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    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 2
    • Quando Geova fece un patto con Davide per un regno, disse a Davide che avrebbe stabilito il trono nella sua discendenza, ma che se la sua dinastia o qualche suo discendente avesse agito male, lo avrebbe ‘ripreso con la verga degli uomini e con i colpi dei figli di Adamo’. (2Sa 7:14; Sl 89:32) Questo avvenne quando Geova lasciò che i re delle nazioni gentili sconfiggessero i re di Giuda, in particolare quando Nabucodonosor, re di Babilonia, rimosse Sedechia dal trono di Gerusalemme. — Ger 52:1-11.

      Geova disse che le nazioni che gli israeliti non avevano spodestato sarebbero diventate ‘un flagello ai loro fianchi’. (Gsè 23:13) Isaia 10:24-26 mostra che, mentre gli assiri usarono la verga per colpire Sion ingiustamente, Geova avrebbe brandito “una frusta” contro gli assiri. Piaghe, malattie o calamità mandate da Geova come castigo erano definite flagelli. (Nu 16:43-50; 25:8, 9; Sl 106:29, 30) La disciplina di Geova è paragonata alla flagellazione. — Eb 12:6.

      Isaia profetizzò che il Messia avrebbe portato le infermità e le pene di quelli che avrebbero esercitato fede in lui. Il profeta dice: “A causa delle sue ferite c’è stata per noi guarigione”. (Isa 53:3-5) Pietro applica questa profezia a Gesù Cristo, dicendo: “Egli stesso portò i nostri peccati nel proprio corpo, sul palo, affinché morissimo ai peccati e vivessimo per la giustizia. E ‘per le sue vergate siete stati sanati’”. — 1Pt 2:24.

  • Perdono
    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 2
    • PERDONO

      Remissione di una colpa; fine di qualsiasi risentimento verso l’offensore e rinuncia a ogni rivalsa. Il verbo ebraico nasàʼ, a volte tradotto “perdonare”, è usato nelle Scritture anche nel senso di “mettere su”, “alzare”, “portare in alto” (Ge 45:19; Eso 6:8; 2Re 2:16), “prendere” (Ge 27:3; Nu 16:15). Un significato basilare del termine, comunque, è “portare”. (Ge 47:30; 1Re 2:26; Ez 44:12, 13) Tracce di questo significato permangono anche nei casi in cui nasàʼ è correttamente tradotto “perdonare”. Le Scritture dicono che il capro per Azazel portava via il peccato, e fu predetto che il Messia avrebbe portato l’errore del popolo. (Le 16:8, 10, 22; Isa 53:12) Grazie al fatto che egli porta il loro errore altri possono ottenere il perdono. — Vedi AZAZEL.

      Mentre nasàʼ può indicare sia il perdono di Dio che quello degli uomini (Ge 18:24, 26; 50:17), un altro verbo ebraico, salàch, è usato esclusivamente per il perdono di Dio, l’atto con cui il peccatore ottiene di nuovo il favore di Dio in risposta alla sincera preghiera con cui ha invocato il perdono o a una preghiera d’intercessione altrui. — Nu 14:19, 20; 1Re 8:30.

      Quando nasàʼ ha il senso di perdonare, la Settanta greca usa a volte il verbo afìemi. Fondamentalmente, afìemi significa “lasciar andare”. Può anche voler dire “perdonare”. In Romani 4:7 l’apostolo Paolo cita Salmo 32:1 (31:1, LXX), dov’è detto che Geova perdona la “rivolta”, e adopera il verbo afìemi, come fa la Settanta greca per l’ebraico nasàʼ. Il termine compare altrove nelle Scritture Greche Cristiane con riferimento al perdono dei peccati, incluso l’annullamento dei debiti, da parte di Dio e di uomini. — Mt 6:12, 14, 15; 18:32, 35.

      Secondo la legge data da Dio alla nazione di Israele, chi aveva peccato contro Dio o contro il prossimo e voleva ottenere il perdono dei peccati doveva prima di tutto correggere il torto come prescritto nella Legge e poi, nella maggior parte dei casi, presentare a Geova un’offerta cruenta. (Le 5:5–6:7) Di qui il principio esposto da Paolo: “Quasi tutte le cose sono purificate col sangue secondo la Legge, e se il sangue non è versato non ha luogo nessun perdono”. (Eb 9:22) In realtà però il sangue dei sacrifici animali non poteva togliere i peccati e rendere la coscienza perfettamente pura. (Eb 10:1-4; 9:9, 13, 14) Invece il predetto nuovo patto rese possibile il vero perdono basato sul sacrificio di riscatto di Gesù Cristo. (Ger 31:33, 34; Mt 26:28; 1Co 11:25; Ef 1:7) Anche sulla terra Gesù dimostrò di avere l’autorità di perdonare i peccati, sanando un paralitico. — Mt 9:2-7.

      Geova perdona “in larga misura”, com’è indicato dalle illustrazioni di Gesù del figlio prodigo e del re che rimise a uno schiavo un debito di 10.000 talenti, mentre quello schiavo non era disposto a rimettere a un suo compagno un debito di soli cento denari. (Isa 55:7; Lu 15:11-32; Mt 18:23-35) Comunque il perdono da parte di Geova non è dovuto a sentimentalismo, in quanto egli non lascia impunite azioni scandalose. (Sl 99:8) Giosuè avvertì Israele che Geova non avrebbe perdonato la loro apostasia. — Gsè 24:19, 20; cfr. Isa 2:6-9.

      Dio ha stabilito in che modo si può chiedere e ottenere il suo perdono. Bisogna ammettere il proprio peccato, riconoscere che è un’offesa a Dio, confessarlo incondizionatamente, provare sincero e profondo dolore per l’errore commesso ed essere decisi ad abbandonare tale condotta o pratica. (Sl 32:5; 51:4; 1Gv 1:8, 9; 2Co 7:8-11) Bisogna fare il possibile per riparare il torto o il danno fatto. (Mt 5:23, 24) Poi si deve pregare Dio, chiedendo perdono in base al sacrificio di riscatto di Cristo. — Ef 1:7; vedi PENTIMENTO.

      Inoltre ai cristiani è richiesto di perdonare agli altri le offese personali, per quanto ripetute. (Lu 17:3, 4; Ef 4:32; Col 3:13) Dio non concede il perdono a chi rifiuta di perdonare altri. (Mt 6:14, 15) Anche quando, in caso di grave trasgressione, si rende necessario espellere “l’uomo malvagio” dalla congregazione cristiana, a suo tempo, se egli si dimostra veramente pentito, gli può essere concesso il perdono. Allora tutti i componenti della congregazione potranno confermargli il loro amore. (1Co 5:13; 2Co 2:6-11) Non è tuttavia richiesto che i cristiani perdonino quelli che praticano il peccato volontariamente, con perfidia, senza pentirsi. Costoro diventano nemici di Dio. — Eb 10:26-31; Sl 139:21, 22.

      È appropriato implorare il perdono di Dio a favore di altri, anche di un’intera congregazione. Mosè fece questo per la nazione d’Israele, confessando il peccato della nazione e chiedendo perdono, e fu esaudito da Geova. (Nu 14:19, 20) Anche Salomone, alla dedicazione del tempio, pregò Geova di perdonare il suo popolo qualora avesse peccato e si fosse poi allontanato dalla condotta sbagliata. (1Re 8:30, 33-40, 46-52) Esdra rappresentò gli ebrei rimpatriati nel confessare pubblicamente i loro peccati. Come risultato della sua sincera preghiera ed esortazione, il popolo agì per ottenere il perdono di Geova. (Esd 9:13–10:4, 10-19, 44) Giacomo incoraggia chi è malato spiritualmente a invitare gli anziani della congregazione a pregare per lui e, “se ha commesso dei peccati, gli sarà perdonato”. (Gc 5:14-16) Tuttavia c’è “un peccato che incorre nella morte”, il peccato contro lo spirito santo, la deliberata pratica di peccato per cui non c’è perdono. Il cristiano non deve pregare per coloro che peccano in questo modo. — 1Gv 5:16; Mt 12:31; Eb 10:26, 27; vedi PECCATO; SPIRITO.

      Geova è davvero un Dio che concede il perdono a quelli che glielo chiedono. Ma non trattiene la punizione da coloro che deliberatamente si oppongono a lui e alle sue giuste vie. — Eso 34:6, 7.

  • Peres, I
    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 2
    • PERES, I

      (Pères).

      Figlio di Machir e Maaca della tribù di Manasse. — 1Cr 7:14, 16.

  • Peres, II
    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 2
    • PERES, II

      (Pères).

      Daniele usò questa parola aramaica nell’interpretare la scritta sul muro, “MENE, MENE, TECHEL e PARSIN”. (Da 5:25, 28) Judah Slotki spiega che la scritta significa “una mina, una mina, un siclo e mezzi sicli”. (Soncino Books of the Bible, a cura di A. Cohen, Londra, 1951; vedi anche Peake’s Commentary on the Bible, a cura di M. Black e H. H. Rowley, Londra, 1964, p. 596). Poiché “Peres” è il singolare di “Parsin”, vorrebbe dire “mezzo siclo”.

      Nel dare l’interpretazione di “Peres”, il profeta adopera altre due parole aramaiche scritte con le stesse tre consonanti ma vocalizzate diversamente. “PERES [Perès], il tuo regno è stato diviso [perisàth] e dato ai medi e ai persiani [uPharàs]”. La spiegazione ispirata include quindi un doppio gioco di parole sul termine “Peres” e sul verbo “dividere”. I successivi eventi di quella notte rivelarono l’accuratezza dell’interpretazione. — Vedi PARSIN.

  • Perez
    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 2
    • PEREZ

      (Pèrez) [rottura; lacerazione perineale].

      Uno dei gemelli figli di Giuda e di sua nuora Tamar. Durante il parto, prima cominciò a uscire Zera fratello di Perez, ma poi si ritirò e Perez uscì per primo, producendo una lacerazione perineale a Tamar. (Ge 38:24-30) Perez conservò la priorità sul fratello, ed è sempre elencato prima di lui; la sua casa divenne la più famosa delle due. (Ru 4:12) Perez e i suoi due figli, Ezron e Amul, sono inclusi fra i discendenti di Giacobbe andati in Egitto, dove tutti e tre diventarono capi di altrettante famiglie di Giuda. (Ge 46:8, 12) A parte ciò, non abbiamo altre informazioni sul suo conto.

      I riferimenti a Perez sono per lo più di carattere genealogico, in quanto la maggior parte delle genealogie di Giuda passa per Perez. (1Cr 2:4, 5, 9-55; 4:1-20) Le famiglie di Perez e dei suoi due figli costituivano una parte consistente della tribù di Giuda all’epoca del secondo censimento nel deserto. (Nu 26:20-22) Alcuni discendenti di Perez erano inclusi nella prima delle dodici divisioni, una per ciascun mese, della milizia di Davide. (1Cr 27:3) Molti figli di Perez tornarono dall’esilio in Babilonia, e 468 di loro risiedevano a Gerusalemme. (1Cr 9:3, 4; Ne 11:4, 6) Una linea genealogica

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