La mia lotta contro la RSD
HO SUPERATO da poco la quarantina e svolgo lavoro volontario a tempo pieno in un ufficio, al computer. Qualche anno fa subii un intervento alla spina dorsale, e credevo di sapere cosa fosse il dolore. Così, quando nel gennaio 1994 dovevo operarmi per una cisti all’articolazione del polso sinistro, mi aspettavo un po’ di dolore e di fastidio, ma niente di insopportabile.
Nelle prime settimane dopo l’intervento, peraltro riuscito, cominciai ad avvertire un dolore intenso al braccio sinistro. Questo, inoltre, era gonfio e stava perdendo colore. Le unghie mi si allungarono e diventarono fragili, e a motivo del dolore non potevo tagliarle. Dormire era quasi impossibile. All’inizio i medici e il fisioterapista erano perplessi, ma quando i sintomi peggiorarono il chirurgo capì che soffrivo di distrofia simpatica riflessa (RSD), detta anche sindrome dolorosa locale cronica. Erano passati tre mesi dall’intervento.
Cosa significa avere la RSD
Non avevo mai sentito parlare della RSD, ma ora provavo sulla mia pelle che cosa significava: DOLORE. Era un dolore atroce, che coinvolgeva la mano e il braccio e non mi dava un attimo di tregua. La mano mi si gonfiò fino a diventare tre volte più grossa del normale. Provavo un dolore bruciante, continuo. Era come essere intrappolata in una casa in fiamme e non poter sfuggire. Non sto esagerando! Era il dolore più intenso e persistente che potessi immaginare. Le sensazioni dolorose erano diverse per tipo e intensità. A volte era come se uno sciame d’api mi pungesse. Altre volte mi sentivo come attanagliata da una morsa e come se tante lamette mi stessero tagliando. Non sopportavo nemmeno che i miei capelli lunghi mi sfiorassero la pelle: quando succedeva mi sembrava che mi si conficcassero delle spine nella carne. Ero alla disperata ricerca di qualcosa che potesse darmi un po’ di sollievo.
Una volta il dolore era talmente atroce e persistente che pensai persino di amputarmi il braccio in bagno. Mi chiesi quanti tagli ci sarebbero voluti per far cessare quella tortura. (In seguito i medici mi spiegarono che l’amputazione non risolve il problema). Mi sentivo come una volpe presa in una tagliola che cerca scampo strappandosi a morsi la zampa intrappolata.
Finalmente un po’ di sollievo!
Infine, come ultima speranza, fui mandata in una clinica del dolore. Lì incontrai il dott. Mathew Lefkowitz, algologo ed anestesiologo che esercita a New York, nel quartiere di Brooklyn Heights. Questo dottore fu molto umano e comprensivo. La clinica del dolore divenne per me un rifugio, soprattutto quando cominciai a capire la mia malattia e la cura.
Il dott. Lefkowitz iniziò con una terapia anestetica, che consisteva nell’iniettarmi periodicamente dei farmaci in un nervo del collo, così da bloccare temporaneamente gli impulsi nervosi che determinano il dolore. Mi spiegò che il dolore è scatenato dal sistema nervoso simpatico. Questa è la normale reazione di difesa del cervello in caso di lesione o di intervento chirurgico. Si pensa che questo sistema funzioni come uno sportello (gate). Gli impulsi nervosi passano attraverso questo ‘sportello’ solo fintanto che la ferita è in via di guarigione. A un certo punto, quando il cervello non invia più impulsi nervosi, lo ‘sportello’ si chiude e il dolore scompare. Nella RSD lo ‘sportello’ non si chiude. Il sistema nervoso simpatico non torna mai a riposo. Continua a comportarsi come se nella zona ci fosse ancora una lesione. Il dottore mi disse di venire immediatamente in clinica ogni volta che il dolore si fosse intensificato. Così, da un bel po’ di tempo vado regolarmente a fare queste iniezioni per bloccare il dolore.
Le iniezioni mi hanno aiutata a tollerare la fisioterapia, che garantisce una certa mobilità dell’arto colpito ed è molto utile per chi soffre di questa malattia. Con il tempo cominciai a svolgere piccoli lavoretti usando entrambe le braccia e le mani. Era un buon inizio.
Quali possono essere le conseguenze?
Il dolore costante influiva su di me in vari modi. Volevo starmene da sola, lontana da tutti; ma dovunque andassi, il dolore mi seguiva. Isolandomi non risolvevo nulla. Cominciai a considerare il braccio come un’entità separata che mi rovinava la vita e il matrimonio. Mio marito non osava nemmeno venirmi vicino per mostrarmi affetto. È stato molto paziente e comprensivo. Ero diventata una moglie con un braccio solo, incapace di fare qualsiasi cosa. Solo provare a raccogliere un foglio con la mano sinistra era dolorosissimo.
Finora non esiste una cura per la RSD, anche se a volte la malattia ha una remissione spontanea. Negli ultimi stadi della malattia subentra l’osteoporosi e l’arto si atrofizza. Per questo è così utile la fisioterapia intensiva. Meno male che non sono in quello stadio.
Come affronto la malattia
Anche se provo ancora dolore, questo non è più così intenso come in passato, nei momenti peggiori. Tuttavia, senza le iniezioni non ce la farei a sopportarlo. Cosa mi ha aiutata a perseverare? L’ottimismo di alcuni medici, fisioterapisti e amici. Ho anche imparato come affrontare la situazione. Per la mia dignità personale avevo bisogno di tornare a condurre una vita abbastanza normale, nonostante la malattia. I compagni di lavoro mi hanno sostenuta senza forzarmi, e questo mi ha convinta che potevo essere ancora utile. Mi è stato anche di aiuto, e lo è tuttora, ascoltare musica riposante e fare esercizi respiratori per rilassarmi. Una delle cose che preferisco fare è starmene sdraiata in una posizione comoda e guardare in cielo le nuvole in continuo movimento. Allora medito, e con la mente viaggio in luoghi piacevoli. Ridere è sempre una buona medicina, come pure l’essere ottimisti, soprattutto quando si sa di avere l’amorevole sostegno di familiari e amici. È essenziale capire che lottare contro la RSD non è un’impresa disperata. Bravi medici possono aiutare a vincere la battaglia.
Quello che ho passato e sto passando mi ha reso più sensibile verso chiunque soffra, e provo il forte desiderio di aiutare e confortare altri. La fede mi è stata di grande aiuto. So perché mi è successa una cosa del genere. Non sono una vittima in qualche modo prescelta. Dio non ha nessuna colpa. Il dolore è una delle disgrazie che possono colpire chiunque. Pregare con fervore mi è stato di grande aiuto. Ho fede in Dio che un giorno il dolore non ci sarà più. Mi è stato utile parlare di questo con altri con cui sono venuta in contatto. Anche se la RSD continua ad affliggermi, sono grata dei miglioramenti che ho fatto. (Rivelazione [Apocalisse] 21:1-4) — Narrato da Karen Orf.
[Riquadro alle pagine 22 e 23]
L’opinione di un medico
Svegliatevi! ha intervistato il dott. Lefkowitz chiedendogli di descrivere la sua terapia. Lefkowitz ha spiegato: “Noi trattiamo tutti i tipi di dolore, non solo la RSD. La sindrome dolorosa più comune è la lombaggine, che spesso porta a una forma molto dolorosa di sciatica. Anche se il dolore ha chiaramente una causa fisiologica, spesso entrano in gioco anche fattori psicologici”.
Svegliatevi!: La RSD può colpire persone di ogni età, uomini e donne, indiscriminatamente?
Dott. Lefkowitz: Sì, questa malattia non fa distinzioni. Tuttavia, non siamo in grado di dire chi è più a rischio. Quello che so è che di solito le donne sopportano il dolore meglio degli uomini. Sembra che la loro soglia del dolore sia più alta.
Svegliatevi!: Quali terapie raccomanda per il dolore?
Dott. Lefkowitz: Possiamo usare vari metodi, a seconda della causa e dell’intensità del dolore. Il dolore è sofferenza, e dobbiamo fare qualcosa per alleviare questa sofferenza. In certi casi usiamo farmaci non steroidei, come l’aspirina, e le loro varianti. Altre volte, come nel caso di Karen, usiamo un farmaco per il blocco regionale del sistema simpatico. In casi estremi potremmo usare un oppiaceo. In tal caso c’è lo svantaggio che bisogna stare attenti a non creare dipendenza.
Svegliatevi!: È inevitabile che la RSD passi attraverso tutti i suoi stadi?
Dott. Lefkowitz: No. Se si riesce a diagnosticarla quando è nei primi stadi, se ne può impedire l’evoluzione. Prendiamo il caso di Karen, ad esempio. Lei è in uno stadio intermedio, e non è detto che raggiunga lo stadio finale dell’atrofia dell’arto.
Svegliatevi!: Cosa suggerisce a un paziente che deve sopportare questa malattia?
Dott. Lefkowitz: Di fare esattamente quello che ha fatto Karen. Lei affronta il dolore a livello psicologico distraendosi con pensieri e immagini mentali piacevoli. Sta anche facendo fisioterapia. E credo che la sua fede le sia stata di grande aiuto. L’ha aiutata a vedere la situazione in maniera positiva. Non sottolineerò mai abbastanza l’importanza della fede.
Svegliatevi!: La ringraziamo molto del tempo e dell’attenzione che ci ha dedicato.
[Immagine a pagina 23]
Con il dott. Lefkowitz, nella sua clinica