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  • Camminate come compagni d’opera nella verità

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  • Camminate come compagni d’opera nella verità
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1991
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  • Secondo Giovanni dà risalto alla verità
  • Terzo Giovanni mette in risalto la collaborazione
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Altro
La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1991
w91 15/4 p. 30

Camminate come compagni d’opera nella verità

Punti notevoli di Secondo e Terzo Giovanni

LA CONOSCENZA della verità è una caratteristica che contraddistingue gli adoratori di Geova. (Giovanni 8:31, 32; 17:17) Camminare nella verità divina è essenziale per la salvezza. E i servitori di Dio devono essere compagni d’opera nella verità.

La seconda e la terza lettera ispirata dell’apostolo Giovanni parlano di “camminare nella verità”. (2 Giovanni 4; 3 Giovanni 3, 4) Terzo Giovanni incoraggia anche a cooperare come “compagni d’opera nella verità”. (3 Giovanni 5-8) È probabile che entrambe le lettere siano state scritte a Efeso o nelle vicinanze verso il 98 E.V. Il loro contenuto, comunque, può essere utile agli odierni servitori di Geova.

Secondo Giovanni dà risalto alla verità

Secondo Giovanni per prima cosa dava risalto alla verità e all’amore e metteva in guardia contro “l’anticristo”. (Versetti 1-7) La lettera era indirizzata alla “signora eletta”, forse una singola persona. Se invece era indirizzata a una congregazione, i “figli” di lei erano cristiani generati dallo spirito ‘eletti’ da Dio per la vita celeste. (Romani 8:16, 17; Filippesi 3:12-14) Giovanni si rallegrava del fatto che alcuni ‘camminavano nella verità’ e si opponevano all’apostasia. Tuttavia, dovevano stare in guardia contro “l’anticristo”, il quale nega che Gesù venne nella carne. Oggi i testimoni di Geova prestano attenzione a questi avvertimenti contro l’apostasia.

Giovanni diede poi consigli su come trattare gli apostati e concluse con un augurio personale e dei saluti. (Versetti 8-13) Sia lui che altri avevano faticato, ad esempio predicando, e avevano portato frutto in quanto i destinatari della lettera si erano convertiti. Questi ultimi, però, avrebbero ‘ottenuto una piena ricompensa’, la quale evidentemente comprendeva anche la “corona” celeste riservata agli unti fedeli, solo se ‘avessero prestato attenzione’ alla propria spiritualità. (2 Timoteo 4:7, 8) Se veniva da loro qualcuno che ‘non rimaneva nell’insegnamento del Cristo’, non dovevano ‘riceverlo in casa né rivolgergli un saluto’, per non divenire complici delle sue “opere malvage”. Dopo aver espresso la speranza di venire di persona a parlare con questi compagni di fede, Giovanni concluse con dei saluti.

Terzo Giovanni mette in risalto la collaborazione

La terza lettera di Giovanni era indirizzata a Gaio, e per prima cosa riconosce ciò che questi stava facendo per i compagni di fede. (Versetti 1-8) Gaio stava ‘camminando nella verità’ in quanto si atteneva a tutto l’insieme degli insegnamenti cristiani. Stava anche facendo “un’opera fedele” in quanto aiutava i fratelli in visita. Giovanni scrisse: “Noi . . . abbiamo l’obbligo di ricevere tali persone in modo ospitale, affinché diveniamo compagni d’opera nella verità”. Oggi i testimoni di Geova mostrano un’ospitalità simile ai sorveglianti viaggianti.

Dopo aver messo in contrasto la cattiva condotta di Diotrefe con quella di Demetrio, Giovanni concluse la sua lettera. (Versetti 9-14) Diotrefe, che cercava la propria gloria, non mostrava alcun rispetto per Giovanni e cercava persino di espellere dalla congregazione coloro che mostravano ospitalità ai fratelli. La lettera menzionava un certo Demetrio come buon esempio. Giovanni sperava di vedere presto Gaio e concluse inviandogli saluti e augurandogli che avesse pace.

[Riquadro/Immagine a pagina 30]

Con carta, penna e inchiostro: Giovanni desiderava far visita alla “signora eletta” e ai suoi “figli” anziché scrivere loro molte cose “con carta e inchiostro”. E anziché continuare a scrivere a Gaio “con inchiostro e penna”, l’apostolo sperava di vedere presto anche lui. (2 Giovanni 1, 12; 3 Giovanni 1, 13, 14) La parola greca tradotta “penna” (kàlamos) indica una canna, o calamo, e si può tradurre letteralmente “canna da scrivere”. Greci e romani usavano una penna di canna appuntita con una fessura longitudinale, come le penne d’oca d’epoca posteriore. Il termine greco mèlan, tradotto “inchiostro”, deriva dall’aggettivo mèlas, che significa “nero”. Negli inchiostri più antichi il pigmento nero era costituito da sostanze carboniose: nerofumo ottenuto dalla combustione di olio o legna, oppure carbone cristallino di origine animale o vegetale. L’inchiostro in genere era conservato allo stato solido in pani o tavolette che lo scriba inumidiva quando applicava l’inchiostro al pennello o alla cannuccia. A quei tempi la carta era un sottile materiale scrittorio in fogli ottenuto da strisce di papiro. I primi cristiani usarono tale carta per scrivere lettere, rotoli e codici.

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