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  • Salvaguardare la dignità del malato
    Svegliatevi! 1998 | 22 settembre
    • Salvaguardare la dignità del malato

      DUE giorni prima che Sally portasse il marito dal neurologo, in Sudafrica venne eletto il primo ministro. Quando il neurologo chiese ad Alfie come erano andate le elezioni, lui lo fissò senza espressione e non seppe rispondere. Poi, dopo un attento esame del cervello, il neurologo esclamò in modo alquanto rude: “Quest’uomo non può neanche fare due più due. Il suo cervello è andato!” Quindi disse a Sally: “Deve sistemare i suoi affari. Quest’uomo potrebbe prendersela con lei e diventare violento”.

      “Mai!”, rispose Sally, “non mio marito!” L’obiezione di Sally si dimostrò corretta: Alfie non diventò mai violento con lei, benché alcuni malati di Alzheimer diventino effettivamente violenti. (Spesso questo è dovuto a sentimenti di frustrazione, che a volte possono essere alleviati dal modo in cui viene trattato il malato). Il neurologo fece una diagnosi esatta del problema di Alfie, ma a quanto pare non si rendeva conto del bisogno di salvaguardare la dignità del paziente. Altrimenti avrebbe spiegato gentilmente a Sally, in privato, la condizione di Alfie.

      “Ciò di cui ha più bisogno chi soffre di qualche forma di demenza è poter conservare la dignità, il rispetto e l’autostima”, dice il libro When I Grow Too Old to Dream. Un dépliant di consigli pubblicato dall’ADS (Alzheimer’s Disease Society) di Londra spiega cosa è importante per salvaguardare la dignità del malato: “Non parlate mai [del malato] davanti ad altri come se non fosse presente. Anche se non capisce, forse ha la sensazione di essere in qualche modo escluso e si sente umiliato”. — Communication.

      Il fatto è che alcuni malati di Alzheimer capiscono effettivamente quello che gli altri dicono di loro. Per esempio, un malato australiano andò con la moglie al convegno di un’associazione che si interessa dell’Alzheimer. In seguito ebbe a dire: “Insegnavano a chi assiste un malato cosa fare e come farlo. Non mi rassegno all’idea che io ero là e nessuno parlava del malato. . . . È così scoraggiante. Siccome ho l’Alzheimer, quello che dico non conta: nessuno ascolta”.

      Siate positivi

      Ci sono molti modi positivi per salvaguardare la dignità dei malati. Forse hanno bisogno di aiuto per continuare a fare cose di tutti i giorni che un tempo per loro erano semplici. Per esempio, se prima amavano scrivere lettere, potreste mettervi a sedere con loro e aiutarli a rispondere alle lettere degli amici preoccupati. In un suo libro Sharon Fish suggerisce altri modi pratici per aiutare i malati di Alzheimer: “Trovate cose facili da fare insieme che siano utili e produttive: lavare e asciugare i piatti, spazzare il pavimento, piegare il bucato e cucinare”. Poi spiega: “Un malato di Alzheimer forse non è capace di pulire tutta la casa o cucinare un intero pasto, ma diventa incapace di solito gradualmente. Potete mettere a buon frutto le capacità che sono ancora intatte e aiutarlo a conservarle il più a lungo possibile. In tal modo, contribuite anche a salvaguardare l’autostima del vostro caro”. — Alzheimer’s—Caring for Your Loved One, Caring for Yourself.

      A volte i lavori svolti da un malato di Alzheimer non saranno come li volete voi, perciò forse dovrete spazzare di nuovo il pavimento o rilavare i piatti. Comunque, facendo in modo che il malato continui a sentirsi utile, gli permettete di trarre soddisfazione dalla vita. Lodatelo anche se il lavoro non è perfetto. Ricordate che ha fatto del suo meglio, pur nelle sue limitate capacità. I malati di Alzheimer hanno bisogno di essere rassicurati e lodati di continuo, tanto più via via che riescono sempre meno a svolgere varie attività. “In qualsiasi momento, in modo del tutto imprevedibile”, dice Kathy, il cui marito di 84 anni ha l’Alzheimer, “possono essere sopraffatti dalla sensazione di essere inutili. Chi si prende cura del malato deve intervenire immediatamente assicurandogli in maniera affettuosa che ‘sta facendo bene’”. Un altro libro conviene: “Tutti noi abbiamo bisogno di sentire che stiamo facendo un buon lavoro, e per le persone affette da demenza questo bisogno è particolarmente forte”. — Failure-Free Activities for the Alzheimer’s Patient.

      Come comportarsi in situazioni imbarazzanti

      Chi assiste un malato deve sapere cosa fare se il comportamento della persona cara è imbarazzante. Uno dei timori peggiori è che il malato se la faccia addosso quando è in mezzo alla gente. “Queste cose”, spiega il dott. Gerry Bennett in un suo libro, “non capitano spesso e di solito si possono prevenire o minimizzare. Si deve anche essere ragionevoli, dato che ciò di cui ci si dovrebbe preoccupare non è l’azione in se stessa o i presenti, ma la perdita di dignità della persona”. — Alzheimer’s Disease and Other Confusional States.

      Se capita un incidente del genere, non rimproverate il malato. Cercate piuttosto di seguire questo consiglio: “Rimanete calmi e siate pratici e ricordate che il malato non lo fa apposta. Inoltre è più probabile che cooperi se siete gentili e fermi che se siete irritati e impazienti. Fate tutto il possibile per non lasciare che il problema rovini i rapporti tra voi”. — Dépliant Incontinence, dell’ADS di Londra.

      È veramente necessario correggerli?

      I malati di Alzheimer spesso dicono cose che non sono corrette. Per esempio, potrebbero dire che aspettano la visita di un parente che è morto da tempo. O forse hanno delle allucinazioni e vedono cose che non esistono. È sempre necessario correggere un malato di Alzheimer perché esprime idee inesatte?

      “Ci sono genitori”, spiega Robert T. Woods in un suo libro, “che non possono fare a meno di correggere i figli ogni volta che pronunciano male una parola o fanno un errore di grammatica. . . . Spesso il risultato è un bambino permaloso o che si chiude in se stesso visto che i suoi sforzi per esprimersi vengono repressi, non ripagati. Lo stesso può accadere a un malato di Alzheimer che viene corretto continuamente”. (Alzheimer’s Disease—Coping With a Living Death) È interessante che, riguardo a come trattare i bambini, la Bibbia dia questo consiglio: “Padri, non esasperate i vostri figli, affinché non si scoraggino”. (Colossesi 3:21) Se i bambini sono esasperati dalle continue correzioni, quanto più lo sarà un adulto! “Ricordate che il malato è un adulto che è stato indipendente e attivo”, avverte l’ARDA Newsletter del Sudafrica. Le continue correzioni non solo possono esasperare chi ha l’Alzheimer, ma anche causargli depressione e persino farlo diventare aggressivo.

      Anche da Gesù Cristo si può imparare una lezione che aiuterà a far fronte ai limiti dei malati di Alzheimer. Egli non correggeva immediatamente ogni idea sbagliata dei suoi discepoli. Anzi, a volte evitava di dare loro delle informazioni perché non erano ancora in grado di afferrarle. (Giovanni 16:12, 13) Se Gesù mostrò considerazione per i limiti di persone sane, quanto più noi dovremmo essere disposti ad adattarci alle idee strane, ma innocue, di un adulto gravemente ammalato! Cercare di fargli capire come sta una certa cosa significa aspettarsi — o richiedere — più di quello di cui è capace. Invece di mettersi a discutere, perché non tacere o cambiare argomento con tatto? — Filippesi 4:5.

      A volte la cosa più amorevole potrebbe essere quella di dare al malato l’impressione di adeguarsi alle sue allucinazioni anziché cercare di convincerlo che non sono reali. Per esempio un malato di Alzheimer potrebbe essere turbato perché “vede” un animale feroce o un intruso immaginario dietro la tenda. Non è il momento di cercare di ragionare con logica. Ricordate che quello che pensa di “vedere” per lui è reale, e deve essere tranquillizzato. Forse dovrete andare a vedere dietro alla tenda e poi dire: “Se lo ‘vedi’ di nuovo, dimmelo così potrò fare qualcosa”. Assecondando le idee del malato, spiegano i medici Oliver e Bock in un loro libro, gli date “la sensazione di poter dominare le terribili, e spaventose, apparizioni evocate dalla sua mente. . . . Sa che può contare su di voi”. — Coping With Alzheimer’s: A Caregiver’s Emotional Survival Guide.

      “Tutti inciampiamo molte volte”

      Può essere difficile mettere in pratica tutti questi consigli, specie per chi è oberato di lavoro e ha altre responsabilità familiari. Per la frustrazione, chi assiste un malato può a volte perdere le staffe e non trattarlo in modo dignitoso. Quando succede, è importante non lasciarsi sopraffare dai sensi di colpa. Ricordate, a motivo della natura della malattia, il malato probabilmente dimenticherà molto presto l’accaduto.

      Inoltre lo scrittore biblico Giacomo dice: “Tutti inciampiamo molte volte. Se uno non inciampa in parola, questi è un uomo perfetto”. (Giacomo 3:2) Poiché anche chi assiste un malato di Alzheimer è imperfetto, può aspettarsi di commettere errori nel suo difficile compito di assistenza. Nel prossimo articolo considereremo altre cose che hanno aiutato chi assiste un malato di Alzheimer e gli hanno perfino reso piacevole quel compito.

  • Salvaguardare la dignità del malato
    Svegliatevi! 1998 | 22 settembre
    • Si dovrebbe dirlo al malato?

      MOLTI si chiedono se dovrebbero dire alla persona cara che assistono che ha la malattia di Alzheimer. Se decidete di farlo, come e quando dovreste farlo? Un bollettino dell’ARDA (Alzheimer’s and Related Disorders Association) del Sudafrica riportava queste interessanti osservazioni di una lettrice:

      “Mio marito è malato di Alzheimer da sette anni circa. Adesso ha 81 anni, e grazie a Dio il peggioramento è molto lento . . . Per molto tempo ho pensato che sarebbe stato crudele dirgli che aveva la malattia di Alzheimer e perciò assecondavamo la sua scusante: ‘Cosa c’è da aspettarsi da un ottantenne!’”

      La lettrice poi citava un libro che raccomandava di dire al malato con garbo e semplicità che malattia ha. Ma si trattenne per timore che seguendo questo consiglio avrebbe sconvolto il marito.

      “Poi un giorno”, proseguiva, “mio marito espresse il timore di rendersi ridicolo in mezzo a un gruppo di amici. Era l’occasione che aspettavo! Perciò (sudando freddo) mi inginocchiai accanto a lui e gli dissi che aveva l’Alzheimer. Lui, naturalmente, non poteva capire cos’era, ma gli spiegai che è una malattia che gli rendeva difficile fare quello che per lui era sempre stato facile, e che gli faceva pure dimenticare le cose. Gli mostrai solo due frasi del vostro opuscolo (Alzheimer’s: We Can’t Ignore It Anymore): ‘La malattia di Alzheimer è un disturbo del cervello che causa la perdita della memoria e un grave decadimento mentale . . . È una malattia e NON UNA NORMALE CONSEGUENZA DELLA VECCHIAIA’. Inoltre gli assicurai che i suoi amici sapevano che era malato e quindi capivano. Ci pensò su per un momento e poi esclamò: ‘Meno male! Mi sento meglio!’ Potete immaginare come mi sentii vedendo che enorme sollievo gli dava sapere della sua malattia!

      “E adesso ogni volta che sembra agitarsi per qualcosa, lo abbraccio e gli dico: ‘Ricorda, non sei tu. È quell’orribile Alzheimer che ti rende le cose difficili’, e lui si calma immediatamente”.

      Certo ogni caso è diverso. Anche il rapporto tra il malato e chi lo cura è diverso. Quindi decidere se dire o meno al vostro caro che ha la malattia di Alzheimer è una questione personale.

  • Salvaguardare la dignità del malato
    Svegliatevi! 1998 | 22 settembre
    • È davvero malattia di Alzheimer?

      SE UN anziano si trova in uno stato confusionale acuto, non affrettatevi a concludere che ciò sia dovuto alla malattia di Alzheimer. Molte cose, come un lutto, cambiare improvvisamente casa o un’infezione, possono disorientare una persona anziana. Molte volte negli anziani uno stato confusionale acuto è reversibile.

      Anche nei malati di Alzheimer un improvviso peggioramento, come la comparsa dell’incontinenza, non è necessariamente causato da demenza di Alzheimer. La malattia di Alzheimer progredisce lentamente. “Un peggioramento improvviso”, spiega il libro Alzheimer’s Disease and Other Confusional States, “di solito indica che si è verificato un attacco acuto (come un’infezione polmonare o delle vie urinarie). Sembra che pochi malati [di Alzheimer] abbiano un declino più rapido . . . Per la maggioranza, invece, il declino è piuttosto lento, specie se la persona viene curata bene e qualsiasi altro disturbo viene fronteggiato subito ed efficacemente”. In un malato di Alzheimer l’incontinenza potrebbe essere dovuta a qualche altro problema di salute curabile. “Il primo passo è sempre quello di consultare il [medico]”, spiega il dépliant Incontinence, pubblicato dall’ADS di Londra.

  • Quello che può fare chi assiste il malato
    Svegliatevi! 1998 | 22 settembre
    • Quello che può fare chi assiste il malato

      “MI SONO sempre meravigliata di quanto differisce [da persona a persona] la capacità di fronteggiare una situazione”, dice Margaret, un’infermiera professionale australiana che per molti anni ha avuto a che fare con malati di Alzheimer e con le persone che li assistevano. “Alcune famiglie sono in grado di affrontare situazioni più difficili”, prosegue, “mentre altre diventano quasi incapaci di affrontare la situazione non appena la persona manifesta il minimo cambiamento di personalità”. — Dal libro When I Grow Too Old to Dream.

      Cos’è che fa la differenza? Un fattore potrebbe essere il tipo di rapporto che esisteva prima dell’insorgere della malattia. Per le famiglie che sono legate da un affetto profondo potrebbe essere più facile far fronte alla situazione. E quando il malato di Alzheimer è assistito bene, forse è più facile gestire la malattia.

      Nonostante il declino delle facoltà intellettuali, i malati di solito reagiscono positivamente all’amore e alla tenerezza fino agli ultimi stadi della malattia. “Le parole”, fa notare il dépliant Communication, pubblicato dall’ADS di Londra, “non sono il solo modo di comunicare”. È indispensabile che chi assiste il malato comunichi con lui con un’espressione facciale cordiale e amichevole e un tono di voce dolce. È ugualmente importante guardarlo negli occhi, come pure parlare in modo chiaro, sicuro, chiamandolo spesso per nome.

      “Mantenere il dialogo con il vostro caro non solo è possibile”, dice Kathy, menzionata nell’articolo precedente, “ma è anche importante. Un contatto fisico affettuoso e amorevole, un tono di voce dolce e, in effetti, la vostra presenza fisica fanno sentire sicuro il vostro caro”. L’ADS di Londra dice in sostanza: “L’affetto può aiutare a sentirsi vicini, particolarmente quando la conversazione diventa più difficile. Tenere la mano al malato, sedersi vicino a lui con un braccio sulle spalle, parlare con voce carezzevole o abbracciarlo sono tutti modi per dimostrare che vi interessate ancora di lui”.

      Se esiste un buon rapporto affettivo, il malato e chi lo assiste possono spesso fare una bella risata insieme anche quando si commettono degli errori. Per esempio, un marito ricorda che la moglie mentalmente confusa fece il letto, ma per errore mise la coperta fra le lenzuola. Lo scoprirono quando andarono a letto quella sera. “Povera me!”, lei disse, “che sciocca che sono”. Entrambi fecero una bella risata.

      Semplificate la vita

      I malati di Alzheimer se la cavano meglio in un ambiente familiare. Hanno bisogno anche della regolare routine quotidiana. Per questo è molto utile tenere un grande calendario e annotarvi in modo chiaro le cose da fare giorno per giorno. “Toglierli dal loro solito ambiente”, spiega il dott. Gerry Bennett, “può avere terribili conseguenze. Uniformità e continuità sono molto importanti per la persona confusa”.

      Via via che la malattia progredisce, i malati di Alzheimer trovano sempre più difficile seguire le istruzioni. Gli ordini vanno dati in modo semplice e chiaro. Per esempio, dire a un malato di vestirsi può essere troppo complicato. Forse si dovranno disporre in ordine i capi di vestiario e si dovrà aiutarlo a indossarli uno alla volta.

      Il bisogno di tenersi in esercizio

      Alcuni malati di Alzheimer si allontanano da casa e si perdono. Camminare è un buon esercizio, e può aiutare il malato a ridurre la tensione e a dormire meglio. Ma allontanarsi da casa può essere pericoloso. Un libro spiega: “Se il vostro caro si allontana, vi trovate in una situazione d’emergenza che potrebbe trasformarsi in tragedia. La frase da ricordare è non fatevi prendere dal panico. . . . Chi partecipa alle ricerche ha bisogno di una descrizione della persona. Tenete in casa qualche foto recente a colori”.a — Alzheimer’s—Caring for Your Loved One, Caring for Yourself.

      Altri malati, invece, diventano apatici e forse non vogliono far altro che starsene seduti tutto il giorno. Cercate di indurli a fare qualcosa di piacevole sia per voi che per loro, come cantare, fischiare o suonare uno strumento musicale. Ad alcuni piace battere le mani, muoversi o ballare al ritmo della loro musica preferita. La dottoressa Carmel Sheridan spiega: “Per i malati di Alzheimer la migliore attività è di solito quella che include della musica. Le famiglie spesso osservano che anche quando hanno dimenticato il significato di altre cose, i loro cari ricordano ancora vecchie canzoni e melodie familiari”.

      “Volevo farlo”

      Una donna del Sudafrica il cui marito aveva la malattia di Alzheimer allo stadio terminale amava stare ogni giorno con lui nella casa di cura. Tuttavia parenti benintenzionati la criticavano per questo. Forse pensavano che perdesse il suo tempo, dato che il marito non sembrava riconoscerla e non diceva mai una parola. “Comunque”, spiegò lei dopo la sua morte, “volevo stare con lui. Le infermiere erano molto occupate, perciò quando si sporcava lo lavavo e lo cambiavo. Era un piacere per me: volevo farlo. Una volta si fece male a un piede mentre spingevo la sua sedia a rotelle. Io gli dissi: ‘Ti fa male?’ e lui rispose: ‘Certamente!’ Allora mi resi conto che poteva ancora sentire e parlare”.

      Anche nei casi in cui prima dell’insorgere della malattia di Alzheimer non esistevano buoni rapporti familiari, coloro che assistono un malato possono farcela ugualmente.b Il solo sapere di fare la cosa giusta e che piace a Dio può dare loro un profondo senso di soddisfazione. La Bibbia dice: ‘Mostra considerazione per la persona del vecchio’ e: “Non disprezzare tua madre solo perché è invecchiata”. (Levitico 19:32; Proverbi 23:22) Inoltre ai cristiani viene comandato: “Se qualche vedova ha figli o nipoti, questi imparino prima a praticare la santa devozione nella loro propria casa e a continuare a rendere dovuto compenso ai loro genitori e nonni, poiché questo è gradito dinanzi a Dio. Certo, se qualcuno non provvede ai suoi, e specialmente a quelli della sua casa, ha rinnegato la fede ed è peggiore di uno senza fede”. — 1 Timoteo 5:4, 8.

      Con l’aiuto di Dio molti hanno assistito in modo encomiabile parenti malati, inclusi alcuni che avevano la malattia di Alzheimer.

      [Note in calce]

      a Alcuni hanno trovato utile provvedere al malato qualche segno di riconoscimento, forse un braccialetto o una collana.

      b Per ulteriori informazioni sull’assistenza agli infermi e su come altri possono dare una mano, vedi la serie di articoli “Assistere gli infermi: Un compito difficile”, alle pagine 3-13 di Svegliatevi! dell’8 febbraio 1997.

      [Riquadro a pagina 11]

      La malattia di Alzheimer e la medicina

      ANCHE se attualmente si stanno sperimentando circa 200 terapie, non esiste ancora una cura per la malattia di Alzheimer. Pare che alcuni farmaci attenuino per un po’ la perdita della memoria nei primi stadi della malattia o ne rallentino l’aggravarsi in alcuni malati. Bisogna però essere cauti, perché questi farmaci non sono efficaci per tutti i malati, e alcuni possono essere nocivi. Altri medicinali vengono usati a volte per curare disturbi che spesso accompagnano la malattia di Alzheimer, come la depressione, gli stati d’ansia e l’insonnia. Parlando con il medico del malato, ogni famiglia può soppesare i benefìci e i rischi di una terapia prima di prendere una decisione.

      [Riquadro a pagina 11]

      L’aiuto che può dare chi viene a far visita

      DATO che le loro facoltà intellettive vengono meno, i malati di Alzheimer di solito non sono in grado di parlare di attualità. Ma parlare del passato può essere diverso. Forse la memoria a lungo termine è relativamente intatta, specie nei primi stadi della malattia. A molti malati di Alzheimer piace ricordare il passato. Perciò fatevi raccontare alcuni dei loro episodi preferiti, anche se li avete già sentiti molte volte. Così li renderete felici. Al tempo stesso permettete a chi li assiste regolarmente di riposarsi un po’. Il fatto che qualcuno si prenda cura del malato per un periodo di tempo, magari per un giorno intero, può essere di grande ristoro per chi lo assiste regolarmente.

      [Riquadro a pagina 12]

      Il problema dell’incontinenza

      PER quanto l’incontinenza possa “sembrare il guaio peggiore”, dice il dépliant Incontinence, “ci sono cose che si possono fare sia per ridurre il problema stesso sia per renderlo meno stressante”. Ricordate che forse il malato non è sempre incontinente; potrebbe semplicemente essersi confuso o non essere arrivato alla toilette in tempo. Inoltre potrebbe soffrire di un disturbo curabile che causa un’incontinenza temporanea, perciò dovreste consultare un medico.

      Qualunque sia la causa, può essere molto più facile far fronte all’incontinenza se il malato indossa abiti facili da mettere e togliere e anche mutande speciali. Sarà pure utile usare coprimaterassi e copripoltrone impermeabili. Evitate irritazioni cutanee e piaghe facendo in modo che la pelle del malato non stia a contatto con la plastica. Inoltre lavatelo bene con acqua calda saponata e asciugatelo bene prima di vestirlo. Eliminate gli ostacoli che potrebbero impedirgli di arrivare subito e senza pericoli alla toilette. Potrebbe essere utile lasciare accesa una luce da notte perché possa orizzontarsi. Dato che in questo stadio il malato potrebbe sentirsi insicuro, una sbarra a cui appoggiarsi collocata convenientemente gli permetterà di andare alla toilette senza paura.

      “Anche un po’ di umorismo”, suggerisce l’ADS di Londra, “può allentare la tensione”. Chi assiste un malato come può far fronte a questi problemi? Un’esperta risponde: “Mostrando pazienza, gentilezza, benignità e la sorta di tacita cortesia che permetterà al malato di conservare sempre la sua dignità, senza timore di provare imbarazzo o vergogna”.

      [Riquadro a pagina 13]

      Si dovrebbe spostare il malato?

      PURTROPPO con il peggioramento della malattia può darsi che sia necessario trasferire il malato di Alzheimer da casa sua in casa di un parente o in una casa di cura. Ma prima di prendere la decisione di spostare il malato da un ambiente familiare, si dovrebbero prendere in considerazione alcuni fattori importanti.

      Il trasferimento può causare un grave disorientamento. Il dott. Gerry Bennett porta l’esempio di una malata che se ne andava in giro e qualche volta si perdeva, ma che riusciva a vivere per conto proprio. I familiari, però, decisero che doveva trasferirsi in un appartamento più vicino a loro in modo che potessero sorvegliarla meglio.

      “Sfortunatamente”, spiega il dott. Bennett, “lei non si sentì mai a casa sua nel nuovo alloggio. . . . Purtroppo non si abituò alla nuova casa, e diventò molto meno indipendente perché nel nuovo ambiente non riusciva a far niente. La cucina le era estranea e non ricordava come arrivare alla toilette e diventò incontinente. Nonostante le migliori intenzioni, fu un disastro e alla fine dovette essere ricoverata”. — Alzheimer’s Disease and Other Confusional States.

      Ma che dire se sembra che non ci sia altra alternativa se non quella di trasferire il malato in una struttura sanitaria? Questa certo non è una decisione facile. Infatti, secondo alcuni, è una delle decisioni “che creano più sensi di colpa” in coloro che assistono un malato, spesso dando loro la sensazione di essere venuti meno e avere abbandonato il loro caro.

      “Questa è una reazione normale”, dice un’infermiera con notevole esperienza nella cura di malati di Alzheimer, “ma è un inutile senso di colpa”. Perché? “Perché”, risponde, “la cura e la sicurezza [del paziente] dovrebbero essere la cosa più importante”. I medici Oliver e Bock ne convengono: “La decisione che le proprie risorse emotive si sono esaurite e che la malattia ha superato il punto in cui si può curare in casa è probabilmente la più difficile da prendere”. Comunque, dopo aver soppesato tutti i fattori della loro situazione, alcuni possono concludere che “il ricovero in una casa di cura è . . . nel migliore interesse del malato”. — Coping With Alzheimer’s: A Caregiver’s Emotional Survival Guide.

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