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  • Ancora in vita l’antico culto dei serpenti

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  • Ancora in vita l’antico culto dei serpenti
  • Svegliatevi! 1978
  • Sottotitoli
  • Il luogo
  • Il “santo” e i serpenti
  • Serpenti e ‘serpari’
  • La polvere della chiesa
  • Antiche origini della festa
  • La processione
  • Il culto più antico del mondo
  • RIFERIMENTI
Svegliatevi! 1978
g78 8/7 pp. 4-9

Ancora in vita l’antico culto dei serpenti

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” in Italia

SUL manifesto esposto nella piazza principale del paese si leggeva in parte: “Miei cari parrocchiani, il giorno 1º maggio c.a., celebreremo la Tradizionale festa del nostro Santo Protettore S. Domenico Abate. . . . La grandiosa affluenza di forestieri e pellegrini che si stringeranno ancora attorno alla statua di S. Domenico, adorna di serpenti, omaggio ultramillenario in Suo onore dei famosi ‘Serpari di Cocullo’, comporta per noi un’assoluta revisione più cosciente e qualificata di vita spirituale perché tale è l’impegno cui la Divina Provvidenza ci sollecita tramite il Suo servo fedele: S. Domenico”.

Seguiva il programma dei “Solenni festeggiamenti” che, fra l’altro annunciava:

“Ore 12,00 — Solenne Tradizionale Processione preceduta, sul sagrato del Santuario, dall’omaggio ofidico, da parte dei famosi ‘SERPARI’ di Cocullo, a S. Domenico. Ragazze coi tradizionali costumi locali.

“Ore 13,00 — Piccola mostra dei vari tipi di serpenti esistenti nel territorio di Cocullo e che vengono posti sulla Statua del Santo.

“Ore 19,00 — Secondi S. Vespri in onore di S. Domenico; Benedizione eucaristica; bacio del S. Dente Molare che S. Domenico lasciò in Cocullo con le sue proprie mani”.

La lettura di quell’avviso dovette produrmi sul volto l’effetto di una strana espressione, poiché l’uomo che si era fermato lì accanto mi osservava ora con aria evidentemente compiaciuta.

“Che cos’è?” chiesi, indicando il manifesto e senza saper aggiungere altro.

“La festa di san Domenico abate!” rispose con uno sguardo illuminato e carico di ansietà.

“E i serpenti? . . .”

“Venga, venga dopodomani e vedrà! È uno spettacolo unico”. E, contorcendo le mani mentre descriveva la scena, disse: “Tutte quelle serpi, offerte con tanta devozione, attorcigliate alla statua del santo portata in processione . . .”

Continuava a parlare ma non lo stavo più ad ascoltare. Cercavo di immaginare quella strana festa . . . La statua, i serpenti, il bacio di un dente santo . . . Decisi di ritornare per capire meglio. Ringraziai l’uomo e lo salutai, mentre ancora mi descriveva confusamente strani particolari, e ripresi il mio viaggio verso l’Aquila, il capoluogo degli Abruzzi.

Il luogo

Cocullo è il nome della località ove quello strano avviso era esposto. Si tratta di un paesino dell’Italia centromeridionale posto a 870 metri sul livello del mare, nella regione degli Abruzzi, distante 82 chilometri dall’Aquila. È lì che da circa 1.000 anni si celebra una strana festa in onore del santo patrono. Ne avevo sentito vagamente parlare in passato; ora che mi trovavo nella zona al tempo della celebrazione, decisi di assistervi come osservatore. Il manifesto indicava la data del primo giovedì di maggio, e così feci in modo di ritornare a Cocullo per quel giorno.

Il “santo” e i serpenti

Sin dalle prime ore della mattinata le strade del paese si animarono di una folla variopinta e rumorosa: abitanti locali, turisti ed emigrati tornati per la festa, i cui automezzi in sosta recavano le targhe più disparate. Gli autobus dei gruppi di pellegrini si fermavano invece alcune centinaia di metri fuori del paese, presso il bivio dal quale inizia la strada che, partendo dalla provinciale, sale verso Cocullo. Lì cominciava la salita processionale delle ‘compagnie’ verso il paese: in fila di tre con gli uomini avanti, separati dalle donne che seguivano, tutti preceduti da una croce ornata con fronde di alberi e fiori. Per cominciare, decisi di seguire il percorso di una di quelle ‘compagnie’ e di chiedere poi informazioni a qualcuno lungo la strada.

“Chi era san Domenico?” Domandai a bruciapelo a un distinto vecchietto che seguiva con aria assorta la processione. Dal modo in cui mi guardò compresi che la mia era proprio stata una domanda da sprovveduto. Mi giustificai dicendo che ero un turista e che non sapevo nulla della festa, tranne quanto avevo letto sul manifesto in piazza, due giorni prima. Parve tranquillizzarsi.

“È il patrono di Cocullo!” rispose con un’espressione più tollerante.

“E saprebbe dirmi in che periodo visse?”

Senza neppure pensarci un po’, rispose con una sicurezza che mi lasciò perplesso: “Fra il 951 e il 1031”.

Sembrava molto informato e perciò gli chiesi di farmi da accompagnatore. Parve esserne molto lieto; e così la nostra conversazione proseguì mentre si saliva il pendio verso il paese, lasciandoci alle spalle la processione che durante il percorso, com’era previsto dalla cerimonia, ogni tanto faceva delle fermate.

“San Domenico aveva fatto il patto coi serpenti perché non infastidissero più la gente di Cocullo”, continuò il vecchietto. “Quando, nei suoi pellegrinaggi in Umbria, Lazio e Abruzzo, giunse qui a Cocullo, vide la miseria degli abitanti: gente che dormiva all’aperto in case di frasche, e serpi, serpi dappertutto, che entravano persino in bocca agli addormentati. San Domenico sana tutti: quelli morsi dai serpenti, gli ammalati di tetano per i morsi degli asini e gli idrofobi per i morsi dei cani. Quindi, prima di andarsene, lasciò un segno per garantire la continuità dei suoi miracoli: il ferro della sua mula e un suo dente molare”.

“Il dente che i fedeli hanno in programma di baciare questa sera?” chiesi.

“Sì; è ancora lì nella chiesa, come una testimonianza del patto che san Domenico fece a favore della gente di Cocullo”.

“Allora lo considerate ancor oggi come una specie di protettore?”

“Proprio così. San Domenico non solo protegge dal morso delle serpi maligne, ma anche da quello dei cani rabbiosi, dei topi velenosi e dagli insetti nocivi; preserva dalle febbri, dal mal di denti e salvaguarda i campi dalla grandine e dalle tempeste. Un po’ da tutto, insomma”.1

Serpenti e ‘serpari’

“Ho capito. Ma i serpenti, come vengono impiegati durante la festa?”

“Il paese ha i suoi serpari, cioè i cacciatori di serpenti. Qualche giorno prima della festa, quando il sole con i suoi tiepidi raggi di primavera riscalda le pietre, e le serpi lasciano i loro rifugi invernali, i serpari vanno ad acchiapparle e le conservano in scatole o vasi o sacchetti fino al primo giovedì di maggio, cioè oggi. E alle dodici in punto, quando la statua del santo è fatta uscire dalla chiesa per essere portata in processione, i serpari liberano i serpenti su di essa. Dopo la processione ciascuno si riprende i suoi, riconoscibili da un segno, e sono venduti, specialmente ai turisti che fanno a gara per acquistarli”.

“I serpenti sono portati in chiesa?” domandai ancora.

“Ora non più; ma io ricordo che circa 20 anni fa era consentito farlo, ed erano addirittura benedetti dal parroco, lì sul pavimento, mentre strisciavano avviluppati insieme”.2

Sebbene l’argomento cominciasse a turbarmi, volevo approfondirlo. Chiesi ancora: “Ma la gente di qui che significato attribuisce a questi rettili?”

“Per me, personalmente, rimangono degli animali che mi fanno senso anche se hanno toccato la statua del santo; ma per la maggioranza dei cocullesi sono come dei portafortuna. Dicono che anche l’olio estratto dai rettili abbia delle virtù miracolose. Ricordo che quando ero ragazzino si portavano i bambini in chiesa per far loro baciare i serpenti. Non più di 50 anni fa, ricordo, i genitori usavano far toccare i bambini dal serpente come segno di buona fortuna”.3

Fra una parola e l’altra giungemmo sulla piazza principale del paese. Avrei dovuto aspettarmelo, ma non ero preparato. All’improvviso, a meno di dieci metri di distanza, dalla folla che gli faceva ala con entusiasmo, comparve uno di quelli che il mio accompagnatore aveva definito ‘serpari’. Portava attorcigliata al braccio una matassa di serpenti grandi e piccoli e camminava fra la gente con un largo sorriso compiaciuto sul volto. La prima impressione fu raggelante, ma quasi subito ravvisai l’aspetto comico del personaggio, che ora mi pareva un’indossatrice di pellicce in passerella. Comunque al suo passaggio mi tenni a debita distanza.

“Non si spaventi”, disse il vecchietto ridendo. “A Cocullo i serpenti non mordono, e se anche lo facessero non sono di razza velenosa”. Infatti notai che diverse persone tra la folla — anche i ragazzini — li toccavano scherzosamente; mentre altri ne discutevano col serparo probabilmente l’acquisto, come se stessero contrattando con un venditore di cravatte.

“Li toccano per devozione a san Domenico o per scegliere il più bello al minor prezzo”, disse il vecchietto interpretando il mio pensiero. Quello non fu l’unico serparo che vidi. Ve n’erano diversi altri, anche se meno forniti. Esibivano le loro prede come se fossero cravatte o cinture.

“Ne vuole acquistare uno per ricordo?” fu la scherzosa proposta del mio accompagnatore.

“Se lo volessi quanto dovrei spendere?” replicai coraggiosamente.

“Dipende . . . dalle 5.000 alle 10.000 lire, secondo la qualità; non di più”.

Scossi il capo sorridendo e gli spiegai che la cosa non mi interessava per una questione sia di buon gusto che di principio.

La polvere della chiesa

Mi interessava particolarmente quel momento della festa in cui la statua del “santo” sarebbe stata fatta uscire dalla chiesa, con i serpenti attorcigliati, e portata in processione.

“Non prima di mezzogiorno”, mi riconfermò il mio accompagnatore. “Uscirà dalla chiesa finita la Messa Solenne”. Quindi estrasse dal taschino del panciotto un enorme orologio e, dopo un attimo di riflessione, disse: “Ora staranno raccogliendo la terra”.

“Quale terra?” chiesi.

“La polvere della chiesa, spazzata e ammucchiata dietro l’altare del santo”. Mi spiegò poi che mentre il parroco celebrava la messa la folla presente nel tempio compiva diversi atti di devozione legati alla tradizione. Così quei pellegrini, che avevamo visto salire in processione, sarebbero entrati in chiesa; compiuto un certo percorso, si sarebbero diretti verso la statua del “santo”, e dopo aver suonato coi denti o con le mani una campanella e prelevato un po’ di terra dal mucchio dietro l’altare, si sarebbero di nuovo avviati verso l’uscita.

“Ma che se ne fanno di quella terra?” domandai incuriosito.

“La considerano miracolosa. Se la portano a casa e la spargono qua e là sui campi e intorno alle case, per proteggere i bambini e le bestie dai serpenti. Alcuni la usano addirittura come medicinale; sciogliendone alcuni granelli in un bicchier d’acqua, o nel caffè, e quindi ingerendola, si dice abbia un magico potere curativo. Oppure viene applicata sui denti per calmarne il dolore. Quando in casa qualcuno è ammalato, i parenti vanno addirittura a scrostare l’immagine del santo in chiesa, per recuperare della polvere. Se non produce l’effetto, e l’ammalato muore, allora la polvere è messa in un sacchetto che viene posto nella bara col cadavere”.4

Antiche origini della festa

A parte queste usanze mistico–superstiziose, mi interessava particolarmente conoscere l’origine dell’antico culto cocullese dei serpenti ora legato a “san” Domenico. Ma il vecchietto era alquanto lacunoso in relazione a questo aspetto. Comunque, disse di conoscere qualcuno che faceva al caso mio e me lo avrebbe condotto. Lo vidi sparire tra la folla e tornare meno di quindici minuti dopo con un distinto signore di mezza età, che mi venne presentato come una personalità del paese. Evidentemente il vecchietto lo aveva già messo al corrente di ciò che m’interessava sapere, poiché, dopo i convenevoli, introdusse subito il discorso relativo alle ‘nobili’ origini del culto cocullese, con una evidente punta di orgoglio.

“Noi di Cocullo siamo i discendenti dell’antico popolo dei Marsi, gli incantatori di serpenti, i quali furono i primi ad offrire alla dea Angizia serpenti vivi, ogni primavera, per propiziarsela contro i morsi. Da che san Domenico operò poi miracoli simili nel nostro territorio, il vivente omaggio primaverile delle popolazioni di qui venne dedicato a lui. Sono circa mille anni che questa tradizione si ripete ininterrottamente. Fu infatti intorno all’anno 1000 che l’antico culto marso della dea Angizia assunse una fisionomia cristiana”.5

Stupefatto da quelle inaspettate rivelazioni, gli posi subito la prima domanda che mi venne in mente: “E la Chiesa che ne pensa di queste origini così poco cristiane della festa?” Non sembrò molto turbato da quell’osservazione. Tranquillamente rispose che la Chiesa, non riuscendo a eliminare l’antico culto dei serpenti, così radicato in quelle popolazioni, cercò di dargli un’apparenza cristiana.6

La processione

Intorno a noi l’atmosfera si stava facendo intanto carica di animazione. Mancavano pochi minuti a mezzogiorno e la gente affluiva sul sagrato della chiesa per assistere alla comparsa della statua e dare inizio alla processione. Infatti, a mezzogiorno in punto, la statua comparve sulla porta della chiesa. Malgrado la gente che le si accalcava intorno, potei vedere che si trattava della classica rappresentazione di un “santo” di tipo cattolico, simile a mille altre. Era posta su un basamento di legno unito a quattro stanghe, pure di legno, per il trasporto. Quattro giovani la reggevano; e più tardi seppi che avevano ottenuto all’asta il diritto di tenere le stanghe. I serpari si accostarono e cominciarono a offrire il loro omaggio. I serpenti sembravano trovarsi perfettamente a loro agio sulla statua: si incollavano con estrema facilità al volto, al petto, intorno alle braccia e al collo, fino a costituire un unico groviglio da cui soltanto le teste emergevano. Non è facile dimenticare quell’idolo così addobbato, ondeggiante sulle spalle dei portatori e circondato dalla folla dei pellegrini.

La processione era preceduta dai sacerdoti della zona, dalla banda musicale e da ragazze in costume locale che cantavano un canto religioso. Seguivano altre due ragazze che portavano sul capo due grosse ceste contenenti cinque grosse ciambelle. Chiesi al mio nuovo accompagnatore alcune spiegazioni su quei dolci.

“Si tratta di focacce rituali, preparate secondo un’antica ricetta; sono riservate ai portatori della statua a fine processione”.

“Hanno qualche significato particolare?” chiesi ancora.

“Sembra siano simbolo di fertilità anche per la loro forma vaginale”.7

C’era un altro particolare che mi interessava: “La statua tiene nella mano sinistra una specie di ferro di cavallo. Cos’è?”

“È una riproduzione del ferro della mula lasciato a Cocullo da san Domenico. Quando si rese conto di non poter pagare l’esosa cifra richiestagli dal fabbro, che aveva ferrato il suo animale, ordinò a quest’ultimo di restituire il ferro; e la mula scalciando ubbidì”.8

“È il ferro che lasciò col dente, vero?”

“Esatto, e furono lasciati come una testimonianza del potere del santo sui mali degli animali e degli uomini”.

“E sono efficaci?”

“Sembra di sì. Da ogni parte accorrono qui a Cocullo uomini e donne morsicati da animali velenosi e cani idrofobi. Il bacio del dente produce benefici immediati. D’altro canto, il ferro della mula è usato con altrettanta efficacia sugli animali. La gente dice che una volta un branco di cani, che erano stati a contatto con bestie idrofobe, fu condotto al santuario. Il prete invocò su di essi l’aiuto del santo, servendosi del ferro della mula. Pare comunque che ancor prima di arrivare in paese il branco si fosse calmato improvvisamente”.

Il culto più antico del mondo

Non v’è dubbio, è stata un’esperienza interessante, anche se deprimente dal punto di vista religioso. Mentre la processione, fra due ali di folla, si allontanava, ciò che avevo visto mi richiamava ora alla mente la visione che venne mostrata da Dio all’antico profeta Ezechiele, nel contaminato tempio di Gerusalemme del suo giorno: “Entrai e vidi ogni sorta di rettili e di animali abominevoli e tutti gli idoli del popolo d’Israele . . . e settanta anziani della casa d’Israele . . . in piedi, davanti ad essi, . . . mentre il profumo saliva in nubi d’incenso”. (Ezec. 8:10, 11, edizione ufficiale cattolica della CEI) In altre parole, una forma di adorazione della creatura animale, simile a quella che l’apostolo Paolo attribuì ai pagani: “Hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. . . . poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore”. — Rom. 1:23, 25, CEI.

Quale perversione da parte di una religione che si professa cristiana, ma che si è contaminata incorporando abominevoli riti pagani che risalgono alla notte dei tempi; forse proprio al primo atto di omaggio idolatrico compiuto dall’uomo: l’ubbidienza alla voce dell’originale serpente dell’Eden, “colui che è chiamato Diavolo e Satana, che svia l’intera terra abitata”. — Gen. 3:4-6; Riv. 12:9.

RIFERIMENTI

1. Gli aspetti magico–religiosi di una cultura subalterna italiana di Alfonso M. Di Nola, Edizione Boringhieri, 1976, pagg. 55, 58, 61, 158, 159.

2. Ibidem, pag. 70.

3. Ibidem, pagg. 70, 130.

4. Ibidem, pagg. 37, 72, 73, 74.

5. Ibidem, pagg. 107, 108.

6. Ibidem, pag. 108.

7. Ibidem, pag. 177.

8. Ibidem, pag. 137.

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