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AlfabetoAusiliario per capire la Bibbia
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gli alfabeti fenicio e sinaitico anteriori a quello ebraico. Ma certo le cose non stanno necessariamente così, e nella pubblicazione già menzionata Diringer chiede: “È possibile che gli antichi ebrei, che hanno donato al mondo la Bibbia e il monoteismo, ci abbiano dato anche l’alfabeto? La possibilità certo esiste”. (The Story of the Aleph Beth, p. 37) La relativa scarsità di antiche iscrizioni ebraiche non prova certo il contrario, visto che gli ebrei non si preoccupavano di erigere monumenti o scrivere lapidi per ricordare le gesta di re ed eroi, come gli altri popoli antichi. Inoltre il clima e il terreno della Palestina, a differenza di quelli dell’Egitto, non contribuiscono alla preservazione di scritti papiracei.
L’ordine delle lettere dell’alfabeto ebraico è chiaramente indicato negli scritti acrostici dei Salmi (34, 111, 112, 119 e altri), di Proverbi 31:10-31, e Lamentazioni capitoli 1-4 (anche se le lettere ʽàyin e pe’ sono invertite nei capitoli 2-4). In questi scritti le lettere dell’alfabeto compaiono in ordine consecutivo come lettere iniziali di ciascun successivo versetto, sezione o strofa. L’alfabeto ebraico, allora come oggi, consisteva di ventidue lettere, tutte consonanti, e probabilmente rappresentava circa ventotto suoni. Pare che solo verso il VI secolo E.V. sia stato introdotto un sistema di segni per indicare i suoni vocalici. Gli studiosi ebrei detti masoreti, per rappresentare in ebraico i suoni vocalici, impiegavano circa sette diversi “punti vocalici”, separati o combinati fra loro.
TEORIA DELLA SCRITTURA PITTOGRAFICA
È teoria comune che l’alfabeto ebraico sia derivato da una scrittura pittografica. Questa teoria cerca sostegno nel fatto che i nomi delle lettere ebraiche spesso sono uguali o simili ai nomi ebraici di certe cose: ’àleph vuol dire “toro”, behth “casa”, gìmel, simile all’ebraico gamàl, “cammello”, e così via. Tuttavia le difficoltà sorgono quando si cerca di continuare con tutte le altre lettere, e per stabilire la presunta somiglianza fra la forma delle lettere e il suggerito significato del nome spesso ci vuole notevole immaginazione. Infatti, mentre alcuni credono che la lettera gìmel originalmente rappresentasse un cammello (o il collo di un cammello), altri suggeriscono che originalmente raffigurasse un “bastone da lanciare”; alcuni che dàleth rappresentasse una porta, altri invece un pesce; zàyin un’arma o forse un ulivo; tehth un serpente oppure un cesto, e così via. È perciò interessante la dichiarazione di Diringer (The Story of the Aleph Beth, p. 40) in cui, dopo aver spiegato che il valore fonetico di ciascuna lettera ebraica corrisponde al suono iniziale del suo nome, fa notare: “Sarebbe erroneo concludere che [questo] indichi necessariamente l’uso di rappresentazioni figurative delle cose che avevano lo stesso nome delle lettere: in altre parole, non c’è alcuna prova che i simboli fossero in origine pittografici”. Infatti, insegnando l’alfabeto italiano, l’insegnante potrebbe dire che A sta per “asino”, B sta per “barca”, C sta per “casa”, indicando semplicemente che il suono della lettera è rappresentato dall’iniziale della parola seguente, non che la forma della lettera assomigli in alcun modo alla cosa identificata da tale parola o a qualche sua caratteristica.
La teoria che l’alfabeto sia il risultato di una graduale evoluzione attraverso scritture pittografiche, ideografiche o sillabiche, non ha alcun fondamento solido. Anche se gli antichi egiziani finirono per usare alcuni segni fonetici per rappresentare certe consonanti, non li isolarono mai come un alfabeto distinto, e continuarono a usare i loro ideogrammi e fonogrammi sillabici fino all’inizio dell’era volgare. Poi adottarono l’alfabeto greco. Non ci sono nella storia esempi di alcuna scrittura pittografica che si sia sviluppata da sé in un alfabeto. Oltre agli egiziani, altri popoli, come i maya, usarono evidentemente per millenni una scrittura pittografica, che però non si evolse in un alfabeto. Anche i cinesi non hanno finora tratto un alfabeto dalla loro scrittura originalmente pittografica.
SVILUPPI PIÙ RECENTI
A proposito dell’unico alfabeto originale, Diringer spiega che altri popoli o civiltà apportarono poi le proprie varianti a tale scrittura alfabetica fondamentale, varianti che, col passar del tempo, finirono per essere quasi irriconoscibili rispetto ad altre della stessa famiglia (ed anche alla scrittura originale). Egli aggiunge: “Infatti la scrittura brahmi, il grande sistema di scrittura dell’India, l’alfabeto coreano, i caratteri mongoli, derivano dalla stessa fonte degli alfabeti greco, latino, runico, ebraico, arabo e russo, anche se è praticamente impossibile per il profano vedere una vera somiglianza fra loro”. — The Story of the Aleph Beth, p. 39.
Dopo l’esilio in Babilonia gli ebrei adottarono caratteri aramaici da cui deriva la forma quadrata delle lettere caratteristica dell’alfabeto ebraico moderno. Comunque l’evidenza indica che anche dopo l’esilio si continuò a usare l’antica scrittura ebraica.
L’alfabeto greco deriva dall’alfabeto semitico. Ai greci si deve un importante contributo in quanto presero le lettere in più per le quali non avevano consonanti corrispondenti (’àleph, he’, hhehth, ʽàyin, waw e yohdh) e se ne servirono per rappresentare i suoni vocalici a, e (breve), e (lunga), o, y, i. Dei due modi di scrivere il greco, orientale e occidentale, quest’ultimo diede origine all’alfabeto latino e quindi al nostro alfabeto.
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Alfa e OmegaAusiliario per capire la Bibbia
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Alfa e Omega
(àlfa e omèga).
Nomi rispettivamente della prima e dell’ultima lettera dell’alfabeto greco, usati tre volte come titolo nel libro di Rivelazione. Nella versione di Diodati questa espressione ricorre anche in Apocalisse (Rivelazione) 1:11, ma non trova alcun sostegno nei più antichi manoscritti greci, inclusi l’Alessandrino, il Sinaitico e il Codex Ephraemi Rescriptus. È perciò omessa in molte traduzioni moderne.
Anche se molti commentatori applicano questo titolo sia a Dio che a Cristo, un più attento esame ne limita l’applicazione al Dio supremo. Il primo versetto di Rivelazione spiega che la rivelazione era stata data in origine da Dio e per mezzo di Gesù Cristo, quindi a parlare (per mezzo di un rappresentante angelico) a volte è Dio stesso e altre volte Cristo Gesù. (Riv. 22:8) Infatti Apocalisse 1:8, CEI, dice: “Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio [“Geova Dio”, NM], Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. Anche se il precedente versetto parla di Cristo Gesù, è chiaro che nel versetto 8 il titolo è applicato a Dio “Onnipotente”. Albert Barnes in Barnes’ Notes on the New Testament osserva in proposito: “Non può essere assolutamente certo che qui lo scrittore volesse riferirsi specificamente al Signore Gesù . . . E non c’è nessuna vera incongruenza nel supporre che lo scrittore qui volesse riferirsi a Dio come tale”.
Il titolo ricorre di nuovo in Rivelazione 21:6, e il versetto successivo (Riv. 21:7) identifica chi parla dicendo: “Chiunque vincerà erediterà queste cose, e io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio”. Dato che Gesù si riferì a quelli che sono coeredi con lui nel suo regno come a “fratelli”, non “figli”, chi parla dev’essere il Padre celeste di Gesù, Geova Dio. — Matt. 25:40; confronta Ebrei 2:10-12.
L’ultima volta che ricorre questo titolo è in Rivelazione 22:13: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine”. È evidente che in questo capitolo di Rivelazione parlano diverse persone: i versetti 8 e 9 di Rivelazione 22 spiegano che l’angelo parlò a Giovanni, il versetto 16 di Rivelazione 22 ovviamente si applica a Gesù, la prima parte del versetto 17 di Rivelazione 22 è attribuita a “lo spirito e la sposa”, e chi parla nell’ultima parte del versetto 20 di Rivelazione 22 è chiaramente Giovanni stesso. “L’Alfa e l’Omega” dei versetti 12-15 di Rivelazione 22 va dunque riferito a colui che ha tale titolo negli altri due casi: Geova Dio. L’espressione “Ecco, vengo presto”, del versetto 12 di Rivelazione 22, non richiede che questi versetti si applichino a Gesù, in quanto anche Dio dice che “viene” per eseguire il giudizio. (Confronta Isaia 26:21). Malachia 3:1-6 dice che Geova e il suo “messaggero del patto” vengono insieme per il giudizio.
Il titolo “l’Alfa e l’Omega” ha lo stesso significato che “il primo e l’ultimo” ed è giustamente applicato a Geova Dio in modo illimitato essendo il primo di tutte le cose, il loro Iniziatore, e anche l’Onnipotente la cui potenza è in grado di portare tutte le cose a buon fine o a compimento. — Confronta Isaia 44:6.
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AlitoAusiliario per capire la Bibbia
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Alito
Vedi SPIRITO.
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AlleanzaAusiliario per capire la Bibbia
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Alleanza
Unione di diverse parti o famiglie o singole persone o stati, sia mediante matrimonio, accordo reciproco o contratto legale. Un’alleanza di solito comporta un beneficio reciproco o il comune conseguimento di uno scopo desiderato.
Abraamo sembra aver concluso una prima alleanza con gli amorrei Mamre, Escol e Aner. Non si conosce la natura della confederazione, ma essi si unirono a lui nella spedizione per liberare il nipote Lot dai re invasori. (Gen. 14:13-24) Abraamo abitava allora come forestiero in un paese dominato da piccoli regni e quindi poté essere necessaria da parte sua una dichiarazione formale sotto forma di patto per poter risiedere pacificamente in mezzo a loro. Tuttavia Abraamo evitò di prendere impegni non necessari con tali sovrani politici, come risulta dalla sua dichiarazione al re di Sodoma in Genesi 14:21-24. A Gherar il re filisteo Abimelec ricordò ad Abraamo che risiedeva in Filistea come forestiero col suo consenso, e richiese da lui un giuramento che ne garantisse la condotta fedele. Abraamo acconsentì e in seguito a una disputa per il diritto ad attingere acqua, fece un patto con Abimelec. — Gen. 20:1, 15; Gen. 21:22-34.
Anche Isacco, figlio di Abraamo, venne ad abitare a Gherar, ma quando Abimelec gli chiese di andarsene dalle immediate vicinanze, acconsentì prontamente. Ci furono di nuovo dispute per i diritti sull’acqua, dopo di che Abimelec e i suoi principali alleati chiesero che Isacco si impegnasse con un giuramento e un patto, senza dubbio per rinnovare quello fatto con Abraamo. Dichiarazioni giurate furono fatte da entrambe le parti per garantire una reciproca condotta pacifica. (Gen. 26:16, 19-22, 26-31; confronta Genesi 31:48-53). L’apostolo Paolo afferma che quegli antichi patriarchi si dichiararono pubblicamente estranei e residenti temporanei attendati nel paese, in attesa di una città che abbia reali fondamenta, il cui edificatore e creatore è Dio. — Ebr. 11:8-10, 13-16.
La situazione cambiò con l’entrata della nazione d’Israele in Canaan, la Terra Promessa. Il Sovrano Dio aveva dato a Israele pieno diritto alla terra in adempimento della promessa fatta agli antenati. Non vi entrarono perciò come residenti forestieri, e Geova proibì che facessero alleanze con le nazioni pagane del paese. (Eso. 23:31-33; 34:11-16) Dovevano essere soggetti solo alle leggi e agli statuti di Dio, non a quelli delle nazioni destinate a essere scacciate. (Lev. 18:3, 4; 20:22-24) Furono avvertiti in modo particolare di non concludere alleanze matrimoniali con tali nazioni. Tali alleanze li avrebbero personalmente compromessi non solo con le mogli pagane, ma anche con i parenti pagani e le loro pratiche e usanze religiose false, e ciò avrebbe costituito un laccio e un’apostasia. — Deut. 7:2-4; Eso. 34:16; Gios. 23:12, 13.
ALLEANZE MATRIMONIALI
Molto tempo prima Abraamo aveva insistito che Isacco non prendesse moglie fra le cananee. (Gen. 24:3, 4) Isacco diede istruzioni simili a Giacobbe. (Gen. 28:1) Quando Dina fu violentata da Sichem l’ivveo, Emor insisté perché la famiglia di Giacobbe concludesse alleanze matrimoniali con la sua tribù. I figli di Giacobbe non rispettarono il loro apparente accordo, e dopo aver vendicato l’onore di Dina presero prigionieri donne e bambini ivvei. (Gen. 34:1-11, 29) Giuda in seguito sposò una cananea (Gen. 38:2), la moglie di Giuseppe era egiziana (Gen. 41:50), e Mosè sposò Zippora, una madianita (evidentemente la “cusita” di Numeri 12:1). Questi matrimoni però furono contratti prima della promulgazione della Legge e non potevano quindi essere considerati una violazione delle sue prescrizioni. — Eso. 2:16, 21; Num. 12:1.
Nel combattimento con Madian, gli israeliti conservarono in vita solo le donne e ragazze vergini. (Num. 31:3, 18, 35) La Legge consentiva di prender moglie fra tali prigioniere di guerra orfane. (Deut. 21:10-14) Nella Terra Promessa il consiglio di Dio di non fare alleanze matrimoniali con i pagani fu spesso ignorato, con conseguenti problemi e apostasia. — Giud. 3:5, 6.
A volte venivano combinate alleanze matrimoniali per conseguire certi fini, come quando Davide fu invitato dal re Saul a concludere un’alleanza matrimoniale con lui prendendo in moglie sua figlia Mical. (I Sam. 18:21-27) Una delle sei mogli che poi partorirono figli a Davide in Ebron era figlia del re di Ghesur (II Sam. 3:3), e alcuni considerano questa un’alleanza matrimoniale stipulata da Davide al fine di indebolire la posizione del rivale Is-Boset, dato che il piccolo regno di Ghesur si trovava dall’altra parte di Maanaim, capitale di Is-Boset. All’inizio del suo regno il re Salomone concluse un’alleanza matrimoniale col Faraone, prendendone in moglie la figlia. (I Re 3:1; 9:16) Questo matrimonio, insieme ad altri con donne moabite, ammonite, edomite, sidoni e ittite, finì per far cadere Salomone nella peggiore idolatria. (I Re 11:1-6) L’alleanza matrimoniale del re Acab col re di Sidone per sposarne la figlia Izebel causò simili risultati disastrosi per il regno settentrionale d’Israele. (I Re 16:31-33) Il re Giosafat stipulò poi con l’idolatra casa di Acab un’incauta alleanza matrimoniale che ebbe a lungo pessime conseguenze per il regno di Giuda. — II Cron. 18:1; 21:4-6; 22:2-4.
Dopo l’esilio, Esdra fu indignato di scoprire che anche i sacerdoti e i leviti avevano fatto alleanze matrimoniali con i cananei e altri, e provvide immediatamente a sanare la situazione. (Esd. 9:1-3, 12-14; 10:1-5, 10-14, 44) Ma all’epoca di Neemia, Tobia l’ammonita ricorse di nuovo ad alleanze matrimoniali per stringere relazioni con la famiglia sacerdotale di Gerusalemme, con l’appoggio di una forte fazione alleata fra i nobili di Giuda, al punto che,
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