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  • La testimonianza delle catacombe
    La Torre di Guardia 1958 | 15 dicembre
    • Le catacombe, ripulite e adornate con più estese iscrizioni e opere d’arte, divennero santuari a cui le persone accorrevano in folla, e i martiri divennero oggetto di adorazione. Quando il regno di terrore di Diocleziano fu sostituito da un’era di tolleranza verso i Cristiani e si procedette all’approvazione da parte dello stato della nuova fusione religiosa, i Cristiani ora apostati abbracciarono sia i pensieri che i simboli pagani. Le semplici lampade d’argilla usate nelle catacombe non rimasero più a lungo disadorne, ma recarono il simbolo pagano del pesce (le lettere di questa parola in greco si trovò corrispondevano alle lettere iniziali della frase “Gesù Cristo, di Dio Figlio, Salvatore”), il monogramma di Costantino, ecc.

      E fu così che tali simboli di origine pagana come il pesce, il pavone, l’àncora e la colomba, sia si dica che portarono un nuovo significato nella chiesa o no, divennero parte della cosiddetta arte cristiana delle catacombe, anche se erano stati per lungo tempo usati dai pagani e si trovano nei loro luoghi di sepoltura. Alcuni libri hanno estesamente parlato del significato di questi simboli e di queste pitture, ma The Catholic Encyclopedia ammette francamente che “gli scrittori a volte hanno trovato nelle pitture delle catacombe un contenuto dogmatico più ricco di quanto uno scrupoloso esame possa mostrare”. — Vol. 3, pag. 423.

      Sebbene sia stato osservato che le catacombe fornirono luoghi di rifugio e di raduno durante i tempi di persecuzione, è ora evidente che esse non caddero in disuso quando la persecuzione cessò. Vi fu un ritorno alle catacombe come a luoghi di adorazione quando la persecuzione finì, ma questa volta per un’adorazione totalmente diversa da quella praticata dai primi Cristiani.

  • La felicità non dipende dai beni materiali
    La Torre di Guardia 1958 | 15 dicembre
    • La felicità non dipende dai beni materiali

      DA CHE cosa dipende la vostra felicità? Dipende essa dai beni materiali? Molte persone non imparano mai che la vera felicità non può derivare dai beni materiali; la loro vana ricerca della felicità, accumulando possedimenti, ottenendo comodità e acquistando apparecchi utili, avrebbe dovuto mostrar loro la verità.

      Alcune persone imparano dall’esperienza. Per un certo tempo cercano i beni materiali. Forse fanno debiti per ottenere le cose che pensano le possano render felici. Ne sono assorbiti, specialmente provando l’orgoglio d’essere proprietarie. La brama del possesso inevitabilmente svanisce; esse capiscono che ora hanno bisogno di qualche cosa di nuovo per riavere lo splendore della loro declinante felicità. Infine si rendono conto che i beni materiali danno un piacere passeggero, che la vita di quelli che si fanno abbagliare dai beni materiali è vuota.

      Che cosa non va bene? La gente è stata ingannata. È stata indotta a credere che la felicità venga dai beni materiali, che le aspirazioni della vita dell’uomo siano materiali, che l’abbondanza dei beni materiali compensi subito qualsiasi o ogni deficienza spirituale. Come hanno torto! Lo stesso Figlio di Dio dichiarò che, sebbene l’uomo non possa vivere senza pane, egli non può vivere di pane soltanto. L’uomo ha bisogni spirituali, e a meno che questi non siano soddisfatti la sua felicità non può esser completa.

      Non molto tempo fa un professore d’inglese dell’Università Wayne di Detroit, nel Michigan, pronunciò un discorso agli studenti della classe che si laureava. Il professor W. O. Ross disse: “Io ho il sospetto . . . che la nostra cultura, che voi, siate fondamentalmente in errore nell’intendere la basilare natura e i bisogni dell’uomo. Voi e tutti noi siamo in errore, io sospetto, perché in quest’ultimo secolo siamo divenuti materialisti. . . . E crediamo, o ci comportiamo come chi crede, che i bisogni dell’uomo siano principalmente materiali, mentre i suoi veri bisogni materiali sono pochi e semplici, e i suoi bisogni per certe qualità mentali o spirituali, come l’amore . . . sono grandemente sproporzionati rispetto a questi bisogni materiali. In altre parole . . . i bisogni dell’uomo sono religiosi, non materiali.

      “Io sospetto che l’uomo sia principalmente una creatura religiosa e che sia meglio compresa in termini religiosi. E il preciso errore che gli intellettuali del mondo occidentale hanno compiuto negli ultimi uno o due secoli è stato quello di negare questo fatto, sostenendo che gli uomini siano soltanto complicati pezzi di materia, le cui vere soddisfazioni siano infine quelle dei sensi. Pensarla così, io sospetto, è un errore. . . .

      “Forse noi tutti dovremmo esser forti e resistere alla tentazione dei beni materiali, ma non lo siamo, e le invenzioni e le scoperte degli scienziati e le conquiste della tecnica tendono a spingerci in una continua ricerca, sempre desiderosi di una soddisfazione che domani superi quella di oggi. . . .

      “Io sospetto che le comodità fisiche siano trappole, poste lungo il cammino del nostro buon progresso. Questo, io sospetto, è ciò che non va! Esse ci fanno allontanare dal nostro vero percorso. Io sospetto che i nostri veri propositi dovrebbero esser quelli di cercar di divenire santi, non uomini ricchi. Non è strano? Noi abbiamo viaggiato tanto, noi gente di questo mondo, allontanandoci dall’ideale della santità, che quando un professore osa dire ad una classe di laureandi che sarebbe più importante per loro esser santi che dottori, o avvocati, o dentisti, tutti trovano difficile prenderlo sul serio. Certo fa dello spirito fuori posto. Ma io vi assicuro che intendo proprio alla lettera ciò che vi ho detto. . . . E perciò, sospetto tutti voi, ciascuno di voi. Non vi sospetto di alcun delitto generalmente riconosciuto. Ma vi sospetto d’esser materialisti, e io sospetto che il materialismo sia un delitto contro l’umanità”. — Vital Speeches of the Day, 15 marzo 1954.

      Nel Thorndike-Barnhart Dictionary la prima definizione della parola “santo” è “vero Cristiano”. Questa è la giusta mèta da perseguire nella vita; è la mèta suprema, ed essa è spirituale. Per fare del vero Cristianesimo la propria mèta bisogna imparare intorno a Dio e ai suoi propositi, cercare quale sia la volontà di Dio circa l’uomo e poi osservare tale volontà. Questa è la via che conduce alla felicità eterna; questa è la via da seguire per ottenere la vita per sempre nel nuovo mondo di Dio.

      I beni materiali tendono troppo spesso ad oscurare la principale mèta dell’uomo. I beni materiali dovrebbero essere un aiuto per giungere alla giusta mèta anziché una mèta in se stessi. Le persone che sono felici di ciò che possiedono non sono veramente felici; esse si illudono, si ingannano, privandosi della felicità che si ottiene osservando il vero Cristianesimo. La felicità non consiste nel possedere beni materiali; è il frutto dell’amore e del servizio di Dio. Nel sermone del monte Gesù mostrò la via che conduce alla vera felicità: “Felici quelli che sono consapevoli della loro necessità spirituale”. — Matt. 5:3.

      Quelli che sono consci soltanto del bisogno delle cose materiali s’accorgeranno che la loro sorte è la scontentezza. “Qualche giorno la gente imparerà”, disse una volta il ricercatore scientifico Charles P. Steinmetz, “che i beni materiali non portano la felicità. . . . Allora gli scienziati si serviranno dei loro laboratori per studiare su Dio”.

      Per trovare la felicità dovete dedicarvi allo studio di Dio. Imparate quale sia la sua volontà. Fate la sua volontà. Le cose di questo mondo passeranno, “ma chi fa la volontà di Dio rimane per sempre”. — 1 Giov. 2:17.

  • Un fiore che non appassirà più
    La Torre di Guardia 1958 | 15 dicembre
    • Un fiore che non appassirà più

      SOTTO le affollate strade di Roma giace una città che un tempo era abitata da più di tre milioni di persone. Colonne in rovina, mura diroccate e mucchi di pietre sono tutto quello che ne rimane. Le sue antiche rovine si ergono fra moderni edifici e strade selciate come muto ricordo della gente che un tempo camminava per le sue strade ma che è ora parte della sua polvere.

      Quella gente non era troppo diversa da noi oggi. Essa aveva le sue case, le sue famiglie, i suoi affari e i suoi piaceri. Aveva le stesse emozioni e le stesse sensazioni, gli stessi progetti e le stesse speranze come li abbiamo noi. Ma come i fiori che sbocciano ora fra le rovine della loro città e poi appassiscono, così essi vissero un breve attimo e quindi cessarono di esistere. “I giorni dell’uomo son come l’erba; egli fiorisce come il fiore del campo; se un vento gli passa sopra ei non è più”. — Sal. 103:15, 16.

      Ma perché la vita dell’uomo deve essere come un fiore che appassisce? Perché non può essere come un fiore che non appassisce mai? Perché non può durare a lungo, come la vigorosa sequoia? Certo che può e durerà. Colui che creò l’uomo, quando pose la prima coppia umana in un pacifico giardino come bei fiori, aveva il proposito di farli durare. Fu la volontaria disubbidienza dell’uomo che fece cambiare le cose. Il fatto che l’uomo attirò su se stesso la morte non significa che i propositi di Dio fallirono. Essi non falliscono mai. “Così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto”. — Isa. 55:11, VR.

      Per immeritata benignità Dio provvide i mezzi affinché l’uomo riguadagnasse ciò che la prima coppia aveva perduto. Li provvide mediante Cristo. Questi, cedendo il diritto alla perfetta vita umana, aprì la via della vita eterna per l’umanità ubbidiente.

      È più che giusto che coloro che si giovano di quel sacrificio siano quelli che seguono l’esempio di ubbidienza a Dio di Cristo e non l’esempio di disubbidienza di Adamo. Essi diverranno come l’albero che gode di una lunga vita. “Poiché i giorni del mio popolo saran come i giorni degli alberi; e i miei eletti godranno a lungo dell’opera delle loro mani”. (Isa. 65:22, VR) Questa promessa sarà adempiuta sotto il regno di Dio.

      Moltitudini di persone di oggi saranno fra gli abitanti della terra quando quel divino governo dominerà sulla terra. Esse vedranno adempiuti gli originali propositi di Dio. Allora l’umanità, che è ora un fiore che appassisce, non appassirà più.

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