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  • Com’è il lavoro dell’infermiera

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  • Com’è il lavoro dell’infermiera
  • Svegliatevi! 1973
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  • Un lavoro difficile
  • Soddisfazioni e gioie
  • Gratitudine dei pazienti
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  • Addestramento da infermiera
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  • Addestramento per divenire levatrice
  • Mancanza di cautela e di cure
  • Aborto e trasfusioni di sangue
  • Ciò che il lavoro di infermiera mi ha aiutato ad apprezzare
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Svegliatevi! 1973
g73 22/7 pp. 8-14

Com’è il lavoro dell’infermiera

Narrato a un redattore di “Svegliatevi!”

NACQUI in Giamaica nelle Indie Occidentali, e lì cominciai la mia carriera di infermiera verso la fine degli anni quaranta quando ero ancora adolescente. Per ventiquattr’anni ho fatto dunque l’infermiera, sia in Giamaica che negli Stati Uniti.

Ho avuto cura di migliaia di pazienti afflitti praticamente da ogni malattia e disturbo immaginabile. Ho lavorato nella sala operatoria, ho badato a lacere e maciullate vittime di incidenti, confortato moribondi e compiuto dozzine di altri compiti da infermiera. Molte volte ho conosciuto la tristezza e la frustrazione, e anche l’esaltazione e la gioia, comuni al lavoro da infermiera.

Spesso mi è stato chiesto: “Perché ha scelto questa professione? Io non potrei mai fare l’infermiera”. O si può sentir dire: “Lei dev’essere nata infermiera”. Ma è così?

Un lavoro difficile

Come per altri lavori, per essere una buona infermiera ci vogliono considerevole istruzione e addestramento. Ci vuole anche coraggio, e il vero desiderio di aiutare i propri simili. È anche importante mantenersi fisicamente sani, per il fatto che si è esposti a malattie contagiose. Ma una buona infermiera avrà specialmente simpatia per i pazienti, e si prodigherà per soddisfare i loro bisogni.

Comunque, è molto più facile dire questo che farlo. Poiché un’infermiera può per giorni, una settimana dopo l’altra, badare a persone che soffrono o perfino muoiono. Questo la può indurire, facendola diventare indifferente verso le necessità dei pazienti. Ma questo non deve accadere. Ci sono infermiere che si commuovono profondamente alla condizione dei loro pazienti.

Ricordo, per esempio, una giovane paziente che avevo alcuni fa nel Carson Peck Memorial Hospital di Brooklyn, in New York. Era una persone amabile, di soli trentasei anni circa. Un tre anni prima s’era fatta asportare una mammella cancerosa e ora doveva subire un’altra operazione per il cancro. Guardandola, non avreste mai saputo che era malata. Ma il suo corpo era invaso dal cancro.

Provai vera simpatia per lei, poiché aveva molta volontà di vivere. Non penso che accettasse mai il fatto che stava per morire. Comunque, sopravvisse solo per circa cinque settimane alla seconda operazione. Era così patetico quando suo marito e sua madre venivano a visitarla, poiché ne conoscevano la condizione. In realtà ci soffro a osservare un paziente morire lentamente e vedere il profondo dolore dei parenti.

Ciò che è particolarmente triste è che i pazienti pensano a volte di vivere e predispongono di fare qualche cosa per il futuro, ma voi sapete che tutte le evidenze mostrano che morranno. Cercate di nascondere i vostri sentimenti, a volte bisogna farlo. Qualche volta devo proprio uscire dalla stanza.

Non solo questi casi sono tristi, ma alcuni sono anche deludenti. Ricordo un paziente, di circa cinquant’anni, nel St. John’s Episcopal Hospital di Brooklyn. Due settimane prima subì un grave attacco cardiaco. Ma ora stava veramente bene. Era un uomo così eccellente; non si lamentava mai, ed era sempre disposto a cooperare. Tutti nel piano avevano simpatia per lui.

Quella particolare mattina lo rasi, gli feci il bagno, ed era seduto a letto a mangiare. Aveva un buon aspetto. Venne il dottore, lo visitò e gli disse che stava bene. Ma poi, tutto ad un tratto, mi chiamò. Corsi immediatamente e gli chiesi: “Cosa c’è che non va?” Non poté sussurrare altro che: “Signorina B—”. Quindi cadde all’indietro, privo dei sensi.

Tutto questo accadde senza preavviso. In pochi secondi gli fu applicato l’apparato d’emergenza dell’ossigeno per ravvivarlo. Ma fu inutile; era morto. Come infermiera avevo lavorato molto duramente per lui, ed ero sicura che si sarebbe rimesso. In realtà sentii la perdita. E poi subito dopo venne sua moglie e dovetti cercare di confortarla. Il lavoro dell’infermiera può essere di questo genere; in parte non è facile.

Soddisfazioni e gioie

Ma, d’altra parte, il lavoro dell’infermiera può dare vera soddisfazione; offre l’opportunità di aiutare le persone, di dar loro un po’ di conforto. Perché si intraprende questa professione? Dovrebbe farsi per aiutare le persone, per farle sentire un po’ più sollevate nella loro malattia o condizione di moribondi. Io l’ho sempre pensata così.

Il lavoro dell’infermiera offre anche momenti di vera emozione e gioia, specialmente quando un paziente è salvato quasi da morte certa. Ricordo un caso subito dopo che avevo cominciato a fare l’infermiera in Giamaica. Lavoravo nell’ospedale di Montego Bay quando un sarto locale si fece male seriamente. Pare che una porta sbattesse, facendo conficcare profondamente nel suo petto un lungo ago da cucire che teneva sulla camicia.

Quando fu portato all’ospedale boccheggiava per respirare. Gli furono fatti subito i raggi X. Rivelarono che la punta dell’ago toccava in effetti il suo cuore, ma non l’aveva trapassato. Immediatamente fu iniziata l’operazione. Gli si fece un’incisione sopra il cuore, e potei in effetti vedere il cuore esposto. Fu tolto l’ago, e l’uomo visse! Provai vera gioia collaborando con quella équipe di chirurghi che gli salvò la vita! Da allora ho provato questa gioia parecchie volte.

In un’altra occasione lavoravo nella sala operatoria di quello stesso ospedale. Due ragazzi, tutti e due di circa dieci anni, andavano a scuola quando furono investiti da un camion, che li schiacciò contro un argine di terra. La cavità toracica di uno dei ragazzi era aperta, e il cuore e i polmoni erano di fuori; la gamba dell’altro ragazzo era gravemente danneggiata.

Io aspettavo nella sala operatoria quando gli addetti dell’ambulanza li consegnarono. Appena arrivati, cominciai a tagliare i loro abiti dalle ferite. Era spaventevole vedere che il cuore di quel ragazzo era effettivamente di fuori e pulsava! Non vedevo come potesse vivere. Ma presto i medici cominciarono un’operazione che durò ore. Pulirono la cavità toracica, suturarono le rotture interne, riempirono la cavità di antibiotici e chiusero la massima ferita. Per mesi feci l’infermiera a quel ragazzo. Ed egli si rimise completamente!

Gratitudine dei pazienti

È per certo incoraggiante quando i pazienti che sono stati assistiti dall’infermiera fino a rimettersi in salute dicono: “Mi ha salvato la vita. La ringrazio tanto!” Nel corso degli anni parecchi me l’hanno detto. Questo contribuisce a far sembrare il lavoro dell’infermiera degno d’esser compiuto nonostante le difficoltà.

Molti ex pazienti ancora si tengono in contatto con me. Una signora ebrea, per esempio, non manca mai di scrivermi quando va in vacanza. Fu una paziente davvero difficile. In due settimane ebbe diciotto infermiere! Nessuna rimase con lei eccetto io. Riscontro che si può essere fermi, ma gentili, con i pazienti, ed essi in genere rispondono.

In realtà provo simpatia per i miei pazienti. Per questo mi piace assistere i degenti; posso prodigarmi di più per far sentire alle persone che vale davvero la pena di vivere. Naturalmente, non tutti esprimono gratitudine, ma so che le persone apprezzano la considerazione e la gentilezza, specialmente quando sono malate.

Mia madre una volta mi disse che, mentre andava in autobus in Giamaica, udì due donne che parlavano di un’infermiera. Dicevano quanto ella era stata gentile con loro mentre si trovavano all’ospedale e ciò che aveva fatto per loro. E una di esse quindi menzionò il nome dell’infermiera, il mio nome. Mia madre ne fu così sorpresa che si voltò e disse: “Quella è mia figlia!”

La mia decisione di fare l’infermiera

Il modo in cui mi interessai all’attività di infermiera è piuttosto insolito. Mentre ero in vacanza a Montego Bay andai con un’amica all’ospedale a visitare una ragazza che si stava rimettendo da un’operazione all’appendice. Era un bel posto, con una veduta sulla baia. Dissi alla ragazza che, se avessi mai dovuto subire un’operazione mi sarebbe piaciuto venire in quell’ospedale e avere lo stesso letto in cui lei si trovava.

Ebbene, questo accadde la domenica. E il sabato seguente ero lì per un caso di emergenza. Ed ebbi lo stesso letto, nella stessa stanza, e fui operata dallo stesso medico per la stessa cosa, mi fu asportata l’appendice.

Fu mentre giacevo lì in convalescenza che mi venne per la prima volta il pensiero che la professione dell’infermiera sarebbe stata interessante. Pensai fra me: “Davvero non conosco il mio corpo fisico, la mia anatomia”. Volevo conoscere maggiormente come funzionava il corpo, decisi dunque di divenire infermiera.

Addestramento da infermiera

Subito dopo aver preso il diploma della scuola secondaria feci domanda per l’addestramento da infermiera. Avemmo una scelta di posti in cui andare ad addestrarci, quindi scelsi quel bell’ospedale di Montego Bay, e vi fui accettata.

Il nostro addestramento consisteva principalmente di fare l’infermiera sul posto. Cominciammo a lavorare nelle corsie dell’ospedale la prima settimana che arrivammo. Eravamo chiamate tirocinanti. Per distinguerci dalle infermiere regolari che vestivano tutte di bianco, noi indossavamo un’uniforme azzurra con un grembiule bianco e calze nere.

Dovevamo essere al lavoro nell’ospedale alle 6 e lavoravamo fino alle 18, con un intervallo durante il giorno. La sera studiavamo da infermiere. Ma eccetto due o tre ore di istruzione in classe, i nostri giorni erano dedicati all’effettivo lavoro di infermiere.

Le infermiere esperte ci insegnavano a fare ai pazienti il bagno, enteroclisma e iniezioni, a cambiare le medicazioni, a misurare la pressione sanguigna, ecc.; e poi, sotto il loro vigile sguardo facevamo queste cose noi stesse. Imparammo anche a fare cose che è permesso solo ai medici di fare negli Stati Uniti. Per esempio, se una persona si tagliava il braccio o la gamba, non chiamavamo il medico per curarlo, ma suturavamo noi stesse la ferita. Solo se era una ferita alla testa, o era molto grave, era necessario un medico.

Oggi, comunque, la ragazze che ricevono l’addestramento da infermiere in alcuni luoghi studiano come fare l’infermiera per lo più nei libri; imparano la teoria, ma spesso fanno pochissima pratica. Alcune infermiere diplomate che ho viste non sapevano nemmeno come fare un’iniezione. Un’infermiera con istruzione universitaria, benché fosse capace di recitare nei particolari le otto varietà di enteroclismi, ammise di non averne mai fatto effettivamente uno!

Prove e pressioni

C’è effettivamente differenza fra leggere in un libro come si fa l’infermiera e farlo nella realtà. Non dimenticherò mai, verso la mia seconda settimana di addestramento, che un’infermiera mi disse di rimettere la dentiera a una donna che era appena morta. Pensai che ne sarei morta. Cominciai a piangere. Ma l’infermiera me la fece rimettere.

Osservare la prima autopsia fu pure orrendo. Quella sera stemmo tutte male. Non potei mangiare né dormire. L’immagine di quegli organi interni che venivano sollevati dal medico perché noi li identificassimo era troppo viva nella mia mente! Ma io avevo voluto conoscere l’anatomia e devo dire che la conobbi.

Per il mio secondo anno di addestramento fui trasferita al generale ospedale pubblico di Kingston, la capitale. Vi lavorai in un reparto per pazienti con malattie tropicali, avendo cura per lo più di pazienti tifoidei. Il terzo e ultimo anno del nostro addestramento passò presto. Ora, se fossimo riconosciute infermiere di professione dipendeva dal superare gli esami finali. In una prova dovemmo metterci a sedere davanti a un gruppo di medici e rispondere a qualsiasi domanda ci facessero. Inoltre, come prova pratica dovetti esaminare il contenuto di zucchero dell’urina, con i medici che mi osservavano! Ero così nervosa, le mani mi tremavano, ma superai l’esame. Ora ero un’infermiera di professione o diplomata.

Addestramento per divenire levatrice

Comunque, prima di mettermi a lavorare come infermiera patentata, seguii un corso di sei mesi come levatrice nel Victoria Jubilee Hospital di Kingston. Dovemmo intervenire alla nascita di almeno quaranta bambini e superare un rigido esame di abilitazione come levatrici diplomate.

Non dimenticherò mai il primo parto a cui assistei. Fu terribile! Pensai che si trattasse di due gemelli vivi, ma essi erano macerati. Vennero alla luce nelle mie mani, morti. Ne fui spaventata da morire!

Nel nostro addestramento ci insegnavano che il parto poteva presentare ogni specie di anomalia. Per esempio, invece di uscire prima la testa, come è normale, a volte un bambino presenta prima i piedi, o la mano o qualche altra parte del corpo. Imparammo a intervenire alla nascita di questi bambini, e sin da allora ho assistito a molti di questi parti con successo, senza complicazioni. Inoltre, il cordone ombelicale a volte si avvolge intorno al collo del bambino, e ci fu insegnato cosa fare quando questo avviene.

Comunque, in particolare imparammo a manovrare il bambino durante il periodo espulsivo del parto così che la madre non è lacerata durante il parto. La pratica normale per molti medici è quella di praticare un taglio alla madre, estrarre il bambino e suturare l’incisione. Fanno questa operazione, chiamata episiotomia, perché è più facile. Ma una levatrice addestrata può, quasi in tutti i casi, assistere alla nascita di un bambino senza fare questa incisione per allargare l’apertura della madre. Nelle centinaia di parti a cui ho assistito, posso contare sulle dita di una mano il numero di episiotomie che ho dovuto praticare.

Per parecchi anni feci l’infermiera in Giamaica, lavorai come levatrice, addestrai studentesse che volevano fare le infermiere e feci altro lavoro di ospedale. Quindi nel 1958 venni a New York.

Mancanza di cautela e di cure

Fino a tre anni fa, quando cominciai a fare il lavoro in clinica, facevo l’infermiera di corsia negli ospedali di Brooklyn. È vero che chiunque può fare uno sbaglio, ma a volte sono rimasta atterrita per la mancanza di cautela e di cura sia di medici e sia di infermiere. Conosco parecchi casi in cui dentro il corpo di pazienti operati sono stati lasciati strumenti o asciugamani.

Ci fu, per esempio, una paziente a Brooklyn di cui ebbi cura cinque o sei anni fa. Tornata a casa dall’ospedale dopo un’operazione addominale si lamentava di avere forti dolori. Suo marito si adirò con lei, dicendole che stava benissimo, ma ella continuava a lamentarsi. La riportarono dunque all’ospedale e le fecero i raggi X. Dentro di lei era la pinza del medico!

Mi sembra che certi medici siano realmente incuranti o negligenti. Per esempio, dovrebbero fare parecchi esami al paziente prima dell’operazione, compreso l’elettrocardiogramma, i raggi X e così via. Ma conosco casi nei quali non l’hanno fatto, con gravi conseguenze.

Una paziente che assistei in un ospedale di Brooklyn era caduta e s’era rotto il gomito. Tutto qui. La portarono nella sala operatoria per rimetterglielo a posto. Dopo averle fatto l’anestesia ebbe un arresto cardiaco, il suo cuore cominciò a venir meno, dovettero praticarle un intervento chirurgico a cuore aperto su due piedi. Ella morì, dopo parecchi giorni, senza nemmeno riacquistare coscienza. Ma se avessero fatto gli esami, avrebbero saputo qual era la condizione del suo cuore e avrebbero potuto prendere precauzioni.

Cose come questa accadono più spesso di quanto non ci si renda conto. Io lo so perché le ho viste accadere, e le han viste anche amiche mie che lavorano in ospedali qui a New York. È triste dirlo, ma ai nostri giorni molte infermiere e medici semplicemente sembra che non si interessino del benessere dei pazienti. Piuttosto, s’interessano principalmente del denaro che possono ottenere, del loro salario.

Parecchie volte, quando ho sostituito infermiere, ho dovuto richiamare alla loro attenzione il modo in cui avevano lasciato un paziente. Il paziente non era in uno stato soddisfacente; l’infermiera non gli aveva cambiato la medicazione, non l’aveva fatto alzare per fare un po’ di esercizio, non gli aveva fatto fare il bagno, e così via. Non avevano fatto altro che passargli un panno umido sul viso. E questo non è il modo di fare l’infermiera!

Nei recenti anni mi ci sono sentita male vedendo la negligenza degli infermieri, che sono convinta ha portato alla morte di pazienti che altrimenti avrebbero potuto vivere. Ho osservato pazienti suonare ripetutamente il campanello per lo sconforto. Ma gli infermieri semplicemente erano seduti alla loro scrivania e non rispondevano. Pare che non si interessino d’altro che di fumare e di star comodi.

Naturalmente, so che questo non accade in tutti gli ospedali. Non tutti gli infermieri o i medici si comportano in questo modo. Infatti, ritengo che la maggioranza d’essi non lo facciano. Ma c’è un definita tendenza verso l’interesse egoistico anziché verso l’interesse del paziente, e ho udito altri medici e infermieri esprimere anche sgomento per questo.

Aborto e trasfusioni di sangue

Credo che l’uccisione di un gran numero di nascituri negli ospedali di New York sia un altro esempio dell’odierna corruzione. Ciò che accade è così disgustante che alcuni ospedali della città trovano difficile ottenere infermieri che lavorino nelle loro cliniche per aborti.

La recente legge di New York sugli aborti permette l’aborto fino a ventiquattro settimane dopo la concezione, tempo in cui il feto è facilmente riconoscibile come creatura umana con parti distinte. Alcuni feti abortiti hanno perfino vissuto! Ma agli infermieri è stato detto di lasciar morire gli altri. Un’infermiera diplomata scrisse qualcosa di molto interessante su questa questione su una rivista per infermieri. Ella disse:

“A parte le considerazioni morali, attualmente un nascituro è considerato per legge una persona: gli si concedono diritti di eredità, causa per danni prenatali . . . Quindi, una donna non ha più diritto di uccidere il suo nascituro di quanto non ne abbia di batterlo, maltrattarlo o ucciderlo dopo la nascita”. — American Journal of Nursing, dicembre 1970.

In una clinica dove lavoro, dozzine di ragazze la settimana vengono per procurarsi l’aborto. Alcune si sono procurate l’aborto due volte in pochi mesi! Penso che i medici siano principalmente da biasimare, poiché potrebbero rifiutare queste ragazze. Ma è un affare che prospera, e penso che i medici si interessino prima di tutto del denaro. Personalmente non avrò nulla a che fare con gli aborti; non ne farò nemmeno la registrazione. La mia coscienza non me lo permetterà.

Ho assunto un atteggiamento simile riguardo alle trasfusioni di sangue. Ho visto pazienti soffrire di epatite per il sangue che avevano ricevuto. Alcuni non si sono mai rimessi. Inoltre, alcuni pazienti sono uccisi per sovraccarico circolatorio e altre reazioni avverse da trasfusioni. Quindi, invece di salvare la vita, so che le trasfusioni possono essere mortali. Alcuni medici che conosco cominciano a usare sempre meno il sangue. Realmente credo che contribuirà alla propria salute, sia in senso spirituale che in senso fisico, se si ubbidisce al comando di Dio di ‘astenersi dal sangue’. — Atti 15:28, 29.

Ciò che il lavoro di infermiera mi ha aiutato ad apprezzare

Ho imparato molto dal lavoro di infermiera. Prima di tutto, mi ha permesso di comprendere che il corpo fisico è fatto in maniera meravigliosa. In realtà è l’opera di un Grande Creatore. Subito dopo che avevo cominciato a seguire la mia carriera da infermiera, accadde qualche cosa che mi fece pensare a questo.

Una notte lavoravo nella sala operatoria in Giamaica quando una fanciullina fu portata in fretta dai suoi genitori spaventati. Ella aveva inghiottito una piccola moneta inglese da mezzo penny che le si era fermata nella laringe. I raggi X rivelarono che si stava formando muco intorno alla moneta e poiché non si poteva estrarre per via orale, era necessaria un’immediata operazione. Ma proprio mentre stavamo per cominciare, andò via la corrente elettrica. Mentre io reggevo dunque una torcia elettrica il medico andò avanti con quella delicatissima operazione.

Mentre osservavo, non potevo fare a meno di meravigliarmi. Ricordo che allora pensavo: ‘Guarda quelle dita. Sono così abili! In realtà, non dovremmo temere Dio?’ A causa delle dita che il medico aveva ricevuto da Dio quella fanciullina fu salvata.

Ma spesso nulla che medici o infermieri possono fare riesce a impedire che un paziente muoia. Ho provato molte volte questo senso di impotenza quando la morte reclamava un’altra vittima. Spesso mi domandavo: ‘Perché gli uomini devono soffrire e morire? È davvero proposito di Dio che le persone muoiano in questo modo?’

Sono assai felici che mi sentii spinta a cercare una risposta, e che fui aiutata a capire lo splendido proposito di Dio di stabilire un nuovo sistema di cose, in cui “la morte non sarà più, né vi sarà più cordoglio né grido né pena”. (Riv. 21:3, 4) In qualità di infermiera, specialmente attendo l’adempimento di questa promessa.

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