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  • Fede con amore
    La Torre di Guardia 1950 | 15 maggio
    • seppero sormontare la prova di amore per lui. Giacomo dice: “Tu credi che v’è un sol Dio, e fai bene; anche i demoni lo credono e tremano”. (Giac. 2:19) Abbiamo anche l’esempio di Giuda Iscariota. Egli dovette aver fede quando si mise al seguito di Gesù e fu scelto come uno dei dodici apostoli. Dovette aver fede quando fu mandato da Gesù con gli apostoli suoi compagni come evangelista e fu istruito insieme a loro di predicare e di compiere miracoli; e di farlo senza prender seco nessuna provvisione in più per il viaggio. In quella circostanza Gesù aveva detto a Giuda e agli altri: “Sarete odiati da tutti a cagion del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato”. (Matt. 10:1-22) Giuda non perseverò nelle orme di Cristo sino alla fine. Pur avendo avuto fede un tempo, fallì nell’amore, e divenne traditore del suo migliore amico dopo Dio.

      4. Pur avendo fede come si può cadere relativamente ai due grandi comandamenti?

      4 L’attaccamento esige amore, poiché per egoismo possiamo offendere la persona nella quale abbiamo avuto fede. Potremmo essere giganti nella fede, non permettendo che difficoltà simili a monti ci sbarrino il cammino, ma sormontandole coraggiosamente. Però la fede che ci fa compiere tali opere e imprese di fede dev’essere accompagnata dall’amore. Perciò, è giusto, che: “In Cristo Gesù, nè la circoncisione nè l’incirconcisione hanno valore alcuno; quel che vale è la fede operante per mezzo dell’amore”. (Gal. 5:6) Possiamo aver fede in Dio che egli provvederà di nutrimento e abiti i nostri fratelli che vediamo nel bisogno. Ma per quanto possa essere corretta la nostra fede, mostriamo mancanza d’amore se non facciamo quello che possiamo per sovvenire ai loro bisogni. Questa mancanza indusse Giacomo a dire: “Che giova, fratelli miei, se uno dice d’aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Se un fratello o una sorella son nudi e mancanti del cibo quotidiano, e un di voi dice loro: Andatevene in pace, scaldatevi e satollatevi; ma non date loro le cose necessarie al corpo, che giova? Così è della fede; se non ha opere, è per sè stessa morta”. (Giac. 2:14-17) Se questa persona che professa fede avesse amore, procurerebbe ai fratelli bisognosi qualche sollievo. Ma poiché non ha vero amore, la sua fede non gli procura alcun bene. Egli manca di pietà per il suo prossimo nel bisogno. Non osserva il secondo dei grandi comandamenti e perciò dà prova di non esser nulla.

      NULLA SENZA DI ESSO

      5, 6. Come si può rinunziare a ogni cosa che si possiede e tuttavia non trarre alcun profitto?

      5 Non dobbiamo, in ogni caso, confondere le opere di carità con l’amore, comunque. No, poiché l’apostolo Paolo continua: “Anche se dò ogni mio avere, e sacrifico me stesso, ma lo faccio per orgoglio, non per amore, non mi giova a nulla”. (1 Cor. 13:3, An American Trans.) Sotto questo rispetto non abbiamo da far altro che ricordare Anania e Saffira. In essi vediamo come si possa versare una contribuzione solo per orgoglio, per poterne menar vanto e farsi credere uguale agli altri che danno tutto quello che posseggono; e farlo senza dare per intero il proprio contributo alla comunità cristiana. Vi sono molti motivi egoistici per cui un uomo può far parte di tutto quello che possiede nell’interesse della carità.

      6 Divenuto cristiano, il Levita Barnaba vendette il suo podere e depose il denaro come contribuzione ai piedi degli apostoli, ottenendo così che il suo nome fosse registrato nella Bibbia per tale sua condotta. Qui non s’intende dire che lo abbia fatto in vista di questo risultato, ma che un altro potrebbe anche dar tutto quello che possiede e tuttavia pensare, con una tale azione, solo di farsi un nome. Perciò questo tale farà della pubblicità riguardo alla donazione che intende versare, in modo che il suo nome sia elencato nei registri della caritatevole organizzazione come contributore esemplare, come un promotore di carità che si sacrifica per il bene altrui. Non ha importanza quanto generosa la contribuzione possa essere apparsa, il movente che l’ha motivata non è stato puro, non è stato vero amore. Nel suo sermone sul monte parve bene a Gesù di ammonire che non si deve fare della pubblicità quando si vuol dare delle elemosine solo per esser visti e ammirati dalla gente. Colui che nel dare è spinto da vero amore seguirà l’istruzione di Gesù: “Quando tu fai limosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, affinché la tua limosina si faccia in segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa”. (Matt. 6:14) Non è per il dono materiale o finanziario che il Padre celeste ricompensa il donatore, ma per l’amore che si trova dietro al dono. Cosicché è l’amore quello che è profittevole per il donatore.

      7, 8. Come devono esser fatti i doni e come si deve promuovere le opere di assistenza?

      7 Non dovremmo mai cedere a nessuna egoistica pressione nel fare un dono. Una campagna di assistenza potrebbe essere in corso. Ognuno attorno a noi potrebbe contribuire. Allora, per non parere tirchio ma sembrare tanto generosi quanto gli altri, o per trarne vantaggi negli affari, potremmo considerarci costretti a dare almeno qualche cosa. Questo sarebbe un dono fatto in vista del proprio interesse personale, e non un dono spontaneo fatto di buona grazia. Il donatore veramente amorevole non dà un magro minimo, ma tutto quello che è in grado di dare, fino alla rinunzia di se stesso, perchè desidera farlo per amor di Dio e delle Sue creature. Queste sono le persone che Iddio apprezza, e l’apostolo Paolo dice dell’opera assistenziale dei giorni suoi: “Dia ciascuno secondo che ha deliberato in cuor suo; non di mala voglia, nè per forza, perché Iddio ama un donatore allegro”. — 2 Cor. 9:7.

      8 L’apostolo, naturalmente, non ci dice se ha dato qualche sua contribuzione personale, ma compì gratuitamente il suo personale servizio, e così quello che può aver dato materialmente fu improntato dall’amore. Egli non fece come molti che oggi rispondono a una raccolta di fondi per una pubblica opera di carità con supponiamo un migliaio di dollari e dicono: “Ecco, VOI andate a nutrire e soccorrere quella povera gente”. No, ma si diede LUI STESSO all’opera di soccorso. Affinché i suoi fratelli della Grecia potessero soccorrere i loro compagni cristiani in Palestina in modo organizzato, diede le necessarie istruzioni perché fossero tempestivamente preparati i doni. Così essi potevano essere trasmessi senza perdita di tempo e di fatica e potevano essere adoperati nel modo più efficace nell’assistenza ai fratelli bisognosi. Non fu tenuto nè pubblicato alcun elenco dei contributori, perché questo avrebbe favorito le ambizioni egoistiche. Ogni cosa venne eseguita facendo appello al loro amore cristiano, e non all’egoismo di qualsiasi specie. Altrimenti la carità dimostrata non avrebbe recato nessun bene ai contributori, perché non avrebbe sviluppato l’amore in loro. — 1 Cor. 16:14; 2 Cor. 8:1-24.

      9, 10. Come dev’essere il sacrificio di se stesso perché sia profittevole?

      9 Un uomo potrà anche spartire tutti i suoi beni per nutrire i poveri e non essere disposto a dare se stesso per il servizio di Dio e la salvezza delle Sue creature. Perciò la rinunzia di se stessi potrebbe mostrare maggiore spirito di sacrificio della donazione di tutti i propri averi per carità. Ma anche qui colui che rinunzia a se stesso può ancora essere considerato di nessun valore agli occhi di Dio. Non inganniamo noi stessi su questo punto, perché Paolo dice: “E se io distribuisco tutti i miei averi in sussidi, e consegno il mio corpo per essere arso, ma non ho amore, ciò non mi giova nulla”. (1 Cor. 13:3, Cocorda) Colui che non pensa che a se stesso può anche ambire il martirio. Può guardare avanti e dire: “Se metto a repentaglio la mia vita, se mi espongo al pericolo e incontro la morte, la gente mi ammirerà, mi glorificherà, parlerà a lungo di me. Potrò essere ricordato nella storia come un martire, potrò avere una lapide o un monumento che conservi memoria di me”. Ma questo modo d’agire non sarebbe nè amorevole nè a imitazione di Cristo.

      10 Gesù Cristo diede se stesso volonterosamente, senza mormorare, come una pecora data nelle mani degli scannatori, ma non troviamo che se ne sia vantato. Egli richiamò ripetutamente l’attenzione sul suo sacrificio. Tuttavia non fu mai per vantarsene. Fu solo per indicare al popolo l’unica via per la quale è possibile ottenere la salvezza. Egli abbandonò il suo corpo alla morte perchè amava Geova Dio e prendeva diletto a far la Sua volontà. Quando apparve nella scena del mondo e intraprese la sua opera di Sommo Sacerdote di Dio offrendo se stesso, disse: “Eccomi, vengo! Sta scritto di me nel rotolo del libro. Dio mio, io prendo piacere a far la tua volontà, e la tua legge è dentro al mio cuore”. — Sal. 40:7, 8; Ebr. 10:5-10.

      11. Che cos’è che conta presso Dio, invece del sacrificio per la propria gloria?

      11 I fratelli spirituali di Cristo chiamati a ereditare il trono celeste con lui alla destra di Dio sono esortati a consacrare la loro vita umana al Suo servizio. Paolo scrive loro: “Io vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio; il che è il vostro culto spirituale [Diodati, il vostro razional servigio]”. Così comportandoci non abbiamo bisogno di far qualche cosa di spettacoloso per conquistare la celebrità come un grande martire. Per esser fedeli non abbiamo da far altro che apprendere qual è la buona, accettevole e perfetta volontà di Dio, e quindi farla tranquillamente, regolarmente e con perseveranza per essere approvati da Dio e per glorificarlo. Apprendendo qual è la Sua volontà, la nostra mente sarà trasformata, e non cercheremo di conformarci a questo mondo egoista atteggiandoci a martiri per acquistarci gloria. La nostra fedele ubbidienza alla volontà e ai comandamenti di Dio costituirà la prova che siamo perfetti nell’amore di Dio, e perciò Egli ci reputerà degni di essere preservati per sempre nel nuovo mondo. (Rom. 12:1, 2) Dunque non è la grandiosità del martirio con cui si va incontro alla morte che fa impressione a Dio. Quello che conta è l’ubbidienza a lui, senza affettazione, leale. È questa che dà prova del nostro amore per lui, che lo rinvigorisce e lo perfeziona dentro di noi. Così ripetiamo il consiglio ammonitore dell’apostolo: “E se io distribuisco tutti i miei averi in sussidi, e consegno il mio corpo per essere arso, ma non ho amore, ciò non mi giova nulla”. — 1 Cor. 13:3, Cocorda.

      12. Di che cosa è più eccellente la via dell’amore? Che cosa ci aiuta in essa?

      12 Senza dubbio, quindi, la via dell’amore è l’unica che sia vantaggiosa presso Dio. La via dell’amore è più eccellente di quella che consiste semplicemente nel procedere ricevendo e usando i doni e i talenti conferitici miracolosamente dallo spirito o forza attiva di Dio. Oggi che questi doni miracolosi non sono più concessi, è più necessario che mai per noi coltivare l’amore. Lo spirito di Dio può aiutarci a farlo alla perfezione.

  • Freni di genitori contro la delinquenza giovanile
    La Torre di Guardia 1950 | 15 maggio
    • Freni di genitori contro la delinquenza giovanile

      (Continuazione dal precedente numero)

      GOVERNATI dallo ‘spirito di una mente sana’, i Cristiani imparano gradualmente che l’ordine è una delle leggi eminenti dal cielo, e che quindi dovrebbe essere una delle evidenti caratteristiche delle case di quelli consacrati a Dio. Tuttavia ordine non significa assoluta quiete, altrimenti il deserto e il cimitero sarebbero i soli luoghi dove regnerebbe l’ordine. Ordine può così significare allegrezza come pace, felicità e riposo, libertà cristiana e legge. Ordine significa legge, la legge del Signore Iddio che governa il capo di famiglia e la

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