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Pagina 2Svegliatevi! 1989 | 22 luglio
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[Fonte dell’immagine a pagina 5]
Foto in copertina: Camerique/H. Armstrong Roberts
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I mari: Preziosa risorsa o gigantesca fogna?Svegliatevi! 1989 | 22 luglio
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fogna ha cominciato a rimandargli indietro i rifiuti. In anni recenti su famose spiagge del mondo si è dovuta proibire la balneazione perché il mare buttava a riva i più disparati e disgustosi rifiuti.
Oggetti usati da tossicodipendenti e in medicina, come fasce macchiate, aghi ipodermici e fiale di sangue — alcune contaminate col virus dell’AIDS — hanno fatto notizia quando sono apparsi sulle spiagge della costa orientale degli Stati Uniti. Palline di liquami non trattati, topi morti di laboratorio, il rivestimento di uno stomaco umano e anche altre cose ancor più nauseabonde hanno fatto la loro raccapricciante comparsa. Alcune sono diventate piuttosto comuni.
La crisi ha colpito le spiagge del Mare del Nord e del Mar Baltico nell’Europa settentrionale, del Mar Mediterraneo e del Mare Adriatico nell’Europa meridionale, e perfino lungo le rive sovietiche del Mar Nero e dell’Oceano Pacifico. Vi è stata proibita la balneazione, perché in tali luoghi i bagnanti rischiavano una lunga serie di malattie. Il famoso oceanografo Jacques Cousteau ha scritto di recente che in alcune spiagge del Mediterraneo i bagnanti correvano il pericolo di prendere 30 malattie, dai foruncoli alla cancrena. Ha pronosticato che verrà il tempo in cui nessuno oserà immergere un dito nell’acqua.
Ma i rifiuti dell’uomo causano più che divieti di balneazione e disagi ai nuotatori. I danni si sono estesi alle acque profonde.
Diversi anni fa la città di New York cominciò a scaricare in mare i suoi detriti di fogna a circa 200 chilometri dalla costa. Recentemente, in canyon sotterranei distanti circa 130 chilometri i pescatori hanno cominciato a prendere pesci con lesioni e pinne in putrefazione e granchi e aragoste con buchi nel guscio che pareva fossero stati fatti con lampade per saldare. I funzionari governativi negano qualsiasi legame tra la discarica e i pesci malati, ma i pescatori non la pensano così. Il direttore di un cantiere navale ha detto alla rivista Time che i newyorkesi “riavranno indietro le immondizie nel pesce che mangiano”.
Gli esperti ritengono che l’inquinamento dei mari stia diventando rapidamente un’epidemia di portata mondiale; e non si limita alle nazioni industrializzate. I paesi meno sviluppati sono anch’essi assediati, per due ragioni. Primo, i vari mari del mondo sono in sostanza un solo grande mare le cui correnti non badano ai confini. Secondo, le nazioni industrializzate hanno approfittato di quelle povere scaricando in esse i loro rifiuti. Solo negli scorsi due anni, gli Stati Uniti e l’Europa hanno spedito circa tre milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi nei paesi dell’Europa orientale e dell’Africa. Inoltre, alcuni imprenditori stranieri costruiscono fabbriche in Asia e in Africa senza dotarle degli impianti necessari per lo smaltimento dei rifiuti.
Il flagello della plastica
La plastica rappresenta per l’uomo un altro frutto dell’ingegno sfuggito al controllo. A volte pare che la tecnologia non possa esistere senza di essa. La plastica può apparire indispensabile ma è anche praticamente indistruttibile. Quando non gli serve più, l’uomo ha difficoltà a sbarazzarsene. La plastica di una confezione di sei lattine di birra può durare da 450 a 1.000 anni.
Un comune modo per liberarsene, come forse avrete indovinato, è quello di gettarla in mare. Infatti, un recente rapporto calcolava che ogni anno circa 26.000 tonnellate di materiale d’imballaggio e 150.000 tonnellate di attrezzature per la pesca vadano perdute o siano gettate in mare. Secondo U.S.News & World Report, “le navi mercantili e della marina militare gettano in mare 690.000 contenitori di plastica al giorno”. Un esperto ha calcolato che anche in mezzo all’Oceano Pacifico ci siano circa 50.000 frammenti di plastica per chilometro quadrato.
I mari non possono assorbire tutta questa plastica. Di solito essa galleggia intatta finché il mare non la vomita su qualche spiaggia, dove continua a deturpare la bellezza della terra. Ma nel frattempo reca anche danni molto più gravi.
Un prezzo troppo alto
Il problema della plastica, come di altri inquinanti, è il suo costo in termini di vite. Le gigantesche tartarughe marine scambiano i sacchetti dell’immondizia trasportati dalla corrente per semitrasparenti, ondeggianti meduse, uno dei loro cibi preferiti. Le tartarughe si soffocano con questi sacchetti o li ingoiano interi. In un modo o nell’altro, la plastica le uccide.
Tutte le forme di vita marina, dalle balene ai delfini e alle foche, restano impigliate nelle lenze e nelle reti da pesca abbandonate. Giocando, le foche infilano il muso in anelli di plastica gettati via e poi, non riuscendo a tirarlo fuori e neppure ad aprire la bocca, muoiono lentamente di fame. Gli uccelli marini restano impigliati nelle lenze e muoiono mentre si dibattono freneticamente per liberarsi, e non si tratta di casi isolati. I rifiuti soffocano circa un milione di uccelli marini e centomila mammiferi marini all’anno.
L’inquinamento chimico va ad accrescere il numero delle vittime. L’estate scorsa le onde gettarono sulle rive del Mare del Nord foche morte. Nel giro di alcuni mesi, circa 12.000 delle 18.000 foche comuni del Mare del Nord sono state distrutte. Cosa le ha uccise? Un virus. Ma c’è dell’altro. Vi hanno contribuito anche i miliardi di litri di rifiuti gettati regolarmente nel Mare del Nord e nel Mar Baltico, poiché hanno indebolito il sistema immunitario delle foche, favorendo la diffusione della malattia.
Sebbene nel Mar Baltico e nel Mare del Nord l’inquinamento sia particolarmente concentrato, di questi tempi un animale farebbe fatica a trovare un tratto non inquinato in qualsiasi mare. Nelle remote distese dell’Artico e dell’Antartico pinguini, narvali, orsi polari, pesci e foche hanno nei tessuti del loro organismo tracce dei prodotti chimici e dei pesticidi fabbricati dall’uomo. Le carogne dei delfinatteri bianchi nel Golfo del San Lorenzo in Canada sono considerate rifiuti pericolosi, essendo impregnate di tossine. Solo in un anno, sulla costa atlantica degli Stati Uniti circa il 40 per cento dei delfini della zona è morto, ed è stato ributtato a riva con vesciche, lesioni e pezzi di pelle che venivano via.
Un delicato meccanismo viene sconvolto
L’inquinamento dei mari ha anche un altro prezzo. Inferisce un colpo letale a complessi ecosistemi, con risultati terrificanti. Per esempio, i mari sono dotati di meccanismi per difendersi dall’inquinamento. Gli estuari e i terreni paludosi alle foci dei fiumi sono filtri efficienti, poiché eliminano le sostanze nocive dall’acqua prima che affluisca nel mare. Il mare stesso ha un’immensa capacità di rinnovarsi e di eliminare le impurità. Ma l’uomo bonifica le paludi costruendovi sopra, abusa degli estuari, e nello stesso tempo scarica i rifiuti nei mari più in fretta di quanto essi non possano smaltirli.
I liquami e le acque di deflusso superficiale, affluendo incontrollati nel mare, sovralimentano le alghe, che quindi fioriscono producendo il vasto fenomeno dell’acqua rossa e bruna che impoverisce l’acqua d’ossigeno e uccide la vita marina nel raggio di chilometri. Questo fenomeno sta aumentando in tutto il mondo.
L’uomo ha inquinato anche in modi di cui non si era mai sentito parlare. Per esempio, c’è l’inquinamento termico. Un afflusso di rifiuti caldi che fanno alzare anche solo leggermente le temperature delle acque locali potrebbe favorire lo sviluppo di organismi che sconvolgono l’ecosistema.
C’è anche l’inquinamento da rumore. Secondo il New York Times, l’uomo ha turbato la quiete del mondo sottomarino con i brillamenti di mine per studi sismici, le perforazioni petrolifere e le navi gigantesche. Il rumore danneggia i sensibili organi dell’udito di pesci, balene e foche, forse compromettendo anche la loro capacità di comunicare. Carl Sagan, nel suo libro Cosmo, afferma che forse un tempo le balene erano in grado
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