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AnzianoAusiliario per capire la Bibbia
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menzionati al plurale, come quelli di Gerusalemme (Atti 11:30; 15:4, 6; 21:18), Efeso (Atti 20:17, 28), Filippi (Filip. 1:1), e quelli che ‘posero le mani’ su Timoteo. – I Tim. 4:14.
Gli “anziani”, come sorveglianti della congregazione, ‘presiedevano’ sui loro fratelli. (Rom. 12:8; I Tess. 5:12-15; I Tim. 3:4, 5; 5:17) Senza dubbio ogni adunanza della congregazione era presieduta da uno o più di loro affinché ogni cosa potesse ‘aver luogo decentemente e mediante disposizione’, con ordine. (I Cor. 14:26-32, 39, 40) Un sistema simile, con qualcuno che presiede in modo permanente o a turno, poteva esser seguito anche nelle adunanze del corpo dei sorveglianti della congregazione, per assicurare il buon ordine e l’efficace discussione.
Nomine e durata dell’incarico
Troviamo che Paolo, Barnaba, Tito, ed evidentemente Timoteo, ebbero una parte nel fare nomine di “anziani” nelle congregazioni. (Atti 14:21-23; I Tim. 5:22; Tito 1:5) Non si ha notizia di nomine del genere fatte in modo indipendente dalle congregazioni. Nulla è detto della durata dell’incarico di “anziano”. Poiché la nomina era un riconoscimento dei requisiti spirituali di ciascuno, a quanto pare gli “anziani”, se rimanevano fedeli, continuavano a essere tali.
“DEGNI DI DOPPIO ONORE”
Paolo scrisse a Timoteo: “Gli anziani che presiedono in modo eccellente siano ritenuti degni di doppio onore [“doppia ricompensa”, NW, nota in calce; Ga; “doppia remunerazione”, Na], specialmente quelli che faticano nel parlare e insegnare”. (I Tim. 5:17) In considerazione di quanto detto al versetto seguente (I Tim. 5:18) e anche delle osservazioni fatte in precedenza a proposito di onorare le vedove aiutandole materialmente (vv. I Tim. 5:3-16), questo “doppio onore” includeva evidentemente il rispetto e una ricompensa di carattere materiale.
“VENTIQUATTRO PERSONE ANZIANE”
Nel libro di Rivelazione il termine presbỳteroi è applicato (circa dodici volte) a creature spirituali. L’ambiente, l’abbigliamento e le azioni che compiono aiutano a identificarle.
L’apostolo Giovanni ebbe una visione del trono di Geova in cielo, circondato da ventiquattro troni minori su cui erano sedute ventiquattro persone anziane che indossavano mantelli bianchi e avevano sul capo corone d’oro. (Riv. 4:1-4) Mentre la visione proseguiva, Giovanni vide i ventiquattro non solo prostrarsi ripetutamente in adorazione davanti al trono di Geova, ma li osservò anche prendere parte attiva nelle varie fasi della visione. (Riv. 4:9-11; 5:4-14; 7:9-17; 14:3; 19:4) Osservò in particolare che si univano alla proclamazione del regno dicendo che Geova aveva assunto il suo gran potere e aveva cominciato a regnare. – Riv. 11:15-18.
Essendo ebreo, Giovanni era al corrente del fatto che gli “anziani d’Israele” erano rappresentanti e portavoce dell’intera nazione. (Eso. 3:16, 18; 19:7) Allo stesso modo gli “anziani” cristiani rappresentano l’intera congregazione dell’Israele spirituale. Pertanto le ventiquattro persone anziane sedute su troni intorno a Dio potrebbero senz’altro rappresentare l’intero corpo dei cristiani unti, i quali, essendo fedeli fino alla morte, ricevono la promessa ricompensa della risurrezione celeste e di sedere su troni presso quello di Geova. (Confronta Rivelazione 3:21). Visto che la congregazione cristiana dev’essere un “regal sacerdozio”, anche il numero ventiquattro è significativo, essendo il numero delle divisioni in cui il re Davide suddivise i sacerdoti per il servizio nel tempio di Gerusalemme. – I Cron. 24:1-19; Luca 1:5-23, 57-66; I Piet. 2:9; Riv. 20:6; vedi SORVEGLIANTE.
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ApeAusiliario per capire la Bibbia
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Ape
[ebr. devohràh].
La descrizione di Canaan come di un “paese dove scorre latte e miele” indica di per sé che le api vi erano molto numerose fin dall’antichità. (Eso. 3:8) Il clima caldo e l’abbondanza di fiori continua a farne un paese ideale per una grande popolazione di api, e l’apicoltura vi è tuttora largamente praticata.
In base a un bassorilievo del “Tempio del Sole”, si ritiene che presso gli egiziani l’apicoltura sia anteriore al tempo di Abraamo. Tuttavia la prima chiara evidenza di allevamenti di api in Palestina risale al tempo della Mishnàh (messa per iscritto dagli ebrei nel II secolo E.V.), quando erano una cosa del tutto comune. I riferimenti biblici in generale si riferiscono chiaramente alle api selvatiche. Il miele mangiato da Gionatan durante una campagna militare fu raccolto nel bosco, e probabilmente l’alveare si trovava in un albero cavo. (I Sam. 14:25-27) Le api selvatiche della valle del Giordano provvidero a Giovanni Battista gran parte del suo nutrimento. (Matt. 3:4) Le api si annidano non solo negli alberi, ma anche in altre cavità, come fenditure di rocce e muri. – Deut. 32:13; Sal. 81:16.
Il racconto di Giudici 14:5-9 ha suscitato qualche perplessità. Sansone, dopo aver ucciso un leone, tornò per trovare che “nella carcassa del leone c’era uno sciame di api, e miele”. È risaputo che quasi tutte le api hanno una forte avversione per i corpi morti e le carogne. Si noti però che la Bibbia dice che Sansone tornò “dopo qualche tempo” o, letteralmente in ebraico, “dopo giorni”, espressione che può riferirsi a un periodo di tempo anche di un anno. (Confronta I Samuele 1:3 [l’espressione “di un anno” è letteralmente in ebraico “di giorni in giorni”]; vedi Neemia 13:6). Il tempo trascorso avrebbe permesso a uccelli o animali e anche insetti che si nutrono di carogne di consumare gran parte della carne e agli ardenti raggi del sole di essiccare il resto. Che fosse trascorso un considerevole periodo di tempo è evidente anche dal fatto che lo sciame di api non solo aveva fatto il nido nella carcassa del leone, ma vi aveva anche deposto una certa quantità di miele.
La furiosa reazione di uno sciame di api disturbato ben descrive il modo in cui gli amorrei scacciarono gli israeliti dal loro territorio montuoso. (Deut. 1:44) Similmente il salmista descrive le nazioni nemiche che lo accerchiavano “come api”, trattenute soltanto dalla sua fede nel nome di Geova. (Sal. 118:10-12) Le ricerche compiute dalla Cornell University hanno dimostrato che il veleno dell’ape è in proporzione altrettanto tossico quanto quello del cobra, e, benché il pungiglione di una singola ape inietti solo una quantità relativamente piccola di veleno nella vittima, l’attacco di uno sciame di parecchie centinaia di api può essere fatale per un essere umano. Una colonia numerosa può esser formata anche da 60.000 api.
Il profeta Isaia descrisse vividamente l’invasione della Terra Promessa da parte degli eserciti d’Egitto e Assiria, paragonando le loro truppe a sciami di mosche e api che Geova Dio raduna con un ‘fischio’ nelle valli del torrente e nelle fenditure delle rupi. (Isa. 7:18, 19) La maggior parte dei commentatori non ritiene quella di ‘fischiare’ un’effettiva usanza degli apicoltori, ma semplicemente un’indicazione che Geova attira l’attenzione delle nazioni aggressive verso il paese del popolo del suo patto. Il fatto che vengono richiamate non solo “api” ma anche “mosche” simboliche sembrerebbe dunque indicare che non si trattava di un modo letterale per richiamare le api.
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ApocrifiAusiliario per capire la Bibbia
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Apocrifi
(apòcrifi) [nascosti, occultati].
Il termine greco apòkryphos compare nel suo senso originale in tre versetti biblici in riferimento a qualche cosa di “attentamente occultato”. (Mar. 4:22; Luca 8:17; Col. 2:3) Applicato agli scritti, in origine si riferiva a quelli che non venivano letti in pubblico, e che perciò erano “occultati” agli altri. In seguito però il termine assunse il significato di spurio o non canonico, e oggi nel suo uso più comune distingue gli undici scritti aggiunti dichiarati parte del canone biblico dalla Chiesa Cattolica nel Concilio di Trento (1546). Scrittori cattolici chiamano questi libri deuterocanonici, vale a dire “del secondo (o successivo) canone”, per distinguerli da quelli protocanonici.
Questi undici scritti aggiunti sono Tobia, Giuditta, Sapienza (di Salomone), Ecclesiastico (non Ecclesiaste), Baruc, I e II Maccabei, appendici a Ester e tre aggiunte a Daniele (il cantico dei tre giovani, Susanna e gli anziani, e la distruzione di Bel e del dragone). La data della stesura è incerta, ma l’evidenza indica che non dev’essere anteriore al II o III secolo a.E.V.
PROVE CONTRO LA CANONICITÀ
Anche se in qualche caso hanno un certo valore storico, la pretesa canonicità di questi scritti è priva di fondamento. Evidentemente il canone ebraico venne completato nel V secolo a.E.V., dopo che furono scritti i libri di Neemia e Malachia. Gli scritti apocrifi non furono mai inclusi nel canone ebraico delle Scritture ispirate e non ne fanno parte neanche oggi.
Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo, dà atto solo al riconoscimento di quei libri (del canone ebraico) considerati sacri: “Non ci sono presso di noi miriadi di libri discordanti e discrepanti, ma solo due e venti [l’equivalente dei trentanove libri delle Scritture Ebraiche secondo la suddivisione moderna], comprendenti la storia di tutti i tempi, che sono giustamente accreditati”. Poi si mostra chiaramente consapevole dell’esistenza dei libri apocrifi e della loro esclusione dal canone ebraico, aggiungendo: “Dal tempo di Artaserse fino al nostro ogni cosa è stata documentata, ma i documenti non sono considerati ugualmente degni di fiducia come quelli scritti in precedenza, perché l’esatta successione dei profeti è cessata”. – Contro Apione, Libro I, 8.
L’inclusione nella Settanta non è prova di canonicità
Gli argomenti a favore della loro canonicità generalmente si basano sul fatto che questi scritti apocrifi si trovano in molte antiche copie della versione greca dei Settanta delle Scritture Ebraiche, traduzione iniziata in Egitto verso il 280 a.E.V. Comunque, dato che non esistono copie originali della Settanta, non si può affermare categoricamente che vi fossero originalmente inclusi i libri apocrifi. È anzi appurato che molti, forse quasi tutti gli apocrifi furono scritti dopo l’inizio della traduzione della Settanta e quindi non potevano far parte dell’originale elenco dei libri scelti per essere tradotti. Nel migliore dei casi si potevano considerare solo aggiunte alla traduzione originale.
Inoltre, mentre gli ebrei di lingua greca di Alessandria finirono per includere tali scritti apocrifi nella Versione dei Settanta e pare li considerassero parte di un ampliato canone degli scritti sacri, la già citata dichiarazione di Giuseppe Flavio indica che non furono mai inclusi nel canone palestinese o di Gerusalemme e, al massimo, erano considerati solo come scritti secondari e non di origine divina. Infatti il Concilio ebraico di Iamnia (verso il 90 E.V.) escluse categoricamente tali scritti dal canone ebraico.
La necessità di tener conto dell’opinione ebraica al riguardo è chiaramente affermata dall’apostolo Paolo in Romani 3:1, 2.
Ulteriore testimonianza antica
Una delle principali evidenze esterne contro la canonicità degli Apocrifi è il fatto che nessuno degli scrittori biblici cristiani abbia citato questi libri. Anche se questa in se stessa non è una prova conclusiva, in quanto nei loro scritti mancano anche citazioni di alcuni libri riconosciuti canonici, come Ester, Ecclesiaste e Cantico di Salomone, è degno di nota che nessuno degli undici scritti degli Apocrifi sia citato neanche una volta.
E non è senza peso il fatto che eminenti studiosi biblici e “padri della chiesa” dei primi secoli dell’era volgare, nel complesso, attribuirono agli Apocrifi una posizione inferiore. Origene, all’inizio del III secolo E.V., dopo accurata investigazione fece una netta distinzione fra questi scritti e quelli del vero canone. Atanasio, Cirillo di Gerusalemme, Gregorio di Nazianzo e Anfilochio, tutti del IV secolo E.V., compilarono cataloghi degli scritti sacri seguendo il canone ebraico e ignorarono questi scritti aggiunti o li considerarono secondari.
Girolamo, che è definito “il migliore studioso di ebraico” della chiesa primitiva e che nel 405 E.V. portò a termine la traduzione Vulgata latina della Bibbia, prese decisamente posizione contro tali libri apocrifi e anzi fu il primo a usare il termine “apocrifi” in riferimento a tali scritti, volendo dire esplicitamente che non erano canonici. Infatti nel suo Prologus Galeatus alla Vulgata, Girolamo elenca i libri ispirati delle Scritture Ebraiche seguendo il canone ebraico (nel quale i trentanove libri sono raggruppati in ventidue) e poi dichiara: “Ci sono dunque ventidue libri . . . Questo prologo delle Scritture può servire da introduzione arricchita a tutti i libri che traduciamo dall’ebraico in latino; onde possiamo sapere che tutto ciò che è al di fuori di questi dev’essere incluso negli apocrifi”. Scrivendo a una signora di nome Leta a proposito dell’educazione della figlia, Girolamo consigliava: “Tutti i libri apocrifi dovrebbero essere evitati; ma se desidera leggerli, non per stabilire la verità di dottrine, ma con un sentimento riverente verso la verità che esprimono, dovrebbe essere avvertita che non sono opera degli autori di cui portano il nome, che contengono molti errori, e che trovare l’oro in mezzo all’argilla è un lavoro che richiede molto giudizio”.
Opinioni cattoliche diverse
La tendenza a includere questi scritti aggiunti, come se fossero canonici, ebbe inizio principalmente con Agostino (354–430 E.V.), anche se in opere successive lui stesso riconobbe che c’era una netta distinzione fra questi e i libri del canone ebraico. Tuttavia la Chiesa Cattolica, seguendo l’esempio di Agostino, incluse tali scritti aggiunti nel canone dei libri sacri stabilito dal Concilio di Cartagine nel 397 E.V. Solo molto più tardi, però, nel 1546 E.V., al Concilio di Trento, la Chiesa Cattolica confermò definitivamente l’inclusione di queste
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