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  • Zambia
  • Annuario dei Testimoni di Geova del 2006
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  • Gli inizi
  • Un periodo di confusione
  • Lungo la ferrovia
  • Una campagna di repressione
  • I quattro requisiti
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  • “È ancora un bambino!”
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  • Una seconda ondata di espulsioni
  • Il ritorno dei missionari
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  • Ampliamento della filiale
  • Dedicazione e crescita
  • Raccomandano la verità a tutti
Annuario dei Testimoni di Geova del 2006
yb06 pp. 162-255

Zambia

Il continente africano è come un ampio abito ricamato. Dalle bianche spiagge del Mediterraneo al dorato deserto del Sahara, dalle verdi foreste alle bianche coste ventose del Capo di Buona Speranza, l’Africa ospita un decimo della popolazione mondiale. Tra i tanti fiumi che l’attraversano ci sono il Nilo, il Niger, il Congo e lo Zambesi. E nel sottosuolo abbondano giacimenti d’oro, rame e pietre preziose.

La foresta pluviale del bacino del Congo si eleva gradatamente fino a incontrare l’ondulata savana che costituisce l’altopiano centrafricano, e qui si trova la Zambia. Qualcuno ha detto che questo paese sembra un’enorme farfalla posata sulla carta geografica. I suoi strani confini, eredità dell’epoca coloniale, delimitano una superficie di oltre 750.000 chilometri quadrati, due volte e mezzo quella dell’Italia.

A nord-est della Zambia si trova la Rift Valley. A ovest e a sud scorre il possente fiume Zambesi. Fino alla fine del XIX secolo questo paese non fu raggiunto da chi veniva in Africa in cerca di oro, avorio e schiavi. Nel 1855 l’esploratore David Livingstone, figlio di un mugnaio scozzese, contribuì a svelare al mondo il paese dietro al “fumo che tuona”, l’imponente meraviglia che in seguito chiamò Cascate Vittoria in onore della regina d’Inghilterra.

Presto arrivarono i missionari della cristianità, ansiosi di diffondere “il cristianesimo, il commercio e la civiltà” fino al cuore del continente. I metodi che spesso usavano non raccomandavano di certo il loro ministero. Ma non molto tempo dopo arrivarono alcuni che con l’aiuto di Dio si raccomandarono davvero quali suoi ministri. — 2 Cor. 6:3-10.

Gli inizi

Nel 1890, nel territorio che corrisponde all’odierna Zambia, operavano cinque società missionarie. Ai primi del Novecento un numero sempre maggiore di africani, preoccupati del continuo avanzare delle potenze coloniali e delle imprese commerciali, erano in cerca di una guida. In tutto il continente cominciarono a comparire movimenti religiosi nuovi e bizzarri, ma presto sarebbe stato possibile ricevere vero aiuto spirituale. Nella Zambia già nel 1911 persone sincere erano venute in possesso di copie degli Studi sulle Scritture. Le verità bibliche che si trovavano in quei libri si diffusero in fretta verso nord, anche se non sempre tramite coloro che desideravano veramente servire Dio.

Nel 1910 Charles Taze Russell, che all’epoca soprintendeva all’opera di predicazione mondiale, mandò William W. Johnston, un fratello serio e affidabile proveniente da Glasgow, in Scozia, ad aiutare i fratelli del Niassa (l’attuale Malawi). Purtroppo alcuni che vi erano stati prima di lui, sia nativi che forestieri, avevano distorto le verità scritturali per favorire i propri interessi. Negli anni che seguirono, sedicenti pastori e predicatori vennero nella Rhodesia del Nord (l’attuale Zambia) propagandando un miscuglio esaltante di religione, promesse di liberazione e pratiche impure. Il fratello Johnston aiutò quegli abitanti del Niassa che, come lui stesso disse, avevano “un forte desiderio di conoscere più a fondo la Parola di Dio”, ma non si prestò molta attenzione ai territori che si trovavano più a ovest, come la Rhodesia del Nord. Qui alcune pubblicazioni bibliche arrivavano per posta o grazie ai lavoratori stagionali, ma in linea generale l’opera di predicazione del Regno in quegli anni non era organizzata.

Un periodo di confusione

All’inizio degli anni ’20 ci fu un periodo di confusione. I “movimenti Watch Tower” sorti localmente contribuirono in misura notevole a screditare il ministero cristiano dei veri servitori di Dio. Alcuni che avevano pochissima conoscenza della verità biblica e addirittura professavano falsamente di essere Studenti Biblici, come allora si chiamavano i testimoni di Geova, praticavano lo scambio delle mogli e commettevano altre trasgressioni. C’erano però molti gruppi che si distinsero per la sincera devozione ai princìpi biblici e la zelante predicazione.

La difficoltà stava nel capire chi desiderava sinceramente servire Dio. Nel 1924 arrivarono in Sudafrica, nell’ufficio degli Studenti Biblici di Città del Capo, Thomas Walder e George Phillips della Gran Bretagna. Il fratello Walder, un uomo sulla trentina, viaggiò nelle due Rhodesie per capire chi si identificava con il nome “Watch Tower”. L’anno dopo William Dawson, proveniente dall’Europa, fu incaricato di visitare i gruppi che si stavano formando. Riscontrò che alcuni sedicenti pastori battezzavano frettolosamente un gran numero di persone, la maggioranza delle quali non conosceva e non apprezzava la verità biblica. Llewelyn Phillips (non parente di George Phillips) scrisse in seguito: “Fu presto evidente che la maggioranza era simile agli abitanti di Ninive, che ‘non conoscevano la differenza fra la destra e la sinistra’”. (Giona 4:11) Molti erano sinceri, ma avevano difficoltà a comprendere la verità, poiché c’erano pochissime pubblicazioni nelle lingue locali. I ripetuti tentativi di ottenere l’autorizzazione governativa per poter soprintendere all’opera in modo permanente fallirono, per cui l’ufficio di Città del Capo decise di limitare la predicazione pubblica e i battesimi. Pur non scoraggiando lo studio della Bibbia e le adunanze, il fratello Walder scrisse una lettera ai gruppi di interessati esortandoli a seguire questa disposizione temporanea finché non fosse stato possibile nominare un rappresentante permanente degli Studenti Biblici.

Lungo la ferrovia

Per secoli la popolazione locale aveva attinto ai giacimenti superficiali di rame per fabbricare utensili e oggetti decorativi. A partire dalla metà degli anni ’20 la British South Africa Company, che non solo governava il territorio ma aveva anche i diritti sulle miniere, iniziò a sfruttare i vasti giacimenti sotterranei. Occorreva manodopera, e dalle zone rurali migliaia di persone si trasferirono nelle città e nei paesi che stavano nascendo lungo una ferrovia che avrebbe dovuto collegare Città del Capo al Cairo.

James Luka Mwango ricordava: “Il modo in cui si formavano le compagnie, come si chiamavano allora le congregazioni, era molto diverso da quello attuale. Prima del 1930 le adunanze per studiare la Bibbia venivano tenute solo in piccoli gruppi. Alcuni interessati erano in contatto con l’ufficio di Città del Capo, mentre altri inviavano le richieste di pubblicazioni direttamente a Brooklyn. Poiché le pubblicazioni erano in inglese, per molti era difficile capire bene la verità”. I gruppi, benché piccoli, facevano progresso e il loro zelo e la loro determinazione venivano sempre più indirizzati verso la predicazione organizzata. Questo non sfuggì all’attenzione del clero della cristianità.

Una campagna di repressione

Nel maggio 1935, a motivo dell’insistenza di influenti gruppi religiosi, fu apportata al codice penale una modifica secondo cui l’importazione e la distribuzione di pubblicazioni “sediziose” costituiva un reato grave. Ovviamente chi decide ciò che è sedizioso o sovversivo è condizionato dalle proprie convinzioni politiche o religiose. Come divenne chiaro in seguito, non c’erano dubbi che gli oppositori cercavano un pretesto per mettere al bando i testimoni di Geova.

Quando fra i minatori scoppiarono disordini a causa dell’annuncio di nuove tasse, gli oppositori ne approfittarono per accusare i testimoni di Geova di essere contro il governo. Alcuni giorni prima i Testimoni avevano tenuto un’assemblea a Lusaka. A quanto pare gli oppositori sostennero che quella piccola assemblea aveva qualche legame con i disordini che si erano verificati oltre 300 chilometri più a nord. Thomson Kangale, che allora era un ragazzo, ricorda: “Capimmo che c’erano guai in vista. Invece di predicare decidemmo di stare in casa a provare i cantici del Regno. Sapevamo che non dovevamo partecipare agli scioperi, né compiere azioni violente”. Purtroppo però dei fratelli furono arrestati. In diverse località furono cacciati dalle loro case e vennero confiscate o distrutte le loro pubblicazioni bibliche. Il governatore emanò un decreto con cui vietava 20 nostre pubblicazioni.

Fu istituita una commissione d’inchiesta per indagare sui disordini. Il commissario distrettuale della zona maggiormente interessata riconobbe: “I testimoni di Geova e l’organizzazione Watch Tower non hanno preso parte agli scioperi”. Nessun testimone di Geova era stato coinvolto nei disordini. Tuttavia, come riportò un libro, “la commissione d’inchiesta . . . accolse molti capi d’imputazione non sorretti da prove certe, [e] sulla base del suo rapporto furono vietate le pubblicazioni dei testimoni di Geova. In alcune zone i capi [tribali] attuarono un’intensa campagna di repressione, dando fuoco ai luoghi in cui si tenevano le adunanze della Watchtower”. — Christians of the Copperbelt.

Nel frattempo l’ufficio di Città del Capo si appellò più volte al ministro delle Colonie del governo britannico affinché ai Testimoni fosse “permesso di esercitare il diritto dato loro da Geova Dio di adorarlo senza interferenze secondo i dettami della loro coscienza”. Si chiese anche di poter avere un ufficio permanente con un responsabile. Geova benedisse questi tentativi. Nel marzo 1936 il ministro approvò l’apertura di un deposito a Lusaka, di cui Llewelyn Phillips sarebbe stato il responsabile.

I quattro requisiti

L’apertura di un deposito a Lusaka fu una vittoria non da poco. Tuttavia, finché non si poté dimostrare l’esistenza di una struttura per provvedere la debita sorveglianza delle congregazioni, il governatore non concesse ai testimoni di Geova il riconoscimento legale come organizzazione religiosa. Negli anni che seguirono il fratello Phillips collaborò strenuamente con i fratelli fedeli per aiutare e rafforzare chi era sincero e allontanare chi promuoveva pratiche antiscritturali. I pionieri furono istruiti in merito a questioni dottrinali, morali e organizzative e poi mandati ad aiutare i gruppi e le congregazioni.

Parlando di quel periodo un fratello disse: “L’anno più bello per i proclamatori della Zambia fu il 1940, quando fu nuovamente possibile battezzarsi. Non accadeva dal 1925”.

“Prima di potersi battezzare”, ricorda James Mwango, “chi studiava la Bibbia doveva imparare i cosiddetti quattro requisiti. Poi veniva interrogato sul loro significato dal fratello che l’avrebbe battezzato o da un altro fratello designato dal servitore della compagnia. Il primo requisito era udire la verità, il secondo pentirsi, il terzo studiare la Parola di Dio e il quarto dedicarsi. Quando aveva ben capito in cosa consistevano i quattro requisiti, lo studente poteva battezzarsi. Questa procedura era stata introdotta per accertarsi che coloro che si battezzavano sapessero cosa stavano facendo”.

Vietate tutte le pubblicazioni

I funzionari governativi, in particolare durante la seconda guerra mondiale, scambiarono l’atteggiamento neutrale dei Testimoni per opposizione alla politica di reclutamento. Nel dicembre 1940 la lista delle pubblicazioni vietate arrivò a includere tutte le pubblicazioni edite dai testimoni di Geova. Ovviamente ne fu vietata anche l’importazione. Nella primavera del 1941 il governo emanò un’ordinanza con la quale intimava di consegnare qualsiasi pubblicazione della Watch Tower di cui si era in possesso, se non si voleva affrontare un processo e un’eventuale condanna.

Solomon Lyambela, che servì come sorvegliante viaggiante e in seguito frequentò la Scuola di Galaad, ricordava: “Tenevamo le pubblicazioni nelle canoe sul fiume Zambesi. Legavamo i libri sotto i letti o li nascondevamo tra le scorte di farina di mais e di miglio”.

Un altro fratello disse: “Dovevamo sotterrare i nostri libri, ma non la ‘Bibbia bereana’, che non era stata vietata e per noi aveva un grande valore. Molti libri andarono perduti, alcuni mangiati dalle termiti, altri rubati dai ladri. Poiché andavamo spesso nei luoghi dov’erano sotterrati i libri, i ladri pensavano che avessimo nascosto delle cose di valore. Ricordo che un giorno andai a studiare nella boscaglia e trovai tutti i libri sparpagliati. Li raccolsi e li nascosi di nuovo, ma in un posto diverso”.

Coraggiosamente Llewelyn Phillips scrisse al governatore una lettera di protesta per il divieto relativo alle pubblicazioni. Per questo ricevette una condanna a sei mesi, anche se quell’anno era già stato in prigione per essersi rifiutato di prestare servizio militare. Un volontario che servì temporaneamente presso il deposito di Lusaka disse: “Quelli del dipartimento della polizia investigativa ci facevano spesso visita e il fratello Phillips dovette presentarsi più volte al posto di polizia”. Comunque il fratello Phillips continuò a promuovere l’ordine e uno spirito zelante all’interno delle congregazioni. I fratelli capaci venivano subito addestrati e mandati come ministri viaggianti, o servitori dei fratelli. Anche grazie a loro nel 1943 si raggiunse un massimo di 3.409 proclamatori.

Piccoli passi verso una maggiore libertà

Dopo la guerra le filiali dei testimoni di Geova della Gran Bretagna e del Sudafrica si appellarono più volte al Ministero delle Colonie di Londra perché legalizzasse le nostre pubblicazioni. Avendo ricevuto una petizione con più di 40.000 firme a favore dell’opera di istruzione dei testimoni di Geova, il governo depennò alcune voci dalla lista delle pubblicazioni vietate. La Torre di Guardia, però, rimase nella lista.

Nel gennaio 1948 vennero per la prima volta nel paese Nathan Knorr e Milton Henschel, della sede mondiale dei testimoni di Geova di Brooklyn. Dopo aver assistito a un’assemblea di quattro giorni a Lusaka, si incontrarono con il segretario degli Affari Indigeni e il procuratore generale, i quali assicurarono che presto sarebbero state tolte le restrizioni rimaste. Che gioia quando l’opera del popolo di Geova ebbe il riconoscimento giuridico! Il 1º settembre 1948 fu aperta una nuova filiale sotto il nome di Testimoni di Geova e non Watch Tower Society. Ora le autorità, la popolazione e i fratelli stessi potevano vedere una netta distinzione tra i testimoni di Geova e i seguaci delle sette locali e autonome conosciute come “Watch Tower”.

Nei precedenti 40 anni gli oppositori religiosi, a cui il fare discepoli di Cristo non interessava granché, avevano concentrato i loro sforzi sul demolire la fede di chi ascoltava la buona notizia. Per un certo periodo i testimoni di Geova, che erano stati erroneamente presentati come “ingannatori”, dovettero dimostrare di essere veraci ministri di Dio. (2 Cor. 6:8) In previsione della libertà che ci sarebbe stata dopo la guerra presero disposizioni entusiasmanti per gestire l’incremento futuro.

Servizio missionario

“Una delle ricompense del servizio missionario è vedere il modo in cui Geova usa uomini e donne di ogni tipo per adempiere il suo proposito. È una gioia anche notare l’apprezzamento mostrato da coloro che ricevono aiuto spirituale”, affermò Ian (John) Fergusson, che servì nella Zambia per molti anni. I missionari delle altre religioni si occupano spesso di questioni sociali ed economiche, mentre i missionari dei testimoni di Geova si concentrano sull’opera di fare discepoli di Cristo. Adempiendo questo incarico divino, dimostrano di avere “amore senza ipocrisia”. — 2 Cor. 6:6.

Questo spirito missionario è esemplificato da persone come William Johnston che, qualche anno prima dello scoppio della prima guerra mondiale, venne nell’Africa meridionale e viaggiò in lungo e in largo in quella zona. Piet de Jager, Parry Williams e altri arrivarono all’inizio del 1921 a Salisbury (l’attuale Harare), capitale della vicina Rhodesia del Sud (l’attuale Zimbabwe). George Phillips, Thomas Walder e William Dawson rivolsero l’attenzione alla Rhodesia del Nord a metà degli anni ’20. Altri ancora, tra cui alcuni che erano nati nella Rhodesia del Nord ma erano venuti in contatto con gli Studenti Biblici lavorando all’estero, tornarono per diffondere “la buona notizia di cose buone”. (Rom. 10:15) Manasse Nkhoma e Oliver Kabungo diedero un valido contributo in quei primi tempi. Joseph Mulemwa, originario della Zambia, fu contattato nei pressi della miniera di Wankie (l’attuale Hwange), nello Zimbabwe settentrionale, e poi prestò fedele servizio nella Zambia occidentale. Fred Kabombo servì quale primo sorvegliante viaggiante in quella zona. Quei fratelli erano veri pionieri: si spinsero in zone dove la buona notizia era stata predicata poco o niente, e posero solide basi per la crescita futura.

Con l’approssimarsi della fine della seconda guerra mondiale Charles Holliday, un sudafricano, accettò l’invito di George Phillips, dell’ufficio di Città del Capo, di andare a visitare gruppi di interessati nella provincia Occidentale. Accompagnato da un fratello del posto che faceva da interprete, il fratello Holliday viaggiò su un treno che trasportava legname, in canoa e su un carrello che veniva spinto a mano. A Senanga, un paese che si trova circa 250 chilometri a nord delle Cascate Vittoria, furono accolti da una folla di persone. Alcuni avevano viaggiato per giorni e non vedevano l’ora di sentire il visitatore parlare delle verità della Bibbia.

Arrivano i missionari di Galaad

Nel 1948 arrivarono nella Zambia due missionari, Harry Arnott e Ian Fergusson. Si rivolgeva ora l’attenzione alle migliaia di europei che si erano trasferiti nella zona per lo sfruttamento delle miniere di rame. La reazione fu entusiasmante. Quell’anno il numero dei Testimoni attivi nel ministero di campo aumentò del 61 per cento.

In molti luoghi non era insolito che i missionari avessero una lista d’attesa di persone che volevano studiare la Bibbia. La filiale acquistò un vecchio furgone che due sorveglianti viaggianti missionari usarono per raggiungere i luoghi lontani dalle aree industrializzate. “Fu molto utile”, affermava un rapporto della filiale, “anche se a volte tornava alla base tutto sgangherato”.

Nel 1951 c’erano sei missionari nel paese e nel dicembre 1953 ne arrivarono altri sei, pronti a dare una mano. Tra questi c’erano Valora e John Miles, che prestarono servizio nella Zambia per sei anni, prima di essere trasferiti nello Zimbabwe e poi nel Lesotho. Negli anni seguenti arrivarono altri missionari, tra cui Joseph Hawryluk, John e Ian Renton, Eugene Kinaschuk, Paul Ondejko, Peter e Vera Palliser e Avis Morgan, e tutti diedero il loro amorevole contributo. Sicuramente essere efficaci nel loro speciale servizio richiese sacrifici e spirito di adattamento.

“È ancora un bambino!”

“Ero convinto che ci fosse stato un errore”, dice Wayne Johnson ripensando a come si sentì quando fu mandato nella Zambia. Diplomato della 36ª classe di Galaad, Wayne arrivò all’inizio del 1962 accompagnato da Earl Archibald. Ora che è ministro viaggiante in Canada insieme alla moglie Grace, Wayne fa questa riflessione: “Avevo solo 24 anni e ne dimostravo anche meno. Mentre imparavo il chinyanja [detto anche chichewa], le sorelle che mi vedevano per la prima volta sussurravano ‘akali mwana’, cioè ‘è ancora un bambino!’”

“Capii che dovevo appoggiarmi a Geova e alla sua organizzazione”, dice Wayne. “Volevo che tutti sapessero che, nello spirito di Atti 16:4, stavo solo comunicando le direttive e le informazioni che venivano da Geova e dalla sua organizzazione. Prestavo attenzione anche al mio comportamento, in modo che gli altri non avessero niente da dire. Quando ci ripenso mi meraviglio ancora del grande privilegio che ho avuto”.

Espulsi dal paese

Negli anni ’60 e ’70 avvennero molti cambiamenti. Ci furono ondate di persecuzione in tutto il paese. Dal 1964, quando la Zambia ottenne l’indipendenza, i fratelli ebbero maggiori problemi in relazione al saluto alla bandiera e all’inno nazionale. Alla fine degli anni ’60 alcuni politici non vedevano di buon occhio i missionari perché supponevano che esercitassero un’influenza antigovernativa. Un rapporto della filiale spiega ciò che avvenne: “Il 20 gennaio 1968, di prima mattina, i sorveglianti di quasi tutte le congregazioni di lingua inglese telefonarono per informare la filiale di aver ricevuto la notifica di espulsione. È da notare che era stata recapitata non solo ai testimoni di Geova provenienti da altri paesi, ma anche a cittadini zambiani, tra cui George Morton e Isaac Chipungu”.

Gli eventi precipitarono. Alle dieci del mattino dello stesso giorno i funzionari dell’immigrazione vennero alla filiale per consegnare la notifica alle cinque coppie di missionari. “In men che non si dica”, ricorda il missionario Frank Lewis, “erano alla nostra porta. Era stato stabilito che i missionari uscissero dal retro e andassero a casa di un fratello per mettere in atto le misure disposte nel caso fossimo stati messi al bando. Tuttavia esitavamo a lasciare la proprietà perché al piano di sopra c’era una missionaria che aveva un forte attacco di malaria. I fratelli locali insistettero che ce ne andassimo promettendo che si sarebbero occupati loro della sorella. Eravamo certi che l’avrebbero fatto.

“Che strano leggere sul Times of Zambia che la Watchtower, come ci chiamavano, era al bando e i suoi ‘capi’ erano latitanti. C’erano i nostri nomi in prima pagina e l’articolo aggiungeva che le autorità stavano rastrellando la città per cercarci! I fratelli locali che rimasero alla filiale fecero un buon lavoro. Trasferirono altrove gli archivi e le pubblicazioni. Fatto questo, l’indomani tornammo alla filiale per costituirci”.

Lì c’era un poliziotto di guardia, e presto fu notificata l’espulsione ad alcuni missionari e ad altri cittadini stranieri. “Fummo tra gli ultimi ad andarcene”, spiegò il fratello Lewis. “Abbiamo ancora un nodo alla gola quando pensiamo a un gruppo di sorelle che neanche conoscevamo venute con i loro bambini da Kalulushi, a 25 chilometri di distanza, solo per salutarci e stringerci la mano!”

Una seconda ondata di espulsioni

Passò del tempo. Albert Musonda, che ora fa parte del Comitato di Filiale, aveva 22 anni nel 1975. Lavorava alla Betel come volontario nel Reparto Contabilità quando si presentò la polizia. “Diedero ai missionari meno di due giorni per lasciare il paese”, dice.

John Jason aggiunge: “Nel dicembre 1975 con un breve comunicato l’ufficio immigrazione ci ordinò di lasciare il paese entro 36 ore”. Fu presentato un appello tramite un avvocato del posto, così fu concessa una proroga per permettere ai missionari di raccogliere alcuni effetti personali. “Poi”, dice il fratello Jason, “dovemmo lasciare questa gente che amavamo tanto”.

Dailes, la moglie di Albert Musonda, ricorda: “Accompagnammo i fratelli all’aeroporto Southdown per salutarli. John Jason andò in Kenya e Ian Fergusson in Spagna”. Cosa aveva provocato questa seconda ondata di espulsioni?

Secondo molti l’assemblea di distretto del 1975 era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. “Si trattò di una delle più grandi assemblee tenute in quel periodo burrascoso e vi assisterono più di 40.000 persone”, ricorda John Jason. Incidentalmente nelle vicinanze si teneva anche un raduno politico. Alcuni partecipanti chiesero a gran voce un intervento contro i testimoni di Geova a motivo della loro neutralità nelle questioni politiche. Il fratello Jason ricorda che si diede la colpa all’assemblea dei testimoni di Geova per la scarsa affluenza al raduno politico.

Il ritorno dei missionari

Dovettero passare dieci anni prima che i missionari potessero rientrare. Gli anni ’80 furono un periodo di maggiore stabilità politica e minori restrizioni. Nel 1986 arrivarono dalla Gambia Edward Finch e sua moglie Linda. Poi si aggiunsero altri, tra cui Alfred e Helen Kyhe e Dietmar e Sabine Schmidt.

Nel settembre 1987, passando per il Sudafrica, arrivarono Dayrell e Susanne Sharp dallo Zaire, ora Repubblica Democratica del Congo. Si erano diplomati a Galaad nel 1969 e avevano prestato servizio nel Congo come ministri viaggianti. Erano già abituati a vivere nell’Africa centrale. Dayrell, un uomo vigoroso che è nel servizio speciale a tempo pieno da più di 40 anni, dice: “Per molti anni la nostra casa missionaria era stata a Lubumbashi, proprio vicino al confine con la Zambia, dove andavamo regolarmente”.

Susanne ricorda bene quel periodo e dice: “La scarsità di cibo che c’era in Congo all’inizio degli anni ’70 ci obbligava ad andare diverse volte all’anno a comprare viveri nella Zambia. Poi, all’inizio del 1987, il Corpo Direttivo ci chiese di lasciare il Congo per una nuova destinazione. Quale? La Zambia!” Dato che nel Congo la loro attività era sempre più limitata, gli Sharp furono felici di andare in un paese dove i fratelli godevano di una libertà religiosa sempre maggiore.

Si dovevano tuttavia modificare alcune cose sia nell’attività di campo che alla filiale. A causa del parziale divieto imposto al ministero pubblico, la maggioranza dei fratelli conduceva solamente studi biblici. Molti proclamatori, non essendo abituati, si sentivano a disagio all’idea di predicare apertamente di casa in casa, un aspetto fondamentale del ministero pubblico dei testimoni di Geova. Furono dunque spronati a essere più coraggiosi nell’opera di predicazione di casa in casa, soprattutto dal momento che la situazione nel paese era più distesa e la polizia non prestava molta attenzione alla loro attività.

Si va avanti, non indietro

Il Comitato di Filiale era preoccupato dell’evidente ristagno nella crescita durante gli anni ’70. A causa delle tradizioni locali i fratelli non studiavano con i propri figli e, poiché la testimonianza di casa in casa era stata vietata, presero l’abitudine di farli studiare con altri. Ognuno studiava quindi con i figli degli altri. Era arrivato il momento di prendere decisioni coraggiose. Negli anni successivi i proclamatori furono incoraggiati ad abbandonare tradizioni e pratiche non scritturali. Man mano che si adeguavano alle disposizioni, le congregazioni erano benedette. I fratelli si diedero da fare per vivere in armonia con i princìpi biblici e uniformarsi al resto della fratellanza mondiale.

Nei cinque anni dopo le espulsioni del 1975 i proclamatori erano diminuiti quasi dell’11 per cento. Invece nei cinque anni successivi al 1986, quando tornarono i missionari, il numero massimo dei proclamatori aumentò di oltre il 50 per cento. Da allora è più che raddoppiato.

Silas Chivweka, ex sorvegliante viaggiante, scrisse in una lettera alla filiale: “Dagli anni ’50 in poi i missionari di Galaad aiutarono altri ad avanzare verso la maturità. Erano pazienti, comprensivi e premurosi. Stando a stretto contatto con i proclamatori, si rendevano conto di ciò che andava corretto”. L’aiuto sincero e amorevole dato dai missionari continua tuttora a stimolare la crescita.

La pagina stampata

Come Paolo e i suoi compagni, i testimoni di Geova dei tempi moderni danno prova di essere ministri usando le “armi della giustizia a destra e a sinistra”. (2 Cor. 6:7) Nella guerra spirituale continuano a usare “armi” giuste, o mezzi idonei, per promuovere la vera adorazione.

All’inizio le nostre pubblicazioni erano disponibili solo in inglese. Nell’Africa meridionale alcuni erano abbonati alla Torre di Guardia già nel 1909, ma in genere la verità biblica si diffondeva a voce. All’epoca un fratello riferiva: “In ogni villaggio c’è un [punto d’incontro] dove si discutono questioni di interesse pubblico. Il fratello itinerante che conosce l’inglese traduce in modo semplice i paragrafi nella lingua locale. Poi si considerano le domande”. Ovviamente l’accuratezza delle verità trasmesse dipendeva in gran parte dall’abilità e dai motivi del traduttore. Per favorire l’unità e l’accurata conoscenza degli interessati, sarebbe stato necessario un afflusso regolare di pubblicazioni bibliche nelle lingue locali.

Pubblicazioni disponibili

All’inizio degli anni ’30 furono tradotti e pubblicati in chinyanja il libro L’Arpa di Dio e alcuni opuscoli. Già nel 1934 un piccolo gruppo di proclamatori attivi aveva distribuito più di 11.000 pubblicazioni. Quest’opera irritava gli oppositori, che in seguito avrebbero progettato “affanno mediante decreto”. (Sal. 94:20) Comunque, verso la fine del 1949, quando fu revocato il divieto riguardante La Torre di Guardia, si iniziò a ciclostilare e a spedire agli abbonati un’edizione mensile in cibemba.

Jonas Manjoni ricorda il lavoro che faceva all’inizio degli anni ’50. “Ero il solo a tradurre la rivista in cibemba”, dice. “Ricevevo il testo in inglese, lo traducevo e lo correggevo. Poi lo battevo a macchina su una matrice per ciclostile, con cui facevo le copie. Ci voleva molto tempo. A volte servivano 7.000 copie. Producevo tutte le riviste a mano, le spillavo e poi le spedivo alle congregazioni. Mettere i francobolli sui rotoli delle riviste e portarli all’ufficio postale nei cartoni era un lavorone”.

Coloro che erano impegnati nella traduzione manifestavano dedizione e vedevano i frutti del loro lavoro, nonostante i limiti della tecnologia dell’epoca. Pur prestando servizio come sorvegliante viaggiante, James Mwango scriveva a mano la traduzione e perlopiù a lume di candela. “Non ero mai troppo stanco per quel lavoro”, raccontava. “Era un piacere sapere che i miei sforzi contribuivano a far arrivare il cibo spirituale ai miei fratelli, aiutandoli a crescere”.

‘Cambiare mani’

Per trasmettere correttamente la verità, il traduttore non solo deve capire bene la sua lingua ma anche il testo inglese. Aaron Mapulanga disse: “Quando si traduce si incontrano frasi che hanno un significato diverso da quello che sembrano suggerire le singole parole. Ricordo di aver avuto uno scambio di idee riguardo all’espressione inglese ‘to change hands’ [passare di mano in mano, cambiare padrone] trovata in una pubblicazione che parlava del passaggio di responsabilità da Elia a Eliseo. Un fratello aveva tradotto la frase letteralmente. Dubitavo che l’espressione significasse davvero ‘cambiare mani’. Consultandoci con altri fratelli arrivammo al significato corretto. Ricordo che ci fu anche detto di non tradurre parola per parola, altrimenti la traduzione avrebbe avuto un sapore inglese. Ci sforzammo di essere meno letterali per seguire la struttura della lingua locale”.

Ausili tecnologici

Dal 1986 le filiali hanno a disposizione il MEPS (Sistema multilingue per la fotocomposizione elettronica), che ha contribuito notevolmente a velocizzare la traduzione, la correzione e la composizione del testo. Più di recente si è fatto ampio uso del programma Watchtower Translation System e di altri ausili. Attualmente le équipe che traducono nelle principali lingue locali provvedono pubblicazioni bibliche comprensibili alla maggioranza degli zambiani. La Traduzione del Nuovo Mondo e altre “armi della giustizia” continueranno ad avere un ruolo fondamentale nell’aiutare le persone sincere a conoscere Geova. — 2 Cor. 6:7.

Aiuto per i profughi

In Africa molti conducono una vita pacifica e felice, ma purtroppo sempre più persone soffrono a causa della guerra. Da un giorno all’altro i vicini diventano nemici, molti innocenti devono fuggire dalle proprie case e intere comunità vengono distrutte. Portando con sé solo pochi effetti personali i profughi cercano sicurezza dove possono. Questo è ciò che oggi succede a milioni di persone.

Nel marzo 1999 migliaia di persone che fuggivano dai conflitti della Repubblica Democratica del Congo si riversarono nella Zambia. Come in molti altri conflitti, le forze militari che avanzavano compivano saccheggi, costringevano gli uomini a portare carichi pesanti e maltrattavano donne e bambini. Poiché i testimoni di Geova si rifiutavano di imbracciare le armi, molti furono umiliati e picchiati selvaggiamente. Katatu Songa, uno zelante pioniere regolare che ha superato la cinquantina, ricorda: “Mi fecero sdraiare di fronte alle donne e ai bambini e mi frustarono finché persi conoscenza”.

Per evitare simili maltrattamenti molte famiglie fuggivano. Durante la fuga nella foresta Mapengo Kitambo perse di vista i figli. Egli spiega: “Non c’era il tempo di cercare nessuno. Si doveva andare avanti, anche se eravamo terribilmente in ansia per i nostri cari”. Molti fecero centinaia di chilometri a piedi o in bicicletta per raggiungere un luogo sicuro.

La piccola città di Kaputa fu invasa dai profughi, e tra questi c’erano quasi 5.000 fratelli con le loro famiglie, tutti esausti per il viaggio lungo e difficoltoso. Sebbene non fossero preparati all’arrivo dei profughi, i 200 proclamatori del Regno che abitavano nella città furono felici di manifestare ospitalità cristiana ai loro fratelli. Manda Ntompa, uno dei profughi, ricorda: “Fummo profondamente commossi dall’amore e dall’ospitalità mostratici. Quando capirono che eravamo testimoni di Geova, i fratelli del posto ci accolsero nelle loro case. Come la vedova di Zarefat furono disposti a condividere le loro misere provviste con noi”.

Sulle rive del lago Mweru, nel nord, un piccolo gruppo di Testimoni locali assisté centinaia di profughi. In maniera organizzata provvidero loro vitto e alloggio. Le congregazioni vicine portarono manioca e pesce. Infine, tre mesi dopo, i Testimoni congolesi furono registrati e trasferiti in un campo profughi.

Chi fugge da una zona di scontri violenti raramente porta con sé libri o riviste, anzi spesso lascia le cose più care che ha pur di mettersi in salvo. Non fu così per il popolo di Dio. Per quanto fosse convulsa la fuga, alcuni riuscirono a portare con sé delle pubblicazioni. In ogni caso, Bibbie e pubblicazioni bibliche scarseggiavano. In media, a un’adunanza con 150 presenti erano disponibili solo cinque libri. Come faceva l’uditorio a partecipare? Un fratello spiega: “Chi aveva una Bibbia leggeva i versetti e gli altri ascoltavano con molta attenzione. Così tutti facevano la loro parte per lodare Geova e si incoraggiavano l’un l’altro con i commenti”.

Si provvede ai bisogni materiali

La maggioranza dei profughi erano donne e bambini. Spesso arrivavano malconci e senza niente da mangiare. Cosa hanno fatto i testimoni di Geova per assisterli? Il Times of Zambia riferiva: “È lodevole che l’Associazione dei Testimoni di Geova della Zambia abbia mandato volontari a prestare soccorso nell’ex Zaire per alleviare le sofferenze dei profughi nella zona dei grandi laghi”. L’articolo spiegava che i Testimoni di Belgio, Francia e Svizzera “avevano inviato ai profughi un totale di 500 chilogrammi di medicinali, 10 tonnellate di preparati vitaminici, 20 tonnellate di cibo, più di 90 tonnellate di vestiario, 18.500 paia di scarpe e 1.000 coperte, per un valore totale di quasi un milione di dollari”.

Il fratello Ntompa racconta: “Che emozione il giorno in cui arrivarono gli aiuti! La fede di tutti noi ne uscì rafforzata. Facciamo parte di un’organizzazione davvero amorevole. Quella straordinaria dimostrazione di amore costituì una svolta per molti familiari increduli. Da quel momento alcuni si unirono a noi e ora stanno facendo un ottimo progresso quali adoratori di Dio”. Gli aiuti furono distribuiti a tutti i profughi, senza parzialità.

Verso la fine del 1999 il numero dei profughi giunti nel paese era salito a più di 200.000. Un quotidiano locale riferiva: “La Zambia è uno dei paesi in cui ha trovato asilo il maggior numero di profughi africani che fuggono dai conflitti”. Sebbene le autorità si impegnassero a soddisfare i loro bisogni, la frustrazione e il malcontento diedero origine a violente proteste. Dopo una rivolta le autorità del campo avvicinarono il sorvegliante di circoscrizione, accusandolo di aver fatto ben poco per aiutarli a mantenere l’ordine. Siccome i testimoni di Geova non avevano preso parte ai disordini, il sorvegliante replicò gentilmente ma con fermezza: “Altroché se vi ho aiutato! Le cose sarebbero andate molto peggio se alla folla in rivolta si fossero aggiunti altri 5.000 profughi. Potete essere contenti che almeno loro non hanno preso parte ai disordini proprio perché sono Testimoni. Sono i miei fratelli!”

I testimoni di Geova sono noti per l’influenza stabilizzatrice che hanno sulle comunità di profughi. Un funzionario del governo affermò: “Abbiamo sentito dire che i testimoni di Geova sono molto religiosi, perciò abbiamo nominato molti di loro capisezione. Da allora, grazie al loro aiuto, nel campo la situazione è calma e tutti sono impegnati a leggere la Bibbia. Ringrazio Dio perché queste persone sono ancora con noi e nel campo regna la pace”.

Ubbidienza al divieto divino relativo al sangue

Sebbene da tempo sia stata provata la saggezza del comando scritturale di ‘astenersi dal sangue’, nell’Africa subsahariana si è dovuto fare i conti con molti pregiudizi e malintesi riguardo alle terapie che non implicano l’uso del sangue. (Atti 15:28, 29) Purtroppo i testimoni di Geova sono stati vittime di un trattamento duro e umiliante. Non era raro che un bambino ricoverato in ospedale venisse trasfuso di notte all’insaputa dei genitori.

Michael aveva sei anni quando fu ricoverato in ospedale a motivo di una grave anemia, e la nonna, Jenala Mukusao, si prendeva cura di lui. I medici gli prescrissero una trasfusione. La sorella Mukusao non acconsentì e per quattro giorni subì intimidazioni e ingiurie. La sorella disse: “Li supplicai e mostrai loro il mio tesserino ‘Niente sangue’, ma non vollero ascoltarmi. Le infermiere mi accusarono di essere una strega e di voler uccidere mio nipote”.

A motivo di tale ostilità alcuni esitavano ad andare in ospedale. Molti medici ignoravano il diritto del paziente al consenso informato. I pochi dottori disposti ad aiutarci andavano incontro a dure critiche, se non all’ostracismo dei colleghi, per il fatto che praticavano quella che molti ritenevano medicina non convenzionale. A questo si deve aggiungere l’inadeguatezza delle strutture e la limitata disponibilità delle cure alternative al sangue. Comunque, nel 1989, il responsabile sanitario dell’industria di estrazione del rame affermò: “Non si dovrebbero somministrare trasfusioni di sangue contro il volere della persona”. Era chiaro che la posizione di alcuni componenti della classe medica si era ammorbidita.

Efficacia dei comitati sanitari

Nel 1995 fu istituito nella Zambia il Servizio di Informazione Sanitaria con i relativi Comitati di assistenza sanitaria. Pochi potevano prevedere il forte impatto che questi comitati avrebbero avuto sull’atteggiamento della comunità medica in relazione alle terapie alternative al sangue e ai diritti del paziente. Tra i compiti dei Comitati di assistenza sanitaria c’è quello di visitare gli ospedali, parlare con i medici e organizzare incontri con gli operatori sanitari, tutto al fine di favorire la cooperazione e prevenire i contrasti. Il grado di professionalità nel presentare il materiale durante questi incontri colpì il personale medico. In un ospedale del sud del paese un ufficiale sanitario disse ai fratelli: “Voi non ce lo volete dire, ma siete dei medici”.

Un medico olandese che lavorava in un ospedale distrettuale della Zambia occidentale disse: “Due settimane fa abbiamo discusso su come ridurre l’uso del sangue a motivo dei rischi connessi. Oggi abbiamo avuto degli esperti che hanno trattato l’argomento”. Di lì a poco gli operatori sanitari che assistevano agli incontri organizzati dai Comitati di assistenza sanitaria raccomandavano ai colleghi di assistervi anch’essi. Il programma si guadagnò il rispetto della comunità medica e gli scontri furono gradualmente sostituiti da uno spirito di cooperazione.

Alcuni membri dei comitati sanitari lottavano con sentimenti di inadeguatezza quando avvicinavano i medici, che per anni erano stati considerati quasi degli dèi. Il fratello Smart Phiri, che era presidente del comitato sanitario di Lusaka, ricorda: “Non avevo nessuna preparazione in campo medico e mi sentivo molto insicuro”.

Col tempo, però, perseveranza e fiducia in Geova furono premiate. Ripensando agli inizi, un altro membro del comitato sanitario dice: “Andammo in tre a parlare con un medico autorevole che era stato ministro della Sanità. Eravamo molto tesi. Nel corridoio, davanti all’ufficio del medico, pregammo Geova di aiutarci a parlare con coraggio. Avemmo un ottimo colloquio e il medico si mostrò pienamente disposto a collaborare. Capii che Geova ci sosteneva e che non c’era motivo di temere”.

Uno spirito di collaborazione sempre maggiore tra i comitati sanitari e la comunità medica è evidente dalla disponibilità dei dottori a trattare casi difficili, che alcuni anni fa non avrebbero accettato senza la possibilità di trasfondere. Nell’ottobre 2000 due chirurghi decisero coraggiosamente di operare Beatrice, una bambina di sei mesi della Repubblica Democratica del Congo, per un’atresia biliare. Anche se l’intervento riuscì senza far uso di sangue, il caso scatenò una marea di polemiche.

Tuttavia, la dichiarazione rilasciata alla stampa dal prof. Lupando Munkonge, responsabile dell’équipe che aveva effettuato l’intervento, segnò una svolta. Egli disse esplicitamente che rispettava la decisione dei genitori di Beatrice e questo contribuì in misura notevole a smorzare i toni delle critiche. Due mesi dopo fu trasmesso un documentario televisivo che trattava il caso e presentava in tono positivo la nostra posizione riguardo alla medicina e alla chirurgia senza sangue.

“Fate in fretta”

Sono pochi i medici che guardano ancora con scetticismo alla coscienziosa presa di posizione dei Testimoni riguardo al sangue. La maggioranza d’essi riconosce che le strategie alternative sono sicure, efficaci e di facile impiego, anche nelle zone interne dell’Africa. Molti pazienti hanno imparato a difendere coraggiosamente i propri diritti. Questo significa che si sono informati su questioni importanti e sono riusciti a dar voce alla loro coscienza.

Persino ai bambini è stata data “la lingua degli ammaestrati”. (Isa. 50:4) Prima dell’intervento, Nathan, un bambino di otto anni che soffriva di osteomielite al femore sinistro, disse ai medici: “Per favore, fate in fretta quando mi operate, così non perderò tanto sangue. Non fatemi una trasfusione, altrimenti i miei genitori e Geova non vi perdoneranno”. Dopo l’intervento un componente dell’équipe chirurgica lodò i genitori di Nathan per il modo in cui l’avevano allevato. Il dottore ammise umilmente: “È la prima volta che un paziente così giovane mi ricorda l’importanza di rispettare Dio”.

“Ci raccomandiamo come ministri di Dio . . . in notti insonni”, disse l’apostolo Paolo. Capita che i servitori di Dio passino notti insonni, spesso perché sono preoccupati per i compagni di fede o per il progresso della vera adorazione. (2 Cor. 6:3-5) Questo accade di frequente a chi fa parte dei comitati sanitari. Tale spirito di sacrificio non passa inosservato. Una sorella ha detto: “Non ho parole per esprimere tutto il mio apprezzamento. È rincuorante e confortante notare lo spirito di sacrificio dei fratelli del comitato sanitario. Sono stati tempestivi nell’aiutarmi e c’erano sempre nel momento del bisogno, anche nelle ore più assurde. Quando entrai in sala operatoria per la seconda volta in 24 ore non ero spaventata. Le parole incoraggianti dei fratelli mi avevano enormemente rafforzata”. Nonostante la “cattiva fama”, i testimoni di Geova hanno continuato a raccomandarsi quali ministri di Dio essendo pronti a cooperare con la comunità medica. (2 Cor. 6:8) Rafforzati da commenti che hanno contribuito alla loro “buona fama”, sono determinati a continuare a ubbidire al comando divino di ‘astenersi dal sangue’.

Scuola di Addestramento per il Ministero

“In molti paesi un gruppo di 25 giovani può destare sospetti ed essere considerato una potenziale fonte di guai”, afferma Cyrus Nyangu, membro del Comitato di Filiale della Zambia. “Invece la Scuola di Addestramento per il Ministero, di cui si sono tenute 31 classi, ha istruito nel corso del tempo gruppi di cristiani dedicati, uomini dinamici che si sono dimostrati una benedizione per le comunità in cui prestano servizio”. Più di 600 diplomati di questa scuola internazionale sono impegnati in varie fasi del servizio a tempo pieno in sei paesi dell’Africa meridionale. Oltre la metà dei sorveglianti viaggianti della Zambia ha frequentato la Scuola di Addestramento. Perché tale scuola è necessaria e quali risultati permette di raggiungere?

Da quando nel 1993 si sono diplomati i primi studenti, il numero dei proclamatori attivi della Zambia è aumentato quasi del 60 per cento. Comunque c’è ancora bisogno di uomini qualificati che si prendano cura delle congregazioni, soprattutto a motivo della forte pressione della comunità a conformarsi a tradizioni e usi contrari ai princìpi biblici. Sottolineando il bisogno di uomini capaci che insegnino e facciano opera pastorale, un diplomato ha detto: “Un problema nel campo in cui serviamo è che la gente tende a tollerare la trasgressione. Ho imparato che bisogna sostenere con fermezza quello che è giusto e non andare oltre ciò che è scritto”.

I nuovi studenti non sono abituati alla vastità delle informazioni trattate e alla profondità dello studio, ma gli istruttori sono desiderosi di aiutarli. Uno di loro, Sarel Hart, ha detto: “Per me insegnare a ogni classe è stato come guidare un gruppo di turisti su per un sentiero di montagna. All’inizio si sentono spaesati e cercano di orientarsi in un ambiente estraneo che incute timore. Ogni tanto ci sono dei massi lungo il cammino. Ma via via che superano gli ostacoli e continuano la scalata, gli studenti guardano indietro per vedere le barriere apparentemente insormontabili che hanno abbattuto e che ora appaiono insignificanti”.

Molti parlano dei progressi fatti grazie alla scuola come di una metamorfosi. Elad, che ora è pioniere speciale, ha detto: “Non mi sentivo all’altezza di insegnare e mi consideravo troppo giovane per accettare ulteriori responsabilità nella congregazione. La scuola mi ha aiutato a capire che potevo essere utile. I 16 proclamatori della prima congregazione in cui fui mandato avevano problemi a condurre studi biblici progressivi. Iniziammo a trattare regolarmente dei suggerimenti e a provare le presentazioni prima di uscire nel ministero. Nel 2001 la congregazione era aumentata, arrivando a contare 60 proclamatori, di cui 20 appartenenti a un gruppo isolato”.

Efficacia della scuola

Quali sono alcune caratteristiche che rendono efficace la Scuola di Addestramento per il Ministero? “Mettiamo l’accento sull’importanza di essere sempre umili, ribadendo che non si dovrebbe pensare di sé più di quanto sia necessario pensare”, spiega Richard Frudd, uno degli istruttori. “Si richiede maturità, compassione e la capacità di trattare casi difficili senza perdere il sorriso. Se i fratelli imparano a trattare gli altri in modo premuroso, mostrando di volerli servire e non di voler essere serviti, allora crediamo che la scuola abbia raggiunto il suo scopo”.

Gli studenti convengono sulla verità di queste parole. Emmanuel, diplomato della 14ª classe, ha detto: “Quando siamo mandati a servire in una congregazione non dobbiamo cominciare subito a correggere ogni minima cosa. Piuttosto dobbiamo impegnarci insieme alla congregazione nell’opera più importante, la predicazione della buona notizia”.

Moses, un pioniere, ha detto: “Ho capito che Geova può impiegare ogni persona umile, e che non sempre conoscenza ed esperienza sono la cosa più importante. Ciò che importa agli occhi di Geova è l’amore per i componenti della congregazione e le persone del territorio, oltre a uno spirito di cooperazione”.

Grandi raduni

In epoca precristiana, le feste della nazione d’Israele e i ‘santi congressi’ erano occasioni gioiose che aiutavano i presenti a riflettere su cose spirituali. (Lev. 23:21; Deut. 16:13-15) Si può dire lo stesso dei raduni odierni del popolo di Dio. Nella Zambia le assemblee non si tengono in complessi sportivi ultramoderni. I fratelli costruiscono il cosiddetto villaggio dell’assemblea, che include piccole capanne in cui dormire.

Nel corso degli anni in questi luoghi sono state costruite strutture più stabili. Ma i primi anni furono difficili e richiesero inventiva. Un sorvegliante di distretto ricorda: “Nel luogo dell’assemblea di circoscrizione i fratelli costruivano per me una capanna, generalmente di paglia. Poi recintavano l’area intorno ai posti a sedere. I sedili erano mucchi di terra su cui venivano messi dei ‘cuscini’ di paglia. Per allestire il palco, da cui veniva presentato il programma, i fratelli a volte spianavano la cima di un termitaio abbandonato e su di esso erigevano una piccola capanna”.

Peter Palliser, un missionario, ricordava: “In occasione di un’assemblea i fratelli volevano un podio rialzato. Uno di loro era esperto nell’uso di esplosivi. Allestì l’area e fece saltare la cima di un formicaio abbandonato alto circa sei metri. Rimase una montagnola su cui venne eretto il podio”.

Sforzi per essere presenti

La maggioranza dei luoghi in cui si tenevano le assemblee erano lontani dalle strade principali e difficili da raggiungere. Robinson Shamuluma ricorda un’assemblea a cui assisté nel 1959. “Eravamo una quindicina e andammo in bicicletta a Kabwe, nella provincia Centrale”, disse. “Ci portammo da mangiare farina di mais e pesce essiccato. Dormimmo ogni notte nella foresta. A Kabwe prendemmo il treno e alla fine, dopo quasi quattro giorni di viaggio, arrivammo nel luogo dell’assemblea”.

Lamp Chisenga, ripensando a un fratello che per assistere a un’assemblea percorse 130 chilometri a piedi e in bicicletta con i suoi sei figli, racconta: “Per il viaggio portarono da mangiare manioca arrostita, tuberi e burro di arachidi. Più volte dovettero accamparsi nella foresta senza alcuna protezione”.

Wayne Johnson, quando era sorvegliante di distretto, notò gli sforzi che molti facevano per essere presenti. Scrisse: “Un pioniere speciale ci mise una settimana per raggiungere il luogo dell’assemblea in bicicletta. Altri viaggiavano sul cassone di un camion. Molti arrivavano presto all’assemblea, nei primi giorni della settimana in cui si teneva. La notte cantavano intorno al fuoco dov’erano accampati. A volte coloro che partecipavano al servizio di campo erano così tanti che quella settimana si percorreva il territorio tre volte”.

Osteggiati ma determinati

I grandi raduni continuano a rafforzare e a incoraggiare i fratelli. Oggi le assemblee ricevono una buona pubblicità, ma in periodi di instabilità politica e soprattutto negli anni ’60 e ’70 erano guardate con sospetto. Alcuni componenti del governo cercarono di limitare le nostre attività religiose. Poiché si rifiutavano di cantare l’inno nazionale i fratelli non riuscivano a ottenere dalla polizia i permessi per tenere riunioni pubbliche. In seguito furono posti dei limiti al numero dei presenti. “Il 1974 fu l’ultimo anno in cui i testimoni di Geova poterono riunirsi in aree pubbliche”, ricorda Darlington Sefuka. “Il ministro degli Interni annunciò che non si poteva tenere nessuna adunanza pubblica a meno che non si cantasse l’inno nazionale e non si esponesse la bandiera”. Comunque, ai fratelli fu permesso di riunirsi nelle Sale del Regno in aree recintate. Vista la situazione, la filiale dispose che il programma dell’assemblea di circoscrizione si svolgesse nelle Sale del Regno, spesso solo per una o due congregazioni alla volta.

Anche le assemblee di distretto si tenevano su piccola scala. “Anziché avere una grande assemblea di distretto, se ne tenevano 20 più piccole”, ricorda un fratello che aiutava a organizzarle. “Molti fratelli vennero addestrati e impiegati per svolgere il programma o per gestire i reparti, così quando il bando fu revocato ci ritrovammo con tanti uomini esperti da usare nell’organizzazione delle assemblee”.

Battesimi

Dall’inizio degli anni ’40 furono prese disposizioni per accertarsi che chi si battezzava capisse pienamente il significato di quel passo. Per alcuni era difficile abbandonare del tutto “Babilonia la Grande” e le pratiche della falsa religione. (Riv. 18:2, 4) Inoltre relativamente pochi sapevano leggere bene e molte congregazioni non ricevevano una quantità sufficiente di pubblicazioni bibliche. Pertanto i sorveglianti di circoscrizione e di distretto avevano un colloquio con ciascun candidato al battesimo per vedere se era idoneo. Geoffrey Wheeler, diplomato della 33ª classe di Galaad, ricorda: “Quando delle mamme si presentavano per il battesimo, osservavamo con attenzione i bambini che avevano in braccio per vedere se portavano catenine o ciondoli portafortuna. Spesso c’erano così tanti battezzandi che tutte le sere della settimana dell’assemblea stavamo in piedi fino a mezzanotte”. Comunque, grazie all’aiuto amorevole dato dai sorveglianti viaggianti agli anziani delle congregazioni, ad alcune pubblicazioni edite in seguito come “La tua Parola è una lampada al mio piede” e a ulteriori miglioramenti organizzativi, si ridusse notevolmente il bisogno di questi colloqui.

Panico da palcoscenico

I drammi biblici in costume sono tuttora tra gli aspetti più apprezzati delle assemblee di distretto. Chi partecipa a un dramma prende seriamente la responsabilità di interpretare bene il suo personaggio, e la maggioranza degli zambiani non manca certo di enfasi. Frank Lewis, ex missionario e ora membro della famiglia Betel degli Stati Uniti, racconta: “Inizialmente i drammi non erano registrati. I fratelli che recitavano le varie parti dovevano memorizzare le battute. Il nostro primo dramma, incentrato su Giuseppe, si tenne a un’assemblea nella provincia Settentrionale. A motivo della lentezza della posta i fratelli non avevano ricevuto il testo e ricordo che dovemmo lavorare fino a tarda notte per aiutarli a imparare le battute. Durante la rappresentazione si arrivò alla scena in cui la moglie di Potifar gridava a suo marito che Giuseppe aveva tentato di violentarla. A quel punto il fratello che interpretava Potifar fu preso dal panico e uscì dal palcoscenico. Io che ero dietro le quinte a fare il suggeritore gli ricordai velocemente quello che doveva dire e lo spinsi di nuovo sul palco. In modo eccellente disse tutto d’un fiato la sua battuta, piena di disprezzo per quell’uomo accusato di tentato stupro! Anche se l’inconveniente avrebbe potuto rovinare l’assemblea, ogni volta che leggo quei versetti penso: ‘Chissà se è andata proprio così. Forse Potifar in preda alla rabbia è uscito dalla stanza, si è ricomposto ed è tornato per accusare Giuseppe’”.

Nel 1978 il divieto governativo che per quattro anni aveva limitato le dimensioni delle assemblee di circoscrizione e di distretto divenne meno rigido. L’assemblea di distretto “Fede vittoriosa” però fu una vera impresa. Un ex sorvegliante viaggiante ricorda: “A quell’assemblea mettemmo in scena tutti i drammi che non avevamo potuto rappresentare negli anni precedenti, quando eravamo obbligati a radunarci nelle Sale del Regno. L’assemblea durò cinque giorni e ogni giorno ci fu un dramma. Ricuperammo tutti quelli che avevamo perso! Fu una cosa bellissima, ma non facile per i rappresentanti della Betel che dovettero rivederli prima che fossero messi in scena: davvero un gran lavoro!”

“Posso dire onestamente che è la più bella assemblea cui abbia assistito”, disse un membro del Comitato di Filiale. “La mattina le famiglie escono dalle loro piccole capanne. Sono tutti quanti così puliti e ordinati! Si presentano a Geova con i vestiti migliori. Spesso si siedono sotto il sole cocente, eppure rimangono lì tutto il giorno prestando la massima attenzione. È bello osservarli”. I raduni sono una caratteristica fondamentale dell’adorazione dei testimoni di Geova. (Ebr. 10:24, 25) Anche se sono “rattristati” a causa di problemi personali o persecuzione religiosa, i servitori di Geova sanno che assistendo a questi grandi raduni possono ‘sempre rallegrarsi’. — 2 Cor. 6:10.

Costruzione di Sale del Regno

“Con questa lettera autorizzo la summenzionata congregazione al possesso di questo terreno. Glielo concedo per 150 anni. Nessuno dovrebbe interferire finché venga il Paradiso”. — Capo Kalilele.

Fin dai primi del Novecento, nell’Africa meridionale, coloro che cercavano la verità riconobbero il bisogno di riunirsi per l’adorazione. Verso il 1910 William Johnston riferì che gruppi in rapida crescita costruivano con materiali del posto luoghi per radunarsi che potevano accogliere anche 600 persone. Molti desideravano avere luoghi di culto, ma non tutti. Holland Mushimba, che conobbe la verità all’inizio degli anni ’30, ricordava: “Venivamo incoraggiati a radunarci per l’adorazione, ma non si dava molto risalto alla necessità di avere una struttura stabile. Ci riunivamo in qualsiasi posto idoneo, all’ombra di un grosso albero o nel cortile di un fratello. Alcuni, sulla base di Luca 9:58, pensavano: ‘Se nemmeno Gesù aveva un luogo permanente in cui tenere adunanze, perché dovremmo costruirne uno noi?’”

Prima del 1950 i luoghi di adunanza erano perlopiù strutture semplici e non molto resistenti, di legno grezzo e fango. Nell’operosa regione del Copperbelt, Ian Fergusson convinse il direttore di una miniera ad assegnargli un terreno per la Sala del Regno. Nel 1950, a Wusikili, fu costruita la prima Sala. Ma sarebbe passato un decennio prima che i fratelli preparassero dei progetti standard per le costruzioni. La prima Sala del Regno edificata in conformità a tali progetti era una bella struttura col tetto piatto il cui costo si aggirò sui 12.000 kwacha zambiani. All’epoca si trattava di una cifra considerevole, ma a motivo dell’inflazione galoppante oggi equivale a meno di tre euro!

Poiché rifiutavano di acquistare la tessera del partito, i Testimoni continuavano a essere oggetto di violenze da parte di militanti patriottici. I luoghi di culto venivano incendiati. Temendo questi attacchi, alcuni fratelli pensavano che fosse meglio riunirsi all’aperto anziché costruire. In seguito ad altre restrizioni imposte all’inizio degli anni ’70, divenne sempre più difficile ottenere un appezzamento di terreno. Benché fosse risaputo che i testimoni di Geova non sostenevano nessun partito politico, le autorità di alcune zone pretendevano che a ogni domanda presentata fosse allegata la tessera del partito.

Wiston Sinkala racconta: “Avevamo difficoltà a ottenere un terreno, figuriamoci poi i permessi per costruire! Quando comunicammo al consiglio comunale che avremmo portato la cosa in tribunale, non ci presero sul serio. Tuttavia trovammo un bravo avvocato e due anni dopo la corte emise una sentenza a nostro favore, ordinando al comune di assegnarci il terreno. Questo caso aprì la strada a una maggiore libertà”.

Il cavallo nero

Era raro che venissero dati alle congregazioni appezzamenti di terreno con regolare atto di proprietà. Spesso i fratelli trovavano terreni liberi, ma in assenza dei documenti necessari non potevano costruirvi una struttura permanente. I materiali erano costosi, perciò molti usavano lamiere di ferro o fusti di carburante vuoti che, aperti e appiattiti, venivano poi inchiodati a un’intelaiatura di legno. Parlando di una di queste strutture, un anziano osservò: “Avevamo ricoperto le lamiere col catrame e da lontano la Sala sembrava un grande cavallo nero. All’interno il caldo era insopportabile”.

Un ex sorvegliante di circoscrizione disse: “Quando ripenso al passato, non me la sento di chiamare quei luoghi Sale del Regno. In realtà non erano degne di rappresentare l’Iddio Altissimo, Geova”.

Alcune congregazioni decisero di prendere dei locali in affitto. Pareva una soluzione economica, ma presentava dei problemi. Edrice Mundi, che negli anni ’70 faceva parte dell’unica congregazione inglese di Lusaka, racconta: “Affittammo un locale che veniva anche usato come discoteca. Il sabato sera la gente beveva e ballava fino a tardi e noi dovevamo andare la domenica mattina presto a ripulirlo. Il locale puzzava di birra e di fumo. Non era giusto adorare Geova in un posto del genere”.

Jackson, il marito di Edrice, ricorda: “Una domenica durante l’adunanza entrò un ragazzo, attraversò tutta la Sala, prese una cassetta di birra che aveva lasciato la sera prima e se ne andò, senza preoccuparsi minimamente dei presenti”. Non c’è da meravigliarsi che i fratelli volessero avere la propria Sala del Regno.

Un programma che fece epoca

Man mano che le persone accettavano il messaggio del Regno aumentava il bisogno di locali dignitosi. I fratelli erano pieni di entusiasmo e zelo, ma riuscivano a malapena a sfamare la famiglia, figuriamoci se potevano contribuire per avere una Sala del Regno. Geova, la cui mano non è mai corta, aveva in serbo una piacevole sorpresa.

Da un sondaggio risultò che in 40 paesi in via di sviluppo occorrevano oltre 8.000 Sale del Regno, per cui il Corpo Direttivo decise di dare impulso alle costruzioni. Si capì che in alcune zone ci sarebbero stati pochi artigiani disponibili per realizzare i progetti, e ben pochi attrezzi. Inoltre nei paesi in via di sviluppo molte congregazioni non avrebbero potuto restituire un grosso prestito. E visto che il numero dei proclamatori aumentava rapidamente, per alcune filiali era anche difficile pianificare in modo adeguato le cose. Tenuto conto di tutto ciò, il Corpo Direttivo istituì negli Stati Uniti un comitato di progettazione/costruzione che soprintendesse a livello mondiale alla realizzazione dei progetti relativi alle Sale del Regno. Furono provvedute direttive per la costruzione di Sale del Regno in paesi con risorse limitate e volontari specializzati vennero mandati all’estero per la realizzazione dei progetti.

A volte dovettero essere messi da parte sia metodi di costruzione tradizionali che idee radicate. Nella Zambia, per esempio, le donne collaboravano alla realizzazione dei progetti portando acqua e sabbia, e cucinando. Le squadre di volontari edili, però, volevano impiegare le sorelle nel lavoro di costruzione vero e proprio, sfruttando così appieno la forza lavoro.

Un capo della provincia Orientale non credette ai suoi occhi quando vide una sorella che tirava su un muro della Sala del Regno ed esclamò: “In vita mia non ho mai visto una donna posare mattoni, e farlo così bene! Me ne compiaccio davvero”.

“Il nostro ospedale spirituale”

Il programma di costruzione ha avuto un potente effetto sulla comunità. Molti che un tempo erano indifferenti o contrari ai testimoni di Geova sono diventati più tolleranti. Uno dei capi della provincia Orientale, che si era opposto alla costruzione di Sale del Regno nella sua zona, disse: “Inizialmente respinsi il progetto non di mia iniziativa, ma perché ero influenzato dal clero di altre confessioni religiose. Ora invece capisco che siete qui per un buon motivo. Questo bell’edificio è il nostro ospedale spirituale”.

La prima ‘fatica’ del cristiano è quella di predicare la “buona notizia del regno”. (2 Cor. 6:5; Matt. 24:14) Ma lo spirito santo, proprio come spinge i servitori di Dio a predicare, li sprona anche a sforzarsi con vigore di promuovere gli interessi del Regno tramite la costruzione di dignitosi luoghi di adunanza. Le congregazioni ne escono più motivate. Un fratello ha affermato: “Ora quando svolgiamo il ministero non abbiamo timore di invitare le persone alle adunanze, perché sappiamo che non entreranno in una baracca, ma in una Sala del Regno che glorifica Geova”.

Un altro fratello ha detto: “Forse qui nella foresta noi non meritiamo una Sala del Regno così bella, ma Geova sì. Sono felice che sia glorificato da luoghi di culto migliori”.

Sorveglianti viaggianti

I ministri di Dio hanno bisogno di perseveranza. (Col. 1:24, 25) I sorveglianti viaggianti sono esemplari nello spendersi per promuovere gli interessi del Regno. Questi pastori che rafforzano le congregazioni con le loro amorevoli fatiche si sono rivelati “doni negli uomini”. — Efes. 4:8; 1 Tess. 1:3.

Verso la fine degli anni ’30 uomini capaci furono addestrati come servitori regionali e di zona, oggi chiamati sorveglianti di circoscrizione e di distretto. “Non era facile raggiungere le congregazioni”, ricorda James Mwango. “Noi avevamo le biciclette, ma i fratelli dovevano accompagnarci a piedi per aiutarci a portare i bagagli. Ci volevano diversi giorni per arrivare a destinazione. Di solito stavamo due settimane con ogni congregazione”.

“Lanciò un urlo e svenne”

Viaggiare nelle zone interne era ed è tuttora un’impresa. Robinson Shamuluma, che ora ha più di 80 anni, prestò servizio come sorvegliante viaggiante insieme alla moglie Juliana. Una volta, durante la stagione delle piogge, si imbatterono in un temporale molto forte. Quando il temporale si acquietò la strada era libera, ma dovettero proseguire in bicicletta col fango che arrivava alla sella! Giunti alla successiva congregazione, Juliana era così stanca che a malapena ebbe la forza di bere un bicchier d’acqua.

Enock Chirwa, che fu sorvegliante sia di circoscrizione che di distretto negli anni ’60 e ’70, spiega: “Il lunedì era il giorno in cui viaggiavamo, un giorno difficile. Comunque, quando arrivavamo alla congregazione dimenticavamo il viaggio che avevamo fatto. Eravamo felici di stare coi fratelli”.

La distanza e le privazioni non erano le uniche difficoltà. Lamp Chisenga andò a visitare una congregazione nel nord del paese accompagnato da due fratelli. Stavano percorrendo una strada polverosa quando da lontano avvistarono un animale. “I fratelli non riuscivano a vederlo bene”, disse il fratello Chisenga. “Era seduto sulla strada come un cane. ‘Riuscite a vederlo?’, chiesi. ‘Riuscite a vederlo?’ Infine uno dei fratelli capì dalla sagoma che si trattava di un leone. Lanciò un urlo e svenne. Decidemmo di fermarci un po’ per permettere al leone di dileguarsi nella foresta”.

John Jason e sua moglie Kay, che servirono nel distretto per parte dei 26 anni trascorsi nella Zambia, impararono che quando si ha a che fare con problemi meccanici ci vuole pazienza. John disse: “Una volta facemmo 150 chilometri con le sospensioni rotte, perché non avevamo i pezzi di ricambio e non c’era un posto in cui fermarsi per chiedere aiuto. A un certo punto restammo in panne. Fermi e col motore surriscaldato, potevamo fare una cosa sola: usare tutta l’acqua che avevamo per raffreddare il motore e farci l’ultima tazza di tè. Isolati, accaldati e stanchi, ci sedemmo in macchina e pregammo Geova di aiutarci. Alle tre del pomeriggio vedemmo arrivare una ruspa, era il primo veicolo che passava quel giorno. Vedendo che eravamo nei guai, gli operai si offrirono di trainarci. Arrivammo dai fratelli appena prima che facesse buio”.

Imparano ad avere fiducia

In circostanze simili i sorveglianti viaggianti imparavano presto a riporre fiducia non nelle loro capacità o nei beni materiali, ma in fonti di sostegno più affidabili: Geova Dio e la fratellanza cristiana. (Ebr. 13:5, 6) “Dopo solo tre settimane che servivamo nel distretto avemmo un serio problema”, ricorda Geoffrey Wheeler. “Eravamo nel luogo dove durante il fine settimana si sarebbe tenuta l’assemblea. Mi avevano dato un fornello difettoso. Essendo una giornata calda e ventosa quando lo accesi uscì una fiammata. In pochi minuti il fuoco sfuggì al controllo. La ruota di scorta davanti alla Land Rover prese fuoco e le fiamme avvolsero in poco tempo l’intero veicolo”.

La perdita del mezzo di trasporto era già un grave danno, ma c’era di più. Geoffrey dice: “I nostri vestiti erano dentro la Land Rover in un baule nero di acciaio: non bruciarono, ma si rovinarono completamente. I fratelli andarono all’altro lato del veicolo in fiamme e ricuperarono il nostro letto, una camicia e la mia macchina da scrivere. Come fummo grati della loro prontezza!” Il sorvegliante e la moglie avevano perso i loro effetti personali nell’auto bruciata e per due mesi non sarebbero tornati in città. Cosa fecero? Geoffrey dice: “Un fratello mi prestò una cravatta e pronunciai il discorso pubblico con un paio di soprascarpe di gomma. Sopravvivemmo e i fratelli fecero tutto il possibile per consolare il loro inesperto sorvegliante di distretto”.

Un letto al riparo dai serpenti

L’amore e le premure mostrate dalle congregazioni che ‘seguono il corso dell’ospitalità’ incoraggiano i sorveglianti viaggianti e le loro mogli a proseguire in questa attività, che richiede abnegazione. Sono tantissimi i casi in cui le congregazioni, pur essendo nel bisogno, aiutano amorevolmente questi fratelli, il che è molto apprezzato. — Rom. 12:13; Prov. 15:17.

Spesso gli alloggi dei sorveglianti viaggianti sono spartani, ma vengono sempre provveduti con uno spirito amorevole. Fred Kashimoto, che fu sorvegliante di circoscrizione all’inizio degli anni ’80, ricorda la sera in cui arrivò in un villaggio nella provincia Settentrionale. Ricevette una calorosa accoglienza. Poi entrarono tutti in una casetta e i fratelli gli appoggiarono le valigie su un grosso tavolo le cui gambe erano alte un metro e mezzo. Quando si fece tardi il fratello Kashimoto chiese: “Dove posso dormire?”

Indicando il tavolo i fratelli risposero: “Lì, quello è il letto”. Evidentemente, essendoci molti serpenti, avevano voluto provvedergli un letto più sicuro. Il fratello Kashimoto, usando della paglia come materasso, si sistemò per la notte.

Nelle zone rurali le contribuzioni consistono spesso di prodotti agricoli o animali. “Una volta”, ricorda sorridendo Geoffrey Wheeler, “i fratelli ci diedero un pollo. Prima dell’imbrunire lo mettemmo su un trespolo nel gabinetto esterno, ma lui stupidamente cadde nel buco. Con l’aiuto di una zappa riuscimmo a tirarlo fuori vivo. Poi mia moglie lo lavò con acqua calda, sapone e un bel po’ di disinfettante. Ce lo mangiammo alla fine della settimana. Era proprio buono!”

Anche i Jason beneficiarono di una simile generosità. “Spesso i fratelli ci davano un pollo vivo”, raccontava John. “Al tempo in cui viaggiavamo nel distretto avevamo una gallina che tenevamo in un cesto. Faceva un uovo ogni mattina, per cui non avevamo intenzione di mangiarla. Quando preparavamo i bagagli per trasferirci in una nuova località, faceva ben capire che voleva venire con noi”.

I film

A partire dal 1954 diversi film, tra cui La Società del Nuovo Mondo all’opera, promossero una dinamica campagna di istruzione. “Molti sono stati incoraggiati a darsi da fare nel ministero e nella congregazione”, commentava il rapporto della filiale. Alcuni, mentre smantellavano il luogo dell’assemblea dopo la proiezione del film, usarono l’espressione: “Facciamolo come abbiamo visto nella ‘Società del Nuovo Mondo all’opera!’”, cioè “con vigore”. Nel primo anno dalla sua uscita quel film fu visto da oltre 42.000 persone, tra cui funzionari del governo e dell’istruzione, sui quali fece una buona impressione. Alla fine più di un milione di abitanti della Zambia conobbero i testimoni di Geova e la loro organizzazione cristiana.

Wayne Johnson, ricordando l’effetto dei film, dice: “Attiravano persone che venivano da chilometri di distanza e contribuirono notevolmente a far conoscere l’organizzazione di Geova. Spesso durante la proiezione c’erano applausi entusiastici e prolungati”.

La sessione serale del sabato alle assemblee di circoscrizione previde per un periodo la proiezione di una delle pellicole. Nella foresta era sempre un’esperienza emozionante. Questa iniziativa aveva un forte impatto, anche se alcuni che non conoscevano altre culture fraintesero certe scene. Una mostrava gente che usciva dalla metropolitana di New York e molti pensarono che raffigurasse la risurrezione. Comunque sia, quei film aiutarono la gente a conoscere meglio i testimoni di Geova. Purtroppo i tempi stavano cambiando e a causa del crescente desiderio di indipendenza nazionale molti zambiani sarebbero diventati ostili nei confronti dei fratelli. Congregazioni e sorveglianti viaggianti stavano per affrontare situazioni che avrebbero richiesto una perseveranza maggiore.

Intralci creati dalla politica

Il 24 ottobre 1964 la Rhodesia del Nord ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna e prese il nome di Zambia. In quel periodo si acuirono le tensioni politiche. La neutralità dei testimoni di Geova fu vista erroneamente come un tacito appoggio al perpetuarsi del dominio coloniale.

Lamp Chisenga ricorda un viaggio fatto allora verso il lago Bangweulu. Aveva in programma di recarsi in barca nelle isole per andare a trovare dei pescatori che erano Testimoni. Inizialmente prese un autobus per raggiungere la zona del lago. Quando scese gli fu chiesto di mostrare la tessera del partito, che ovviamente non aveva. Funzionari del partito gli presero la borsa. Appena uno di loro vide una scatola con la scritta “Watchtower”, suonò forte il fischietto e iniziò a gridare: “Watchtower! Watchtower!”

Temendo dei disordini, un ufficiale spinse Lamp di nuovo sull’autobus con le sue borse. La folla che si era assembrata iniziò a tirare pietre contro l’autobus, colpendo lo sportello, i finestrini e le gomme. Il conducente si allontanò a tutta velocità e senza mai fermarsi giunse a Samfya, a una novantina di chilometri di distanza. Durante la notte la situazione si calmò e la mattina dopo, imperterrito, Lamp salì in barca per andare a visitare le piccole congregazioni che stavano intorno al lago.

I sorveglianti viaggianti continuano a raccomandarsi come ministri di Dio “in molta perseveranza”. (2 Cor. 6:4) Fanwell Chisenga, la cui circoscrizione si estendeva lungo il fiume Zambesi, osserva: “Prestare servizio come sorvegliante di circoscrizione richiede devozione totale e spirito di sacrificio”. In quella zona andare da una congregazione all’altra significava fare lunghi viaggi su vecchie canoe che imbarcavano acqua, lungo un fiume in cui un ippopotamo infuriato poteva addentare e spezzare una canoa come fosse un ramo secco. Cosa aiutò Fanwell a perseverare nell’opera della circoscrizione? Guardando una fotografia che lo ritraeva insieme ai fratelli di una congregazione che lo accompagnavano alla sponda del fiume, sorride e ammette che una delle forze motivanti furono proprio i fratelli e le sorelle. E ripensandoci dice: “In quale altro posto si trovano volti così felici in questo mondo arrabbiato?”

Neutralità

“Uno che va alla guerra non si immischia in faccende della vita civile, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato”, scrisse l’apostolo Paolo. (2 Tim. 2:4, Nuova Riveduta) Per rimanere a completa disposizione del loro Condottiero, Gesù Cristo, i cristiani devono evitare di farsi coinvolgere dai sistemi politici e religiosi del mondo. Questa presa di posizione ha comportato difficoltà e “tribolazioni” ai veri cristiani, che desiderano rimanere neutrali negli affari del mondo. — Giov. 15:19.

Durante la seconda guerra mondiale molti furono trattati brutalmente per la loro mancanza di patriottismo. “Vedemmo dei vecchi gettati su un camion come sacchi di granturco perché avevano rifiutato il servizio militare”, ricorda Benson Judge, che sarebbe poi diventato uno zelante sorvegliante viaggiante. “Li sentimmo dire ‘Tidzafera za Mulungu’ (Moriremo per amore di Dio)”.

Anche se allora non era battezzato, Mukosiku Sinaali ricorda bene che durante la guerra si presentava spesso la questione della neutralità. “Tutti dovevano scavare per raccogliere le radici di mambongo, da cui si otteneva del buon latice. Le radici erano scortecciate e battute per ottenere delle strisce che venivano legate e lavorate. Questo materiale sostituiva la gomma nella fabbricazione degli stivali per i militari. I Testimoni si rifiutavano di raccogliere queste radici perché si trattava di un lavoro collegato allo sforzo bellico. Di conseguenza venivano puniti per mancanza di cooperazione e iniziarono a essere giudicati ‘elementi indesiderati’”.

Joseph Mulemwa era uno di questi. Originario della Rhodesia del Sud, si era trasferito nella provincia Occidentale della Rhodesia del Nord nel 1932. Qualcuno sosteneva che incoraggiasse la gente a smettere di coltivare i campi perché ‘il Regno era vicino’. Un ministro della missione Mavumbo che disprezzava Joseph aveva messo in giro questa falsa accusa. Joseph fu arrestato e ammanettato insieme a un uomo affetto da disturbi mentali. C’era chi sperava che l’uomo lo aggredisse. Joseph invece riuscì a calmarlo. Dopo il rilascio continuò a predicare e a visitare le congregazioni. Morì fedele a metà degli anni ’80.

Rafforzati in vista delle prove

A motivo dello spirito nazionalistico e delle tensioni sociali, coloro che per una questione di coscienza non se la sentivano di partecipare alla vita politica erano soggetti a intimidazioni. Benché nel paese ci fosse un clima teso, l’assemblea nazionale “Ministri coraggiosi” tenuta a Kitwe nel 1963 dimostrò chiaramente che tra i testimoni di Geova regnavano pace e unità. Il programma durò cinque giorni, fu presentato in quattro lingue e vi assisterono quasi 25.000 persone, alcune venute con tende e roulotte. Particolarmente significativo fu il discorso di Milton Henschel, incentrato sui rapporti che il cristiano deve avere con lo Stato. Frank Lewis ricorda: “Ci disse di aiutare i fratelli a capire la questione della neutralità. Come fummo contenti di ricevere consigli così appropriati, poiché in seguito la maggioranza dei fratelli della Zambia affrontò dure prove e rimase fedele a Geova!”

Negli anni ’60 i testimoni di Geova furono oggetto di un’estesa e violenta persecuzione, che incluse la distruzione dei loro beni. Case e Sale del Regno vennero rase al suolo. Encomiabilmente il governo reagì arrestando parecchi di coloro che compivano atti intimidatori. Quando la Rhodesia del Nord divenne Zambia, i testimoni di Geova si interessarono in modo particolare di un articolo della nuova costituzione relativo ai diritti umani. Purtroppo, però, un’ondata di patriottismo stava per colpire un obiettivo impensato.

Emblemi nazionali

In epoca coloniale i figli dei testimoni di Geova venivano puniti quando per motivi religiosi non cantavano l’inno nazionale o non salutavano la bandiera britannica. Dopo le rimostranze fatte alle autorità, il Ministero della Pubblica Istruzione divenne più tollerante e scrisse: “La vostra posizione riguardo al saluto alla bandiera è ben nota e rispettata, perciò nessun bambino dev’essere in alcun modo penalizzato per il suo rifiuto”. La nuova costituzione repubblicana alimentò la speranza che venissero garantite le libertà fondamentali, tra cui la libertà di coscienza, di pensiero e di culto, ma la nuova bandiera e il nuovo inno nazionale portarono un rigurgito di patriottismo. Le cerimonie quotidiane che includevano il saluto alla bandiera e l’inno nazionale furono reintrodotte con forza nelle scuole. Alcuni giovani Testimoni ottennero l’esonero, ma tanti altri furono picchiati e addirittura espulsi dalle scuole.

Una nuova legge sull’istruzione, varata nel 1966, diede ragione di sperare. Includeva un articolo che consentiva a un genitore o a un tutore di chiedere che un bambino fosse esonerato da servizi o cerimonie religiose. Perciò molti che erano stati sospesi o espulsi vennero riammessi. Poco tempo dopo, però, e con una certa segretezza, alla legge fu aggiunta una clausola che definiva la bandiera e l’inno simboli secolari atti a promuovere una coscienza nazionale. Nonostante i colloqui che i fratelli ebbero con le autorità, alla fine del 1966 oltre 3.000 bambini erano stati espulsi dalle scuole per la loro neutralità.

Niente scuola per Feliya

Era venuto il momento di verificare la legalità di tali azioni e fu scelto un caso per creare un precedente giuridico. Feliya Kachasu frequentava la scuola Buyantanshi, nel Copperbelt. Pur essendo nota come alunna modello, era stata espulsa. Frank Lewis spiega come il caso venne portato in tribunale: “Fu il signor Richmond Smith a presentare la nostra causa, che certo non era facile perché veniva intentata contro il governo. Egli accettò di difendere Feliya quando la sentì spiegare perché non aveva salutato la bandiera”.

Dailes Musonda, allora alunna di una scuola di Lusaka, dice: “Quando la causa di Feliya fu discussa in tribunale, ci attendevamo tutti un esito favorevole. Dei fratelli arrivarono da Mufulira per assistere alle udienze. Anch’io fui invitata insieme a mia sorella. Ricordo Feliya in tribunale con un vestito chiaro e un cappello bianco. Il processo durò tre giorni. Nel paese c’erano ancora alcuni missionari e due di loro, il fratello Phillips e il fratello Fergusson, vennero ad ascoltare. Pensavamo che la loro presenza sarebbe stata utile”.

Il presidente del tribunale concluse: “In questo caso nulla fa pensare che i testimoni di Geova intendano con le loro azioni mancare di rispetto alla bandiera o all’inno nazionale”. Tuttavia sentenziò che le cerimonie erano di natura secolare e che, malgrado le sue sincere convinzioni, Feliya non poteva chiedere l’esonero basandosi sugli articoli della legge sull’istruzione. Era convinto che le cerimonie erano necessarie per la sicurezza nazionale. In che modo l’imposizione di tale obbligo su un minore servisse gli interessi del popolo non fu mai chiarito. Quindi niente scuola per Feliya finché si fosse attenuta alle sue convinzioni cristiane!

Dailes ricorda: “Rimanemmo molto delusi, ma lasciammo tutto nelle mani di Geova”. Poiché le pressioni si facevano sempre più forti, nel 1967 Dailes e sua sorella lasciarono la scuola. Alla fine del 1968 erano stati espulsi quasi 6.000 figli di testimoni di Geova.

Limitate le riunioni pubbliche

La legge sull’ordine pubblico del 1966 stabiliva che tutte le riunioni pubbliche iniziassero con l’inno nazionale. Questo rese praticamente impossibile tenere assemblee aperte al pubblico. I fratelli assecondarono le richieste del governo tenendo grandi raduni in aree private recintate, di solito intorno alle Sale del Regno. Molti interessati, incuriositi, volevano sapere cosa si faceva, perciò il numero dei presenti crebbe costantemente, tanto che nel 1967 assisterono alla Commemorazione della morte di Cristo ben 120.025 persone.

“In quel periodo ci furono ondate di violenta opposizione”, ricorda Lamp Chisenga. “Nella zona di Samfya una folla aggredì il fratello Mabo, della congregazione di Katansha, e lo uccise. A volte i fratelli venivano assaliti durante le adunanze e molte Sale del Regno furono bruciate. Comunque, le autorità rispettavano i Testimoni e alcuni oppositori furono arrestati e puniti”.

Hanno le loro forze aeree!

Gli oppositori continuarono a lanciare false accuse contro i testimoni di Geova, affermando che erano molto ricchi e che avrebbero formato il nuovo governo. Un giorno il segretario del partito al governo si recò senza preavviso alla filiale di Kitwe. Il primo segnale del suo arrivo fu una schiera di agenti di polizia che i fratelli videro al cancello. Durante un colloquio con i rappresentanti della filiale si alterò. “Vi abbiamo dato il permesso di costruire questi edifici”, disse alzando la voce. “Cosa ne state facendo? Sono gli uffici del vostro governo?”

Tra le autorità c’erano alcuni che continuavano a dare retta a voci infondate. Nella provincia Nord-occidentale della Zambia la polizia cercò di far sospendere un’assemblea usando i lacrimogeni. I fratelli riuscirono a mandare un telegramma urgente alla filiale. Un agricoltore che risiedeva all’estero e aveva un piccolo velivolo portò a Kabompo in aereo altri rappresentanti della filiale affinché intervenissero per calmare la situazione e chiarire i malintesi. Purtroppo la cosa contribuì ad alimentare i sospetti di alcuni, che si misero a dire che i Testimoni avevano le loro forze aeree!

Sul posto i fratelli raccolsero con cautela i candelotti lacrimogeni usati e i rappresentanti della filiale li presentarono come prova dell’uso non necessario della forza quando espressero la loro preoccupazione ai funzionari del governo. L’episodio ebbe vasta risonanza e la reazione pacifica dei Testimoni non passò inosservata.

Chiariamo la nostra posizione

Le iniziative volte a vietare le attività dei testimoni di Geova continuavano senza posa. La filiale intendeva spiegare al governo la nostra posizione neutrale. Per parlare davanti a diversi ministri del governo furono designati Smart Phiri e Jonas Manjoni. Nel corso dell’incontro un ministro attaccò verbalmente i fratelli. “Vorrei portarvi fuori e darvele di santa ragione!”, disse. “Vi rendete conto di quello che avete fatto? Vi siete presi i cittadini migliori, la crema, e cosa ci avete lasciato? Assassini, adulteri e ladri!”

I fratelli risposero prontamente: “Ma anche alcuni di loro erano ladri, adulteri o assassini! È grazie al potere della Bibbia che sono cambiati e sono diventati i migliori cittadini della Zambia. Per questo vi chiediamo di lasciarci predicare liberamente”. — 1 Cor. 6:9-11.

Espulsioni e divieto parziale

Come abbiamo già detto, ai missionari era stato ordinato di lasciare il paese. “Non dimenticheremo mai il gennaio 1968”, disse Frank Lewis. “Un fratello ci telefonò per dirci che un funzionario dell’immigrazione era appena stato a casa sua per consegnargli la notifica di espulsione che gli dava sette giorni per cessare l’attività e lasciare la Zambia. Poco dopo arrivò un’altra telefonata e poi un’altra ancora. Infine un fratello chiamò perché aveva sentito dire che il grande complesso di Kitwe era il prossimo della lista”. Evidentemente queste misure drastiche erano volte a minare l’unità dei Testimoni e a scoraggiare la loro zelante attività.

L’anno dopo il presidente emanò un decreto sul mantenimento dell’ordine pubblico che vietava l’opera di casa in casa. Questo parziale divieto costrinse i fratelli a riorganizzare il ministero dando più importanza alla testimonianza informale. Il ministero del Regno divenne La lettera del mese e la parte “Presentazione della buona notizia” fu intitolata “Il nostro ministero interno”. Si evitava così di attirare l’attenzione dei censori del governo. Nell’aprile 1971 ci fu un massimo di quasi 48.000 studi biblici a domicilio, una chiara indicazione che gli sforzi mirati a limitare l’opera non avevano certo scoraggiato i fratelli.

Clive Mountford, che ora vive in Inghilterra e che aveva conosciuto molti missionari, ricorda: “Un modo in cui davamo testimonianza era offrendo un passaggio in macchina alle persone e parlando loro della verità. Proprio per questo tenevamo sempre in vista nella macchina delle riviste”.

Le restrizioni imposte non proibivano di parlare della Bibbia, ma si doveva ottenere il consenso della persona prima di farle visita. A volte si trattava semplicemente di andare a casa di parenti, ex compagni di scuola, colleghi e altri. Nel corso di una visita amichevole si poteva con tatto portare la conversazione su soggetti scritturali. Le famiglie allargate erano molto grandi, per cui si poteva venire in contatto con tanti parenti e membri non credenti della comunità.

Il rapporto della filiale del 1975 diceva: “Migliaia di proclamatori del nostro territorio non hanno mai predicato di casa in casa. Comunque sono stati fatti nuovi discepoli ed è stata data una testimonianza straordinaria”. Viste le restrizioni imposte sull’attività di porta in porta, i fratelli usarono altri modi per dare testimonianza. Tipico è l’esempio di un fratello che lavorava all’anagrafe. Il suo lavoro consisteva nel registrare nomi e altri dati dei cittadini che si presentavano allo sportello. Si interessava soprattutto di coloro che avevano nomi biblici e chiedeva loro se sapevano qualcosa del personaggio che portava quel nome. Così si creavano molte occasioni per dare testimonianza. Una volta arrivarono madre e figlia. Il fratello notò che la ragazza si chiamava Eden. Chiese alla madre se conosceva il significato di quel nome, ma essa rispose di no. Il fratello spiegò in due parole che nel prossimo futuro la terra sarà come l’originale Paradiso di Eden. La donna, incuriosita, gli diede il suo indirizzo. Anche il marito si interessò e iniziarono ad assistere alle adunanze. Alla fine alcuni membri di quella famiglia si battezzarono.

Anche altri proclamatori davano testimonianza sul lavoro. Royd, che lavorava per un’industria mineraria, usava la pausa del pranzo per chiedere ai colleghi cosa ne pensavano di determinati versetti. “Secondo voi chi è il ‘masso di roccia’ menzionato in Matteo 16:18?” o “Chi è la ‘pietra d’inciampo’ di cui si parla in Romani 9:32?” Spesso gli si radunavano intorno gruppi di minatori per ascoltare le spiegazioni scritturali. Grazie a queste conversazioni informali diversi suoi compagni di lavoro fecero progresso fino alla dedicazione e al battesimo.

La ferma presa di posizione dei ragazzi che andavano a scuola diede ad altri l’opportunità di udire la verità. Quando un gruppo di bambini rifiutò di cantare canti patriottici, l’insegnante si arrabbiò e ordinò alla classe di andare fuori nel cortile. Uno degli alunni raccontò: “Forse l’insegnante pensava che non sapessimo cantare nemmeno i nostri cantici e voleva approfittare della situazione per metterci in ridicolo. Disse che dovevamo dividerci per confessioni religiose e che ogni gruppo doveva cantare uno o due cantici della sua chiesa. Dopo che i ragazzi di due gruppi non erano riusciti a ricordarne nemmeno uno, l’insegnante si rivolse a noi. Iniziammo con il cantico ‘Questo è il Giorno di Geova!’ A quanto pare cantammo bene, perché i passanti si fermarono ad ascoltare. Proseguimmo con ‘Geova regna!’ Tutti, insegnante compreso, si misero ad applaudire. Quando tornammo in aula, molti compagni ci chiesero dove avevamo imparato dei cantici così belli e alcuni iniziarono a venire con noi alle adunanze, diventando poi Testimoni attivi”.

“Quelli che distribuiscono libri”

Durante tutto questo periodo i fratelli si mostrarono “cauti come serpenti e innocenti come colombe”. (Matt. 10:16) Per le loro inconfondibili pubblicazioni e per l’uso entusiastico che facevano dei manuali di studio biblico, i testimoni di Geova furono soprannominati Abaponya Ifitabo, cioè “Quelli che distribuiscono libri”. Malgrado i ripetuti tentativi degli oppositori di mettere a tacere i fratelli, l’opera di predicazione del Regno proseguì senza sosta. Gli episodi sporadici di opposizione violenta continuarono per anni, ma a partire dal 1980 la situazione si ammorbidì.

Nei 25 anni da che il paese aveva ottenuto l’indipendenza si battezzarono quasi 90.000 persone, tuttavia il numero dei proclamatori attivi crebbe solo di 42.000 circa. Come mai? È vero che alcuni erano morti e altri forse si erano trasferiti, ma come ricorda Neldie, che a quel tempo serviva alla filiale, “anche il timore dell’uomo ebbe il suo peso”. Molti diventarono irregolari o inattivi nel ministero. Inoltre l’indipendenza portò dei cambiamenti. I posti di lavoro dirigenziali e amministrativi, prima riservati a personale straniero, erano vacanti. Con queste nuove prospettive di alloggio, lavoro e istruzione, molte famiglie si concentrarono su obiettivi materiali anziché spirituali.

Comunque l’opera andava avanti. Il saggio re Salomone scrisse: “La mattina semina il tuo seme e fino alla sera non far riposare la tua mano; poiché non sai dove questo avrà successo, o qui o là, o se tutt’e due saranno ugualmente buoni”. (Eccl. 11:6) I fratelli si sforzavano di piantare i semi della verità, che germogliavano man mano che la situazione migliorava. Nel 1976, a motivo della continua crescita, fu acquistato un nuovo camion per la consegna delle pubblicazioni. Nel 1982 iniziarono i lavori di costruzione degli stabilimenti tipografici ad alcuni chilometri dalla Betel. Questi sviluppi concreti gettarono le basi per la crescita futura.

Nell’Africa centrale pochi paesi hanno goduto pace e libertà dai conflitti civili quanto la Zambia. Anche se ora le circostanze sono estremamente favorevoli per ‘dichiarare la buona notizia di cose buone’, il ricordo delle “tribolazioni” passate stimola i fedeli a continuare a impegnarsi per ‘raccogliere frutto per la vita eterna’. — Rom. 10:15; 2 Cor. 6:4; Giov. 4:36.

Ampliamento della filiale

Negli anni ’30 Llewelyn Phillips e quelli che lavoravano con lui assolvevano i loro compiti a Lusaka, dove era stata presa in affitto una casetta di due locali. Pochi si sarebbero immaginati l’attuale complesso della Betel, di 110 ettari, che ospita più di 250 volontari. Questi fratelli e sorelle soddisfano i bisogni spirituali di oltre 125.000 proclamatori e pionieri. Esaminiamo brevemente come è avvenuta questa crescita.

Come abbiamo visto, verso il 1936 l’atteggiamento delle autorità si era ammorbidito abbastanza da permettere l’apertura di un deposito a Lusaka. L’aumento richiese presto il trasferimento in una struttura più grande. Si riuscì ad avere un edificio residenziale vicino alla centrale della polizia. “C’erano due stanze da letto”, ricorda Jonas Manjoni. “La sala da pranzo era il Reparto Servizio e il portico il Reparto Spedizioni”. Nel 1951 Jonas prese due settimane di vacanza dal lavoro per servire alla Betel e poi tornò per rimanervi. “Era ben organizzata e c’era un’atmosfera allegra”, dice. “Ero nel Reparto Spedizioni col fratello Phillips, mi occupavo degli abbonamenti e mettevo i francobolli sui rotoli delle riviste. Era bello sapere che stavamo servendo i fratelli”. A Llewelyn Phillips si unì poi Harry Arnott e i due lavorarono insieme ai fratelli locali, tra cui Job Sichela, Andrew John Mulabaka, John Mutale, Potipher Kachepa e Morton Chisulo.

Con il fiorire dell’industria mineraria, il rapido sviluppo delle infrastrutture e l’arrivo di molte persone provenienti da tutto il paese, l’attenzione si spostava sempre più da Lusaka al Copperbelt. Ian Fergusson raccomandò l’acquisto di un immobile in una città mineraria e nel 1954 la filiale fu spostata a Luanshya, in King George Avenue. In breve tempo quei locali divennero troppo piccoli per aver cura del campo in rapida espansione, che includeva gran parte dell’Africa orientale. Nel 1959, quando venne per l’assemblea di distretto “Ministri svegli”, Nathan Knorr della sede mondiale visionò alcune possibili ubicazioni per la nuova filiale e diede l’autorizzazione a procedere con la costruzione. Geoffrey Wheeler ricorda: “Io, Frank Lewis e Eugene Kinaschuk andammo con un architetto a Kitwe per mettere i paletti sul nuovo terreno della Betel”. La nuova filiale con un edificio residenziale, una tipografia e una Sala del Regno fu dedicata a Geova il 3 febbraio 1962. Concludendo il programma della dedicazione degli edifici, Harry Arnott, allora servitore di filiale, richiamò l’attenzione sull’edificio più importante, quello spirituale, che ciascuno deve impegnarsi a costruire con i mattoni della fede, della speranza e dell’amore.

Queste strutture si rivelarono presto insufficienti a motivo dell’aumento dei proclamatori del Regno, che nei dieci anni successivi passarono da 30.129 a quasi 57.000. “Il fratello Knorr ci incoraggiò a intensificare l’attività di stampa”, ricordava Ian Fergusson. “Andai alla filiale di Elandsfontein, in Sudafrica, per consultarmi coi fratelli. Di lì a poco mandarono a Kitwe per via aerea una macchina da stampa”.

Oltre a libri e riviste, a Kitwe si produceva ogni mese Il ministero del Regno per il Kenya e altri paesi dell’Africa orientale. In breve tempo lo spazio nella piccola tipografia divenne insufficiente, per cui era necessario traslocare. L’amministrazione comunale non ci concesse di usare un terreno disponibile, allora si fece avanti un fratello che offrì un appezzamento di terra. La costruzione fu ultimata nel 1984. Per tre decenni Kitwe costituì il centro spirituale dell’opera di predicazione nella Zambia.

Nei difficili anni dopo l’espulsione dei missionari, il numero di coloro che lavoravano alla filiale era cresciuto al punto che 14 membri della famiglia Betel vivevano all’esterno con le loro famiglie. Per aver cura dell’opera che si prospettava erano necessari dei cambiamenti. Col tempo si costruirono due edifici residenziali e se ne prese uno in affitto per poter aumentare le dimensioni della famiglia. Ovviamente servivano nuove strutture. Meno male che all’orizzonte si profilavano circostanze decisamente più favorevoli. Nel 1986 fratelli che abitavano in posti strategici furono incaricati di cercare un terreno per la nuova filiale. Una quindicina di chilometri a ovest della capitale si trovò una fattoria di 110 ettari. Fu un’ottima scelta perché nella zona c’erano grandi riserve di acqua sorgiva. Dayrell Sharp osservò: “Credo che Geova ci abbia indirizzati verso questo bellissimo posto”.

Dedicazione e crescita

Sabato 24 aprile 1993 centinaia di servitori di Geova di vecchia data si radunarono per la dedicazione dei nuovi edifici. In mezzo ai 4.000 fratelli e sorelle locali c’erano più di 160 ospiti provenienti dall’estero, tra cui missionari che avevano dovuto lasciare il paese una ventina di anni prima. Theodore Jaracz, uno dei due membri del Corpo Direttivo presenti, pronunciò un discorso dal tema: “Raccomandiamoci come ministri di Dio”. Ricordò a coloro che avevano prestato fedelmente servizio per molti anni che se non avessero perseverato non ci sarebbe stato bisogno di costruire. Riferendosi a ciò che Paolo disse ai corinti, sottolineò che un vero ministro coltiva il frutto dello spirito, che permette di sopportare difficoltà, prove e tribolazioni. “Vi siete raccomandati come ministri di Dio”, osservò. “Abbiamo dovuto costruire questa nuova filiale a motivo dell’espansione dell’opera”.

Nel 2004 fu completato un nuovo edificio residenziale di quattro piani con 32 stanze. Lo stabile della tipografia, di circa 1.000 metri quadri, è stato riadattato e ora comprende 47 uffici per la traduzione, oltre ad archivi, sale riunioni e una biblioteca.

Malgrado le difficoltà economiche e di altro genere, i testimoni di Geova della Zambia si sono arricchiti spiritualmente servendo Dio, e considerano un privilegio condividere queste ricchezze con altri. — 2 Cor. 6:10.

Raccomandano la verità a tutti

Nel corso degli anni molti sono stati allevati nella via della verità anche grazie al fatto che nella Zambia si dà molta importanza alla famiglia. Nella provincia Occidentale c’è un detto: “Una mucca non trova pesanti le sue corna”. In altre parole, il compito di badare alla famiglia non dovrebbe essere considerato un peso. I genitori cristiani riconoscono la loro responsabilità davanti a Dio ed esercitano un’influenza positiva sui figli, raccomandando il ministero cristiano con le parole e con i fatti. Oggi molti Testimoni sono gli zelanti discendenti di cristiani leali. — Sal. 128:1-4.

I testimoni di Geova della Zambia si rallegrano dei risultati raggiunti grazie alla pazienza e al sostegno di Geova. (2 Piet. 3:14, 15) All’inizio le loro “veraci” convinzioni, basate sulla Bibbia, li aiutarono a superare un periodo di incertezze. Il vivo “amore senza ipocrisia” ha continuato a unire persone provenienti da tribù diverse e a portare una costante crescita spirituale senza troppe difficoltà. Usando “le armi della giustizia” per difendersi e per comunicare informazioni con “benignità”, hanno aperto la mente di molti, inclusi coloro che hanno autorità, spesso facendosi una “buona fama”. Ora più di 2.100 congregazioni sono state fermamente stabilite grazie alla “conoscenza”, man mano che fratelli capaci diplomatisi alla Scuola di Addestramento per il Ministero contribuiscono a provvedere la sorveglianza necessaria. Anche se possono arrivare “tribolazioni” peggiori, i testimoni di Geova sono fiduciosi di potersi ‘sempre rallegrare’ radunandosi insieme. — 2 Cor. 6:4-10.

Nell’anno di servizio 1940 circa 5.000 persone si attennero al comando di Gesù di commemorare la sua morte, cioè più o meno un abitante su 200. Negli ultimi anni più di mezzo milione di persone — 569.891 nel 2005 — hanno onorato Geova in quella serata speciale, più o meno una persona su 20. (Luca 22:19) Perché il popolo di Geova ha ottenuto questi risultati? Il merito va a Geova Dio, l’unico che può far crescere spiritualmente. — 1 Cor. 3:7.

Anche i testimoni di Geova della Zambia, però, hanno fatto la loro parte. “Parlare della buona notizia non ci imbarazza. Per noi è un privilegio”, osserva un membro del Comitato di Filiale. Coloro che vengono nella Zambia notano che i testimoni di Geova svolgono il loro ministero con determinazione e cortesia. Non per niente la proporzione è di un proclamatore su 90 abitanti. Eppure c’è ancora da fare.

“Il nome di Geova è una forte torre. Il giusto vi corre e gli è data protezione”. (Prov. 18:10) C’è ancora urgente bisogno che coloro che sono giustamente disposti si schierino dalla parte di Geova. Gli studi biblici che si tengono ogni mese nella Zambia, ora quasi 200.000, aiuteranno molti altri a dedicarsi a Geova e a diventare suoi zelanti ministri. Gli oltre 125.000 Testimoni attivi della Zambia hanno ogni ragione per raccomandare il ministero cristiano.

[Riquadro a pagina 168]

Panoramica della Zambia

Il paese: La Zambia, che si trova su un altopiano a circa 1.200 metri di altitudine, è un paese ricco di foreste e non ha sbocco al mare. Il suo confine meridionale è delimitato in gran parte dal fiume Zambesi.

La popolazione: La maggioranza degli abitanti sa leggere e scrivere e si professa cristiana. Nelle aree rurali la gente vive in capanne con il tetto di paglia e coltiva la terra nelle vicinanze.

La lingua: La lingua ufficiale è l’inglese, anche se si parlano più di 70 idiomi locali.

Le risorse economiche: Le industrie principali sono quelle legate all’estrazione e alla lavorazione del rame. Tra i prodotti agricoli ci sono mais, sorgo, riso e arachidi.

L’alimentazione: Il mais è molto diffuso. Tra i piatti preferiti c’è una specie di polenta chiamata nshima.

Il clima: A motivo dell’altitudine il clima è più mite di quello che ci si aspetterebbe da un paese dell’Africa centro-meridionale. Ci sono periodi di siccità.

[Riquadro/Immagine alle pagine 173-175]

Mi diedero 17 mesi e 24 frustate

Kosamu Mwanza

Nato: 1886

Battezzato: 1918

Profilo: Perseverò nonostante la persecuzione e i falsi fratelli. Servì fedelmente come pioniere e anziano sino alla fine della sua vita terrena, nel 1989.

All’inizio della prima guerra mondiale mi arruolai nell’esercito. Ero attendente medico nel reggimento della Rhodesia del Nord. Nel dicembre 1917, mentre ero in licenza, conobbi due uomini della Rhodesia del Sud che si erano uniti agli Studenti Biblici. Mi diedero sei volumi degli Studi sulle Scritture. Li divorai in tre giorni e non tornai al fronte.

La corrispondenza con la filiale dei testimoni di Geova era difficoltosa, perciò io e i fratelli che erano con me operavamo senza guida. Andavamo di villaggio in villaggio, radunavamo le persone, pronunciavamo un sermone e rispondevamo alle domande che ci venivano fatte. In seguito scegliemmo un posto centrale in cui radunarci, detto Galilea, nel nord del paese. Da lì invitavamo gli interessati a venire ad ascoltare spiegazioni su argomenti biblici. Fui incaricato di occuparmi della cosa. Purtroppo sorsero molti falsi fratelli, che crearono confusione.

Eravamo desiderosi di predicare, ma il nostro impegno creava scompiglio nei pascoli dei missionari cattolici e protestanti della zona. Continuavamo a tenere grandi adunanze. Ricordo che nel gennaio 1919 ci riunimmo in 600 sulle colline vicino a Isoka. Arrivarono la polizia e i soldati che, non conoscendo le nostre intenzioni, distrussero Bibbie e libri e arrestarono me e molti altri. Alcuni furono messi in prigione vicino a Kasama, altri a Mbala e altri a Livingstone, ben più a sud. Qualcuno fu condannato a tre anni, a me diedero 17 mesi di prigione e 24 frustate sul sedere.

Appena fui rilasciato tornai al mio villaggio e ripresi l’opera di predicazione. In seguito fui di nuovo arrestato, frustato e imprigionato. L’opposizione continuò. Il capo locale decise di espellere i fratelli dal villaggio. Ce ne andammo tutti in un altro villaggio, il cui capo ci fece una buona accoglienza. Ci stabilimmo lì e col suo permesso ci costruimmo un nostro villaggio, che chiamammo Nazaret. Ci fu concesso di rimanere a condizione che la nostra attività non turbasse la pace. Il capo fu contento del nostro comportamento.

Verso la fine del 1924 tornai a Isoka, nel nord, dove un commissario distrettuale comprensivo mi aiutò a capire meglio l’inglese. In quel periodo sorsero alcuni sedicenti capi che, insegnando cose distorte, sviarono molti. Noi continuammo a riunirci con circospezione in case private. Parecchi anni dopo fui invitato a Lusaka per incontrarmi con Llewelyn Phillips, che mi incaricò di visitare le congregazioni lungo il confine tra Zambia e Tanzania. Andai fino a Mbeya, in Tanzania, per rafforzare i fratelli. Dopo ogni giro tornavo alla mia congregazione. Feci così fino agli anni ’40, quando furono nominati dei sorveglianti di circoscrizione.

[Riquadro/Immagini alle pagine 184-186]

Si aiutano i paesi a nord della Zambia

Dal 1948 la filiale della Rhodesia del Nord, appena aperta, si occupò della sorveglianza dell’opera di predicazione in buona parte di quella che era chiamata Africa Orientale Britannica. A quel tempo c’erano pochi proclamatori nelle zone montuose a nord della Zambia. Dal momento che le autorità dell’epoca erano riluttanti a far entrare missionari stranieri, chi avrebbe aiutato gli umili a imparare la verità?

Happy Chisenga si offrì di prestare servizio come pioniere regolare nella provincia Centrale della Zambia, ma con sua sorpresa fu invece invitato ad andare in un territorio isolato vicino a Njombe, in Tanzania. “Vedendo la parola ‘isolato’, io e mia moglie immaginammo che avremmo compiuto l’opera con i proclamatori di una zona remota. Ma presto capimmo che eravamo i primi a predicare in quel luogo. Le persone si meravigliavano quando mostravamo nella loro Bibbia il nome Geova e alcune espressioni come Armaghedon. Così iniziarono a chiamare me Geova e mia moglie Armaghedon. Infine ci trasferimmo ad Arusha, ma lasciammo a Njombe un solido gruppo di proclamatori”.

Nel 1957 William Lamp Chisenga fu incaricato di prestare servizio come pioniere speciale sulle montagne intorno a Mbeya, in Tanzania. “Arrivai in novembre insieme a mia moglie Mary e ai nostri due bambini. Passammo la notte al capolinea dell’autobus perché gli alberghi del posto erano pieni. Faceva freddo e pioveva, ma eravamo ansiosi di vedere come Geova avrebbe diretto le cose. La mattina seguente lasciai la famiglia al capolinea per andare in cerca di una sistemazione. Non sapevo dove sarei andato, ma presi con me alcune copie della Torre di Guardia. Avevo già lasciato diverse riviste quando arrivai all’ufficio postale e incontrai un uomo che si chiamava Johnson. ‘Da dove vieni e dove stai andando?’, mi chiese. Gli dissi che ero venuto a predicare la buona notizia. Appena seppe che ero testimone di Geova mi disse che veniva da Lundazi, nella provincia Orientale della Zambia, e che era un Testimone battezzato ma inattivo. Prendemmo accordi per portare la mia famiglia e i bagagli a casa sua. Col tempo Johnson e sua moglie si ripresero spiritualmente e ci aiutarono a imparare il swahili. Alla fine tornò nella Zambia e divenne un attivo predicatore della buona notizia. Quell’esperienza mi insegnò a non sottovalutare mai la capacità di Geova di aiutarci e a non farmi sfuggire le occasioni per aiutare gli altri”.

Svolgendo il servizio a tempo pieno, Bernard Musinga si ritrovò ad andare con la moglie Pauline e i figli in diversi paesi, tra cui l’Uganda, il Kenya e l’Etiopia. Parlando di una visita alle Seicelle, Bernard racconta: “Nel 1976 fui mandato a visitare un gruppo nella bella isola di Praslin. Gli abitanti erano ferventi cattolici ed erano sorti dei malintesi. Per esempio, il figlio di un nuovo proclamatore durante le lezioni di matematica si era rifiutato di usare il più, spiegando: ‘È una croce e io non credo nella croce’. A causa di ciò i capi religiosi affermarono che ‘i testimoni di Geova non volevano far studiare la matematica ai loro figli’, un’accusa ridicola. In un colloquio con il ministro dell’Istruzione spiegammo le nostre credenze e chiarimmo il malinteso. I buoni rapporti che si crearono con lui agevolarono l’ingresso dei missionari”.

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Happy Mwaba Chisenga

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William Lamp Chisenga

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Bernard e Pauline Musinga

[Riquadro/Immagine alle pagine 191 e 192]

“Stai buttando via il tuo avvenire!”

Mukosiku Sinaali

Nato: 1928

Battezzato: 1951

Profilo: Diplomato di Galaad ed ex traduttore, ora presta servizio come anziano di congregazione.

Il giorno in cui mi battezzai il missionario Harry Arnott mi disse che c’era bisogno di traduttori di lingua silozi. “Puoi aiutarci?”, mi chiese. Di lì a poco ricevetti una lettera che mi assegnava l’incarico, e una copia della Torre di Guardia. Mi misi con entusiasmo al lavoro quella sera stessa. Non era facile. Dovevo scrivere per ore con penna e inchiostro, e non esisteva un dizionario di silozi. Di giorno lavoravo all’ufficio postale e di notte traducevo. A volte ricevevo un sollecito dalla filiale: “Per favore spedisci subito la traduzione”. Spesso mi chiedevo: ‘Perché non intraprendo il servizio a tempo pieno?’ Alla fine mi licenziai. Benché alle poste si fidassero di me, il mio licenziamento destò dei sospetti. Mi ero appropriato illecitamente di fondi? L’ufficio postale mandò due ispettori europei per una verifica. La loro minuziosa ispezione non evidenziò alcun illecito. Non riuscivano a capire perché mi licenziassi. I miei superiori mi offrirono una promozione per farmi rimanere e, quando rifiutai, mi dissero: “Stai buttando via il tuo avvenire!”

Non era vero. Nel 1960 fui invitato alla Betel e poco dopo a frequentare la Scuola di Galaad. Ero in ansia perché avrei viaggiato in aereo per la prima volta. Sul volo per New York, con scalo a Parigi e Amsterdam, pensai: ‘Chissà se è così che si sentono gli unti quando vanno in cielo’. La calorosa accoglienza che ricevetti alla sede mondiale fu toccante; i fratelli erano molto umili e non avevano pregiudizi. Fui rimandato nella Zambia, dove continuai il mio lavoro di traduttore.

[Riquadro/Immagine a pagina 194]

Più veloce delle aquile

Katuku Nkobongo è disabile, non può camminare. Una domenica, durante la visita del sorvegliante di circoscrizione, arrivò all’improvviso la notizia che i ribelli stavano avanzando verso il villaggio in cui viveva. Tutti fuggirono. Uno degli ultimi ad andare via fu il sorvegliante di circoscrizione, Mianga Mabosho. Quando montò in bicicletta per mettersi in salvo sentì gridare da una capanna vicina: “Fratello, vuoi lasciarmi qui?” Era Katuku. Il sorvegliante lo aiutò in tutta fretta a salire sulla bicicletta e uscirono dal villaggio.

Si diressero a sud verso la Zambia su un terreno accidentato. Il fratello Nkobongo dovette trascinarsi su per ripidi pendii. Il sorvegliante di circoscrizione racconta: “Io avevo le gambe buone, eppure lui arrivò in cima prima di me! Pensai: ‘Quest’uomo è zoppo, ma è come se avesse le ali!’ Finalmente arrivammo in un posto più sicuro e ci diedero qualcosa da mangiare, allora chiesi al fratello di pronunciare la preghiera. Le sue parole accorate mi fecero venire le lacrime agli occhi. Facendo riferimento a Isaia, capitolo 40, disse: ‘Le tue parole sono vere, Geova. I ragazzi si stancheranno e anche si affaticheranno, e i giovani stessi immancabilmente inciamperanno, ma quelli che sperano in te riacquisteranno potenza. Saliranno con ali come aquile. Correranno e non si affaticheranno; cammineranno e non si stancheranno’. E aggiunse: ‘Grazie, Geova, per avermi reso più veloce delle aquile del cielo’”.

[Riquadro/Immagine alle pagine 204 e 205]

Calzoncini cachi e scarpe da tennis marroni

Philemon Kasipoh

Nato: 1948

Battezzato: 1966

Profilo: È sorvegliante viaggiante nonché istruttore e coordinatore della Scuola di Addestramento per il Ministero nella Zambia.

Fu mio nonno a prepararmi per il ministero. Spesso mi portava dai miei compagni di scuola e mi diceva di dar loro testimonianza. Teneva un regolare studio familiare e a nessuno era permesso sonnecchiare! Attendevo sempre con ansia lo studio familiare.

Mi battezzai in un fiume vicino a casa. Un mese dopo pronunciai il mio primo discorso nella congregazione. Ricordo che quel giorno mi ero messo dei pantaloncini nuovi color cachi e un paio di scarpe da tennis marroni. Purtroppo mi ero allacciato le scarpe troppo strette, per cui ero a disagio. Il servitore di congregazione se ne accorse. Fu così premuroso da salire sul podio e allentarmi i lacci mentre io rimanevo in silenzio. Il discorso andò bene e imparai molto da quell’azione gentile. Geova mi ha provveduto davvero un ottimo addestramento.

Ho visto con i miei occhi l’adempimento di Isaia 60:22. A motivo dell’aumento del numero delle congregazioni, c’è bisogno di più anziani e servitori di ministero preparati ad assolvere le loro responsabilità. La Scuola di Addestramento per il Ministero sta soddisfacendo questo bisogno. Sono molto felice di insegnare a questi giovani. Ho imparato che quando Geova ti dà un lavoro da svolgere, di sicuro ti dà anche il suo spirito santo.

[Riquadro/Immagini alle pagine 207-209]

“Oh, questo è niente”

Edward e Linda Finch

Nati: 1951

Battezzati: Rispettivamente nel 1969 e nel 1966

Profilo: Diplomati della 69ª classe di Galaad. Edward è il coordinatore del Comitato di Filiale della Zambia.

Dopo un’assemblea stavamo viaggiando in auto nel nord del paese. C’erano poche strade, solo dei sentieri battuti. A parecchi chilometri da un villaggio vedemmo delle persone che ci venivano incontro a piedi tra cui un uomo anziano ricurvo che camminava con un bastone. Teneva in spalla gli stivali legati tra loro e una piccola sacca con gli effetti personali. Avvicinandoci vedemmo che avevano tutti il distintivo dell’assemblea. Ci fermammo e chiedemmo loro da dove venivano. Il fratello anziano si drizzò un po’ e disse: “Ve ne siete già dimenticati? Eravamo insieme a Chansa per l’assemblea. Ormai stiamo arrivando a casa”.

“Quando ve ne siete andati dall’assemblea?”, chiedemmo.

“Domenica, alla fine del programma”.

“Ma è mercoledì pomeriggio. State camminando da tre giorni?”

“Sì, e ieri notte abbiamo sentito i leoni”.

“Siete davvero da lodare per l’eccellente spirito che mostrate e per i sacrifici che fate per assistere alle assemblee”.

Il fratello anziano raccolse le sue cose e riprese a camminare. “Oh, questo è niente”, disse. “Ringraziate i fratelli della filiale per aver scelto questo luogo per l’assemblea. L’anno scorso ci sono voluti cinque giorni di cammino, quest’anno solo tre”.

Nella Zambia molti ricordano il 1992 come un anno di carestia. Eravamo a un’assemblea sulle sponde dello Zambesi, circa 200 chilometri a monte delle cascate Vittoria. Una sera visitammo le famiglie, la maggioranza delle quali era riunita intorno al fuoco davanti alle piccole capanne. Una ventina di fratelli cantavano i cantici del Regno. Venimmo a sapere che erano arrivati all’assemblea dopo otto giorni di cammino, ma pensavano di non aver fatto nulla di speciale. Avevano caricato i bambini piccoli, il cibo, gli utensili per cucinare e altre cose necessarie sugli animali e avevano dormito dove capitava.

Il giorno seguente, all’assemblea fu annunciato che molti erano stati colpiti dalla siccità e che si stava facendo qualcosa per aiutarli. Quella sera si presentarono alla nostra capanna tre fratelli. Erano scalzi e indossavano abiti vecchi. Pensavamo ci dicessero che erano tra quelli colpiti dalla siccità. Invece dissero che si erano rattristati molto sapendo che alcuni fratelli soffrivano. Uno di loro tirò fuori dalla tasca della giacca una busta piena zeppa di soldi e disse: “Per favore, non lasciate che soffrano la fame. Ecco, comprate loro qualcosa da mangiare”. Eravamo talmente commossi che non riuscimmo nemmeno a ringraziarli, e andarono via prima che ci riprendessimo. Non erano venuti all’assemblea preparati per fare questa donazione, per cui il loro era davvero un grosso sacrificio. Sono esperienze come queste che ci fanno sentire sempre più vicini ai fratelli.

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Malgrado le difficoltà molti percorrono grandi distanze per assistere alle assemblee

Sopra: si prepara la cena nel luogo dell’assemblea

A sinistra: si cuociono panini in un forno all’aperto

[Riquadro/Immagine alle pagine 211-213]

Decisi a riunirsi

Aaron Mapulanga

Nato: 1938

Battezzato: 1955

Profilo: È stato betelita, traduttore e membro del Comitato di Filiale. Ora è padre di famiglia e anziano.

Era il 1974 e avevamo l’assemblea di distretto a una decina di chilometri da Kasama. Anche se il capo locale ci aveva dato il permesso di radunarci, la polizia insisteva che l’assemblea fosse sciolta. Il comandante, un uomo grande e grosso, si presentò con un centinaio di agenti paramilitari che circondarono il luogo. Mentre proseguiva il programma, in una capanna che fungeva da ufficio ci fu un’animata discussione per ottenere i permessi senza dover suonare l’inno nazionale.

Quando arrivò il momento in cui dovevo svolgere la mia parte, cioè il discorso chiave, il comandante mi seguì sul podio per cercare di impedirmelo. L’uditorio si chiedeva come sarebbe andata a finire. Il comandante rimase in piedi per un po’ fissando l’uditorio, composto da circa 12.000 persone, e poi se ne andò infuriato. Dopo il discorso lo trovai ad aspettarmi dietro al podio, molto seccato. Ordinò ai suoi uomini di sciogliere il raduno, ma tra gli agenti di grado superiore sorse una disputa e se ne andarono. Poco dopo tornarono con un librone. Il comandante lo appoggiò sul tavolo davanti a me e mi chiese di leggere la parte indicata. La lessi tra me e me.

“Giustissimo”, affermai. “Qui dice: ‘L’ufficiale è autorizzato a sciogliere ogni raduno che costituisca una minaccia per la pace’”. Guardando il cinturone e le rivoltelle del comandante continuai: “Qui l’unica minaccia è la sua presenza e quella dei suoi uomini, che sono armati. Noi abbiamo solo Bibbie”.

Il comandante si rivolse immediatamente a un agente dei servizi segreti e disse: “Che cosa le avevo detto? Andiamo!” Mi portarono alla centrale della polizia.

Quando arrivammo nel suo ufficio, prese il telefono e si mise a parlare con un altro ufficiale. Fino ad allora avevamo conversato in inglese, ma ora iniziò a parlare silozi. Ovviamente non sapeva che era anche la mia lingua. Parlarono di me. Io me ne stetti zitto zitto ed evitai di dare l’impressione di capire ciò che stava dicendo. Riattaccando il ricevitore disse: “Ora mi ascolti bene!”

Gli risposi in silozi: “Eni sha na teeleza!”, cioè: “Sissignore, sto ascoltando!” Visibilmente sorpreso, si sedette e mi guardò per un bel po’. Poi si alzò, si diresse verso un grande frigorifero che era nell’angolo dell’ufficio e mi offrì una bibita fresca. L’atmosfera si fece più rilassata.

In seguito arrivò un fratello che era un uomo d’affari molto rispettato nella zona. Demmo al comandante alcuni chiarimenti che lo tranquillizzarono, e la tensione svanì. Grazie all’aiuto di Geova divenne più semplice organizzare le assemblee.

[Riquadro/Immagine a pagina 221]

Magro come un chiodo

Michael Mukanu

Nato: 1928

Battezzato: 1954

Profilo: Ex sorvegliante viaggiante, ora presta servizio alla Betel della Zambia.

La mia circoscrizione includeva una valle alle spalle di una scarpata. Spesso ero tormentato dalle mosche tse-tse. Per evitare gli insetti e la calura del giorno, quando mi dovevo trasferire in un’altra congregazione mi alzavo all’una di notte e andavo su per monti e colli. Visto che dovevo camminare tanto, mi portavo solo poche cose. Non avevo molto da mangiare, per cui ero magro come un chiodo. I fratelli pensavano che prima o poi sarei morto e volevano scrivere alla filiale per chiedere che mi mandassero in un altro posto. Quando me lo dissero risposi: “Grazie per il pensiero, ma dovreste ricordare che è stato Geova a darmi questo incarico e lui può cambiarlo. Se muoio qui non sarò certo il primo. Lasciatemi continuare. Se dovessi morire, ricordatevi semplicemente di avvisare la filiale”.

Tre settimane dopo venni mandato in un altro territorio. È vero che servire Geova può essere difficile, ma bisogna andare avanti. Geova è il felice Dio, quindi se i suoi servitori non sono felici può fare qualcosa perché continuino a servirlo con gioia.

[Riquadro/Immagine alle pagine 223 e 224]

Non siamo superstiziosi

Harkins Mukinga

Nato: 1954

Battezzato: 1970

Profilo: È stato sorvegliante viaggiante insieme alla moglie e ora servono alla Betel della Zambia.

Quando viaggiavamo, io e mia moglie Idah portavamo con noi il nostro unico figlio, che aveva due anni. Una volta arrivammo in una congregazione dove fummo accolti calorosamente dai fratelli. Il giovedì mattina, però, il bambino iniziò a piangere e non ci fu modo di farlo smettere. Alle otto lo lasciai alle cure di Idah e andai all’adunanza per il servizio di campo. Un’ora più tardi, mentre conducevo uno studio biblico, qualcuno mi disse che mio figlio era morto. Diversi fratelli pensarono che qualcuno gli avesse fatto una fattura, il che ci rattristò ulteriormente. Cercammo di convincerli che questa comune paura era infondata, ma la notizia si diffuse in un batter d’occhio in tutto il territorio. Spiegai che Satana è potente, ma non può sopraffare Geova e i suoi leali servitori. “Il tempo e l’avvenimento imprevisto” capitano a tutti noi, ma non dovremmo affrettarci a trarre conclusioni dettate dalla paura. — Eccl. 9:11.

Nostro figlio doveva essere sepolto il giorno seguente. Dopo il funerale tenemmo comunque l’adunanza. Da questo i fratelli trassero una lezione: non temevamo gli spiriti malvagi né eravamo superstiziosi. Nonostante il grande dolore proseguimmo la nostra settimana speciale di attività e partimmo per un’altra congregazione. Anziché essere i fratelli delle congregazioni a confortare noi per ciò che era successo, fummo noi a confortare e incoraggiare loro ricordando che nel prossimo futuro la morte non ci sarà più.

[Riquadro/Immagine alle pagine 228 e 229]

Ci facemmo coraggio

Lennard Musonda

Nato: 1955

Battezzato: 1974

Profilo: Presta servizio a tempo pieno dal 1976. È stato sorvegliante viaggiante per sei anni e ora serve alla Betel della Zambia.

Ricordo che nel 1985 visitavo le congregazioni nell’estremità settentrionale del paese, dove anni prima c’era stata una forte opposizione politica. Ero stato nominato sorvegliante di circoscrizione da poco, e mi si presentò l’opportunità di mostrare fede e coraggio. Un giorno, finita l’adunanza per il servizio di campo, stavamo per recarci in un villaggio vicino. Un fratello però aveva sentito dire che se i testimoni di Geova si fossero azzardati a predicare là sarebbero stati presi a botte dagli abitanti. È vero che alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70 c’erano state aggressioni da parte delle folle, ma non potevo credere che a questo punto avremmo subìto violenze da parte di un’intera comunità.

Comunque alcuni proclamatori sentito questo ebbero paura e si tirarono indietro. Io e altri, un buon numero, ci facemmo coraggio e ci dirigemmo verso il villaggio. Fummo stupiti di come andarono le cose. Lasciammo molte riviste e facemmo conversazioni amichevoli con le persone che incontrammo. Alcuni che ci avevano visti entrare nel villaggio, invece, erano corsi via. Vedemmo pentole abbandonate sul fuoco e case lasciate aperte. Così, anziché avere uno scontro, fummo testimoni di una ritirata.

[Riquadro/Immagine alle pagine 232 e 233]

Dovetti scappare per mettermi in salvo

Darlington Sefuka

Nato: 1945

Battezzato: 1963

Profilo: È stato pioniere speciale, sorvegliante viaggiante e volontario alla Betel della Zambia.

Era il 1963, un periodo turbolento. Spesso, quando svolgevamo il ministero di campo, gruppi di giovani attivisti politici ci precedevano dicendo alle persone di non ascoltarci altrimenti sarebbero venuti a fracassare le loro porte e finestre.

Una sera, appena due mesi dopo il mio battesimo, fui malmenato da un gruppo di 15 ragazzi, e persi sangue dalla bocca e dal naso. Un’altra sera io e un fratello fummo aggrediti da una quarantina di persone che ci avevano seguito fino al mio alloggio. Ricordare cosa aveva passato il Signore Gesù mi rafforzò. Nel discorso pronunciato al mio battesimo, il fratello John Jason aveva detto chiaramente che la vita di un cristiano non sarebbe stata priva di problemi. Quindi ciò che successe non mi sorprese, anzi mi incoraggiò.

A quel tempo i politici volevano essere sostenuti nella lotta per l’indipendenza e scambiavano la nostra posizione neutrale per allineamento con europei e americani. I capi religiosi che appoggiavano i gruppi politici non si lasciavano sfuggire occasione per alimentare le dicerie sul nostro conto. Prima dell’indipendenza la situazione era difficile, e tale rimase anche dopo. Molti fratelli persero il lavoro perché non prendevano la tessera del partito. Alcuni se ne andarono dalle città e tornarono ai villaggi di origine, accettando lavori poco retribuiti per evitare richieste di contributi a sostegno delle attività politiche.

Quando ero adolescente si prendeva cura di me mio cugino, che non era Testimone. Poiché ero neutrale, la sua famiglia ricevette intimidazioni e minacce. Avevano paura. Un giorno, prima di andare al lavoro, mio cugino mi disse: “Stasera, quando torno, non voglio trovarti qui”. Pensavo che scherzasse, perché non avevo altri parenti in città e non sapevo dove andare. Ma poi capii che faceva sul serio. Quando tornò a casa e mi trovò lì andò su tutte le furie. Raccolse delle pietre minacciandomi. “Vattene dalle carogne che frequenti!”, gridò. Dovetti scappare per mettermi in salvo.

La cosa arrivò all’orecchio di mio padre, che mi mandò a dire: “Se intendi rimanere neutrale non mettere più piede in casa mia”. Fu molto dura. Avevo 18 anni, chi mi avrebbe preso in casa? Fui accolto dalla congregazione. Medito spesso sulle parole del re Davide: “Nel caso che il mio proprio padre e la mia propria madre davvero mi lasciassero, pure Geova stesso mi accoglierebbe”. (Sal. 27:10) Posso affermare che Geova ha mantenuto la promessa.

[Riquadro/Immagine alle pagine 236 e 237]

Mi guadagnai il rispetto di molti insegnanti

Jackson Kapobe

Nato: 1957

Battezzato: 1971

Profilo: È anziano di congregazione.

Nel 1964 ci furono le prime espulsioni dalle scuole. La filiale aiutò i genitori a capire che dovevano preparare i figli. Ricordo che mio padre si sedette accanto a me dopo la scuola, ragionando su Esodo 20:4, 5.

Alle assemblee scolastiche restavo in fondo per evitare il confronto. Chi non cantava l’inno nazionale veniva fatto venire avanti. Quando il preside mi chiese perché non volevo cantare, risposi usando la Bibbia. “Sai leggere, ma non canti!”, esclamò l’insegnante. Disse che dovevo essere leale al governo perché aveva provveduto la scuola che mi aveva insegnato a leggere.

Infine, nel febbraio 1967, fui espulso. Ci rimasi molto male perché mi piaceva imparare ed ero un bravo scolaro. Mio padre, malgrado le pressioni dei colleghi e dei familiari increduli, mi rassicurò dicendomi che stavo facendo la cosa giusta. Anche mia madre subiva pressioni. Quando andavo con lei a lavorare nei campi, altre donne ci schernivano dicendo: “Come mai lui non è a scuola?”

Comunque i miei studi non finirono lì. Nel 1972 si iniziò a dare maggiore enfasi ai corsi di alfabetizzazione nella congregazione. Col passare del tempo la situazione nelle scuole si calmò. La nostra casa era di fronte alla scuola, e il preside veniva spesso da noi a prendere acqua fresca da bere o a farsi prestare delle scope per spazzare le aule. Una volta ci chiese persino dei soldi in prestito! Evidentemente fu toccato dagli atti di benignità dei miei, perché un giorno domandò: “Vostro figlio vuole riprendere la scuola?” Papà gli ricordò che ero sempre testimone di Geova. “Non c’è nessun problema”, disse il preside. “Da quale classe vuoi cominciare?”, mi chiese. Scelsi la sesta. Stessa scuola, stesso preside, stessi compagni, ma grazie ai corsi di alfabetizzazione tenuti nella Sala del Regno leggevo meglio della maggioranza degli altri.

Con l’impegno e la buona condotta mi guadagnai il rispetto di molti insegnanti, per cui la vita a scuola divenne più facile. Fui diligente nello studio e diedi alcuni esami, il che mi permise di accettare un posto di responsabilità in un’industria mineraria e in seguito di mantenere la famiglia. Sono felice di non essere sceso a compromessi quando si trattava di cantare.

[Riquadro/Immagine alle pagine 241 e 242]

“Come possiamo smettere di predicare?”

Jonas Manjoni

Nato: 1922

Battezzato: 1950

Profilo: Ha servito alla Betel della Zambia per più di 20 anni. Ora è anziano e pioniere regolare.

Durante la seconda guerra mondiale mio fratello tornò dalla Tanzania con una Bibbia e diversi libri, tra cui Governo e Riconciliazione. Visto che le pubblicazioni dei testimoni di Geova erano vietate, volevo capire il perché. Lessi Riconciliazione, ma lo trovai difficile. Alcuni anni dopo andai a trovare mio fratello e lo accompagnai a un’adunanza di congregazione. Non c’era una Sala del Regno. Il luogo in cui si teneva l’adunanza era uno spiazzo recintato con canne di bambù. Non venne usato nessuno schema, ma fu molto bello assistere a un discorso basato interamente sulle Scritture. Il modo in cui la Bibbia veniva spiegata era piuttosto diverso da quello della mia chiesa, dove i presenti aspettavano con ansia il saluto alla bandiera e il rullo dei tamburi, e dove scoppiavano addirittura dei battibecchi per via delle differenze tribali o per decidere in che lingua si doveva cantare. All’adunanza, invece, furono cantati dei bei cantici che davano lode a Geova e vidi intere famiglie sedute a gustare il cibo spirituale.

Mi battezzai e continuai a fare l’infermiere, lavoro che mi permetteva di spostarmi da una città all’altra, nella zona delle miniere. Nel 1951 presi due settimane di permesso e andai a lavorare alla filiale di Lusaka. Poco dopo fui invitato a prestare servizio lì. All’inizio lavorai alle spedizioni e poi, quando la filiale fu trasferita a Luanshya, mi occupai di corrispondenza e traduzioni. All’inizio degli anni ’60 si profilarono all’orizzonte dei cambiamenti politici ma, nonostante il fermento, i fratelli continuarono a svolgere un ministero produttivo e a mantenersi neutrali.

Nel marzo 1963, in uno dei tanti colloqui che ebbi con Kenneth Kaunda, futuro presidente della Zambia, spiegai il motivo per cui rifiutavamo di unirci ai partiti politici e non acquistavamo la tessera del partito. Chiedemmo il suo aiuto per far cessare le intimidazioni degli oppositori politici, e lui ci chiese maggiori informazioni. Alcuni anni dopo Kaunda ci invitò al palazzo del governo, dove avemmo l’onore di parlare col presidente e con diversi ministri. Il colloquio durò fino a tarda sera. Pur non avendo nulla contro la confessione religiosa dei testimoni di Geova, il presidente chiese perché non potevamo semplicemente radunarci senza predicare, come facevano altre religioni. “Come possiamo smettere di predicare?”, replicammo. “Gesù stesso predicò. Non si limitò a costruire un tempio insieme ai farisei”.

Nonostante i nostri appelli, alcune fasi del nostro ministero furono vietate. Tuttavia, come sempre, trovammo il modo di rendere onore a Geova, che impiega i suoi servitori per adempiere il suo proposito.

[Riquadro/Immagine alle pagine 245 e 246]

“Avevo tanta voglia di imparare”

Daniel Sakala

Nato: 1964

Battezzato: 1996

Profilo: È anziano di congregazione.

Frequentavo la Zion Spirit Church, quando ricevetti l’opuscolo Impariamo a leggere e a scrivere. Pur essendo analfabeta, avevo tanta voglia di imparare, per cui feci tesoro della pubblicazione che avevo ricevuto. Chiedevo ad altri di aiutarmi a capire le parole nuove. Così, pur non avendo un insegnante, feci progressi e in poco tempo imparai a leggere e scrivere.

Ora potevo leggere la Bibbia! Tuttavia scoprii molte cose che contrastavano con le pratiche della mia chiesa. Mio cognato, testimone di Geova, mi mandò l’opuscolo Gli spiriti dei morti: Possono aiutarvi o danneggiarvi? Esistono veramente? Ciò che lessi mi indusse a fare alcune domande al pastore. Un giorno in chiesa lessi Deuteronomio 18:10, 11 e chiesi: “Perché facciamo cose che la Bibbia condanna?”

“Ognuno ha il proprio ruolo”, rispose il pastore. Non capii cosa volesse dire.

Allora lessi Ecclesiaste 9:5 e chiesi: “Perché incoraggiamo la gente a onorare i morti mentre la Bibbia dice che i morti ‘non sono consci di nulla’?” Il pastore e i presenti rimasero in silenzio.

Più tardi alcuni che si trovavano in chiesa mi avvicinarono e mi dissero: “Noi non siamo testimoni di Geova, quindi perché dovremmo smettere di rispettare i morti e di seguire le nostre tradizioni?” Rimasi perplesso. Avevo usato solo la Bibbia e la congregazione aveva concluso che mi ero unito ai testimoni di Geova. Da allora in poi iniziai ad andare regolarmente alla Sala del Regno con due della mia stessa chiesa. Nei primi tre mesi riuscii a far venire alle adunanze cristiane diversi parenti stretti. Tre di loro, inclusa mia moglie, adesso sono battezzati.

[Prospetto/Grafico alle pagine 176 e 177]

ZAMBIA — CRONOLOGIA

1910

1911: I volumi degli Studi sulle Scritture arrivano nella Zambia.

1919: Kosamu Mwanza e circa 150 fratelli vengono frustati e imprigionati.

1925: L’ufficio degli Studenti Biblici di Città del Capo limita la predicazione e i battesimi.

1935: Il governo limita l’importazione di letteratura. Vietate venti pubblicazioni.

1936: Aperto un deposito a Lusaka sotto la sorveglianza di Llewelyn Phillips.

1940

1940: Il governo vieta l’importazione e la distribuzione delle nostre pubblicazioni. È di nuovo possibile battezzarsi.

1948: Arrivano i primi diplomati di Galaad.

1949: Il governo revoca il divieto riguardante La Torre di Guardia.

1954: Spostata la filiale a Luanshya.

1962: Spostata la filiale a Kitwe.

1969: Il governo vieta la predicazione pubblica.

1970

1975: Espulsi i missionari.

1986: I missionari possono di nuovo entrare nel paese.

1993: Dedicazione dell’attuale complesso della filiale a Lusaka.

2000

2004: Dedicazione dei nuovi locali della filiale di Lusaka.

2005: Fanno rapporto 127.151 proclamatori.

[Grafico]

(Vedi l’edizione stampata)

Totale proclamatori

Totale pionieri

130.000

65.000

1910 1940 1970 2000

[Cartine a pagina 169]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

ZAMBIA

Kaputa

Mbala

Isoka

Kasama

Samfya

Lundazi

Mufulira

Kalulushi

Kitwe

Luanshya

Kabwe

LUSAKA

Senanga

Zambesi

Livingstone

BOTSWANA

ZIMBABWE

MOZAMBICO

MALAWI

[Immagine a tutta pagina a pagina 162]

[Immagine a pagina 167]

Thomson Kangale

[Immagine a pagina 170]

Llewelyn Phillips

[Immagine a pagina 178]

Harry Arnott, Nathan Knorr, Kay e John Jason, e Ian Fergusson, 1952

[Immagine a pagina 193]

A destra: Manda Ntompa con la sua famiglia nel campo profughi di Mwange, 2001

[Immagine a pagina 193]

Sotto: un tipico campo profughi

[Immagine a pagina 201]

La prima classe della Scuola di Addestramento per il Ministero tenuta nella Zambia, 1993

[Immagine a pagina 202]

Gli istruttori Richard Frudd e Philemon Kasipoh durante un colloquio con uno studente

[Immagine a pagina 206]

Le strutture in cui si tenevano le assemblee erano di fango, paglia e altri materiali reperibili sul posto

[Immagine a pagina 215]

A sinistra: dramma biblico in costume, 1991

[Immagine a pagina 215]

Sotto: candidati al battesimo all’assemblea di distretto “Messaggeri della pace divina”, 1996

[Immagine a pagina 235]

Il signor Richmond Smith con Feliya Kachasu e suo padre Paul

[Immagini a pagina 251]

Lavoratori gioiosi impegnati nella costruzione dell’attuale filiale di Lusaka

[Immagini alle pagine 252 e 253]

(1, 2) Sale del Regno costruite di recente

(3, 4) Filiale di Lusaka

(5) Stephen Lett alla dedicazione dei nuovi edifici della filiale nel dicembre 2004

[Immagine a pagina 254]

Comitato di Filiale, da sinistra: Albert Musonda, Alfred Kyhe, Edward Finch, Cyrus Nyangu e Dayrell Sharp

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