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  • g74 22/8 pp. 5-8
  • La carestia devasta l’Africa

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  • La carestia devasta l’Africa
  • Svegliatevi! 1974
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  • Condizioni nella zona saheliana
  • La carestia in Etiopia
  • Quali sono state le cause della carestia?
  • Problemi coi soccorsi
  • Si può porre fine a tali carestie?
  • Perché l’Africa non riesce a sfamarsi?
    Svegliatevi! 1987
  • Una devastante siccità ha colpito l’Africa meridionale
    Svegliatevi! 1994
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  • Che cosa accade quando c’è la carestia
    Svegliatevi! 1975
Altro
Svegliatevi! 1974
g74 22/8 pp. 5-8

La carestia devasta l’Africa

LA CARESTIA — quella temuta calamità — sta ora devastando una vasta zona dell’Africa. È difficile per i non Africani immaginare quanta parte del continente sia stata colpita.

Prendete una carta geografica dell’Africa. Mettete il dito sul punto più occidentale della sporgenza, sui paesi del Senegal e della Mauritania. Quindi, spostatevi verso est sotto il deserto del Sahara, attraverso Mali, Alto Volta, Niger e Ciad. Avete coperto più di tremiladuecento chilometri, quella che si chiama regione saheliana, abitata da oltre venticinque milioni di persone. Per oltre cinque anni gran parte di quest’area è stata devastata da una delle più gravi carestie a memoria d’uomo.

Ora, saltando il Sudan passate in Etiopia. Anche lì due province densamente popolate sono state colpite da grave siccità e denutrizione. Sì, da ovest a est, l’Africa settentrionale è devastata dalla carestia. Benché alcune notizie provenienti dall’Africa fossero evidentemente esagerate, resta il fatto che le condizioni sono gravi.

Condizioni nella zona saheliana

Nella regione saheliana la temperatura diurna si aggira di solito sui 46 gradi centigradi all’ombra. Un così ardente calore senza la pioggia al tempo giusto ha isterilito il suolo un tempo semifertile. Le poche messi che riescono a sopravvivere nell’opprimente calore sono stentate, misere e avvizzite. Gli alberi sembrano rigidi fragili scheletri. Dove un tempo c’erano pascoli, ora c’è il deserto.

I fiumi sono ora distese di sabbia. I corsi d’acqua non sono altro che pozzanghere inquinate. Fino all’80 per cento del bestiame — migliaia di capi di bovini, capre, pecore e cammelli — ha trovato la morte sulla terra riarsa e screpolata.

Il danno più rilevante, comunque, è quello subìto dalle popolazioni. L’estate scorsa le autorità calcolarono che se non pioveva, o se le nazioni straniere non continuavano a offrire grandi quantità di derrate alimentari, sarebbero morte circa sei milioni di persone. Sembra che una catastrofe di tali proporzioni sia stata sventata, almeno per ora. Non si conosce l’esatto numero degli effettivi decessi, benché la maggioranza delle stime dica che sono perite ‘innumerevoli migliaia’ di persone.

Numerosi fattori rendono difficile determinare il numero preciso dei morti. Molte vittime sono nomadi che vivono e muoiono nel deserto, lontano dai centri popolati. I decessi, inoltre, sono spesso attribuiti a malattie rese mortali dalla fame piuttosto che alla fame stessa.

Nella regione desertica le condizioni sono divenute così gravi che alcune tribù del Ciad hanno implorato di non essere vaccinate contro la difterite. Perché? Essi ragionano che faranno prima a morire di malattia che di fame. La gravità delle condizioni è pure indicata dalle notizie secondo cui alcuni pastori si sono privati di acqua e latte affinché i piccoli degli animali avessero una possibilità di sopravvivere. A un certo punto, in base alle notizie, perfino preziosi cammelli sono stati perforati per avere la loro provvista d’acqua. È stato detto che altri nomadi hanno spremuto lo sterco per ricavarne umidità.

I gravi effetti della fame si manifestano particolarmente nei giovani e nei vecchi. Le organizzazioni assistenziali parlano di bambini deformati dalla fame e spesso troppo deboli per fare la fila per una scodella di minestra.

La carestia in Etiopia

Le notizie sulla penuria di viveri in Etiopia sono trapelate più lentamente, ma la situazione non è meno spaventosa di quella della parte occidentale dell’Africa. Da aprile ad agosto del 1972, dice un resoconto delle N.U., morirono forse 100.000 persone in Etiopia. Alcuni funzionari affermano che in effetti la cifra fu molto più alta.

Ad ogni modo, da allora innumerevoli altre persone sono morte. Solo in tredici centri assistenziali situati in una delle province, è stato riferito di recente che morivano da 700 a 1.000 persone la settimana. E uno degli addetti in un campo dice: “Se questa gente muore a un ritmo così rapido, possiamo essere assolutamente sicuri che muoiono a centinaia se non a migliaia nelle campagne”.

Un resoconto diretto sulle condizioni nei centri assistenziali è fatto da Jonathan Dimbleby e pubblicato in The Guardian. Egli descrive le “scene di disperazione” che vide:

“Un bambino succhia disperatamente il petto inaridito della madre affamata; una donna, colpita da dissenteria, cerca inutilmente di uscire barcollando dal suo riparo prima di perdere il controllo; un ragazzo di forse 12 anni, con le braccia e le gambe simili a stuzzicadenti, porta a stento una brocca d’acqua non più pesante di un litro di latte; un altro tiene fra le braccia la testa del padre moribondo: ovunque ci girassimo, gli stessi occhi disperati”.

La situazione è divenuta così disperata che un assistente medico presso il campo di Kembolishia afferma: “Se ci sarà un altro raccolto sfavorevole penso che dovremo far fronte a un’immensa catastrofe”.

Quali sono state le cause della carestia?

Ma perché c’è questa situazione nell’Africa Occidentale e in Etiopia? La principale causa immediata, naturalmente, è stata la mancanza di adeguate precipitazioni.

La regione saheliana è da sei anni priva di sostanziale umidità. La siccità vi si è perpetuata, dando luogo a un ciclo apparentemente senza fine. Il suolo, riscaldandosi, si secca, divenendo polveroso. La relativa umidità si abbassa e questo, a sua volta, impedisce la formazione di nubi di pioggia. Di conseguenza, il caldo aumenta; così il ciclo continua. Quindi i fiumi più grandi, barriere naturali all’avanzare del deserto, si rimpiccioliscono. Come risultato, pare ora che il deserto del Sahara avanzi annualmente verso sud.

Ci sono state alcune brevi interruzioni nel ciclo della siccità. Tuttavia non sono bastate per recare vero sollievo. Dopo una breve pioggia i contadini piantano il miglio, il sorgo o le arachidi, solo per vederli avvizzire sotto il sole. Due stagioni fa alcuni contadini seminarono tre o quattro volte, dopo un po’ di pioggia. Tuttavia, per mancanza di continua umidità, poche di queste messi giunsero a completa maturazione.

Il ciclo della siccità è stato favorito in altri modi, dall’uomo. Durante la siccità alcuni contadini, per la fame e la disperazione, mangiarono il seme che avevano conservato per l’anno dopo. Un diplomatico della regione commentò l’insolita natura di questo fatto: “Nel mio paese, il contadino custodisce religiosamente il seme. Anno dopo anno, sceglie dal suo raccolto i cereali migliori e li conserva per la semina. Ma quest’anno, hanno mangiato il seme. Non avevo mai visto farlo in vita mia”. Se si mangia il seme, non c’è nulla da piantare l’anno dopo, anche se le condizioni sono favorevoli alla crescita.

L’uomo ha aggravato la siccità nella zona saheliana in un altro modo ancora, con l’eccessivo sfruttamento dei pascoli. Al principio degli anni sessanta quando sembrò che ci fosse abbondanza di pastura per gli animali domestici, i mandriani furono incoraggiati ad allevare animali in numero molto maggiore di quello che le zone da pascolo potevano sfamare a sazietà. Spesso erano anche animali molto resistenti, vaccinati specialmente contro le malattie. Quindi, allorché per vari anni non ci furono piogge, le persone si spostarono con queste grandi mandrie molto più a sud dove c’erano ancora acqua e pascoli. Vaste zone di suolo marginalmente fertile furono lentamente, ma interamente, spogliate di tutta la vegetazione.

Problemi coi soccorsi

La natura stessa del modo in cui è venuta questa carestia ha pure contribuito alla sua gravità. Le gravi condizioni di carestia sono sorte lentamente. A differenza di alcune penurie di viveri dei tempi moderni, questa è stata perciò priva di un certo aspetto “sensazionale”. Il resto del mondo era pertanto ignaro di quanto accadeva nella regione colpita. Così anche i soccorsi giunsero con lentezza.

È evidente che negli stessi paesi colpiti le autorità non si resero conto pienamente dell’entità della fame finché i nomadi non cominciarono ad abbandonare i deserti e a venire nelle città in cerca di cibo. Nella capitale di un paese dell’Africa Occidentale la popolazione crebbe così da 40.000 a 120.000 persone.

D’altra parte, sembra pure che l’intera portata della carestia sia stata deliberatamente tenuta nascosta da certi funzionari in alcune di quelle stesse nazioni. In tal modo cercavano di mantenere immacolata davanti al resto del mondo la loro “immagine” di paese in fase di sviluppo. Le loro grandi città non accolsero volentieri gli affamati nomadi del deserto. Le notizie parlano di violenti scontri fra i profughi e la popolazione stabile che considerava i nomadi dei “parassiti”.

Altre nazioni africane furono accusate dagli Africani di non avere considerazione e di rispondere con lentezza al bisogno di aiuto. Il Tanzanian Daily News di proprietà governativa disse: “Che cosa sta accadendo allo spirito fraterno dell’Africa? . . . Parliamo tanto dell’unità e della solidarietà africana, ma quando si tratta di agire teniamo le mani in tasca”.

In alcuni casi, inoltre, pare che organizzazioni assistenziali fuori dell’Africa incontrassero molti ostacoli quando si trattò di inviare rapidi soccorsi nelle zone in pericolo. La complicata burocrazia e gli errori di queste stesse organizzazioni e di altri causarono non pochi ritardi nella consegna delle derrate alimentari. Ciò nondimeno, varie organizzazioni assistenziali e umanitarie riuscirono infine a trovare, spedire e distribuire le essenziali provviste, per ferrovia, autocarro e perfino coi cammelli. Si impiegarono aerei per lanciare cibi col paracadute ai nomadi del deserto.

Ma che dire del futuro?

Si può porre fine a tali carestie?

I piani a breve raggio richiedono il continuo invio di soccorsi. Si è calcolato che quest’anno si dovranno donare alla regione saheliana circa 662.000 tonnellate di derrate alimentari. Comunque, anche se nel giro di pochi mesi verranno le piogge, ci vorranno molti anni per riparare i danni. Le mucche che hanno sofferto la fame non potranno più partorire. Le persone che sono state spinte lontano dalla loro terra affrontano un modo di vivere completamente nuovo nelle città.

Che dire allora dei piani a lungo raggio? Si può porre fine per sempre alle carestie in Africa? La maggioranza degli esperti, se sono veramente onesti, ammetteranno che le prospettive sono piuttosto oscure.

È vero che alcuni parlano di sbarrare i fiumi con dighe allo scopo d’avere l’acqua per le messi negli anni di siccità. Ma in questo modo sarebbe presente l’acqua per la riproduzione delle filarie, insetti che in questa regione causano una temuta malattia che produce cecità. Migliaia di persone colpite sono già nell’impossibilità di fare lavori agricoli; ciò non fa altro che aggravare i problemi economici.

Altri esperti parlano di “istruzione” per risolvere i problemi alimentari dell’Africa. Ma per molti Africani l’“istruzione” spesso non è altro che un tentativo di imporre loro usanze occidentali. Joseph Ki-Zerbo dell’Alto Volta sostiene che in effetti, come risultato di ciò, gli Africani vengono a dipendere dagli stranieri. Egli scrive in Ceres, una pubblicazione dell’Organizzazione delle N.U. per l’Alimentazione e l’Agricoltura:

“In Africa, dove vasti territori rimangono anno dopo anno incolti per mancanza di macchine e di addestramento, in attesa d’essere valorizzati [di aumentare il loro valore], le popolazioni che sino alla fine del 19º secolo mantennero un equilibrio di autosufficienza, benché mediocre, dipendono sempre più, per mantenersi in vita, dal miglio americano, dal riso sovietico, dalla farina e dal semolino europei. I paesi sottosviluppati si rannicchiano sempre più sotto la tavola dei ricchi”.

No, gli uomini di questo mondo non hanno vere soluzioni da offrire per i problemi della carestia in Africa. Ma Dio, che creò la terra e che le diede la capacità di produrre cibo, ha la soluzione. I problemi alimentari dei popoli sofferenti dell’Africa, come quelli delle persone del resto del mondo, saranno risolti in modo duraturo, solo dal regno di Dio.

Gesù Cristo profetizzò che durante il “termine del sistema di cose”, fra gli altri gravi problemi, ci sarebbero state penurie di viveri. (Matt. 24:3, 7, 8) Il fatto che queste condizioni persistono in larga misura nonostante le grandi organizzazioni mondiali per l’alimentazione, gli uomini ben intenzionati e le ultime novità in fatto di tecnologia, mette in evidenza che vediamo l’adempimento di quella profezia.

La Bibbia predice pure che il regno di Dio porrà fine all’egoistico dominio della terra da parte dell’uomo e farà diventare la terra un paradiso, con cibo in abbondanza per tutti i suoi abitanti. Anche questo si adempirà presto. — Matt. 6:9, 10; Sal. 67:6, 7; 72:16.

[Cartina a pagina 5]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

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