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  • Domande dai lettori (1)
    La Torre di Guardia 1970 | 15 dicembre
    • il timore d’ogni specie. Non elimina il timore riverenziale e filiale verso Dio, sorto dal profondo rispetto per la sua autorità, per la sua potenza e per la sua giustizia. (Sal. 111:9, 10; Ebr. 11:7) Né elimina il normale timore che fa evitare il pericolo dov’è possibile e così protegge noi stessi e la nostra vita, né il timore causato da improvviso allarme. — Si paragonino II Corinti 11:32, 33; Giobbe 37:1-5; Abacuc 3:16, 18.

      La corretta comprensione di I Giovanni 4:18 arricchisce molto in senso spirituale. Rivela quanto è grande la relazione che il cristiano ha col suo magnifico Creatore. Ci incoraggia a parlare di cuore nelle nostre preghiere a Dio, non essendo formali né meccanici, ma esprimendo apertamente i nostri sentimenti, i nostri bisogni, la nostra preoccupazione per altri, le nostre speranze e il nostro amore verso di Lui.

      Né si dovrebbe considerare questo essere resi ‘perfetti nell’amore’ come una mèta quasi impossibile. La ‘perfezione’ è intesa di rado nel senso assoluto; di solito è relativa. Quando l’apostolo Paolo scrisse ai cristiani corinti: “Non divenite fanciullini nelle facoltà d’intendimento, . . . e divenite uomini fatti nelle facoltà d’intendimento”, non stabiliva una mèta oltre la possibilità di chiunque nella intera congregazione. (1 Cor. 14:20) La parola greca (teʹlei·oi) per “fatti” che usò in questo testo è la stessa parola (di genere maschile) che la parola (di genere femminile) per “perfetto” (te·leiʹa) che Giovanni usò in I Giovanni 4:18. Quindi, che siamo ‘resi perfetti nell’amore’ significa che in noi l’amore di Dio non è sottosviluppato, in uno stato medio, ma riempie il nostro cuore e di cuore ci spinge a fare la sua volontà.

  • Domande dai lettori (2)
    La Torre di Guardia 1970 | 15 dicembre
    • Domande dai lettori

      ● Parlò Geova Dio personalmente a Mosè o gli parlò per mezzo di un rappresentante angelico? — S. C., U.S.A.

      Geova comunicò con Mosè in più di un’occasione. Quando Mosè pasceva il gregge di suo suocero lungo il monte Horeb, vide un rovo ardente che non si consumava. Come si narra in Esodo 3:4-6, “quando Geova vide che si dipartiva per ispezionare, subito Dio lo chiamò di mezzo al rovo e disse: ‘Mosè! Mosè!’ . . . E proseguì, dicendo: ‘Io sono l’Iddio di tuo padre, l’Iddio di Abraamo, l’Iddio di Isacco e l’Iddio di Giacobbe’. Quindi Mosè nascose la sua faccia, perché temeva di guardare il vero Dio”. Chi in quell’occasione parlò effettivamente a Mosè? Il versetto 2 dice: “L’angelo di Geova gli apparve in una fiamma di fuoco nel mezzo d’un rovo”. Non era dunque Geova stesso che lì apparve a Mosè e gli parlò, ma fu l’angelo di Geova che, come rappresentante di Dio, parlò in Suo nome.

      Al comando di Geova, Mosè andò in Egitto per apparire davanti a Faraone e condurre gli Israeliti fuori del paese. Lì Geova continuò a parlare a Mosè, dandogli specifici messaggi da pronunciare a Faraone e avvertimento anticipato di piaghe che si sarebbero abbattute sul paese. È ragionevole concludere che in questo tempo Geova continuò a parlare a Mosè non direttamente, ma per mezzo di un rappresentante angelico, proprio come aveva fatto in Oreb.

      In seguito, Mosè tornò nelle vicinanze del luogo dove Geova gli aveva dato dapprima istruzioni, conducendo con sé i liberati figli di Israele. Lì Dio comunicò udibilmente i Dieci Comandamenti all’intera nazione radunata presso la base del monte. (Eso. 20:1-18, 22; Deut. 9:10) Sopraffatti dal timore, i capi delle tribù e gli anziani del popolo implorarono che Geova non parlasse loro di nuovo in questa maniera spettacolare, ma che comunicasse con loro per mezzo di Mosè. Il popolo si ritirò dunque nelle sue tende, e Geova diede le ulteriori decisioni giudiziarie per la nazione a Mosè. — Deut. 5:4; 23-31.

      Mosè e Aaronne, Nadab e Abiu e settanta degli anziani d’Israele ebbero in seguito “una visione del vero Dio” all’inaugurazione del patto della Legge. (Eso. 24:11) Ma relativamente all’esperienza privata di Mosè leggiamo: “La gloria di Geova continuava a risiedere sul monte Sinai, e la nuvola continuava a coprirlo per sei giorni. E il settimo giorno egli chiamò Mosè dal mezzo della nuvola. E agli occhi dei figli d’Israele l’aspetto della gloria di Geova era come un fuoco divorante in cima al monte. Mosè entrò quindi in mezzo alla nuvola e salì sul monte. E Mosè stette sul monte quaranta giorni e quaranta notti. E Geova parlava a Mosè . . . E appena ebbe finito di parlare con lui sul monte Sinai, egli dava a Mosè le due tavolette della Testimonianza, tavolette di pietra scritte col dito di Dio”. (Eso. 24:16–31:18) Fu Geova stesso a proferire personalmente i Dieci Comandamenti all’intera nazione al monte Sinai e a dare in seguito ulteriori decisioni giudiziarie e le incise tavolette della Testimonianza a Mosè? Molti che leggono il racconto possono pervenire a questa conclusione.

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