uomo legge la carta stampata. Tuttavia, anziché scorrere righe di lettere su una pagina, questo meccanismo passa in rassegna linee formate da punti (o pixel) che compongono l’immagine. Converte ciò che “vede” in un segnale elettrico che può essere trasmesso a distanza. Il sistema ricevente riconverte poi il segnale in un’immagine dal vivo.
Lo scozzese John Logie Baird fu il primo a dimostrare il funzionamento di un apparecchio televisivo. Quando a causa della salute cagionevole dovette rinunciare al suo lavoro di elettrotecnico, si dedicò a una cosa che lo aveva appassionato sin da ragazzo: costruire un congegno che potesse trasmettere immagini dal vivo.
La telecamera di Baird era composta da un disco (inizialmente una cappelliera) munito di una trentina di fori disposti a spirale. Via via che il disco ruotava, i fori scandivano l’immagine in linee consecutive proiettando la luce su una cellula fotoelettrica. La cellula produceva un segnale video che veniva trasmesso a un ricevitore. Qui il segnale che veniva amplificato andava ad alimentare una lampada al neon situata dietro un disco rotante identico al primo e, variando in intensità, ricostruiva l’immagine. La cosa più difficile era sincronizzare i dischi. Mentre lavorava al suo progetto, Baird si manteneva facendo il lustrascarpe.
Il 2 ottobre 1925 Baird trasmise le prime immagini televisive da un capo all’altro della soffitta in cui abitava. La prima persona che apparve in TV fu un giovane fattorino intimorito che lavorava al piano di sotto, reclutato per mezza corona. Nel 1928 Baird trasmise le prime immagini televisive dall’altra parte dell’Atlantico. Quando arrivò di persona a New York, fu accolto da una banda di suonatori di cornamusa, il che imbarazzò non poco quell’uomo riservato. Ormai era famoso. Ma Baird fu davvero il primo a trasmettere immagini dal vivo?
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Solo una copia della naturaSvegliatevi! 2010 | Marzo
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Solo una copia della natura
“L’orecchio che ode e l’occhio che vede, Geova stesso ha fatto pure entrambi”. — Proverbi 20:12.
GLI occhi umani sono come minuscole telecamere. Convertono le immagini in segnali elettrici e li trasmettono mediante il nervo ottico alla parte posteriore del cervello, dove effettivamente avviene la percezione visiva.
L’occhio è una meraviglia in miniatura: un capolavoro di ingegneria racchiuso in soli 24 millimetri di diametro e sette grammi e mezzo di peso. Per esempio comprende un sistema per la visione diurna e uno per quella notturna di modo che, quando si entra in una stanza buia, in 30 minuti l’occhio può diventare 10.000 volte più sensibile alla luce.
Cosa ci permette di vedere in modo nitido quando c’è una normale illuminazione? Il numero delle cellule fotosensibili dell’occhio supera di oltre 100 volte quello dei pixel della maggioranza delle videocamere. Inoltre buona parte di queste cellule è concentrata in una piccola zona nel centro della retina chiamata fovea, che consente la massima acutezza visiva. Dal momento che spostiamo lo sguardo più volte al secondo, abbiamo l’impressione che tutto il campo visivo sia nitido. E pensare che la fovea dell’occhio è grande più o meno quanto il punto alla fine di questa frase.
I segnali elettrici prodotti dalle cellule fotosensibili vengono passati da una cellula nervosa all’altra fino al nervo ottico. Ma le cellule nervose non si limitano a trasmettere i segnali. Li elaborano, concentrandosi su alcune informazioni e ignorando dettagli non necessari.
La corteccia visiva del cervello può essere paragonata a un sofisticato ricevitore video. Rende più nitide le immagini definendo i contorni e combina i segnali delle cellule sensibili con i colori primari così che possiamo distinguere milioni di tonalità. Inoltre il cervello mette a confronto le lievi differenze tra la visione di un occhio rispetto all’altro, permettendo di percepire la profondità.
Pensate: i vostri occhi “scansionano” i visi in mezzo a una folla e mandano impulsi elettrici al cervello, che poi trasforma i segnali in immagini nitide. E perfino i minimi dettagli di quei visi vengono messi a confronto con quelli che abbiamo in memoria, permettendoci di riconoscere all’istante un nostro amico. Questo processo non è sbalorditivo?
[Immagine a pagina 7]
Il modo in cui l’occhio gestisce le informazioni dimostra che si tratta di un capolavoro di ingegneria
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La navigazione strumentaleSvegliatevi! 2010 | Marzo
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La navigazione strumentale
PROBABILMENTE avrete riscontrato quanto sia difficile orientarsi in una città che non si conosce. E allora come fa un marinaio a trovare la giusta rotta in mare aperto? Non basta avere una bussola se non si conosce la propria posizione rispetto al luogo di destinazione. In passato i marinai non erano in grado di determinare con esattezza la loro posizione né di tracciare la rotta su una mappa, finché intorno al 1730 furono inventati il sestante e il cronometro da marina. Tuttavia ogni rilevamento richiedeva ore e ore di calcoli.
Oggi in molti paesi gli automobilisti si muovono usando il navigatore satellitare, uno strumento relativamente poco costoso che si affida al sistema GPS. Una volta inserita la destinazione, sullo schermo compare la nostra esatta posizione e il navigatore ci guida all’indirizzo desiderato. Come funziona questo sistema?
La navigazione satellitare fa affidamento su una trentina di satelliti, ognuno dei quali invia segnali indicanti la propria posizione e l’orario di trasmissione con un’approssimazione di pochi miliardesimi di secondo. Il navigatore calcola con precisione il tempo che il segnale impiega per arrivare da alcuni di questi satelliti. Grazie a tale informazione può determinare il luogo in cui ci troviamo. Riuscite a immaginare la complessità dei calcoli matematici effettuati? In pochi secondi il navigatore determina la distanza da tre satelliti, lontani migliaia di chilometri e in movimento alla velocità di parecchi chilometri al secondo in orbite diverse.
Il sistema GPS fu inventato negli anni ’60 da Bradford Parkinson e Ivan Getting. Anche se inizialmente era stato concepito per scopi militari, fu poi reso accessibile al pubblico e divenne pienamente operativo nel 1996. Il navigatore GPS è una meraviglia della tecnologia, ma è forse il primo esempio di sistema sofisticato di navigazione?
[Fonte dell’immagine a pagina 8]
Terra: da una foto della NASA
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Solo una copia della naturaSvegliatevi! 2010 | Marzo
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Solo una copia della natura
“Anche la cicogna nei cieli conosce bene i suoi tempi fissati”. — Geremia 8:7.
GEREMIA parlò della cicogna migratrice più di 2.500 anni fa. Gli animali migratori suscitano ancora meraviglia. Il salmone, ad esempio, è in grado di ritornare al torrente in cui è nato percorrendo migliaia di chilometri nell’oceano. Anche la dermochelide coriacea, un tipo di tartaruga marina, compie viaggi straordinari. Una dermochelide che aveva deposto le uova in Indonesia è stata monitorata nel suo viaggio migratorio di 20.000 chilometri verso le coste dell’Oregon (USA). Le dermochelidi coriacee spesso ritornano nella stessa zona dell’Indonesia per nidificare di nuovo.
Alcuni animali hanno la capacità di ritrovare la strada di casa, capacità che è ancora più sorprendente dell’orientamento dei migratori. Per esempio, i ricercatori hanno trasportato in aereo 18 albatri da un’isoletta del Pacifico centrale a migliaia di chilometri di distanza, liberandone alcuni alle estremità occidentali del Pacifico, altri alle estremità orientali. Nel giro di poche settimane la maggioranza degli uccelli è tornata a casa.
Dei piccioni sono stati portati o sotto anestesia o in cilindri rotanti a più di 150 chilometri di distanza in luoghi a loro sconosciuti. Eppure, dopo aver volato in cerchio per un po’, hanno individuato la loro posizione e hanno preso la giusta direzione verso casa. I piccioni si dimostrano in grado di ritrovare la strada di casa persino se vengono messe loro delle lenti offuscate. Pertanto, secondo i ricercatori, questi uccelli determinano la loro posizione rispetto al luogo d’origine individuando la direzione da cui provengono gli stimoli esterni necessari all’orientamento.
Le farfalle monarca migrano da varie zone del Nordamerica percorrendo migliaia di chilometri fino a una limitata area del Messico. Pur non essendo mai state in Messico trovano la strada, spesso rifugiandosi sugli stessi alberi su cui avevano svernato i loro bisnonni l’anno precedente. I ricercatori non hanno ancora ben compreso come riescano a farlo.
Mentre i dispositivi per la navigazione strumentale si affidano quasi esclusivamente ai satelliti, molti animali sembrano in grado di ricorrere a una combinazione di metodi: osservazione di punti di riferimento sulla superficie terrestre e della posizione del sole nonché sensibilità ai campi magnetici, agli odori e ai suoni. James L. Gould, docente di biologia, scrive: “Gli animali la cui sopravvivenza dipende dal sapersi orientare con precisione sono tutti superequipaggiati. . . . In genere dispongono di strategie alternative: una serie di risorse a cui possono attingere a seconda di quale di esse è in grado di fornire le informazioni più affidabili”. I sofisticati meccanismi alla base dell’orientamento animale continuano a sconcertare i ricercatori.
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Che cosa ci insegna la naturaSvegliatevi! 2010 | Marzo
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Che cosa ci insegna la natura
“Quanto sono numerose le tue opere, o Geova! Le hai fatte tutte con sapienza”. — Salmo 104:24.
OSSERVANDO le complesse strutture degli organismi viventi molti ne attribuiscono il merito alla “natura”. Ad esempio il periodico Le Scienze affermava: “Di tutti i tipi di rivestimento corporeo che la natura ha prodotto, le penne sono il più vario e il più misterioso”. (Aprile 2003) Per l’autore dell’articolo la natura non è che una forza impersonale. Ma un’entità astratta può produrre qualcosa di così straordinario come le penne degli uccelli?
Solo un essere intelligente può progettare e inventare qualcosa di complesso. Tutti gli inventori hanno un nome, e ce l’ha anche il Creatore: Geova. È lui che ha dato origine alla natura. Lui solo è “l’Altissimo su tutta la terra” che ‘ha creato tutte le cose’. — Salmo 83:18; Rivelazione (Apocalisse) 4:11.
Cosa impariamo dalla creazione? Essa ci parla in primo luogo di Geova e delle sue meravigliose qualità, tra cui la sapienza. “Le sue invisibili qualità, perfino la sua sempiterna potenza e Divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo, perché si comprendono dalle cose fatte”. (Romani 1:20) Dalla natura impariamo che la sapienza di Dio è superiore alla nostra. Se quello che egli progetta è migliore di quello che progettano gli inventori umani, non è sensato dedurre che i suoi consigli siano migliori di quelli offerti dagli uomini?
I consigli di Dio si trovano principalmente nella sua Parola scritta, la Bibbia, e non nel “libro della natura”. La Bibbia è una fonte inesauribile di saggezza. Essa dice: “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile”. — 2 Timoteo 3:16.
Se trovate interessante saperne di più riguardo agli inventori, scoprirete che conoscere meglio il Creatore può esserlo ancora di più. Per esempio, forse vorreste conoscere la risposta a domande come queste: Perché si soffre e si muore? È questo il proposito di Dio per l’uomo? E se non lo è, perché Dio permette le sofferenze?
Che lo riconoscano o no, ricercatori e inventori hanno acquisito le loro capacità da Geova. Tutti quanti possiamo imparare molto dal Creatore, per esempio come avere un matrimonio stabile, come crescere bene i figli, qual è il proposito di Dio per la terra e tante altre cose che possono rendere la vita più significativa. Il libro Cosa insegna realmente la Bibbia?, edito dai Testimoni di Geova, può aiutarvi a trarre pieno beneficio dalla Parola di Dio.
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