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  • Giacomo (Lezione 67)
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1958
La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1958
w58 1/8 pp. 475-477

Giacomo (Lezione 67)

“GIACOMO, schiavo di Dio e del Signor Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse: saluti”. Così comincia l’epistola di Giacomo. Quale Giacomo? Vi sono quattro o cinque discepoli di Gesù così chiamati nelle Scritture Greche. Due furono apostoli; ma poiché lo scrittore dell’epistola si identifica chiamandosi semplicemente servitore di Dio e di Cristo e non apostolo questi due Giacomi sono generalmente esclusi. L’unico Giacomo di qualche importanza che rimane è il fratello di Gesù. (Matt. 13:55; Mar. 6:3; Gal. 1:19) Mentre Gesù predicava sulla terra i suoi fratelli “carnali più giovani non credevano in lui; ma credettero poco dopo la sua risurrezione. (Giov. 7:5; Atti 1:14) Suo fratello Giacomo può essere stato convertito al Cristianesimo da un’apparizione di Gesù risuscitato. (1 Cor. 15:7) Comunque sia, pare che a Giacomo sia stata ben presto affidata la sorveglianza della congregazione cristiana di Gerusalemme, e in varie occasioni egli presiedette i concili tenuti a Gerusalemme e ne annunciò le decisioni. (Atti 12:17; 15:13-23; 21:18) Giacomo potrebbe aver scritto i decreti emanati dal concilio che presiedeva, decreti che Paolo e Sila trasmisero. (Atti 15:23-29; 16:4) Con tutta probabilità egli scrisse e fece circolare da Gerusalemme ai Cristiani di ogni luogo l’epistola generale di Giacomo.

Se la lettera fu scritta da Giacomo fratello di Gesù, fu trasmessa al più tardi nel 62 d.C. Quello fu l’anno nel quale morì Festo, procuratore della Giudea. La storia secolare dice che prima che il suo successore Albino arrivasse vi era stata una insurrezione fra i Giudei, durante la quale il sommo sacerdote aveva radunato il Sinedrio e davanti ad esso aveva fatto comparire Giacomo fratello di Gesù. Il sommo sacerdote aveva falsamente accusato Giacomo, e come risultato il fratello del Signore fu condannato ad essere lapidato. Il suo martirio avvenne nell’anno 62, perciò la sua epistola dev’essere stata scritta prima di quel tempo. Non è possibile dire con certezza quanto tempo prima dell’anno 62 fosse scritta, ma considerando diverse circostanze non è probabile che sia stata scritta molto tempo prima. A quell’epoca inoltre il cristiano “Israele di Dio” avrebbe avuto tempo di espandersi in tutti i paesi contemplati nella lettera.

L’epistola di Giacomo non è tanto dottrinale quanto pratica. Essa prescrive che la fede sia sostenuta dalle opere. Ma non si può pensare in nessun modo che questa epistola contrasti con la vigorosa esposizione di Paolo relativamente alla salvezza per fede e non per opere, come alcuni avevano preteso. Niente affatto. Essa sottolinea la necessità della fede, ma di una fede manifestata da opere che siano in armonia con essa, e non di una semplice pretesa di fede a parole. Non sostiene che si ritorni alle opere della legge, alle opere morte che Paolo condannò come incapaci di recar salvezza. Giacomo e Paolo erano completamente in armonia con la verità evangelica. — Atti 15:1, 2, 13, 19, 20; Gal. 1:19; 2:9.

La prova della fede dei Cristiani produce fermezza e paziente perseveranza; perciò le tentazioni e le afflizioni devono essere sopportate allegramente. Se a qualcuno manca la sapienza che vien dall’alto, che è una difesa, la chieda a Dio, che la darà generosamente se è chiesta in buona fede, senza dubitare né vacillare con animo doppio. Quelli che resistono a tutte le tentazioni riceveranno dopo la prova la corona della vita. Ma per il fatto che Iddio permette la prova, colui che è provato non deve concludere che è tentato da Dio: Iddio non tenta nessun uomo. La tentazione viene quando uno si lascia vincere dalla propria cupidigia, che, quando ha concepito e partorito il peccato, produce la morte. Iddio fa dei doni buoni e perfetti, è il Padre della luce e in lui non vi è alcuna ombra, e genera i Cristiani come figli spirituali. Questa rigenerazione avviene mediante la parola della verità. E non si deve solo ascoltarla; occorre esserne operatori. Allora sarete benedetti nel servizio. “La forma di adorazione che è pura e incontaminata dal punto di vista del nostro Dio e Padre è questa: aver cura degli orfani e delle vedove nella loro tribolazione, e mantenersi senza macchia dal mondo”. — 1:1-27.

Colui che crede nella verità di Dio non deve avere riguardi personali. Non deve mostrarsi parziale verso una persona per la sua posizione o ricchezze o per l’apparenza. Gli abiti non fanno il Cristiano. Chi è elegantemente vestito non dev’essere favorito per il suo aspetto, mentre il povero che indossa abiti logori è spinto da una parte. Infatti, non ha forse Iddio scelto i poveri di questo mondo che sono ricchi in fede per farli eredi del Regno? Perciò non disprezzate i poveri. Essi sono principalmente quelli che onorano Dio; i ricchi in generale sono oppressori e bestemmiatori. Perciò non usate riguardi personali; perché ciò è peccato, ma cercate di adempiere il comandamento: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Mostrate misericordia affinché possiate a vostra volta ricevere misericordia. E quanto alla fede, essa dev’essere vivente, tale da essere evidente mediante la vostra condotta. Solo una simile fede sostenuta dalle opere reca giustificazione. “Così, anche, la fede, se non ha opere, è in se stessa morta”. “Infatti, come il corpo senza spirito è morto, così anche la fede senza opere è morta”. — 2:1-26.

Giacomo considera quindi una questione vitale, quella di domare la lingua. Egli adotta a questo punto un linguaggio figurativo che richiama vigorosamente l’attenzione dei lettori sulla difficoltà di controllare questo piccolo membro che sovente è così indisciplinato. Se un uomo potesse controllare la lingua sarebbe capace di tenere a freno l’intero corpo. Il morso nella bocca dei cavalli può dirigerne tutto il corpo. Un piccolo timone può dirigere grandi navi che vengono sospinte da venti impetuosi. Similmente la lingua è un piccolo membro nel corpo, ma è molto vanagloriosa. Una favilla può incendiare una foresta, e la lingua può infiammare il corpo intero e contaminarlo. Animali, uccelli, serpenti, creature del mare, tutti possono essere domati dall’uomo; “ma la lingua, nessun uomo la può domare”. La benedizione e la maledizione procedono da quest’unico organo; questo non è un bene. Se uno è saggio, lo palesi mediante la sua condotta. L’invidia e le contese non riflettono la vera sapienza ma sono diaboliche, “la sapienza dall’alto è prima di tutto casta, poi pacifica, ragionevole, pronta ad ubbidire, piena di misericordia e buoni frutti, non facente parziali distinzioni, senza ipocrisia”. — 3:1-18.

Il capitolo 4 inizia con una domanda circa la sorgente delle discordie e controversie che sorgono nelle congregazioni cristiane, e le attribuisce alle concupiscenze. Sembra che a quel tempo le congregazioni cadessero nell’insidia di ricercare le ricchezze di questo mondo, onorando uomini ricchi e immischiandosi negli affari del mondo inutilmente con l’errata bramosia di ottenere i suoi beni e piaceri. Essi li domandavano male, all’intento di soddisfare i loro desideri carnali. Giacomo prorompe nell’inquisitrice domanda: “Adultere, non sapete che l’amicizia col mondo è inimicizia con Dio?” E aggiunge: “Chi dunque vuol essere amico del mondo si costituisce nemico di Dio”. A queste vigorose dichiarazioni Giacomo fa seguire un sincero ragionamento e un energico appello. Dio resiste ai superbi, ma dà immeritata benignità agli umili. Se voi resistete al Diavolo, egli fuggirà da voi. Se vi avvicinate a Dio, egli si avvicinerà a voi. Purificatevi, ravvedetevi, siate umili. Non dite male di altri e non giudicateli; Iddio è il Giudice. Badate alla vostra condotta. È peccato conoscere il bene e non farlo. — 4:1-17.

Nell’ultimo capitolo un’aspra censura colpisce coloro che si son dati ad accumular ricchezze. Le calamità li abbatteranno. Le ricchezze che essi hanno acquistate non sono di una specie durevole, e le loro belle e sontuose vesti saranno rose dalle ignobili tignuole. La ruggine del loro oro e argento griderà in testimonianza di condanna; il salario dei lavoratori trattenuto con frode unirà la sua voce; e il coro si amplificherà con il grido dei lavoratori defraudati finché raggiunga gli alti cieli e Geova Dio. Gli avidi di danaro sono vissuti sfrenatamente nei piaceri perversi, mentre condannavano e uccidevano i giusti che non offrivano loro resistenza. Ma in tutte queste ingiustizie il Cristiano deve perseverare pazientemente fino alla venuta del Signore e all’esecuzione dei suoi giusti giudizi. Infatti, considerate come i profeti sopportarono pazientemente molta afflizione. E ricordate come Giobbe serbò la sua integrità nelle più acute sofferenze, e come fu alla fine riccamente benedetto da Geova? Perseverate dunque fino alla fine definitiva dell’empietà e siate pronti a ricorrere a Dio in preghiera, soprattutto in tempo di avversità. — 5:1-20.

Da questo esame del contenuto dell’epistola di Giacomo è evidente che, invece di contraddire le epistole di Paolo relativamente alla giustificazione mediante la fede e l’immeritata benignità e non mediante le opere, Giacomo cercava di correggere uno stato di cose che si era insinuato nelle congregazioni in genere e che costituiva un’insidia. Egli mette in risalto, per esempio, non solo la fede, ma la fede provata dalle opere. Non con le opere della legge, ma con opere che siano in armonia con le istruzioni di Cristo e con la fede in Lui. Alcuni rendevano evidentemente servizio con le labbra e pretendevano di essere nella fede, ma la loro condotta smentiva la loro pretesa. Nell’epoca in cui quest’epistola fu scritta la chiesa primitiva era cresciuta e si era saldamente stabilita. Alcuni s’infiacchivano; erano tentati e abbagliati dalle attrazioni del mondo; erano sviati dalle loro concupiscenze, allontanati dal servizio teocratico e cadevano nel peccato volontario. Si erano macchiati col mondo impuro, onorando gli uomini per la loro posizione mondana, e correndo essi stessi dietro alle ricchezze materiali. Era giunto il tempo di cominciare a dar prova d’essere Cristiani mediante giuste opere. Evidentemente vi erano delle lingue invidiose molto attive, e occorreva che fossero controllate. Essi dovevano manifestare la sapienza che viene dall’alto, e non quella terrena. Evidentemente questo era lo stato di cose che faceva allontanare alcuni dalla fede del Cristianesimo. Con la sua epistola Giacomo cercava di ridestare la loro fede.

[Domande per lo studio]

1. Chi è il più probabile scrittore di questa epistola?

2. Quando fu probabilmente scritta?

3. È essa in contrasto con le epistole di Paolo, come alcuni sostengono?

4. Qual è il contenuto del (a) capitolo 1? (b) capitolo 2? (c) capitolo 3? (d) capitolo 4? (e) capitolo 5?

5. Qual era lo stato di cose al quale Giacomo evidentemente cercava di porre rimedio con la sua epistola?

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