Giovani che hanno avuto “potenza oltre ciò che è normale”
SEI giovane. Hai solo 12 anni. Hai una famiglia che ami. Hai compagni di scuola a cui sei affezionato. Fai gite al mare e in montagna. Quando la notte alzi lo sguardo e vedi il cielo pieno di stelle ti senti pervadere da un senso di riverenza. Hai tutta la vita davanti.
Poi, ad un tratto, ti dicono che hai il cancro. Una notizia del genere è dura da mandar giù a 60 anni, ma a 12 è una mazzata tremenda.
Lenae Martinez
Questo è ciò che ha provato la dodicenne Lenae Martinez. La sua speranza era quella di vivere per sempre su una terra paradisiaca. Questa speranza si basava sull’istruzione biblica che aveva ricevuto dai genitori, che sono testimoni di Geova. Non aveva letto lei stessa nella Bibbia che la terra sarebbe rimasta per sempre, che fu creata per essere abitata e che i mansueti la erediteranno per sempre? — Ecclesiaste 1:4; Isaia 45:18; Matteo 5:5.
Ora si trovava in un ospedale pediatrico (il Valley Children’s Hospital) di Fresno (California, USA). Era stata ricoverata per quella che sembrava un’infezione renale. Dagli esami, invece, risultò che aveva la leucemia. I medici che avevano in cura Lenae dissero che bisognava subito trasfonderle eritrociti ammassati e piastrine e iniziare la chemioterapia.
Lenae spiegò che non voleva sangue né derivati del sangue, che le era stato insegnato che Dio ne proibisce l’uso, come indicano i libri biblici di Levitico e Atti. “Poiché allo spirito santo e a noi è parso bene di non aggiungervi nessun altro peso, eccetto queste cose necessarie: che vi asteniate dalle cose sacrificate agli idoli e dal sangue e da ciò che è strangolato e dalla fornicazione”. (Atti 15:28, 29) I suoi genitori la sostennero nella sua decisione, ma Lenae sottolineò che si trattava di una scelta sua e che per lei era una questione molto importante.
I medici parlarono molte volte con Lenae e con i suoi genitori. Nonostante ciò, un pomeriggio tornarono. A proposito di questa visita Lenae disse: “Mi sentivo molto debole per il dolore e avevo vomitato molto sangue. Mi rifecero le stesse domande, solo in forma diversa. Ripetei loro: ‘Non voglio né sangue né derivati del sangue. Preferirei morire, se fosse necessario, piuttosto che infrangere la promessa che ho fatto a Geova Dio di fare la sua volontà’”.
Lenae proseguì dicendo: “Tornarono la mattina dopo. Le piastrine stavano calando, e avevo ancora la febbre alta. Capii che questa volta il dottore mi ascoltava di più. Anche se non erano contenti della mia decisione, dissero che ero una dodicenne molto matura. Più tardi entrò il mio pediatra e mi disse che gli dispiaceva, ma le uniche cose che mi avrebbero potuto aiutare erano la chemioterapia e le trasfusioni. Poi se ne andò, dicendo che sarebbe tornato.
“Quando uscì cominciai a piangere a dirotto, perché si era preso cura di me da quando sono nata e ora mi sentivo tradita da lui. In seguito, quando rientrò, gli dissi come mi aveva fatto sentire, che mi pareva non si interessasse più di me. Questo lo sorprese, e si scusò. Non intendeva ferirmi. Mi guardò e disse: ‘Beh, Lenae, se dev’essere così, ti rivedrò in cielo’. Si tolse gli occhiali e, con dei lacrimoni agli occhi, disse che mi voleva bene e mi abbracciò forte. Lo ringraziai e dissi: ‘Grazie. Anch’io le voglio bene, dott. Gillespie, ma io spero di essere risuscitata per vivere su una terra paradisiaca’”.
Poi entrarono due medici e un avvocato i quali chiesero ai genitori di Lenae di uscire perché volevano parlare con la ragazza da soli. I genitori lasciarono la stanza. In tutta la conversazione che seguì i medici furono molto riguardosi e gentili, e rimasero colpiti dall’eloquenza di Lenae e dalla sua profonda convinzione.
Una volta soli con Lenae, le dissero che stava morendo di leucemia e aggiunsero: “Le trasfusioni di sangue, però, ti prolungheranno la vita. Se rifiuti il sangue, morirai nel giro di pochi giorni”.
“Se prendo il sangue”, chiese Lenae, “di quanto prolungherò la mia vita?”
“Da tre a sei mesi circa”, risposero.
“Cosa posso fare in sei mesi?”, chiese.
“Riacquisterai le forze. Potrai fare tante cose. Potrai andare a Disney World. Potrai vedere molti altri posti”.
Lenae ci pensò un po’ e poi rispose: “Ho servito Geova per tutta la vita, 12 anni. Lui mi ha promesso la vita eterna nel Paradiso se gli ubbidisco. Non lo rinnegherò ora per sei mesi di vita. Voglio restare fedele fino alla morte. Così so che a suo tempo egli mi risusciterà dai morti e mi darà la vita eterna. Poi avrò tempo per fare tutto quello che vorrò”.
I medici e l’avvocato rimasero visibilmente colpiti. La lodarono, uscirono e dissero ai suoi genitori che ragionava e parlava come una persona adulta e che era in grado di decidere autonomamente. Raccomandarono alla commissione etica del Valley Children’s Hospital di considerare Lenae una minore matura. Questa commissione, composta di medici e di altro personale ospedaliero insieme a un professore di etica dell’Università Statale di Fresno, concesse a Lenae la facoltà di decidere da sé a quale terapia essere sottoposta. La considerarono una minore matura. Non fu chiesta nessuna ordinanza del tribunale.
Dopo una notte lunga e difficile, alle 6,30 del mattino del 22 settembre 1993, Lenae si addormentò nella morte tra le braccia della madre. La dignità e la calma di quella notte sono ben impresse nella mente di quelli che erano presenti. Al funerale ci furono 482 persone, tra cui medici, infermiere e insegnanti, che erano rimasti colpiti dalla fede e dall’integrità di Lenae.
I genitori e gli amici di Lenae furono molto grati ai medici, alle infermiere e agli amministratori del Valley Children’s Hospital per la sensibilità mostrata nel discernere la maturità di questa minorenne e per il fatto che non ci fu bisogno di nessun processo per prendere tale decisione.
Crystal Moore
La stessa considerazione non fu mostrata alla diciassettenne Crystal Moore quando fu ricoverata nel Columbia Presbyterian Medical Center di New York. Crystal soffriva di colite ulcerosa. Al momento del ricovero Crystal, insieme ai suoi genitori, sottolineò ripetutamente che non avrebbe accettato sangue. Non voleva morire; voleva invece essere curata in armonia con il comando biblico di astenersi dal sangue. — Atti 15:28, 29.
L’équipe medica che si occupava di Crystal era convinta che le sue condizioni richiedessero una trasfusione di sangue. Un medico disse recisamente: “Se Crystal non viene trasfusa entro giovedì 15 giugno, venerdì 16 giugno sarà morta!” Il 16 giugno Crystal non era morta, e l’ospedale chiese alla Corte Suprema dello Stato di New York l’autorizzazione per trasfonderla contro la sua volontà.
All’udienza, convocata in tutta fretta quella stessa mattina presso l’ospedale, uno dei medici testimoniò dicendo che Crystal aveva bisogno di ricevere immediatamente due unità di sangue, e che forse avrebbe avuto bisogno di riceverne almeno altre dieci. Dichiarò anche che se Crystal avesse tentato di opporsi, le avrebbe legato polsi e caviglie al letto per trasfonderla. Crystal disse ai medici che se avessero tentato di trasfonderla si sarebbe “messa a urlare”, e che essendo una testimone di Geova considerava qualsiasi somministrazione coatta di sangue ripugnante al pari di uno stupro.
Nonostante le ripetute richieste del suo avvocato, a Crystal fu negata la possibilità di esprimersi davanti alla corte per dimostrare che era in grado di prendere decisioni. Malgrado Crystal fosse stata appena premiata nel Super Youth Program in riconoscimento dei brillanti risultati conseguiti nella scuola superiore, il giudice non le permise di deporre in merito al suo rifiuto del sangue. Questo equivaleva a negare a Crystal il diritto di avere un regolare processo, il diritto di decidere del proprio corpo e il diritto alla privacy e alla libertà di religione.
Anche se il tribunale non consentì a Crystal di deporre durante il processo, la corte andò a parlare con Crystal per una ventina di minuti mentre era sola nella sua stanza. Dopo questo colloquio il giudice disse che Crystal era “chiaramente molto intelligente” e “molto eloquente” e spiegò che “era certamente di mente sana” e “pienamente capace di esprimersi”. Nonostante queste osservazioni, il tribunale si rifiutò categoricamente di concedere a Crystal il diritto di decidere a quali terapie mediche essere sottoposta.
La mattina di domenica 18 giugno Crystal aveva bisogno di un intervento chirurgico di emergenza, al quale acconsentì pur continuando ad opporsi all’uso del sangue. Durante l’intervento non perse neanche 100 cc di sangue. Tuttavia i medici sostennero che avrebbe potuto essere necessaria una trasfusione postoperatoria. Un altro medico attestò che non c’era bisogno di nessuna trasfusione: egli curava di routine senza sangue casi simili da 13 anni, e non c’era mai stato bisogno di trasfusioni postoperatorie.
Il 22 giugno 1989 il tribunale concesse in via temporanea l’affidamento di Crystal all’ospedale affinché fosse trasfusa solo se questo fosse stato “necessario per proteggerle e salvarle la vita”. Questo affidamento terminò quando Crystal fu dimessa dall’ospedale. Crystal non ebbe mai bisogno di sangue, e questo non le venne mai trasfuso, ma è scioccante il modo in cui fu trattata dal tribunale.
Dopo essere stata dimessa dall’ospedale Crystal si diplomò alle superiori con lode. Poco dopo intraprese il ministero a tempo pieno come testimone di Geova. Divenne una guida presso la Sala delle Assemblee dei Testimoni di Geova di Jersey City e si unì come volontaria a una squadra che costruisce e ristruttura Sale del Regno.
Eppure i medici del Columbia Presbyterian Medical Center avevano detto che se non veniva trasfusa il 15 giugno, il 16 giugno sarebbe morta, e che se si fosse opposta alle trasfusioni le avrebbero legato al letto polsi e caviglie. Quando i medici che vogliono un’ordinanza del tribunale per somministrare sangue dichiarano in maniera sfacciata che se il giudice non li asseconda immediatamente il paziente morirà, ricordino il caso di Crystal Moore.
Lisa Kosack
La prima notte che Lisa passò nell’ospedale pediatrico di Toronto fu peggio di un incubo. Era stata ricoverata alle quattro del pomeriggio e fu immediatamente sottoposta a una serie di esami. Non entrò in stanza che alle undici e un quarto di sera. A mezzanotte . . . beh, lasciamo che sia Lisa stessa a raccontare quello che accadde: “A mezzanotte entrò un’infermiera e disse: ‘Devo darti del sangue’. Io gridai: ‘Non posso accettare sangue perché sono una testimone di Geova! Spero che lo sappia! Spero che lo sappia!’ ‘Beh, sì, lo so’, disse, e immediatamente mi sfilò dal braccio la flebo e ci ficcò il sangue. Io piangevo e cominciavo ad avere una crisi isterica”.
Che modo insensibile e crudele di trattare una ragazzina di dodici anni malata e spaventata, nel cuore della notte e in un ambiente estraneo! I genitori di Lisa l’avevano portata in quell’ospedale pediatrico di Toronto nella speranza di trovare dei medici comprensivi e disposti a cooperare. Invece la loro figlia fu sottoposta a quella raccapricciante trasfusione nel cuore della notte, nonostante sia Lisa che i suoi genitori sostenessero che il sangue e i suoi derivati violano la legge di Dio e non vanno usati. — Atti 15:28, 29.
La mattina dopo l’ospedale chiese al tribunale un’ordinanza che autorizzasse le trasfusioni. Il processo durò cinque giorni, e fu presieduto dal giudice David R. Main. Fu celebrato in una stanza dell’ospedale, e Lisa fu presente ogni giorno. Lisa era affetta da leucemia mieloide acuta, una malattia di solito mortale, anche se i medici dichiararono nel processo che l’indice di guarigione era del 30 per cento. Essi prescrissero ripetute trasfusioni di sangue e chemioterapia intensiva, un trattamento molto doloroso con effetti collaterali debilitanti.
Il quarto giorno del processo fu ascoltata la deposizione di Lisa. Una delle domande che le furono rivolte fu cosa aveva provato quando era stata trasfusa coattivamente nel cuore della notte. Lei spiegò che si era sentita come un cane usato per un esperimento, che le pareva di essere violentata e che solo perché era minorenne alcuni pensavano di poterle fare qualsiasi cosa. Era profondamente disgustata vedendo che mettevano nel suo corpo il sangue di qualcun altro, e si chiedeva se avrebbe preso l’AIDS o l’epatite o qualche altra malattia infettiva. Soprattutto, si preoccupava di ciò che Geova avrebbe pensato del fatto che lei infrangeva la sua legge immettendo nel suo corpo sangue altrui. Disse che se la cosa si fosse ripetuta ‘avrebbe lottato e buttato giù a calci l’asta della flebo e si sarebbe strappata l’ago dal braccio senza badare al dolore e avrebbe bucato la sacca del sangue’.
Il suo avvocato le chiese: “Come ti senti sapendo che l’Associazione per la Tutela dell’Infanzia chiede che il tuo affidamento venga tolto ai tuoi genitori e venga dato a loro?”
“Beh, mi fa molta, molta rabbia; penso che sono crudeli perché i miei genitori non mi hanno mai picchiata, mi hanno sempre voluto bene e io voglio bene a loro, e ogni volta che avevo un mal di gola o il raffreddore o qualsiasi cosa si sono sempre presi cura di me. Tutta la loro vita ruotava attorno a me, e il fatto che ora qualcuno, solo perché non è d’accordo, venga e mi separi da loro credo che sia molto, ma molto crudele, e mi addolora tanto”.
“Desideri morire?”
“No, credo che nessuno desideri morire, ma se morirò non avrò paura, perché so che ho la speranza della vita eterna in un paradiso sulla terra”.
Pochi avevano gli occhi asciutti allorché Lisa parlò con coraggio della sua morte imminente, della sua fede in Geova e della sua determinazione di continuare a ubbidire alla Sua legge circa la santità del sangue.
“Lisa”, chiese poi l’avvocato, “farebbe differenza per te sapere che un tribunale ti ordina di accettare trasfusioni di sangue?”
“No, perché io continuerò lo stesso a rimanere fedele al mio Dio e ad ascoltare i suoi comandi, perché Dio è molto più in alto di qualsiasi tribunale o di qualsiasi uomo”.
“Lisa, cosa desidereresti che il giudice decidesse in questo processo?”
“Beh, quello che desidererei che il giudice decidesse in questo processo è che mi rimandi dai miei genitori e che mi affidi di nuovo a loro così che io possa essere felice, e possa tornare a casa e stare in un ambiente felice”.
E questo fu ciò che decise il giudice Main. Seguono alcuni brani tratti dalla sua sentenza:
“L. ha spiegato a questo Tribunale in termini chiari e concreti che, se si tenterà di trasfonderle sangue, essa si opporrà a tale trasfusione con tutte le sue forze. Ha detto, e io le credo, che si metterà a gridare e lotterà ed estrarrà l’ago dal braccio e cercherà di eliminare il sangue della sacca sopra il suo letto. Mi rifiuto di emettere qualsiasi ordinanza che sottoporrebbe questa bambina a una prova del genere”.
A proposito della trasfusione coatta nel cuore della notte, disse:
“Devo riconoscere che [Lisa] è stata oggetto di discriminazione a motivo della sua religione e della sua età ai sensi del comma 15(1) [della Carta Canadese dei Diritti e delle Libertà]. In queste circostanze, essendole stata praticata una trasfusione di sangue, il suo diritto all’incolumità personale ai sensi dell’Articolo 7 è stato calpestato”.
È interessante anche ciò che disse di Lisa come persona:
“L. è una bambina bella, assai intelligente, capace di esprimersi, ben educata, sensibile e, soprattutto, coraggiosa. È straordinariamente saggia e matura per la sua età e credo di poter dire tranquillamente che ha tutti quegli attributi positivi che qualsiasi genitore vorrebbe in un figlio. Ha un credo religioso ben ponderato, saldo e chiaro. A mio giudizio, nessun consiglio da chicchessia né pressioni da parte dei genitori o di chiunque altro, inclusa un’ordinanza di questa corte, scuoterebbero o modificherebbero le sue convinzioni religiose. Credo che si debba dare a L. K. l’opportunità di combattere la sua malattia con dignità e serenità”.
“Istanza respinta”.
Lisa e i suoi familiari lasciarono l’ospedale quel giorno stesso. Lisa combatté veramente la sua malattia con dignità e serenità. Morì in pace a casa sua, tra le braccia amorevoli della madre e del padre. Così facendo si è unita alla schiera dei molti altri giovani testimoni di Geova che hanno messo Dio al primo posto. Come risultato anche lei, come loro, vedrà adempiersi nel suo caso la promessa di Gesù: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà”. — Matteo 10:39, nota in calce.
Ernestine Gregory
A 17 anni Ernestine scoprì di avere la leucemia. Ricoverata in ospedale, non volle acconsentire all’uso dei derivati del sangue a sostegno della chemioterapia che i medici volevano praticare. Visto il rifiuto di Ernestine e il fatto che la madre appoggiò la sua scelta in favore di una terapia che non facesse uso di sangue, l’ospedale riferì il caso a degli assistenti sociali di Chicago (Illinois, USA), i quali a loro volta chiesero un’ordinanza del tribunale che autorizzasse l’uso del sangue. Fu convocata un’udienza, nel corso della quale il tribunale udì le deposizioni di Ernestine, di un medico, di uno psichiatra e di un avvocato, nonché quelle di altre persone implicate.
Ernestine disse al suo medico che non voleva sangue. Che si trattava di una sua decisione personale basata su ciò che aveva letto nella Bibbia. Che una trasfusione coatta somministrata in forza di un’ordinanza di tribunale costituiva ugualmente una trasgressione della legge di Dio ed era sbagliata ai suoi occhi, indipendentemente dall’autorità del tribunale. Che non era contraria alle cure mediche e che non voleva morire. Che la sua decisione non era un desiderio di morte, non era una decisione suicida, ma che comunque la morte non le faceva paura.
Un medico, il dott. Stanley Yachnin, testimoniò che era rimasto “colpito dalla maturità di Ernestine, dalla sua assennatezza” e dalla sincerità delle sue convinzioni religiose. Disse anche che Ernestine comprendeva la natura e le conseguenze della sua malattia. Per questo motivo, secondo il dott. Yachnin era inutile convocare uno psichiatra o uno psicologo.
Nondimeno ne fu convocato uno, il dott. Ner Littner, psichiatra, il quale dopo aver parlato con Ernestine fu dell’opinione che avesse la maturità di una persona di età compresa tra i 18 e i 21 anni. Egli affermò che Ernestine dimostrò di comprendere le conseguenze dell’accettare o rifiutare le emotrasfusioni. Disse che accettava tali conseguenze non perché fosse controllata da qualcun altro, ma in base a una sua convinzione personale. Il dott. Littner disse che si sarebbe dovuto permettere ad Ernestine di decidere personalmente.
Jane McAtee, avvocato dell’ospedale, attestò che dopo aver avuto un colloquio con Ernestine era convinta che la ragazza capiva la natura della sua malattia e che “sembrava pienamente in grado di comprendere la sua decisione e di accettarne le conseguenze”.
La corte fu molto colpita anche dalla testimonianza di Ernestine. Riscontrò che Ernestine era una diciassettenne matura, capace di prendere decisioni informate in campo medico; eppure il tribunale, sorprendentemente, emise un’ordinanza con cui si permettevano le trasfusioni di sangue. All’ospedale erano pronti due medici con tutta l’attrezzatura trasfusionale, e non appena fu resa nota la sentenza praticarono una trasfusione a Ernestine contro la sua volontà e nonostante le sue vigorose proteste. Si ricorse subito in appello contro l’ordinanza del tribunale, ma ormai la precipitosa trasfusione era stata fatta.
Onde evitare eventuali ulteriori trasfusioni, si ricorse in appello contro questa ordinanza presso la Corte d’Appello dell’Illinois. Con due voti contro uno, la Corte d’Appello affermò che Ernestine non poteva essere costretta a subire trasfusioni di sangue contro la sua volontà. Ragionò che il diritto di Ernestine al libero esercizio della religione, garantito dal primo emendamento, e il suo diritto costituzionale alla libertà personale le garantivano il diritto, quale minore matura, di rifiutare le emotrasfusioni per motivi religiosi.
I funzionari dell’ente per l’assistenza all’infanzia fecero ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello presso la Corte Suprema dell’Illinois. Quest’ultima confermò la sentenza e affermò che, pur essendo minorenne, Ernestine aveva il diritto di rifiutare una terapia medica che lei disapprovava. Questa Corte Suprema basò la sua sentenza sul diritto di disporre del proprio corpo garantito dalla “common law” e sul principio del minore maturo. La norma da applicare nell’Illinois nei casi che riguardano minori maturi è stata riassunta dalla Corte Suprema dell’Illinois nella seguente dichiarazione:
“Se ci sono prove chiare e convincenti che il minore è abbastanza maturo da capire le conseguenze delle sue azioni, ed il minore è abbastanza maturo da usare il giudizio di un adulto, in tal caso la dottrina del minore maturo gli concede il diritto, fondato sulla ‘common law’, di acconsentire al trattamento medico o di rifiutarlo”.
Ernestine non fu sottoposta ad altre trasfusioni, e non morì di leucemia. Ernestine fu ferma e mise Dio al primo posto, come gli altri giovani menzionati in precedenza. Ciascuno di loro ricevette “potenza oltre ciò che è normale”. — 2 Corinti 4:7.
[Riquadro a pagina 13]
I pericoli delle trasfusioni di sangue
Il numero del 14 dicembre 1989 del New England Journal of Medicine riferiva che una sola unità di sangue può contenere abbastanza virus dell’AIDS da causare fino a 1.750.000 infezioni!
Nel 1987, dopo che si comprese che l’AIDS si trasmetteva attraverso le scorte di sangue donato, un libro espresse questo rammarico: “Questo era il più amaro di tutti i paradossi della medicina: che il sangue, prezioso dono di vita, potesse rivelarsi uno strumento di morte”. — Autologous and Directed Blood Programs.
Il dott. Charles Huggins, direttore del centro trasfusionale di un ospedale del Massachusetts (USA), ha detto: “È la sostanza più pericolosa che usiamo in medicina”.
Un periodico di chirurgia (Surgery Annual) è giunto alla seguente conclusione: “È chiaro che la trasfusione più sicura è quella che non viene somministrata”.
Visto che il tasso di recidive di cancro è molto più elevato dopo gli interventi in cui è stato trasfuso sangue, il dott. John S. Spratt ha scritto in una rivista medica: “Il chirurgo oncologo potrebbe dover rinunciare alle trasfusioni”. — The American Journal of Surgery, settembre 1986.
Il periodico Emergency Medicine ha scritto: “La nostra esperienza coi testimoni di Geova potrebbe forse essere interpretata nel senso che non abbiamo bisogno di fare tanto assegnamento sulle emotrasfusioni, con tutte le loro possibili complicanze, come pensavamo una volta”.
Il periodico Pathologist, riferendosi al rifiuto che i testimoni di Geova oppongono al sangue, ha detto: “Esistono considerevoli prove a sostegno della loro affermazione, nonostante le banche del sangue asseriscano decisamente il contrario”.
Il dott. Charles H. Baron, che insegna diritto alla Boston College Law School, ha detto a proposito del rifiuto del sangue da parte dei testimoni di Geova: “Hanno reso un servizio all’intera società americana. Grazie all’operato dei Comitati di assistenza sanitaria organizzati dai Testimoni, oggi non solo ai testimoni di Geova, ma ai pazienti in generale è più difficile che vengano praticate trasfusioni di sangue non necessarie”.