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  • Sangue: Un fatto di scelta e di coscienza
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Svegliatevi! 1989
g89 22/2 pp. 26-27

Sangue: Un fatto di scelta e di coscienza

Ristampato con l’autorizzazione del New York State Journal of Medicine, 1988; 88:463-464, copyright della Medical Society dello stato di New York.

I medici si impegnano a usare la propria conoscenza, le proprie capacità e la propria esperienza per combattere le malattie e la morte. Tuttavia, che dire se un paziente rifiuta il trattamento raccomandato? C’è la probabilità che questo accada se il paziente è un testimone di Geova e il trattamento prevede l’uso di sangue intero, eritrociti concentrati, plasma o piastrine.

Un medico può pensare che la scelta del paziente di non accettare un trattamento che implica l’uso di sangue leghi le mani a un personale medico scrupoloso. Tuttavia non bisogna dimenticare che anche pazienti che non sono testimoni di Geova decidono spesso di non seguire le raccomandazioni del loro medico. Secondo Appelbaum e Roth,1 il 19% dei pazienti delle cliniche universitarie ha rifiutato almeno un trattamento o una tecnica, anche se il 15% di questi dinieghi “poteva mettere a repentaglio la vita”.

L’idea generale che “il medico sa cosa è meglio” induce la maggioranza dei pazienti a rimettersi alla sua abilità e alla sua conoscenza. Ma sarebbe molto pericoloso se un medico si comportasse come se tale idea fosse un fatto scientificamente provato e agisse con i pazienti di conseguenza. È vero che la nostra preparazione, l’abilitazione alla professione e l’esperienza ci danno notevoli privilegi in campo medico. I pazienti, però, hanno dei diritti. E, come probabilmente sappiamo, la legge (anche la Costituzione) dà più importanza ai diritti.

Sulle pareti di quasi tutti gli ospedali è esposta la “Carta dei diritti del paziente”. Uno di questi diritti è quello del consenso consapevole, che più precisamente si potrebbe chiamare scelta consapevole. Dopo che il paziente è stato informato dei possibili risultati di vari trattamenti (o del mancato trattamento), spetta a lui decidere il da farsi. Nell’Albert Einstein Hospital del Bronx (New York), una direttiva di massima nei confronti delle trasfusioni di sangue e dei testimoni di Geova diceva: “Qualsiasi paziente adulto che non sia privo della capacità di intendere e di volere ha diritto di rifiutare un trattamento indipendentemente da quanto tale rifiuto possa nuocere alla sua salute”.2

Anche se i medici possono esprimere preoccupazioni in relazione all’etica o alla responsabilità, i tribunali hanno ribadito il fatto che la scelta del paziente è più importante.3 La Corte d’Appello di New York ha detto che “il diritto del paziente di decidere l’andamento della sua cura [è] la cosa più importante . . . [Un] medico non può essere ritenuto colpevole di inadempienza delle sue responsabilità legali o professionali quando rispetta il diritto che un paziente adulto capace ha di rifiutare un trattamento medico”.4 Quel tribunale ha pure fatto rilevare che “l’integrità etica della professione medica, pur essendo importante, non può avere maggior peso dei diritti individuali fondamentali qui rivendicati. Ad essere di somma importanza sono le necessità e i desideri dell’individuo, non le esigenze di un’istituzione”.5

Quando un Testimone rifiuta il sangue, la coscienza dei medici può essere turbata al pensiero di non seguire quella che sembra essere la terapia ottimale. Ciò che il Testimone chiede ai medici coscienziosi di fare, però, è di provvedergli la migliore cura alternativa possibile in quelle circostanze. Spesso dobbiamo modificare la terapia in base alle circostanze, come ad esempio ipertensione, forte allergia agli antibiotici o il non disporre di certe costose attrezzature. Trattandosi di pazienti Testimoni, si chiede ai medici di affrontare il problema medico o chirurgico tenendo conto della scelta e della coscienza del paziente, della sua decisione morale/religiosa di astenersi dal sangue.

Numerosi rapporti su interventi di alta chirurgia eseguiti su pazienti Testimoni mostrano che molti medici possono, in tutta coscienza e con esito favorevole, accondiscendere alla richiesta di non far uso di sangue. Per esempio, nel 1981, Cooley passò in rassegna 1.026 interventi cardiovascolari, il 22% dei quali su minori. Egli affermò che “il rischio degli interventi chirurgici per i pazienti del gruppo dei testimoni di Geova non è sostanzialmente superiore che nel caso di altri”.6 Kambouris⁠7 ha parlato di interventi di alta chirurgia eseguiti su Testimoni ad alcuni dei quali era stato “negato un trattamento chirurgico urgente perché rifiutavano la trasfusione di sangue”. Egli ha detto: “A tutti i pazienti è stato assicurato prima del trattamento che in sala operatoria le loro convinzioni religiose sarebbero state rispettate, indipendentemente dalle circostanze. Questa linea di condotta non ha avuto effetti negativi”.

Quando un paziente è testimone di Geova, oltre al fatto della scelta entra in gioco anche la coscienza. Non si può pensare solo alla coscienza del medico. Che dire di quella del paziente? I testimoni di Geova considerano la vita un dono di Dio rappresentato dal sangue. Accettano il comando biblico dato ai cristiani di ‘astenersi dal sangue’ (Atti 15:28, 29).8 Quindi, se un medico assumesse un atteggiamento paternalistico e calpestasse le profonde e radicate convinzioni religiose del paziente, le conseguenze potrebbero essere tragiche. Papa Giovanni Paolo II ha osservato che violentare la coscienza di qualcuno “è il più doloroso colpo inferto alla dignità umana. È, in un certo senso, peggiore dell’infliggere la morte fisica, dell’uccidere”.9

Mentre i testimoni di Geova rifiutano il sangue per motivi religiosi, sono sempre di più i pazienti non Testimoni che decidono di evitare il sangue per rischi come AIDS, epatite non-A non-B e reazioni immunologiche. Possiamo dire loro il nostro parere circa il fatto che tali rischi sembrano minori rispetto ai vantaggi. Ma, come fa notare l’Ordine dei Medici Americani, il paziente è “l’ultimo arbitro nella decisione se accettare i rischi del trattamento o dell’operazione raccomandata dal medico o rischiare di farne a meno. Tale è il diritto naturale dell’individuo, che la legge riconosce”.10

A questo proposito, Macklin⁠11 ha menzionato il problema dei rischi/vantaggi in relazione a un Testimone che “rischiò di morire dissanguato senza trasfusione”. Uno studente di medicina disse: “Era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Che si fa quando le convinzioni religiose sono contrarie all’unico trattamento esistente?” Il ragionamento di Macklin: “Potremmo essere fermamente convinti che quest’uomo stia facendo uno sbaglio. Ma i testimoni di Geova credono che l’essere trasfusi . . . [possa] avere come risultato la dannazione eterna. Noi siamo preparati ad analizzare i rischi e i vantaggi dal punto di vista medico, ma se si contrappone la dannazione eterna alla vita che rimane da vivere sulla terra, l’analisi assume un’angolazione diversa”.11

In questo numero del Journal Vercillo e DuPrey⁠12 fanno riferimento a In re Osborne per sottolineare la necessità di garantire la sicurezza delle persone a carico. Ma com’è stato risolto il caso? Riguardava il padre gravemente ferito di due minorenni. Il tribunale stabilì che, se fosse morto, i figli sarebbero stati affidati alle cure, materiali e spirituali, dei parenti. Perciò, come in altri casi recenti,13 il tribunale non ha ritenuto che lo stato avesse alcun motivo impellente per non tener conto della cura scelta dal paziente; l’intervento del giudice per autorizzare un trattamento che il paziente riteneva molto discutibile era ingiustificato.14 Con un trattamento alternativo il paziente si riprese e continuò ad aver cura della sua famiglia.

Non è forse vero che la maggioranza dei casi che si sono presentati, o che probabilmente si presenteranno, ai medici si può risolvere senza far uso di sangue? I nostri studi e la nostra sfera di competenza riguardano problemi medici, tuttavia i pazienti sono esseri umani i cui valori e le cui aspirazioni non si possono ignorare. Nessuno meglio di loro sa quali sono le cose più importanti per ciascuno, qual è la propria morale e la propria coscienza, che danno un significato alla loro vita.

Può essere una sfida per noi medici rispettare la coscienza religiosa dei pazienti Testimoni. Ma nell’accettare questa sfida diamo risalto a preziose libertà che tutti noi abbiamo a cuore. John Stuart Mill ha scritto appropriatamente: “Nessuna società in cui queste libertà, nell’insieme, non siano rispettate può dirsi libera, qualunque sia la sua forma di governo . . . Ciascuno è il legittimo custode della propria salute, fisica, mentale o spirituale. Gli uomini hanno molto da guadagnare lasciando che ognuno viva come gli sembra bene, anziché costringerlo a vivere come sembra bene agli altri”.15

[Riferimenti bibliografici]

1. Appelbaum PS, Roth LH: Pazienti che rifiutano il trattamento in ospedale. JAMA 1983; 250:1296-1301.

2. Macklin R: Cosa avviene all’interno di un comitato che si occupa di problemi etici: Le ultime battaglie in merito ai testimoni di Geova. Hastings Cent Rep 1988; 18(1):15-20.

3. Bouvia v Superior Court, 179 Cal App 3d 1127, 225 Cal Rptr 297 (1986); In re Brown, 478 So 2d 1033 (Miss 1985).

4. In re Storar, 438 NYS 2d 266, 273, 420 NE 2d 64, 71 (NY 1981).

5. Rivers v Katz, 504 NYS 2d 74, 80 n 6, 495 NE 2d 337, 343 n 6 (NY 1986).

6. Dixon JL, Smalley MG: I Testimoni di Geova: una sfida sotto l’aspetto etico-chirurgico. JAMA 1981; 246:2471-2472.

7. Kambouris AA: Interventi addominali di alta chirurgia eseguiti su testimoni di Geova. Am Surg 1987; 53:350-356.

8. I Testimoni di Geova e il problema del sangue (ediz. inglese). Brooklyn, NY, Watchtower Bible and Tract Society, 1977, pp 1-64.

9. Il papa denuncia il giro di vite in Polonia. NY Times, 11 gennaio 1982, p A9.

10. Ufficio del Consiglio Generale: Medicolegal Forms with Legal Analysis. Chicago, Ordine dei Medici Americani, 1973, p 24.

11. Kleiman D: Un filosofo affronta il tema delle decisioni vitali in ospedale. NY Times, 23 gennaio 1984, pp B1, B3.

11. Kleiman D: Un filosofo affronta il tema delle decisioni vitali in ospedale. NY Times, 23 gennaio 1984, pp B1, B3.

12. Vercillo AP, Duprey SV: I testimoni di Geova e la trasfusione di derivati del sangue. NY State J Med 1988; 88:000-000.

13. Wons v Public Health Trust, 500 So 2d 679 (Fla Dist Ct App) (1987); Randolph v City of New York, 117 AD 2d 44, 501 NYS 2d 837 (1986); Taft v Taft, 383 Mass 331, 446 NE 2d 395 (1983).

14. In re Osborne, 294 A 2d 372 (DC Ct App 1972).

15. Mill JS: On liberty, Adler MJ (ediz): Great Books of the Western World. Chicago, Encyclopaedia Britannica, Inc, 1952, vol 43, p 273.

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