Si può credere in un Dio personale?
“PER essere cristiani non occorre credere in Dio . . . Oggi ci troviamo in una rivoluzione, ma nel XXI secolo la chiesa sarà senza Dio nel senso tradizionale della parola”, ha detto il cappellano di un’università britannica. Parlava a nome del movimento “Sea of Faith” (Mare della fede), che ha l’appoggio di almeno cento sacerdoti britannici. Questi “atei cristiani” asseriscono che la religione è opera dell’uomo e che, per dirla con le parole di un aderente al movimento, Dio è solo “un concetto”. Nel loro modo di pensare non c’è più posto per un Dio soprannaturale.
“Dio è morto”, recitava uno slogan popolare negli anni ’60. Ricalcava le idee di Friedrich Nietzsche, filosofo tedesco del XIX secolo, e fornì a molti giovani la scusa che cercavano per fare quello che volevano, per praticare l’amore libero e fare uso di droga senza avere alcuno scrupolo morale. Ma quella libertà ha assicurato ai cosiddetti figli dei fiori una vita più felice e soddisfacente?
Nello stesso decennio il vescovo anglicano John A. T. Robinson pubblicò il suo discusso libro Dio non è così. (Vallecchi editore, Firenze, 1965) Molti suoi colleghi ecclesiastici criticarono la sua opinione secondo cui Dio ‘non era altro che una dimensione della profondità dell’esperienza umana’. Keith Ward, docente di teologia, chiese: “Credere in Dio è una forma di superstizione superata, a cui chi è saggio ha ormai rinunciato?” Rispondendo alla propria domanda disse: “Oggi nella religione nulla è più importante che ricuperare la consapevolezza del concetto tradizionale di Dio”.
Le sofferenze e un Dio personale
Molti che credono in un Dio personalea trovano difficile conciliare la loro credenza con le tragedie e le sofferenze che vedono. Per esempio, nel marzo 1996, a Dunblane, in Scozia, 16 bambini e la loro maestra furono uccisi a colpi d’arma da fuoco. “Non riesco proprio a capire la volontà di Dio”, disse una donna disperata. Un biglietto che accompagnava un mazzo di fiori poggiato all’esterno della scuola esprimeva l’angoscia per quella tragedia. C’era scritta una sola parola: “PERCHÉ?” Come risposta, il ministro della cattedrale di Dunblane disse: “Non può esserci una spiegazione. Non possiamo rispondere a chi chiede perché sia dovuto accadere”.
In seguito, quello stesso anno, un noto giovane ecclesiastico della Chiesa d’Inghilterra fu ucciso brutalmente. Un giornale riferiva che la congregazione attonita aveva udito l’arcidiacono di Liverpool dire che bisognava “martellare la porta di Dio di domande: perché? perché?” (Church Times) Anche questo ecclesiastico non aveva da dare nessuna parola di conforto da parte di un Dio personale.
In che cosa dobbiamo dunque credere? È razionale credere in un Dio personale. È la chiave per rispondere alle domande inquietanti riportate sopra. Vi invitiamo a considerare le prove presentate nel prossimo articolo.
[Nota in calce]
a In questo articolo e nel successivo l’espressione “Dio personale” è usata in senso opposto a “Dio impersonale” o entità astratta.
[Immagine a pagina 3]
Sul biglietto c’era scritto: “Perché?”
[Fonte]
NEWSTEAM No. 278468/Sipa Press