Giobbe, libro di
Scritto da Mosè, secondo gli studiosi sia ebrei che cristiani primitivi. La poesia, il linguaggio e lo stile indicano che fu scritto originalmente in ebraico, e i brani in prosa hanno molte analogie col Pentateuco, cosa che tende a indicarne in Mosè lo scrittore. Durante i quarant’anni che trascorse in Madian, Mosè poté essere venuto a conoscenza dei fatti relativi alla prova di Giobbe e poté apprendere l’esito che ebbe sulla vita di Giobbe quando Israele giunse nei pressi di Uz nel 1473 a.E.V., mentre era diretto verso la Terra Promessa.
DISPOSIZIONE
Il libro di Giobbe è unico in quanto consiste in gran parte di un dibattito fra un vero servitore di Dio e tre altri che affermavano di servire Dio, ma commisero errori dottrinali nel tentativo di correggere Giobbe. Costoro pensavano erroneamente che Giobbe fosse punito da Dio per qualche grave peccato nascosto. Così, ragionando in questo modo, diventarono in realtà persecutori di Giobbe. (Giob. 19:1-5, 22) Il dibattito consiste in una serie di tre cicli di discorsi, a cui partecipano tutti e quattro gli oratori, tranne Zofar che non prende la parola nell’ultimo ciclo, essendo stato messo a tacere dagli argomenti di Giobbe. Dopo di che tutti vengono corretti dal portavoce di Geova, Eliu, e infine da Dio stesso.
È chiaro dunque che nel leggere o nel citare il libro si deve tener presente che gli argomenti presentati da Elifaz, Bildad e Zofar sono erronei. A volte i tre compagni di Giobbe dicono cose vere, ma in un contesto e con un’applicazione sbagliati.
I compagni di Giobbe dicevano che Dio punisce i malvagi. Questo è vero. (II Piet. 2:9) Ma concludevano che ogni sofferenza sia il risultato dei propri peccati, che in tal modo Dio punisca il colpevole. La sofferenza, dicevano, è una prova che l’individuo ha peccato. Non parlavano veracemente di Dio. (Giob. 42:7) Lo calunniavano. Secondo loro Dio non era misericordioso. Sostenevano che Dio non ha piacere che l’uomo sia integro e non ha fiducia nei Suoi servitori, neanche negli angeli. Questo è contrario ai numerosi riferimenti scritturali che rivelano l’amore di Geova per i suoi servitori intelligenti. Una prova che Dio confida e ha fiducia nei suoi fedeli adoratori si ha dalle parole che rivolse a Satana quando lasciò che mettesse alla prova Giobbe, parole con le quali richiamava l’attenzione su Giobbe ed esprimeva la massima fiducia nella sua lealtà. E si noti che protesse la vita di Giobbe. (Giob. 2:6) Lo scrittore cristiano Giacomo dice a proposito dell’esperienza di Giobbe “che Geova è molto tenero in affetto e misericordioso”. — Giac. 5:11.
IMPORTANZA
Il libro di Giobbe è essenziale, insieme a Genesi 3:1-6 e ad altri versetti biblici, in quanto rivela la grande contesa relativa alla giustizia di Dio nell’esercizio della sua sovranità, e il modo in cui vi è implicata l’integrità dei servitori terreni di Dio. Giobbe non ne era a conoscenza. Non capiva perché la calamità si era abbattuta su di lui, visto che non era un peccatore incallito. Perse l’equilibrio giustificandosi, senza dubbio spintovi dalle costanti accuse dei suoi tre compagni. Era pure in errore nell’insistere ad avere risposta da Dio sul perché della sua sofferenza, quando avrebbe dovuto rendersi conto che nessuno può giustamente dire a Geova: ‘Perché mi hai fatto in questo modo?’ (Rom. 9:20) Tuttavia Geova rispose misericordiosamente a Giobbe, sia per mezzo del suo servitore Eliu sia parlando a Giobbe dal turbine. Il libro fa dunque capire chiaramente quanto sia sbagliato cercare di giustificarsi di fronte a Dio. — Giob. 40:8.
AUTENTICITÀ E VALORE
Ezechiele si riferisce a Giobbe, e Giacomo ne fa menzione. (Ezec. 14:14, 20; Giac. 5:11) Una chiara prova della canonicità del libro è il fatto che gli ebrei lo consideravano altrettanto autorevole degli altri libri ispirati delle Scritture Ebraiche, anche se Giobbe non era un israelita.
Forse la prova più evidente dell’autenticità del libro è la sua armonia col resto della Bibbia. Vi sono inoltre rivelati molti particolari circa le credenze e le usanze della società patriarcale. Soprattutto aiuta lo studente biblico ad avere migliore intendimento dei propositi di Geova attraverso un confronto con altre dichiarazioni bibliche. Ci sono moltissime analogie con altri brani biblici, e alcune sono elencate nell’unito prospetto.
Libro di Giobbe Argomento Altri riferimenti
biblici
3:17-19 I morti non sanno nulla, Eccl. 9:5, 10;
ma sono come addormentati Giov. 11:11-14;
9:32, 33 (NW, Necessario un mediatore
ed. 1957, nota c) fra Dio e l’uomo I Tim. 2:5
10:4 Dio non giudica da un punto I Sam. 16:7
di vista umano
10:8, 9, 11, 12 Grande cura di Dio nel Sal. 139:13-16
formare l’uomo
12:23 Dio lascia che le nazioni Riv. 17:13, 14, 17
diventino potenti e persino
si uniscano contro di lui,
così da poterle distruggere
in un sol colpo
14:13-15 Risurrezione dei morti I Cor. 15:21-23
17:9 Il giusto non inciampa, Sal. 119:165
qualunque cosa accada
Cap. 28 L’uomo non può trovare Eccl. 12:13;
vera sapienza nel I Cor. 2:11-16
‘libro della creazione’,
ma solo in Dio e temendolo
30:1, 2, 8, 12 Fannulloni insensati, buoni Atti 17:5
a nulla, usati per perseguitare
i servitori di Dio
32:22 È sbagliato usare titoli Matt. 23:8-12
non scritturali
34:19 Geova non è parziale Atti 10:34
34:24, 25 Geova depone, innalza Dan. 2:21; 4:25
sovrani come vuole
36:24; 40:8 L’importante è proclamare Rom. 3:23-26
la giustizia di Dio
42:2 Per Dio ogni cosa è Matt. 19:26
possibile
42:3 La sapienza di Dio è Isa. 55:9;
imperscrutabile Rom. 11:33
Altre analogie degne di nota sono: Giobbe 7:17 e Salmo 8:4; Giobbe 9:24 e I Giovanni 5:19; Giobbe 10:8 e Salmo 119:73; Giobbe 26:8 e Proverbi 30:4; Giobbe 28:12, 13, 15-19 e Proverbi 3:13-15; Giobbe 39:30 e Matteo 24:28.
SCHEMA DEL CONTENUTO
I La questione in gioco (1:1–2:10)
A. Giobbe, la sua famiglia e le sue ricchezze (1:1-3)
B. Sacerdote per la famiglia (1:4, 5)
C. Satana sfida Geova a proposito dell’integrità di Giobbe e dei rapporti di Dio con lui (1:6-12; 2:1-5)
1. A Satana è permesso privare Giobbe della ricchezza e dei figli (1:13-19)
2. Giobbe rimane integro (1:20-22)
3. Satana può far ammalare Giobbe, ma non farlo morire (2:6-10)
a. La moglie schernisce “integrità” di Giobbe
b. Egli la rimprovera, rimane fedele
II Dibattito coi compagni, primo ciclo (2:11–14:22)
A. Elifaz, Bildad e Zofar si danno appuntamento, fanno cordoglio per Giobbe; per sette giorni ne osservano l’intensa sofferenza (2:11-13)
B. Giobbe si lamenta: maledice il suo giorno, desidera non essere mai nato o non esistere più; si chiede perché Dio gli permetta di continuare a vivere (3:1-26)
C. Elifaz accusa Giobbe di aver peccato (4:1-5:27)
1. Schernisce “integrità” di Giobbe; riferisce il messaggio di uno “spirito” secondo cui Dio non ha fede nei messaggeri angelici, quindi non s’interessa dell’integrità dell’uomo (4:1-21)
2. Dice indirettamente che i guai di Giobbe sono risultato di peccati; Giobbe dovrebbe confessare a Dio, accettare la disciplina; allora Dio lo redimerà, lo farà prosperare, lo proteggerà; questo, dice, noi abbiamo scoperto investigando (5:1-27)
D. Giobbe non comprende la questione in gioco (6:1–7:21)
1. Giobbe replica che ha ragione di gridare, come farebbe qualunque creatura; desidera morire; i suoi compagni l’hanno tradito, deluso; non chiede che lo salvino, anzi è disposto a lasciarsi istruire se impartiscono vera riprensione; possono dimostrare che parla ingiustamente? (6:1-30)
2. Giobbe ha sofferto molto in attesa della morte, dell’inesistenza che lo attende; si chiede perché Dio si preoccupi di lui, continuando a bersagliarlo; egli non è pericoloso; anche se ha peccato non può far nulla contro Dio; è una questione che Giobbe non comprende (7:1-21)
E. Bildad dice che la calamità di Giobbe è il risultato del peccato; sostiene che Dio non punirebbe Giobbe se non avesse peccato; dice che i figli di Giobbe morirono per i peccati; gli consiglia di cercare risposta nella tradizione delle passate generazioni; insinua che Giobbe sia un apostata, che confidi in una falsa speranza; se continua così farà una brutta fine (8:1-22)
F. Dio fa ciò che vuole con la creazione (9:1–10:22)
1. Giobbe sa che Dio non è ingiusto; Dio non deve rendere conto all’uomo; Giobbe sa di non poter contendere con successo con Dio, con tutta la Sua potenza e sapienza. Geova permette che il malvagio regni e che i giudici giudichino ingiustamente; se non è Lui, allora chi è? Giobbe sa di non poter discutere su un piano di parità con Dio; sarebbe sicuramente sconfitto; ha bisogno che qualcuno intervenga, di un mediatore (9:1-35)
2. Giobbe chiede a Dio perché contenda con lui; Dio non lo considera da un punto di vista umano; ha una ragione più alta. Ma Giobbe afferma di non essere nel torto; chiede a Dio che ricordi di averlo fatto con tanta cura; perciò Giobbe non riesce a capire perché ora sembra che Dio lo faccia soffrire; chiede sollievo dallo sguardo di Dio, per rinfrancarsi un po’ prima di morire (10:1-22)
G. Zofar accusa Giobbe di fare discorsi vuoti; Giobbe afferma di essere puro, ma dovrebbe rendersi conto che merita più di ciò che ha; dice che Giobbe non può scoprire le cose profonde di Dio; in effetti paragona Giobbe al puledro di una zebra senza ragione; dice a Giobbe di eliminare l’ingiustizia; allora avrà sicurezza, splendore, pace, amici; avverte Giobbe delle terribili conseguenze dell’agire in modo diverso (11:1-20)
H. Potenza di Geova e debolezza umana (12:1–14:22)
1. Giobbe dice con sarcasmo che i suoi compagni possiedono ogni sapienza; poi asserisce di avere un buon motivo e di non essere inferiore a loro, ma di esser diventato oggetto di risa; dice che persino gli animali si accorgono che Geova lascia le cose come sono, che i malvagi non soffrono per la loro malvagità. Anche la saggezza degli anziani è soggetta a essere pesata e messa alla prova, ma in Geova risiede ogni sapienza e potenza; egli può far errare, agire stoltamente, giudici e re umani; lascia diventare grandi le nazioni (e lascia che appaiano grandi contro di lui), per poterle distruggere (12:1-25)
2. Giobbe è lieto di presentare il suo caso a Dio, ma i compagni hanno detto il falso e non sono stati d’aiuto; dovrebbero starsene saggiamente zitti; considerano Dio come se fosse un uomo; mostrano parzialità pretendendo di rappresentare la causa di Dio contro Giobbe, che non possono giudicare colpevole di flagrante peccato; Giobbe comincia a manifestare maggiore fiducia in Dio e nel Suo giudizio circa la sua innocenza; chiede a Dio di mostrargli quali siano i suoi peccati e di non considerarlo un nemico (13:1-28)
3. Il genere umano [dal peccato di Adamo] ha breve vita, e tutti sono impuri a motivo dell’impurità dei padri; un albero tagliato germoglierà di nuovo, ma quando l’uomo muore torna nel “sonno” alla polvere. Giobbe chiede tuttavia di scendere nella tomba solo finché Dio nella sua amorevole benignità lo farà vivere di nuovo; descrive come l’uomo mortale si consuma e non sa nulla, né bene né male (14:1-22)
III Dibattito, secondo ciclo (15:1–21:34)
A. Elifaz schernisce la dichiarata integrità di Giobbe (15:1-35)
1. Accusa Giobbe di rispondere con conoscenza vana; lo accusa di mancare di timor di Dio, di dire cose errate; dice che i suoi compagni ne sanno quanto lui; infatti Elifaz fa appello alla sapienza degli uomini d’età, alla tradizione, superiore a quella di Giobbe; dice: “Non sono le consolazioni di Dio [presentate da Elifaz e amici] abbastanza per te . . .?” Afferma che Giobbe si volge contro Dio, come dimostrano le sue parole. Erroneamente accusa Dio di non aver fede nei suoi santi e di considerare impuri i cieli, schernisce la dichiarata integrità di Giobbe, insinua che sia detestabile e corrotto (15:1-16)
2. Sostiene che chi soffre è malvagio e dice indirettamente che Giobbe cerca di mostrarsi superiore a Dio; descrive la cattiva fine di un uomo del genere e della sua posterità; conclude insinuando che Giobbe sia un apostata, corrotto, pericoloso, disonesto (15:17-35)
B. Giobbe dice che nessuno offre aiuto, conforto (16:1–17:16)
1. Dice che potrebbe parlare loro senza confortarli se fossero nella sua condizione, ma non lo farebbe mai; piuttosto li rafforzerebbe; dice che Dio lo consegna agli avversari. Anche ragazzi lo maltrattano. Dio ne fa il Suo bersaglio. Tuttavia conta che Dio attesti la sua innocenza (16:1-22)
2. Nessuno viene in aiuto di Giobbe; i retti sono stupiti della sua condizione, ma i giusti non ne sono scossi; ciò li rende più forti. I compagni di Giobbe non hanno sapienza; prendono la notte per giorno, la speranza che offrono è falsa; Giobbe capisce che presto scenderà nella fossa (17:1-16)
C. Bildad accusa Giobbe di essere dilaniato dall’ira; ciò è futile, poiché le cose permanenti non saranno mutate. Dio porterà ugualmente in giudizio i malvagi; descrive la perdita della posterità, peggiore di malattie e morte, che cancella il nome e la discendenza del malvagio, e il perenne esempio che sarà, indicando che è quanto accadrà a Giobbe (18:1-21)
D. Giobbe rimprovera i compagni; se ha commesso un errore non c’è bisogno che accrescano l’afflizione; Giobbe non ottiene risposta alle grida; fratelli, conoscenti, servitori l’hanno abbandonato; persino la moglie, i fratelli lo considerano ripugnante; ragazzi lo scherniscono; è pelle e ossa. I compagni di Giobbe vogliono prendere il posto di Dio nel perseguitarlo. È tuttavia sicuro che Dio è il suo ricompratore e lo giudicherà con favore mentre è ancora in vita. Gli avversari dovrebbero stare attenti a non andare incontro al giudizio di Dio (19:1-29)
E. Zofar è molto turbato dalle parole e dall’avvertimento di Giobbe; si sente insultato. Indirettamente attribuisce la sofferenza di Giobbe a Dio; dice che l’apostata è estremamente orgoglioso; ma perderà ciò che possiede, brucerà come sterco; se assapora e ama la trasgressione, non avrà via di scampo neanche grazie alla ricchezza (20:1-29)
F. Giobbe chiede, se ciò che dicono gli oppositori è vero, “Perché i malvagi stessi continuano a vivere,... divenuti superiori in dovizia?” Se la godono, non hanno riguardo per Dio. Quante volte vediamo il malvagio e la sua posterità spegnersi? Il povero muore come lui; ma il ricco è sepolto con onore. I confortatori di Giobbe sono stati vani (21:1-34)
IV Dibattito, terzo ciclo (22:1–25:6)
A. Elifaz schernisce nuovamente l’affermazione di Giobbe che Dio s’interessi della sua integrità. Comincia con le calunnie dicendo che la sofferenza di Giobbe indica che è colpevole di estorsione, avidità, ingiustizia, irriverenza e mancanza di timor di Dio. Poi con santimonia consiglia a Giobbe di acquistare conoscenza di Dio, di pregare, abbandonare l’ingiustizia se vuol essere benedetto; mentre l’arroganza porterà umiliazione (22:1-30)
B. Giobbe si chiede se Dio s’interessa dell’afflizione del giusto e delle azioni del malvagio (23:1–24:25)
1. Giobbe non può fare ciò che i compagni a torto consigliano. Desidera poter presentare la sua causa a Dio; in tal caso, Dio lo ascolterebbe; ma Dio non si rivela; tuttavia Dio conosce la rettitudine di Giobbe; sa che segue i suoi comandamenti; eppure per il momento Dio fa qualche cosa che Giobbe non comprende; Giobbe è atterrito (23:1-17)
2. Giobbe sostiene di nuovo che i malvagi (in questo sistema) continuano senza che sopraggiunga la punizione; compiono ogni sorta di ingiustizie. Descrive la triste condizione di chi è afflitto dai malvagi: si affatica, nudo, al freddo, affamato, invoca aiuto e muore. Dio, a quanto sembra, non se ne cura. Certuni amano le tenebre più della luce; nel buio commettono impunemente omicidio, furto, adulterio; la luce del mattino è per loro ombra di morte. I malvagi scompaiono rapidamente; s’innalzano, poi non sono più, come chiunque altro; quindi in realtà non soffrono per i loro peccati (24:1-25)
C. Bildad ripete che l’uomo mortale, nato di donna, non può essere nel giusto di fronte a Dio, il quale (dice Bildad) considera impure luna e stelle. Nega che Dio s’interessi dell’integrità dell’uomo (25:1-6)
V Ultimo discorso di Giobbe; mette a tacere, istruisce gli avversari (26:1–31:40)
A. Esalta con sarcasmo la “sapienza” e l’“aiuto” dei compagni; chiede se sono come Dio, a cui tutte le cose sono manifeste. Dio sospende la terra nello spazio, avvolge l’acqua nelle nubi, scuote i monti, agita il mare. Questi non sono che i “margini” delle sue vie, un semplice “sussurro” della sua grandezza (26:1-14)
B. Giobbe è deciso a rimanere integro fino alla morte; non giustificherà i compagni seguendo il loro falso ragionamento e dichiarandosi colpevole. La rettitudine di Giobbe rivela che il suo nemico è un uomo malvagio. Se Giobbe fosse realmente apostata come dicevano i compagni, egli non proverebbe piacere nell’invocare Dio, come invece fa, né sarebbe esaudito. Gli avversari sono messi a tacere; ora Giobbe li istruirà. Hanno avuto “visioni”, dicono; in tal caso, perché sono confortatori vani? È vero che per i discendenti di chi è realmente malvagio ci sarà spada e povertà; la ricchezza che ammassa la godrà il giusto dopo la sua morte; anche se muore ricco, lascia ogni cosa (27:1-23)
C. Giobbe passa in rassegna le scoperte e le attività umane; l’uomo scende nelle profondità della terra, scopre cose nascoste; è sceso nel profondo mare; ha sfruttato il ricco deposito della terra. Ma con tutta la conoscenza ottenuta studiando il ‘libro della creazione’, non ha trovato vera sapienza, intendimento; solo Dio li possiede; l’unico modo per conseguirli è temere Geova e allontanarsi dal male (28:1-28)
D. Giobbe pensa ai giorni precedenti la prova; allora camminava nella luce di Dio; aveva molti servitori; quando si presentava alla porta della città era rispettato da giovani e vecchi, anche dai capi. Era noto per la sua giustizia, i doni di misericordia, la rettitudine; difendeva l’oppresso e puniva l’oppressore; tutti seguivano i suoi consigli. Era come un re fra le sue truppe (29:1-25)
E. Ora la situazione è capovolta; Giobbe è deriso dai buoni a nulla. Questi rifiuti dell’umanità, che vengono scacciati dal paese, sono ora i suoi tormentatori, lo sputacchiano, gli fanno lo sgambetto. I compagni di Giobbe non l’hanno aiutato nella sua terribile sofferenza, anzi sono stati crudeli. Egli fa cordoglio, è ridotto uno scheletro (30:1-31)
F. Giobbe non è un trasgressore. Chiede di essere giudicato da Dio, è pronto a subire la pena se ha commesso un errore: enumera adulterio, ingiustizia, mancanza di misericordia, oppressione, materialismo, idolatria, vendetta, mancanza di ospitalità, ipocrisia, nascondere trasgressioni per ‘salvare la faccia’. Dopo essersi dichiarato pronto a presentare la sua causa a Dio, ad affrontare le accuse presentate dall’avversario, menziona un altro errore di cui è innocente, la cupidigia, coltivare e mangiare il frutto del campo che non ha pagato, o che ha ottenuto illegalmente dai proprietari (31:1-40)
VI Eliu corregge Giobbe e compagni (32:1–37:24)
A. Eliu ha ascoltato la discussione. Si adira con Giobbe perché giustifica se stesso anziché Dio, e peggio ancora, coi compagni di Giobbe, perché dichiarano Dio colpevole. Eliu si era trattenuto a motivo della differenza d’età; ma è lo spirito di Geova che dà intendimento e lo spinge a parlare. Dice che i tre compagni non hanno saputo rispondere a Giobbe; Eliu non parlerà come loro. Non mostrerà parzialità e non userà titoli adulatori (32:1-22)
B. Eliu non pretende di essere superiore; rimprovera Giobbe per essersi preoccupato di giustificarsi e aver contestato che Dio non gli aveva risposto. Descrive come Dio esorta e corregge l’uomo per allontanarlo dal peccato, (1) mediante una visione notturna, (2) lasciando che si abbatta su di lui la calamità. Per essere liberato l’uomo ha bisogno di un mediatore, che gli dica cosa è giusto. Attraverso tale mediatore è provveduto un riscatto per ristabilirlo; allora Dio renderà all’uomo la Sua giustizia ed egli canterà lode a Dio. Dio è paziente e immeritatamente benigno nel far questo (33:1-33)
C. Eliu invita gli ascoltatori a mettere alla prova le sue parole. Giobbe aveva detto in effetti che Dio aveva respinto il suo giudizio; ma Dio non manca mai di ricompensare il servizio altruistico reso a Lui. Chi ha affidato a Dio la responsabilità di regnare, di aver cura della terra? Se Egli desidera, può togliere la vita a chiunque. Non si può dire a un re o a un governante che ha torto o è buono a nulla. Dio giudica tutti senza parzialità; in un attimo depone sovrani, innalza altri al loro posto, affinché tutti capiscano che lo meritavano perché erano diventati oppressori. Dio giudica e agisce come vuole verso i singoli o le nazioni. Nel giustificarsi Giobbe era senza conoscenza; la prova deve continuare finché la questione è risolta (34:1-37)
D. Giobbe ha detto: “La mia giustizia è più di quella di Dio”. Ha pensato che la sua condotta retta non gli abbia giovato di fronte a Dio. Tuttavia non si rende a Dio nessun favore servendolo, né lo si danneggia peccando, ma si possono danneggiare uomini. Spesso l’oppressione non viene alleviata da Dio perché gli uomini non lo invocano in verità. Giobbe, servitore di Dio, doveva confidare in Dio e servirlo invece di parlare avventatamente (35:1-16)
E. Eliu assicura che Dio è nel giusto; giudicherà gli afflitti, rendendoli consapevoli dell’errore. Libererà l’ubbidiente, ma l’apostata morirà. Benedirà l’ubbidiente dandogli prosperità. Costui dovrebbe badare che l’ira non lo renda vendicativo. Giobbe è stato troppo ansioso di contendere con Dio, come in tribunale, per la sua afflizione. Dovrebbe ricordare che Dio è sommamente esaltato, è il miglior Istruttore. Non dovrebbe mettere in dubbio le Sue vie. Piuttosto dovrebbe magnificarne l’attività. Eliu descrive la potenza di Dio (36:1-33)
F. Mentre un uragano s’avvicina, Eliu continua a magnificare la grandezza di Dio: Egli si serve delle forze naturali, con le quali può arrestare le attività umane. Controlla vento, gelo, luce, nuvole. Provoca uragani i cui effetti servono a correggere o castigare, o a manifestare amorevole benignità. L’uomo non può capire pienamente né controllare gli elementi o il clima. Nessuno dovrebbe sentirsi saggio e censurare le attività di Dio. Egli è esaltato in potenza e non è mai ingiusto nell’operare (37:1-24)
VII Geova rimprovera Giobbe e compagni (38:1-42:6)
A. Geova parla dal turbine. Spiega che l’uomo non esisteva quando ebbe inizio la creazione, perciò Giobbe non può rispondere a domande elementari circa l’universo visibile. Dio chiede a Giobbe di impartire conoscenza circa terra, mare, luce, morte e tomba, neve, grandine, vento, pioggia, rugiada, brina, costellazioni, lampi e pioggia (38:1-38)
B. Geova passa alla creazione animale, dimostrando a Giobbe quanto poco conosca le meravigliose qualità che Dio ha posto negli animali, tanto che l’uomo non deve occuparsi di loro o della terra. Vengono menzionati per il loro mirabile istinto leone, corvo, capra di montagna, zebra, asino selvatico, toro selvaggio, femmina dello struzzo, cicogna, cavallo, falcone e aquila (38:39–39:30)
C. Geova quindi chiede: “Ci dovrebbe essere alcuna contesa di uno che trova da ridire con l’Onnipotente?” Giobbe risponde contrito che non ha nulla da dire. Geova spiega che Giobbe annullava la Sua giustizia per giustificarsi. Poi richiama l’attenzione sulla Sua capacità di umiliare il malvagio (40:1-14)
D. Geova fa notare la forza e la calma sicurezza del “Beemot” (l’ippopotamo), uno dei più grossi animali che ha creati, e anche il “Leviatan” (coccodrillo) e il pericolo di combatterlo. Ne sono noti la durezza di cuore, l’intrepidezza, l’orgoglio (40:15–41:34)
E. Giobbe si pente, confessa di aver parlato senza conoscenza; ‘le vie di Dio sono più alte di quelle dell’uomo, e i suoi pensieri dei pensieri umani’. Ammette di essere stato precipitoso nel parlare delle attività di Dio quando non aveva sapienza, discernimento o capacità di giudicare. Riconosce il proprio errore in polvere e cenere (42:1-6)
VIII Geova benedice Giobbe, giudica i compagni (42:7-17)
A. Geova manifesta la sua disapprovazione ai compagni di Giobbe, perché hanno detto cose non vere. Essi devono andare da Giobbe, il Suo sacerdote, portando offerte, perché Geova esaudirà solo Giobbe, il Suo “servitore”, e le sue preghiere a loro favore. Essi fanno questo (42:7-9)
B. Quando Giobbe prega per i suoi compagni Geova lo risana, gli dà possedimenti in doppia misura, gli rende parenti e amici. Giobbe ha sette figli e anche tre figlie, le più belle del paese (evidentemente la moglie ora è di nuovo una sola cosa con lui). Vive altri 140 anni e vede quattro generazioni di discendenti (42:10-17)
Vedi il libro “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile”, pp. 95-100.