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Il difficile compito di assistere gli infermiSvegliatevi! 1997 | 8 febbraio
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“Era molto imbarazzante”
“Studi in merito descrivono molte volte l’angoscia derivante dal comportamento strano, imbarazzante [dell’infermo], e dai suoi sfoghi verbali”, riferisce una rivista di gerontologia (The Journals of Gerontology). Per esempio, Gillian descrive cosa accadde quando a un’adunanza cristiana un’amica chiese di salutare la sua vecchia madre. “La mamma sembrava assente e non rispose”, ricorda con tristezza Gillian. “Era molto imbarazzante e mi fece venire le lacrime agli occhi”.
“È una delle cose più difficili da sopportare”, dice Joan, il cui marito è affetto da demenza. “Ciò lo rende alquanto indifferente all’etichetta”, essa spiega. “Quando mangiamo fuori con altri, a volte si avvicina agli altri tavoli della sala da pranzo, assaggia la marmellata e poi rimette il cucchiaino usato nel recipiente. Quando facciamo visita ai vicini, magari sputa sul sentiero del giardino. È molto difficile liberarmi del pensiero che gli altri probabilmente parlano di queste abitudini e forse lo considerano terribilmente maleducato. Tendo a chiudermi in me stessa”.
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Il difficile compito di assistere gli infermiSvegliatevi! 1997 | 8 febbraio
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“Forse vi affliggete pensando a come erano un tempo”
“È normale che chi si prende cura di una persona cara che ha una malattia cronica si affligga”, afferma il libro Caring for the Person With Dementia (Assistere un demente). “Via via che la malattia peggiora, forse soffrite per la perdita di un compagno e di un rapporto che era importante per voi. Forse vi affliggete pensando a come erano un tempo”.
Jennifer descrive come influì sulla famiglia il costante declino della salute della madre: “Eravamo addolorati. Ci mancava la sua vivace conversazione. Eravamo molto tristi”. Gillian spiega: “Non volevo che mia madre morisse, e non volevo che soffrisse. Non facevo altro che piangere”.
“Mi sentivo respinta, arrabbiata”
Chi assiste un infermo forse si chiede: ‘Perché doveva capitare proprio a me? Perché gli altri non mi aiutano? Non vedono che non ce la faccio? L’infermo non può cooperare di più?’ A volte chi presta assistenza può essere molto arrabbiato per quelle che sembrano ingiuste e crescenti pretese dell’infermo e di altri familiari. Rosa, menzionata nell’introduzione, dice: “Perlopiù sono arrabbiata con me stessa. Ma la mamma dice che mi si legge in faccia”.
Su chi si occupa di un infermo può gravare il peso delle frustrazioni e della rabbia dell’infermo stesso. Nel libro Living With Cancer (Avere il cancro), il dott. Ernest Rosenbaum spiega che alcuni malati “possono a volte avere momenti di rabbia e di depressione che cercheranno di riversare sulla prima persona che capita . . . Questa rabbia di solito si manifesta sotto forma di irritazione per cose insignificanti a cui in momenti normali il paziente non penserebbe neanche”. Si capisce che questo può sottoporre a ulteriore sforzo i nervi già tesi dei familiari che fanno del loro meglio per curarlo.
Maria, per esempio, assisteva l’amica morente in modo encomiabile. Ogni tanto, però, l’amica sembrava ipersensibile e traeva conclusioni sbagliate. “Era molto tagliente e scortese, mettendo in imbarazzo i suoi cari”, spiega Maria. Come influì ciò su Maria? “Sul momento pare di ‘capire’ il malato. Ma poi ripensandoci mi sentivo respinta, arrabbiata, insicura, e non disposta a mostrare il necessario amore”.
Uno studio pubblicato nella già citata rivista di gerontologia concludeva: “L’ira può raggiungere un alto livello in situazioni del genere [e] a volte determina effettiva o probabile violenza”. I ricercatori hanno riscontrato che fra coloro che assistevano infermi quasi 1 su 5 temeva di poter diventare violento. E più di 1 su 20 era diventato effettivamente violento nei confronti dell’infermo.
“Mi sento in colpa”
Molti che assistono infermi sono afflitti da sensi di colpa. Qualche volta la colpa segue da vicino la rabbia, vale a dire, si sentono in colpa perché a volte si arrabbiano. Simili sentimenti possono logorarli a tal punto da portarli a pensare di non farcela più.
In certi casi non c’è altra alternativa che ricoverare il paziente in un istituto o in un ospedale. Questa decisione può essere traumatica e può turbare profondamente chi lo assisteva. “Quando alla fine fummo costretti a portare la mamma in una casa di riposo, ebbi la sensazione di tradirla, di abbandonarla”, dice Jeanne.
Sia che il paziente sia ospedalizzato o no, i suoi cari forse si sentono colpevoli di non fare abbastanza per lui. Elsa ha detto: “Spesso mi dispiaceva di avere così poco tempo. A volte la mia amica non mi lasciava proprio andare”. Ci può essere anche la preoccupazione di trascurare altre responsabilità familiari, specie se chi assiste l’infermo passa molto tempo all’ospedale o deve lavorare di più per poter pagare i conti sempre più salati. “Devo lavorare per contribuire a coprire le spese”, si lamentava una madre, “eppure mi sento in colpa perché non posso essere a casa per occuparmi dei figli”.
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Il difficile compito di assistere gli infermiSvegliatevi! 1997 | 8 febbraio
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Comunque la dottoressa Lewis dice che una parte notevole dell’assistenza viene prestata da uomini. Per esempio, i mariti con la moglie affetta dal morbo di Alzheimer sono un gruppo abbastanza numeroso. E certo non sono immuni dallo stress di assistere una persona cara ammalata. “Questi uomini sono forse i più vulnerabili di tutti”, prosegue la Lewis, “perché di solito sono più anziani della moglie e forse loro stessi hanno poca salute. . . . Quasi tutti non sono esperti negli aspetti pratici dell’assistenza”.
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