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Una lezione sulla fedeGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 105
Una lezione sulla fede
MATTEO 21:19-27 MARCO 11:19-33 LUCA 20:1-8
IL FICO CHE SI È SECCATO VIENE USATO PER INSEGNARE UNA LEZIONE SULLA FEDE
L’AUTORITÀ DI GESÙ VIENE MESSA IN DISCUSSIONE
Nel pomeriggio di lunedì Gesù lascia Gerusalemme e torna a Betania, sulle pendici orientali del Monte degli Ulivi. Probabilmente passa la notte a casa dei suoi amici: Lazzaro, Maria e Marta.
La mattina del giorno seguente, l’11 nisan, Gesù si mette di nuovo in viaggio insieme ai discepoli per tornare a Gerusalemme, dove si recherà al tempio per l’ultima volta. Questo è l’ultimo giorno del suo ministero pubblico prima che celebri la Pasqua, istituisca la Commemorazione della sua morte, venga processato e poi ucciso.
Lungo la strada che da Betania oltrepassa il Monte degli Ulivi e conduce a Gerusalemme, Pietro scorge l’albero che Gesù aveva maledetto la mattina precedente ed esclama: “Rabbi, guarda! Il fico che hai maledetto si è seccato” (Marco 11:21).
Perché Gesù ha fatto seccare il fico? Il motivo risulta chiaro dalla sua risposta: “In verità vi dico: se avete fede e non dubitate, non solo farete ciò che io ho fatto al fico, ma se addirittura direte a questo monte: ‘Sollevati e buttati in mare’, così accadrà. E tutte le cose che chiederete in preghiera con fede, le riceverete” (Matteo 21:21, 22). Con queste parole Gesù ribadisce il concetto che grazie alla fede è possibile spostare un “monte” (Matteo 17:20).
Facendo seccare l’albero, Gesù dimostra in modo concreto quanto sia importante avere fede in Dio. Infatti aggiunge: “Tutte le cose che chiedete in preghiera, abbiate fede di averle già ricevute e le avrete” (Marco 11:24). Questo è un insegnamento fondamentale per tutti i discepoli di Gesù, ma lo è in particolar modo per gli apostoli, visto che stanno per affrontare prove molto difficili. Ma il fatto che il fico si sia seccato insegna qualcos’altro su come dev’essere la fede.
Proprio come questo albero, la nazione di Israele ha un aspetto ingannevole. Dato che tutti i componenti di questa nazione sono legati a Dio da un patto, potrebbe sembrare che stiano osservando la Legge di Dio, ma nel complesso hanno dimostrato di non avere fede e di non produrre buoni frutti. Sono arrivati addirittura al punto di rigettare il Figlio di Dio! Perciò, facendo seccare il fico improduttivo, Gesù fa capire quale fine attende questa nazione che non produce frutti ed è priva di fede.
Poco dopo Gesù e i discepoli entrano a Gerusalemme. Come sempre Gesù va al tempio e inizia a insegnare. Forse riferendosi a come si è comportato il giorno prima con i cambiavalute, i capi sacerdoti e gli anziani del popolo cercano di metterlo in difficoltà chiedendogli: “Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato l’autorità di fare queste cose?” (Marco 11:28).
Gesù replica: “Vi farò una domanda. Rispondetemi, e io vi dirò con quale autorità faccio queste cose. Il battesimo di Giovanni era dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi”. Ora sono i suoi nemici a trovarsi in difficoltà! I sacerdoti e gli anziani si consultano e dicono: “Se rispondiamo: ‘Dal cielo’, dirà: ‘Perché, dunque, non gli avete creduto?’ Ma come facciamo a rispondere: ‘Dagli uomini’?” Fanno questi ragionamenti per paura della folla, ‘perché tutti ritengono che Giovanni sia stato veramente un profeta’ (Marco 11:29-32).
I nemici di Gesù non sono in grado di rispondergli e così replicano: “Non lo sappiamo”. Quindi Gesù conclude: “Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio queste cose” (Marco 11:33).
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Due parabole ambientate in una vignaGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 106
Due parabole ambientate in una vigna
MATTEO 21:28-46 MARCO 12:1-12 LUCA 20:9-19
LA PARABOLA DEI DUE FIGLI
LA PARABOLA DEI COLTIVATORI DELLA VIGNA
Nel tempio, i capi sacerdoti e gli anziani del popolo hanno appena chiesto a Gesù con quale autorità agisce, ma la risposta che hanno ricevuto li ha messi in difficoltà, al punto che non riescono a controbattere. Ora Gesù narra una parabola che rivela che tipo di persone sono in realtà.
Gesù racconta: “Un uomo aveva due figli. Andò dal primo e gli disse: ‘Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna’. Lui gli rispose: ‘No, non voglio’, ma poi se ne rammaricò e ci andò. Andò dal secondo e gli disse la stessa cosa. Questi rispose: ‘Sì, signore’, ma non ci andò. Quale dei due fece la volontà del padre?” (Matteo 21:28-31). Ovviamente, alla fine è stato il primo figlio a fare la volontà del padre.
Gesù spiega quindi ai suoi nemici: “In verità vi dico che gli esattori di tasse e le prostitute vi precedono nel Regno di Dio”. In un primo momento le prostitute e gli esattori di tasse che poi si sono pentiti non avevano intenzione di servire Dio ma, proprio come il primo figlio, in seguito hanno cambiato idea e adesso stanno facendo la sua volontà. Al contrario, i capi religiosi si comportano come il secondo figlio: affermano di servire Dio, ma in realtà non lo fanno. Riferendosi a Giovanni Battista, Gesù commenta: “È venuto da voi nella via della giustizia, ma non gli avete creduto. Gli esattori di tasse e le prostitute invece gli hanno creduto, e voi, pur avendo visto questo, non vi siete poi rammaricati al punto di credergli” (Matteo 21:31, 32).
Gesù pronuncia subito un’altra parabola, stavolta per mettere in luce che l’errore dei capi religiosi va ben oltre il fatto che stanno trascurando di servire Dio. Il problema di fondo è che sono malvagi. “Un uomo piantò una vigna”, narra Gesù, “la recintò, vi scavò una vasca per pigiare l’uva e vi costruì una torretta; poi l’affittò a dei coltivatori e fece un viaggio all’estero. A tempo debito mandò dai coltivatori uno schiavo a ritirare parte del raccolto della vigna. Ma loro lo presero, lo picchiarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò da loro un altro schiavo, e questo lo colpirono in testa e lo umiliarono. Ne mandò un altro ancora, e questo lo uccisero; e poi molti altri, alcuni dei quali li picchiarono e altri li uccisero” (Marco 12:1-5).
Coloro che stanno ascoltando Gesù riescono a comprendere ciò che intende dire? Forse questa parabola ricorda loro le parole di disapprovazione espresse da Isaia: “La vigna di Geova degli eserciti è la casa d’Israele; sono gli uomini di Giuda la piantagione a cui teneva tanto. Egli si aspettava di trovare giustizia ma, ecco, c’era solo ingiustizia” (Isaia 5:7). La parabola narrata da Gesù è piuttosto simile. Il proprietario terriero è Geova e la vigna rappresenta la nazione d’Israele, che la Legge di Dio protegge come un recinto. Nel corso del tempo Geova ha inviato profeti per istruire i suoi servitori e aiutarli a produrre buoni frutti.
Tuttavia, i “coltivatori” hanno maltrattato e ucciso questi “schiavi”. Poi, riferendosi al proprietario della vigna, Gesù aggiunge: “Gli restava ancora una persona da mandare, il suo amato figlio. Lo mandò da loro per ultimo, dicendo: ‘Mio figlio lo rispetteranno’. Ma quei coltivatori dissero fra loro: ‘Questo è l’erede. Avanti, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!’ Così lo presero, lo uccisero e lo trascinarono fuori dalla vigna” (Marco 12:6-8).
A questo punto Gesù chiede: “Che cosa farà dunque il proprietario della vigna?” (Marco 12:9). I capi religiosi rispondono: “Visto che sono malvagi, li distruggerà completamente e affitterà la vigna ad altri coltivatori, che a tempo debito gliene consegneranno i frutti” (Matteo 21:41).
Senza rendersene conto, questi uomini si stanno condannando da soli! Infatti fanno parte dei “coltivatori” della “vigna” di Geova, la nazione d’Israele. Dio si aspetta giustamente che producano frutto, per esempio riponendo fede in suo Figlio, il Messia. Guardando in faccia questi capi religiosi, Gesù domanda: “Non avete mai letto ciò che dicono le Scritture? ‘La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la testa dell’angolo. Questa viene da Geova ed è meravigliosa ai nostri occhi’” (Marco 12:10, 11). Poi dichiara senza mezzi termini: “Perciò vi dico: il Regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a una nazione che ne produca i frutti” (Matteo 21:43).
Gli scribi e i capi sacerdoti capiscono che Gesù ha narrato questa parabola “per loro” (Luca 20:19). Mai come in questo momento, vorrebbero uccidere Gesù, il legittimo “erede”. D’altra parte, visto che molti lo considerano un profeta, questi uomini temono la reazione della folla e per il momento rimandano i loro piani omicidi.
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Un re chiama gli invitati a una festa di nozzeGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 107
Un re chiama gli invitati a una festa di nozze
LA PARABOLA DELLA FESTA DI NOZZE
Mentre la fine del suo ministero si avvicina, Gesù si sta servendo di varie parabole per smascherare i suoi nemici. Di conseguenza gli scribi e i capi sacerdoti vogliono ucciderlo (Luca 20:19). Ma Gesù non ha ancora finito di accusarli e infatti racconta un’altra parabola:
“Il Regno dei cieli può essere paragonato a un re che preparò una festa di nozze per suo figlio. E mandò i suoi schiavi a chiamare gli invitati alla festa di nozze, ma questi non volevano venire” (Matteo 22:2, 3). Dato che Gesù comincia la parabola menzionando “il Regno dei cieli”, è chiaro che il “re” rappresenta Geova Dio. Chi sono invece il “figlio” del re e gli “invitati” alla festa di nozze? Anche in questo caso non è difficile identificarli: il primo è proprio chi sta narrando la parabola, il Figlio di Geova, mentre gli invitati sono coloro che saranno con lui nel Regno dei cieli.
Chi sono stati i primi a ricevere l’invito? Per rispondere basta pensare a chi sono state le prime persone a cui Gesù e gli apostoli hanno parlato del Regno, cioè i giudei (Matteo 10:6, 7; 15:24). I componenti della nazione di Israele hanno accettato il patto della Legge nel 1513 a.E.V., diventando così i primi ad avere la prospettiva di far parte di “un regno di sacerdoti” (Esodo 19:5-8). Ma quando hanno ricevuto effettivamente l’invito alla “festa di nozze”? È logico concludere che sia stato nel 29, quando Gesù ha cominciato a predicare il Regno dei cieli.
Nel complesso come hanno risposto all’invito gli israeliti? Come ha appena detto Gesù, “non volevano venire”. La maggioranza dei capi religiosi e dei giudei non ha accettato Gesù quale Messia e Re scelto da Dio.
Gesù però indica che ai giudei verrà concessa un’altra possibilità dicendo: “[Il re] mandò di nuovo altri schiavi, ordinando loro: ‘Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo, e i miei tori e gli animali ingrassati sono stati scannati. È tutto pronto. Venite alla festa di nozze”’. Ma questi, indifferenti, se ne andarono, qualcuno al suo campo, qualcuno ai suoi affari; mentre altri, presi gli schiavi, li maltrattarono e li uccisero” (Matteo 22:4-6). Queste parole si riferiscono a ciò che accadrà quando verrà formata la congregazione cristiana. In quel tempo i giudei avranno ancora la possibilità di entrare nel Regno, ma in generale rifiuteranno questo invito, arrivando al punto di trattare con crudeltà gli schiavi del re (Atti 4:13-18; 7:54, 58).
Quali saranno le conseguenze per la nazione? Gesù spiega: “Il re si infuriò e mandò i suoi eserciti a uccidere quegli assassini e a bruciare la loro città” (Matteo 22:7). I giudei vedranno avverarsi queste parole nel 70, quando i romani distruggeranno “la loro città”, Gerusalemme.
Dopo il loro rifiuto, cosa farà il re? Stando al racconto, inviterà qualcun altro. Gesù prosegue: “Poi [il re] disse ai suoi schiavi: ‘La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non ne erano degni. Perciò andate lungo le strade che portano fuori dalla città e invitate alla festa di nozze chiunque troviate’. Quegli schiavi allora uscirono lungo le strade e radunarono tutti quelli che trovarono, sia malvagi che buoni; e la sala delle nozze fu piena di persone che banchettavano” (Matteo 22:8-10).
Queste parole inizieranno ad adempiersi quando l’apostolo Pietro aiuterà a diventare cristiani i gentili, cioè coloro che non sono giudei per nascita o che non si sono convertiti al giudaismo. Nel 36 il centurione Cornelio e la sua famiglia riceveranno lo spirito di Dio e così avranno la prospettiva di entrare nel Regno dei cieli di cui parla Gesù (Atti 10:1, 34-48).
Comunque non tutti quelli che andranno alla festa saranno alla fine approvati dal “re”. Gesù spiega: “Quando entrò per osservare gli ospiti, il re vide un uomo che non indossava un abito da matrimonio. E gli disse: ‘Amico, cosa ci fai qui senza abito da matrimonio?’ Quello non rispose nulla. Allora il re ordinò ai suoi servitori: ‘Legategli mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre. Là piangerà e digrignerà i denti’. Molti infatti sono invitati, ma pochi eletti” (Matteo 22:11-14).
I capi religiosi presenti forse non capiscono il significato o le implicazioni di tutto quello che dice Gesù. Ad ogni modo sono arrabbiati e più determinati che mai a eliminare colui che li sta mettendo tanto in imbarazzo.
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Affronta magistralmente tre questioni insidioseGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 108
Affronta magistralmente tre questioni insidiose
MATTEO 22:15-40 MARCO 12:13-34 LUCA 20:20-40
RENDERE A CESARE CIÒ CHE È DI CESARE
CHI VERRÀ RISUSCITATO SI SPOSERÀ?
I PIÙ GRANDI COMANDAMENTI
Le parabole appena narrate da Gesù hanno smascherato la malvagità dei suoi nemici. Infuriati, i farisei ora cospirano per coglierlo in fallo. Tentano di fargli dire qualcosa che li autorizzi a consegnarlo al governatore romano e pagano alcuni dei loro discepoli per metterlo in difficoltà (Luca 6:7).
“Maestro”, dicono questi ultimi, “sappiamo che quello che dici e insegni è corretto e che non fai parzialità, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito che paghiamo il tributo a Cesare o no?” (Luca 20:21, 22). Gesù non si lascia ingannare dalle loro lusinghe perché nascondono ipocrisia e astuzia. Se rispondesse che non è giusto pagare questo tributo, potrebbe essere accusato di sedizione contro Roma. Se invece rispondesse che è giusto pagare, le persone, insofferenti del dominio di Roma, potrebbero fraintendere le sue parole e rivoltarsi contro di lui. Quindi come risponderà?
“Perché mi mettete alla prova, ipocriti?”, chiede Gesù. “Mostratemi la moneta del tributo”. Non appena gli viene portato un denaro, domanda: “Di chi sono questa immagine e questa iscrizione?” Gli uomini rispondono: “Di Cesare”. A questo punto Gesù rivolge loro questa magistrale esortazione: “Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare, ma a Dio ciò che è di Dio” (Matteo 22:18-21).
I suoi interlocutori rimangono meravigliati da queste parole. Dopo una simile risposta, non sanno cosa dire e se ne vanno. Ma la giornata non è ancora conclusa e altri cercano di cogliere in fallo Gesù. Infatti, dopo il tentativo fallito dei farisei, si fanno avanti alcuni capi di un’altra setta religiosa.
Si tratta dei sadducei. Questi uomini non credono nella risurrezione e coinvolgono Gesù in una discussione proprio in merito a questo argomento e al dovere di cognato. Gli rivolgono il seguente quesito: “Maestro, Mosè disse: ‘Se un uomo muore senza figli, suo fratello deve sposarne la moglie e dargli una discendenza’. Ora, c’erano fra noi sette fratelli. Il primo si sposò e poi morì. Non avendo discendenti, lasciò la moglie a suo fratello. La stessa cosa accadde al secondo e al terzo, e così via fino al settimo. Per ultima morì la donna. Dal momento che è stata sposata con tutti e sette, di chi sarà dunque moglie alla risurrezione?” (Matteo 22:24-28).
Facendo riferimento agli scritti di Mosè, accettati dai sadducei, Gesù risponde: “Non è forse per questo che sbagliate, perché non conoscete né le Scritture né la potenza di Dio? Infatti, quando risorgono dai morti, gli uomini non si sposano né le donne sono date in moglie, ma sono come angeli nei cieli. Ma riguardo al fatto che i morti vengono risuscitati, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, che Dio gli disse: ‘Io sono l’Iddio di Abraamo, l’Iddio di Isacco e l’Iddio di Giacobbe’? Egli non è Dio dei morti, ma dei vivi. Voi vi sbagliate di grosso” (Marco 12:24-27; Esodo 3:1-6). Questo ragionamento di Gesù stupisce la folla.
Gesù ha messo a tacere sia i farisei che i sadducei, ma i suoi nemici non si arrendono. Uno scriba gli domanda: “Maestro, qual è il più grande comandamento della Legge?” (Matteo 22:36).
Gesù replica: “Il primo è: ‘Ascolta, o Israele: Geova è il nostro Dio; c’è un solo Geova. E tu devi amare Geova tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza’. Il secondo è questo: ‘Devi amare il tuo prossimo come te stesso’. Non c’è altro comandamento più grande di questi” (Marco 12:29-31).
Dopo aver sentito questa risposta, lo scriba afferma: “Maestro, hai parlato bene, secondo verità: ‘Egli è uno solo, e non c’è nessun altro all’infuori di lui’; amarlo con tutto il cuore, con tutto l’intelletto e con tutta la forza e amare il prossimo come sé stessi vale molto più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Vedendo che lo scriba ha risposto in modo intelligente, Gesù gli dice: “Non sei lontano dal Regno di Dio” (Marco 12:32-34).
Sono ormai tre giorni, dal 9 all’11 nisan, che Gesù insegna nel tempio. Alcune persone, come questo scriba, lo hanno ascoltato con piacere. Lo stesso non si può dire dei capi religiosi, che ora però non hanno “più il coraggio di interrogarlo”.
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Condanna i suoi nemiciGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 109
Condanna i suoi nemici
MATTEO 22:41–23:24 MARCO 12:35-40 LUCA 20:41-47
DI CHI È FIGLIO IL CRISTO?
GESÙ SMASCHERA L’IPOCRISIA DEI SUOI AVVERSARI
È ancora l’11 nisan e Gesù è sempre nel tempio. I suoi nemici non sono riusciti a metterlo in cattiva luce né a coglierlo in fallo con l’obiettivo di consegnarlo ai romani (Luca 20:20). A questo punto è lui a prendere in mano la situazione e a rivelare la sua vera identità. Perciò chiede ai suoi avversari: “Che ne pensate del Cristo? Di chi è figlio?” (Matteo 22:42). Dato che si tratta di un argomento ben conosciuto, rispondono che il Cristo, o Messia, dev’essere un discendente di Davide (Matteo 9:27; 12:23; Giovanni 7:42).
Gesù prosegue: “Come mai allora Davide per ispirazione lo chiama ‘Signore’, dicendo: ‘Geova ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra finché non avrò messo i tuoi nemici sotto i tuoi piedi”’? Se Davide quindi lo chiama ‘Signore’, come fa a essere suo figlio?” (Matteo 22:43-45).
I farisei non sanno proprio cosa rispondere perché sono in attesa di un uomo della discendenza di Davide che li liberi dal dominio romano. Tuttavia, citando le parole di Davide riportate in Salmo 110:1, 2, Gesù chiarisce che il Messia non sarà un semplice governante umano. È il Signore di Davide: si siederà alla destra di Dio e in seguito inizierà a regnare. Ancora una volta la risposta di Gesù lascia i suoi ascoltatori senza parole.
A questa discussione hanno assistito anche i discepoli e molte altre persone. Ora Gesù si rivolge a loro e li mette in guardia contro gli scribi e i farisei, che “si sono seduti sul seggio di Mosè” per insegnare la Legge di Dio. Gesù esorta i suoi ascoltatori: “Fate e osservate tutte le cose che vi dicono, ma non agite come loro, perché parlano ma non mettono in pratica quello che dicono” (Matteo 23:2, 3).
Menzionando alcuni esempi che dimostrano quanto siano ipocriti, Gesù poi dice: “Allargano gli astucci contenenti passi delle Scritture che portano come amuleti”. Alcuni giudei portano sulla fronte o al braccio degli astucci relativamente piccoli contenenti brevi stralci della Legge. I farisei però ne indossano di più grandi per far vedere agli altri quanto sono zelanti nell’osservare la Legge. Inoltre “allungano le frange delle loro vesti”. Tutti gli israeliti devono farsi orli frangiati alle vesti, ma i farisei si assicurano che le loro frange siano più lunghe del normale (Numeri 15:38-40). Fanno tutto questo “per essere visti dagli uomini” (Matteo 23:5).
Visto che anche i discepoli potrebbero essere influenzati da questo desiderio di preminenza, Gesù dà loro il seguente consiglio: “Non fatevi chiamare ‘rabbi’, perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli. Inoltre non chiamate nessuno ‘padre’ sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. E non fatevi chiamare ‘capi’, perché uno solo è il vostro Capo, il Cristo”. Poi spiega loro quale opinione dovrebbero avere di sé stessi e come dovrebbero agire, dicendo: “Il più grande fra voi dev’essere vostro servitore. Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Matteo 23:8-12).
A questo punto Gesù rivolge una serie di accuse ai suoi nemici: “Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti! Voi chiudete il Regno dei cieli davanti agli uomini; infatti non entrate voi e non lasciate entrare quelli che stanno per entrare” (Matteo 23:13).
Gesù condanna i farisei per la loro mancanza di valori spirituali, resa evidente dalle distinzioni ingiustificate che fanno. Per esempio dicono: “Se qualcuno giura per il tempio, non conta; ma se qualcuno giura per l’oro del tempio, è obbligato”. Ragionando in questo modo dimostrano di essere ciechi dal punto di vista morale: danno più importanza all’oro del tempio che al valore spirituale del tempio stesso, il luogo in cui adorano Geova. Oltre a questo “[trascurano] le cose più importanti della Legge, cioè la giustizia, la misericordia e la fedeltà” (Matteo 23:16, 23; Luca 11:42).
Rivolgendosi ai farisei Gesù esclama: “Guide cieche, che filtrate il moscerino ma inghiottite il cammello!” (Matteo 23:24). Se questi uomini stanno bevendo del vino e si accorgono che dentro c’è un moscerino lo tirano subito via perché questo insetto è cerimonialmente impuro. D’altra parte, dato che trascurano le cose più importanti della Legge è come se inghiottissero un cammello, un altro animale impuro, ma molto più grande di un semplice moscerino! (Levitico 11:4, 21-24).
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Nel tempio per l’ultima voltaGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 110
Nel tempio per l’ultima volta
MATTEO 23:25–24:2 MARCO 12:41–13:2 LUCA 21:1-6
GESÙ CONTINUA A CONDANNARE I CAPI RELIGIOSI
IL TEMPIO VERRÀ DISTRUTTO
UNA VEDOVA POVERA OFFRE DUE MONETINE
Gesù si trova nel tempio per l’ultima volta, e continua a smascherare la falsità degli scribi e dei farisei, definendoli senza mezzi termini “ipocriti”. Usando un linguaggio figurato, dice loro: “Voi pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, che però all’interno sono pieni di avidità e sfrenatezza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere e del piatto, così che anche l’esterno sia pulito” (Matteo 23:25, 26). I farisei si concentrano molto sulla purezza cerimoniale e sull’apparenza, ma trascurano la loro persona interiore e non si preoccupano di purificare il loro cuore simbolico.
L’ipocrisia dei farisei è evidente anche dal fatto che sono disposti a costruire e abbellire le tombe dei profeti pur essendo, come dice Gesù, “figli di quelli che assassinarono” quei servitori di Dio (Matteo 23:31). I loro tentativi di mettere a morte Gesù dimostrano quanto siano vere queste parole (Giovanni 5:18; 7:1, 25).
Poi Gesù spiega cosa accadrà a questi capi religiosi se si rifiutano di pentirsi: “Serpenti, razza di vipere, come sfuggirete al giudizio della Geenna?” (Matteo 23:33). Essendo un luogo in cui vengono bruciati i rifiuti, la vicina Valle di Innom costituisce una chiara rappresentazione della distruzione eterna che subiranno gli scribi e i farisei a causa della loro malvagità.
I discepoli rappresenteranno Gesù in qualità di “profeti, saggi e insegnanti”. Come verranno trattati? Rivolgendosi ai capi religiosi Gesù afferma: “Alcuni li ucciderete e li metterete al palo, e alcuni li flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città, così che ricada su di voi tutto il sangue giusto versato sulla terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria [...] che voi assassinaste”. Inoltre li avverte: “In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione” (Matteo 23:34-36). Tali parole si avvereranno nel 70, quando gli eserciti romani distruggeranno Gerusalemme e uccideranno centinaia di migliaia di giudei.
Riflettere su questa terribile situazione addolora molto Gesù, che esprime la sua tristezza dicendo: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti vengono mandati! Quante volte avrei voluto radunare i tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le ali! Ma voi non avete voluto. Ecco, la vostra casa viene abbandonata e lasciata nelle vostre mani” (Matteo 23:37, 38). Di sicuro i presenti si chiedono cosa intenda dire Gesù quando parla della loro “casa”. Si tratta forse del maestoso tempio di Gerusalemme, che sembra godere della protezione di Dio?
Gesù prosegue: “Vi dico infatti che da ora non mi vedrete più finché non direte: ‘Sia benedetto colui che viene nel nome di Geova!’” (Matteo 23:39). Gesù sta citando le parole profetiche riportate in Salmo 118:26: “Benedetto colui che viene nel nome di Geova! Dalla casa di Geova vi benediciamo”. È evidente che, dopo la distruzione del tempio letterale, nessuno vi si recherà più per adorare Dio.
Ora Gesù si sposta nella zona del tempio in cui si trovano le casse del tesoro. Le persone possono mettere il denaro nella piccola apertura superiore di questi contenitori. Gesù vede molti giudei che fanno le loro contribuzioni; in particolare nota che i ricchi donano molte monete. Poi vede una vedova povera che offre “due monetine di piccolissimo valore” (Marco 12:41, 42). Senza dubbio Gesù sa che Dio apprezza moltissimo il dono di questa donna.
Chiamati intorno a sé i discepoli, Gesù osserva: “In verità vi dico che questa vedova, povera com’è, ha offerto più di tutti gli altri che hanno messo denaro nelle casse del tesoro”. In che senso? “Tutti”, spiega Gesù, “hanno offerto attingendo da quello che avevano d’avanzo, ma lei nella sua povertà ha offerto tutto quello che possedeva, tutto ciò che aveva per vivere” (Marco 12:43, 44). Che differenza tra il modo di pensare e di agire di questa donna e quello dei capi religiosi!
È sempre l’11 nisan e a un certo punto della giornata Gesù esce dal tempio per l’ultima volta. Uno dei suoi discepoli esclama: “Maestro, guarda che pietre e che edifici!” (Marco 13:1). In effetti alcune delle pietre che compongono le mura del tempio sono davvero enormi e conferiscono a questo edificio un aspetto imponente e resistente. La risposta di Gesù, quindi, deve sembrare alquanto strana: “Vedi questi grandi edifici? Qui non ci sarà affatto pietra che rimarrà sull’altra e che non verrà gettata giù” (Marco 13:2).
Al termine della conversazione, Gesù e gli apostoli attraversano la Valle del Chidron e salgono lungo le pendici del Monte degli Ulivi. Dopo un po’ ci sono solo quattro apostoli attorno a Gesù: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni. Dal luogo in cui si trovano godono di una splendida vista del magnifico tempio sottostante.
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“Quale sarà il segno?”Gesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 111
“Quale sarà il segno?”
MATTEO 24:3-51 MARCO 13:3-37 LUCA 21:7-38
QUATTRO APOSTOLI CHIEDONO A GESÙ QUALE SARÀ IL SEGNO
PROFEZIE CHE SI ADEMPIRANNO NEL PRIMO SECOLO E NEL TEMPO DELLA FINE
L’IMPORTANZA DI STARE SVEGLI
È martedì pomeriggio e l’11 nisan sta volgendo al termine, così come gli ultimi giorni di intensa attività di Gesù sulla terra. In questo periodo, durante il giorno insegna nel tempio, mentre di notte dorme fuori città. Suscita grande interesse tra la gente, al punto che “al mattino presto tutto il popolo [va] da lui nel tempio per ascoltarlo” (Luca 21:37, 38). Una volta che questi giorni sono trascorsi, Gesù si trova sul Monte degli Ulivi insieme a Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni.
Questi quattro apostoli si sono avvicinati a Gesù in privato. Sono preoccupati per il tempio, dato che lui ha appena predetto che nemmeno una pietra di questo edificio rimarrà in piedi. Ma c’è dell’altro. Qualche tempo prima aveva rivolto loro questa esortazione: “Tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo viene in un’ora che non vi aspettate” (Luca 12:40). Aveva anche parlato del “giorno in cui il Figlio dell’uomo [sarebbe stato] rivelato” (Luca 17:30). Queste affermazioni sono in qualche modo collegate a quello che Gesù ha appena detto riguardo al tempio? Gli apostoli non riescono a trattenere la loro curiosità. “Dicci”, domandano, “quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua presenza e della conclusione del sistema di cose?” (Matteo 24:3).
Forse si stanno chiedendo quando verrà distrutto il tempio che vedono proprio lì di fronte a loro. Inoltre vogliono sapere qualcosa in merito alla presenza del Figlio dell’uomo. Probabilmente ricordano la parabola dell’“uomo di famiglia nobile” che aveva fatto un viaggio “per ottenere il potere regale e poi tornare” (Luca 19:11, 12). Infine si domandano cosa avverrà alla “conclusione del sistema di cose”.
La risposta che ricevono è ricca di dettagli. Gesù fornisce un segno che permette di comprendere quando il sistema di cose giudaico e il tempio saranno eliminati. Ma svela anche dell’altro. In futuro questo segno aiuterà i cristiani a capire se stanno vivendo durante la sua “presenza” e se sono vicini alla fine dell’intero sistema di cose sulla terra.
Col passare degli anni gli apostoli vedranno adempiersi la profezia di Gesù. In effetti, molti degli avvenimenti che menziona si verificheranno mentre saranno ancora in vita. Quindi 37 anni dopo, nel 70, i cristiani attenti non saranno colti alla sprovvista dall’incombente distruzione del tempio e del sistema di cose giudaico. Comunque, non tutto ciò che Gesù predice accadrà effettivamente nel periodo che precede il 70 e in quell’anno. Cos’altro caratterizzerà la sua presenza quale Re? La risposta risulta chiara dalle parole che Gesù rivolge agli apostoli.
Gesù parla “di guerre e di notizie di guerre” e predice che “nazione combatterà contro nazione e regno contro regno” (Matteo 24:6, 7). Dice anche che “ci saranno grandi terremoti e, in un luogo dopo l’altro, carestie ed epidemie” (Luca 21:11). Poi avverte i discepoli: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno” (Luca 21:12). Compariranno falsi profeti che svieranno molti. Ci sarà un aumento della malvagità e l’amore della maggioranza si raffredderà. Gesù aggiunge che la “buona notizia del Regno sarà predicata in tutta la terra abitata, perché sia resa testimonianza a tutte le nazioni, e allora verrà la fine” (Matteo 24:14).
La profezia che Gesù pronuncia si adempirà in parte nel periodo che precede la distruzione di Gerusalemme per mano dei romani e nel corso di quell’avvenimento. Ma è possibile che abbia un adempimento maggiore più in là nel tempo? Riusciamo a vedere le prove che questa importantissima profezia si sta avverando appieno proprio nei nostri giorni?
Descrivendo il segno della sua presenza, Gesù menziona la comparsa della “cosa ripugnante che causa devastazione” (Matteo 24:15). Nel 66 questa “cosa ripugnante” si presenterà sotto forma di “eserciti accampati”: le truppe romane con i loro vessilli, o insegne idolatriche, accerchieranno Gerusalemme e scalzeranno parte delle mura della città (Luca 21:20). La “cosa ripugnante” si troverà dove non dovrebbe essere, in quello che i giudei considerano “un luogo santo”.
Gesù prosegue: “Ci sarà una grande tribolazione, quale non c’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né ci sarà mai più”. Nel 70 i romani distruggeranno Gerusalemme. La devastante conquista della “città santa” dei giudei con il suo tempio si rivelerà un periodo di grande tribolazione in cui migliaia e migliaia di persone perderanno la vita (Matteo 4:5; 24:21). Sarà una distruzione molto più grande di qualunque altra sia mai stata sperimentata dalla città e dai giudei, e porrà fine al sistema di cose giudaico: il tempio non sarà più il centro della loro adorazione come lo è stato per secoli. Di conseguenza, ogni successivo e maggiore adempimento delle parole profetiche che Gesù pronuncia sarà senza dubbio terrificante.
FIDUCIA DURANTE IL TEMPO DELLA FINE
Gesù ha ancora molto da dire agli apostoli in merito al segno della sua presenza quale Re e alla fine del sistema di cose. Infatti ora li mette in guardia contro “falsi Cristi e falsi profeti”, individui che proveranno a “ingannare, se possibile, anche gli eletti” (Matteo 24:24). Ma questi eletti non si lasceranno sviare. I falsi Cristi possono fare solo una comparsa visibile. La presenza di Gesù, al contrario, sarà invisibile.
Riferendosi alla tribolazione su larga scala che avrà luogo alla fine del sistema di cose in cui stiamo vivendo, Gesù dice: “Il sole sarà oscurato, la luna non splenderà più, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate” (Matteo 24:29). Che scena agghiacciante! Gli apostoli presenti non sanno esattamente cosa succederà, ma comprendono che si tratterà senz’altro di una situazione sconvolgente.
Gesù descrive poi l’effetto di questi terribili eventi sull’umanità. “La gente”, dice, “si sentirà mancare per il timore e per la paurosa attesa delle cose che staranno per accadere sulla terra abitata, perché le potenze dei cieli saranno scrollate” (Luca 21:26). Questo sarà senza ombra di dubbio il periodo più tetro dell’intera storia umana.
È incoraggiante sapere che Gesù assicura agli apostoli che non tutti saranno addolorati quando “vedranno il Figlio dell’uomo venire [...] con potenza e grande gloria” (Matteo 24:30). Come ha già spiegato, Dio interverrà “a motivo degli eletti” (Matteo 24:22). Quindi come dovranno reagire i discepoli fedeli di fronte agli sviluppi sconcertanti che si prospettano? “Quando queste cose cominceranno ad avvenire”, esorta Gesù, “alzatevi e sollevate la testa, perché la vostra liberazione si avvicina” (Luca 21:28).
Comunque, come faranno i discepoli che vivranno nel periodo predetto da Gesù a stabilire quanto sarà vicina la fine? Gesù lo spiega prendendo come esempio un fico: “Appena il suo ramoscello si fa tenero e mette le foglie, capite che l’estate è vicina. Allo stesso modo, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che lui è vicino, alle porte. In verità vi dico che questa generazione non passerà affatto finché tutte queste cose non siano avvenute” (Matteo 24:32-34).
Vedere adempiersi i vari avvenimenti che compongono il segno, quindi, dovrebbe permettere ai discepoli di capire che la fine è alle porte. Mettendo in guardia coloro che saranno in vita durante quel periodo cruciale, Gesù dice:
“Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno li conosce, né gli angeli dei cieli né il Figlio, ma solo il Padre. Come furono i giorni di Noè, così sarà la presenza del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni prima del diluvio mangiavano e bevevano, gli uomini si sposavano e le donne erano date in moglie, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e li spazzò via tutti, così sarà la presenza del Figlio dell’uomo” (Matteo 24:36-39). L’evento storico che Gesù usa per fare un parallelo, il diluvio dei giorni di Noè, ebbe un impatto sull’intero pianeta.
Gli apostoli che stanno ascoltando Gesù sul Monte degli Ulivi sicuramente si rendono conto di quanto sia importante rimanere svegli. Gesù li avverte: “State attenti che il vostro cuore non sia appesantito dagli eccessi nel mangiare e nel bere o dalle preoccupazioni della vita, e quel giorno non vi colga alla sprovvista come un laccio. Infatti esso verrà su tutti quelli che abitano sulla faccia dell’intera terra. State svegli, dunque, supplicando di continuo affinché riusciate a scampare da tutte queste cose che devono accadere e a stare al cospetto del Figlio dell’uomo” (Luca 21:34-36).
Ancora una volta, Gesù rende chiaro che ciò che sta predicendo non avrà un adempimento limitato agli eventi che accadranno nel giro di pochi decenni e che si ripercuoteranno esclusivamente sulla città di Gerusalemme e sulla nazione giudaica. Sta parlando di avvenimenti che coinvolgeranno “tutti quelli che abitano sulla faccia dell’intera terra”.
Gesù avverte i suoi discepoli che dovranno essere pronti, desti e in attesa. Per mettere in risalto questo concetto, fa un altro esempio: “Sappiate questo: se il padrone di casa sapesse a che ora della notte viene il ladro, rimarrebbe sveglio e non permetterebbe che la sua casa fosse scassinata. Perciò anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà in un’ora che non immaginate” (Matteo 24:43, 44).
Gesù fornisce poi ai discepoli alcuni motivi per essere ottimisti. Assicura loro che nel periodo in cui la sua profezia si adempirà ci sarà uno “schiavo” vigile e attivo. Prendendo spunto da una situazione che gli apostoli possono facilmente immaginare, Gesù chiede: “Chi è in realtà lo schiavo fedele e saggio che il suo padrone ha costituito sopra i propri domestici per dar loro cibo al tempo giusto? Felice quello schiavo se il suo padrone, quando verrà, lo troverà a far questo! In verità vi dico: lo costituirà sopra tutti i suoi averi”. Se invece questo “schiavo” sviluppasse un atteggiamento malvagio e maltrattasse altri, il suo padrone “lo punirà con la massima severità” (Matteo 24:45-51; confronta Luca 12:45, 46).
Gesù non sta predicendo che un gruppo di suoi discepoli svilupperà un atteggiamento malvagio. Quale lezione desidera dunque trasmettere? Vuole che i suoi discepoli siano svegli e attivi, come risulta evidente dalla successiva parabola che racconta.
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Una lezione sull’importanza di vigilareGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 112
Una lezione sull’importanza di vigilare
LA PARABOLA DELLE 10 VERGINI
Gesù sta rispondendo alla domanda degli apostoli in merito al segno della sua presenza e della conclusione del sistema di cose. Ora si serve di un’ulteriore parabola per dar loro un saggio avvertimento. L’adempimento di queste parole sarà chiaro a coloro che vivranno durante la sua presenza.
Gesù comincia il racconto dicendo: “Il Regno dei cieli potrà essere paragonato a 10 vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque erano stolte e cinque sagge” (Matteo 25:1, 2).
Gesù non intende dire che una metà di coloro che ereditano il Regno dei cieli è composta di persone stolte e l’altra di persone sagge; piuttosto sta evidenziando che, in relazione al Regno, ciascuno dei discepoli può scegliere se vigilare o distrarsi. Comunque, è convinto che ognuno di loro sarà in grado di rimanere fedele e ricevere le benedizioni da parte di suo Padre.
Nella parabola tutte e 10 le vergini escono per accogliere lo sposo e unirsi al corteo nuziale. All’arrivo dello sposo le vergini accenderanno le loro lampade per illuminare il percorso, mostrandogli così onore mentre conduce la sposa verso la casa preparata per lei. Ma le cose andranno davvero così?
Gesù prosegue: “Le stolte avevano preso le loro lampade ma non avevano portato con sé l’olio, mentre le sagge, insieme alle loro lampade, avevano portato anche l’olio in boccette. Dato che lo sposo tardava, tutte iniziarono a sonnecchiare e si addormentarono” (Matteo 25:3-5). Lo sposo non arriva tanto presto quanto le vergini si aspettano, anzi sembra essere in forte ritardo; nell’attesa tutte e 10 si addormentano. Ascoltando queste parole, agli apostoli potrebbe venire in mente quello che Gesù aveva detto a proposito di un uomo di famiglia nobile che era andato in un paese lontano e “infine, dopo aver ottenuto il potere regale”, era tornato (Luca 19:11-15).
Nella parabola delle 10 vergini Gesù descrive cosa accade quando lo sposo finalmente arriva: “Nel bel mezzo della notte si sentì gridare: ‘Ecco lo sposo! Uscitegli incontro!’” (Matteo 25:6). Ma che dire delle vergini? Sono pronte e deste?
Gesù spiega: “Allora tutte quelle vergini si alzarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: ‘Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade stanno per spegnersi’. Le sagge risposero: ‘Forse non ce n’è abbastanza per noi e per voi. Andate piuttosto da quelli che lo vendono e compratevelo’” (Matteo 25:7-9).
Le cinque vergini stolte non sono state in guardia e non sono pronte ad accogliere lo sposo. Non hanno portato olio a sufficienza e ora hanno bisogno di trovarne dell’altro. Cosa accade a questo punto? “Mentre andavano a comprarlo, arrivò lo sposo. Le vergini che erano pronte entrarono con lui alla festa di nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e dissero: ‘Signore, signore, aprici!’ Lui rispose: ‘Vi dico la verità: io non vi conosco’” (Matteo 25:10-12). Che triste epilogo per non essere rimaste pronte e deste!
Per gli apostoli è facile capire che, quando parla dello sposo, Gesù si sta riferendo a sé stesso. Infatti in precedenza si era già paragonato a uno sposo (Luca 5:34, 35). E chi raffigurano le vergini sagge? Riferendosi al “piccolo gregge” a cui verrà dato il Regno, Gesù aveva detto: “Tenete le vostre vesti legate sui fianchi e le lampade accese” (Luca 12:32, 35). Gli apostoli quindi possono comprendere che le vergini della parabola rappresentano chi come loro fa parte del “piccolo gregge”. Quale lezione vuole trasmettere Gesù?
Le sue parole conclusive non lasciano alcun dubbio: “Vigilate, dunque, perché non conoscete né il giorno né l’ora” (Matteo 25:13).
Gesù sta ribadendo la necessità che i suoi fedeli discepoli siano desti durante la sua presenza. Lui arriverà e loro dovranno essere pronti e attenti, come le cinque vergini sagge. In questo modo non perderanno di vista la loro preziosa speranza e non si lasceranno sfuggire il premio che li attende.
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Una lezione sull’importanza di essere diligentiGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 113
Una lezione sull’importanza di essere diligenti
LA PARABOLA DEI TALENTI
Gesù sta ancora parlando con quattro suoi apostoli sul Monte degli Ulivi. Qualche giorno prima, a Gerico, aveva narrato la parabola delle mine per far capire che il Regno verrà istituito in un futuro molto lontano. Sempre in risposta alla domanda relativa alla sua presenza e alla conclusione del sistema di cose, ora pronuncia una parabola che ha diversi elementi in comune con quella delle mine. Mette in evidenza il fatto che i discepoli devono essere diligenti nel modo in cui utilizzano ciò che viene affidato loro.
Gesù inizia a raccontare: “È come un uomo che, in partenza per un viaggio all’estero, chiamò i suoi schiavi e affidò loro i suoi averi” (Matteo 25:14). Gli apostoli non fanno fatica a capire che l’“uomo” della parabola è Gesù; infatti lui stesso si è già paragonato a un uomo che è andato in un paese lontano “per ottenere il potere regale” (Luca 19:12).
Prima di partire per il suo viaggio all’estero, l’uomo affida i propri beni ai suoi schiavi. Durante i tre anni e mezzo del suo ministero, Gesù si è concentrato sulla predicazione della buona notizia del Regno di Dio e ha preparato i discepoli a svolgere la stessa opera. Ora che sta per andarsene è fiducioso che saranno in grado di assolvere l’incarico per il quale li ha formati (Matteo 10:7; Luca 10:1, 8, 9; confronta Giovanni 4:38; 14:12).
Tornando alla parabola, in che modo l’uomo distribuisce i propri averi ai suoi schiavi? Gesù spiega: “A uno diede 5 talenti, a un altro 2 e a un altro ancora uno, in base alle capacità di ciascuno; poi partì” (Matteo 25:15). Cosa faranno questi schiavi con i beni affidati loro? Si dimostreranno diligenti, usandoli per promuovere gli interessi del loro padrone? Gesù risponde:
“Immediatamente quello che aveva ricevuto 5 talenti se ne andò, li usò per fare affari e ne guadagnò altri 5. In modo simile, quello che ne aveva ricevuti 2 ne guadagnò altri 2. Quello che ne aveva ricevuto uno solo, invece, se ne andò, scavò una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone” (Matteo 25:16-18). Cosa accadrà al ritorno del padrone?
“Dopo molto tempo”, prosegue Gesù, “il padrone di quegli schiavi tornò e fece i conti con loro” (Matteo 25:19). I primi due hanno fatto tutto il possibile “in base alle capacità di ciascuno”. Entrambi sono stati diligenti, si sono impegnati a fondo e hanno fatto fruttare gli averi affidati loro. Quello che aveva 5 talenti li ha raddoppiati, e lo stesso ha fatto quello che ne aveva 2.a Il padrone rivolge a ciascuno di loro le stesse parole di lode: “Bravo, schiavo buono e fedele! Ti sei mostrato fedele in relazione a poche cose. Ti costituirò su molte cose. Partecipa alla gioia del tuo padrone” (Matteo 25:21).
La situazione però è molto diversa per quanto riguarda il terzo schiavo, che dice: “Signore, sapevo che sei un uomo esigente, che mieti dove non hai seminato e che raccogli dove non hai sparso. Perciò ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sottoterra. Ecco ciò che è tuo” (Matteo 25:24, 25). Questo schiavo non ha fatto fruttare in nessun modo il denaro che aveva: non lo ha nemmeno depositato presso i banchieri. Non si può di certo dire che abbia fatto gli interessi del suo padrone!
Appropriatamente viene definito “schiavo malvagio e pigro”. Il denaro che ha gli viene tolto e viene dato a uno degli schiavi che sono pronti a impegnarsi in modo diligente. Il padrone spiega: “A chiunque ha sarà dato dell’altro e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Matteo 25:26, 29).
I discepoli di Gesù hanno molto su cui riflettere, anche in relazione a questa parabola. Si rendono conto che Gesù sta affidando loro qualcosa di molto prezioso, il privilegio di fare discepoli, e si aspetta che siano diligenti nell’assolvere questo incarico. D’altra parte non pretende che tutti partecipino nella stessa misura all’opera di predicazione. Infatti, come ha detto nella parabola, ognuno deve fare tutto il possibile “in base alle capacità” che ha. Tuttavia, questo non significa che Gesù sia soddisfatto di chi si dimostra “pigro” e non si impegna a promuovere gli interessi del Signore.
Ad ogni modo, quanto saranno stati felici gli apostoli di sentire le rassicuranti parole di Gesù: “A chiunque ha sarà dato dell’altro”!
a A quel tempo un operaio doveva lavorare circa 20 anni per guadagnare un talento.
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Cristo giudicherà le pecore e i capriGesù: la via, la verità, la vita
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CAPITOLO 114
Cristo giudicherà le pecore e i capri
LA PARABOLA DELLE PECORE E DEI CAPRI
Gesù si trova sempre sul Monte degli Ulivi e sta rispondendo alla domanda degli apostoli sul segno della sua presenza e della conclusione del sistema di cose. Ha appena narrato la parabola delle 10 vergini e quella dei talenti; ora conclude il ragionamento pronunciando un’ultima parabola, che parla di pecore e capri.
Per cominciare, Gesù ne descrive l’ambientazione: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, allora si siederà sul suo glorioso trono” (Matteo 25:31). Dato che più volte Gesù si è definito “il Figlio dell’uomo”, è chiaro che il personaggio principale della parabola è proprio lui (Matteo 8:20; 9:6; 20:18, 28).
A che periodo si sta riferendo? Questa parabola si adempirà quando Gesù “verrà nella sua gloria” insieme agli angeli e “si siederà sul suo glorioso trono”. Gesù ha da poco detto che tutti “vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con potenza e grande gloria” insieme ai suoi angeli, indicando che questo evento si verificherà “subito dopo la tribolazione” (Matteo 24:29-31; Marco 13:26, 27; Luca 21:27). Quindi questa parabola si adempirà al momento della venuta futura di Gesù nella sua gloria. Cosa farà allora?
“Quando il Figlio dell’uomo verrà”, dice Gesù, “tutte le nazioni saranno radunate davanti a lui, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri. E metterà le pecore alla sua destra, ma i capri alla sua sinistra” (Matteo 25:31-33).
Le pecore vengono poste in una posizione di favore. Parlando di loro, Gesù prosegue: “Allora il Re dirà a quelli alla sua destra: ‘Venite, voi che siete stati benedetti dal Padre mio, ereditate il Regno preparato per voi dalla fondazione del mondo’” (Matteo 25:34). Perché il Re approva le pecore?
È lui stesso a spiegarne il motivo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero un estraneo e mi avete accolto in modo ospitale; ero nudo e mi avete vestito; mi sono ammalato e avete avuto cura di me; sono stato in prigione e siete venuti a trovarmi”. Quando queste pecore, “i giusti”, chiedono in che modo abbiano compiuto tali opere buone, il Re risponde: “Ogni volta che l’avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25:35, 36, 40, 46). Gesù non sta parlando di azioni compiute in cielo: lì nessuno soffre a causa di malattie o mancanza di cibo. Si tratta piuttosto di opere buone a favore dei fratelli di Cristo sulla terra.
E i capri? Perché vengono messi al lato opposto delle pecore? Gesù dice: “Quindi [il Re] dirà a quelli alla sua sinistra: ‘Via da me, voi che siete stati maledetti! Andate nel fuoco eterno preparato per il Diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame, ma non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete, ma non mi avete dato da bere; ero un estraneo, ma non mi avete accolto in modo ospitale; nudo, ma non mi avete vestito; malato e in prigione, ma non avete avuto cura di me’” (Matteo 25:41-43). I capri meritano questo giudizio avverso, perché avrebbero dovuto trattare con gentilezza i fratelli di Cristo sulla terra, ma non l’hanno fatto.
Il Re rivolge loro queste parole: “In verità vi dico: ogni volta che non l’avete fatto a uno di questi minimi, non l’avete fatto a me”. Gli apostoli comprendono che gli effetti del giudizio futuro saranno eterni, dureranno per sempre. Infatti Gesù conclude dicendo: “Questi andranno allo stroncamento eterno, ma i giusti alla vita eterna” (Matteo 25:45, 46).
La risposta che gli apostoli hanno ricevuto fornisce molti spunti di riflessione. Dovrebbe indurre tutti i discepoli di Gesù a esaminare il proprio modo di pensare e di agire.
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