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  • g77 22/3 pp. 9-12
  • Una pillola amara da ingoiare

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  • Una pillola amara da ingoiare
  • Svegliatevi! 1977
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  • Da dove si ricava
  • Visita a una piantagione di china
  • Estrazione del chinino
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Svegliatevi! 1977
g77 22/3 pp. 9-12

Una pillola amara da ingoiare

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” nello Zaïre

“CREDO che abbia la malaria”, osservò il medico. I forti dolori di stomaco e il mal di testa che avevo mi suggerirono di non discutere con lui. Mi fece subito un’iniezione di chinino liquido, e mi diede istruzioni sulle dosi di chinino che avrei dovuto prendere nei giorni successivi. Per fortuna la cura fu efficace e tornai presto alla normalità.

Quell’esperienza, e il fatto che abitavo in una zona dove si produce molto chinino, accrebbe il mio interesse per questa sostanza. Milioni di persone abitanti nei paesi tropicali dove la malaria è diffusa prendono pillole di chinino tutti i giorni. Ma cos’è il chinino? Da dove si ricava questa sostanza? E quali sono i suoi impieghi? Questo era ciò che volevo sapere.

Da dove si ricava

Il chinino è una sostanza che si ricava dalla corteccia degli alberi di china. Questi alberi crescevano sulle pendici orientali delle Ande quando nel sedicesimo secolo arrivarono gli Spagnoli nell’America Meridionale. Gli esploratori scoprirono che gli Indiani usavano la corteccia dell’albero per scopi medicamentosi. Ben presto questi Europei cominciarono a masticare la corteccia della china. Era buona? No di certo! La corteccia aveva un sapore sgradevole e amaro. Ma il masticarla era un efficace rimedio contro la febbre.

Si cominciò subito a studiare in quali altri modi si poteva ricavare questa sostanza medicinale dalla corteccia e come renderla più gradevole al palato. Alcuni anni dopo l’iniziale scoperta fatta dagli Europei, si riscontrò che lasciando per qualche tempo la corteccia di china immersa nel vino, questo ne faceva uscire la sostanza medicinale. Si tirava fuori la corteccia dal vino e lo si consumava. È ovvio che era molto più facile prendere la medicina in questo modo, poiché il sapore amarognolo era neutralizzato o mascherato dal vino. Ma dato che era difficile estrarlo e che tutta la corteccia si doveva far venire dall’America del Sud, il chinino rimase accessibile solo ai ricchi e ai privilegiati.

A metà del diciannovesimo secolo gli alberi di china dell’America Meridionale avevano cominciato a morire. Ma fu piantato a Giava, e per molti anni l’Indonesia fu la principale produttrice di chinino. Anche in altri paesi tropicali è stato prodotto il chinino per la cura della malaria. Nel 1938 l’albero di china fu introdotto nella regione di Kivu, nella Repubblica dello Zaïre. In anni recenti questa zona è divenuta una forte produttrice di chinino.

Visita a una piantagione di china

Nello Zaïre siamo senza dubbio nel posto adatto per sapere qualcosa di più sul chinino. Infatti, nelle ondulate e verdi campagne che si affacciano sulle rive del lago Kivu, nella parte orientale dello Zaïre, ci sono molte vaste piantagioni di china. Venite con noi a visitare una di queste aziende.

La nostra guida, l’amministratore della piantagione, spiega che è meglio cominciare la visita osservando una pianta di china dagli inizi. Quindi, passiamo prima dal vivaio. Ci arriviamo per una via tortuosa in mezzo ai boschi e alle piante di china. Arriviamo in fondo a una valle, il posto ideale per un vivaio. Il suolo è molto ricco, essendo stata la terra spazzata giù dalle colline. Nei pressi c’è un fiume con una costante provvista di acqua corrente. Il posto è anche caldo e ben protetto.

Proprio al centro vi è un’area tutta cintata di piante. All’interno vi sono file e file di ripari lunghi e bassi pure fatti di piante. Tutti questi ripari sono aperti da un lato. Ma il lato scoperto è riparato da tela di sacco così che vi entri solo la giusta quantità di luce. Guardando dentro uno di questi ripari, vediamo dei letti di terra disposti con ordine e coperti di migliaia di fragilissime piante. Preparato il letto di terra, vi sono sparsi sopra i semi che germoglieranno. Ciascun letto di terra, largo circa un metro (39 pollici) e lungo parecchi metri, riceve solo 2 grammi (0,07 once) di seme, approssimativamente da 4.000 a 5.000 granelli. Restiamo a bocca aperta per lo stupore quando la guida spiega che un chilo (2,2 libbre) di semi può costare fino a 65.000 lire. Ma non siamo più tanto meravigliati quando ci dice che un chilo può contenere fino a un milione di semi.

Le pianticelle giovani sono innaffiate con una fine pioggerella per non danneggiarle. Quando sono alte dieci centimetri (4 pollici) vengono trapiantate per la prima volta, ma sono ancora protette dal sole e dalla forte pioggia. Solo quando hanno un anno e mezzo le piante sono messe infine all’aperto.

Uscendo dal vivaio, saliamo sulle colline e ci addentriamo nella piantagione vera e propria. Ci chiediamo perché tutte le piantagioni che abbiamo viste si trovino sulle pendici delle colline, e talora molto ripide. La guida ci informa che l’albero di china, sebbene ami l’acqua, non ama il suolo impregnato d’acqua. Qui nella regione di Kivu il clima consente d’avere la pioggia — circa 2.000 millimetri (80 pollici) l’anno — e la pendenza del colle permette lo scolo dell’acqua. La piantagione che stiamo visitando raggiunge un’altezza di 2.000 metri (6.600 piedi) sopra il livello del mare.

Le piante giovani sono sistemate in file ben disposte alla distanza di un metro (3,3 piedi) l’una dall’altra. Sia che guardiate diritto, da un lato, o in linea diagonale attraverso il campo, notate che le piante sono in file perfette.

Si raccoglie la corteccia, non il frutto. Si comincia a raccogliere la corteccia verso il terzo o quarto anno di vita dell’albero. A questo punto, si vuole conseguire l’obiettivo sia di diradare le piante che di ricavare il chinino. La raccolta continua fin verso il dodicesimo anno, e rami e alberi vengono tagliati ogni anno. A proposito, se un albero è tagliato, questo non vuol dire che venga sostituito con una pianticella giovane. Il ceppo rimasto torna presto a germogliare e si lasciano maturare tre o quattro germogli. In questo modo la pianta continua a produrre.

Mentre proseguiamo per una strada della piantagione, l’allegro canto degli uccelli è gradualmente sostituito da un chiacchiericcio. Più avanti scopriamo da dove proviene. Sul ciglio della strada vediamo una lunga fila di giovani donne e di ragazze dei villaggi vicini, tutte in ginocchio. Sono occupate a staccare la corteccia dagli alberi e dai rami. Ognuna di esse ha una pietra davanti e un bastone lungo quasi mezzo metro (un piede e mezzo). Gli uomini portano gli alberi alle donne, dopo averli tagliati in pezzi di conveniente lunghezza. Messo l’albero o il ramo sulla pietra, la donna lo batte col bastone finché non si stacca la corteccia. Ella quindi la toglie, ammucchiandola con attenzione su un grande lenzuolo. Alla fine della giornata la corteccia sarà pesata e contrassegnata. In seguito, in base a ciò, ella riceve la paga.

La corteccia viene poi stesa a seccare su grandi superfici di cemento dove alcuni ragazzi separano stecchi e foglie che sono privi di valore e sarebbero solo d’impaccio. Una volta seccata, la corteccia viene messa in grandi sacchi e spedita allo stabilimento dove sarà lavorata.

Estrazione del chinino

Disponiamo quindi di visitare lo stabilimento locale per vedere come il chinino viene effettivamente estratto dalla corteccia. Poiché si tratta essenzialmente di un processo chimico, non cercherò di menzionare tutti i particolari. Prima vediamo scaricare un camion carico di sacchi, che vengono pesati. Le spedizioni di diverse piantagioni sono tenute separate finché non sia stato analizzato un campione. Il contenuto di chinino può variare dal 5 al 10 per cento.

Stabilito il contenuto di chinino, la corteccia viene passata in un frantoio e finemente macinata, come farina. Dopo di che il prodotto è sottoposto a processo chimico. È mescolato con varie sostanze chimiche, come carbonato di sodio, acido solforico e soda caustica, passando per diversi stadi. Infine il chinino si presenta sotto forma di pasta, che è poi essiccata in un essiccatoio, come quelli che ci sono nelle moderne lavanderie.

Vari impieghi del chinino

Soprattutto in questa forma il chinino viene esportato in diverse parti del mondo. Lì subisce ulteriore lavorazione, secondo i particolari bisogni del paese o della ditta farmaceutica. In un solo anno lo stabilimento chimico che abbiamo visitato lavorerà 2.500 tonnellate di corteccia, da cui si ricavano da 120 a 150 tonnellate di chinino. Il chinino necessario nello Zaïre viene prodotto tutto in questo stabilimento, e ne vengono esportate grandi quantità.

Il chinino non viene impiegato solo per combattere la malaria e alcune altre malattie. Poiché è sensibile alla luce, il chinino viene impiegato anche nella fabbricazione delle pellicole fotografiche. Può essere pure usato nella produzione della birra, specialmente della Pilsner. A questo proposito, alcuni aggiungono acqua tonica alle bevande alcoliche per prendere il chinino senza dover ingoiare pillole amare. Anche varie materie plastiche contengono chinino.

Il chinino allo stato puro viene usato sempre meno. D’altra parte, è in aumento l’impiego dei suoi derivati. Chi si cura con chinino puro può accorgersi che produce un effetto sfavorevole su occhi, orecchi e stomaco. Ciò non avviene con i derivati del chinino.

Ciò nondimeno, The World Book Encyclopedia dice del chinino e di una sostanza simile: “Oggi i medici impiegano il farmaco chinidina per curare e correggere certi disturbi del ritmo cardiaco. La chinidina ha la stessa formula chimica del chinino, e differisce da esso solo per la disposizione degli atomi nella molecola. I medici credono che il chinino e la chinidina possano causare anomalie nei nascituri. Per questa ragione, le donne incinte non dovrebbero prendere questi farmaci senza avere prima consultato il medico”.

Si calcola che un terzo della popolazione terrestre si ammali di malaria, specialmente nelle regioni tropicali delle Americhe, dell’Asia e dell’Africa, e che forse ben due milioni di persone muoiano ogni anno come conseguenza di questa malattia. Nel 1975 l’Organizzazione mondiale della sanità annunciò che il suo programma per debellare la malaria era fallito. Perciò non vi è dubbio che la corteccia bruno-rossastra dell’albero di china contribuisce ancora in modo notevole ad alleviare gli effetti debilitanti della malaria. Ad ogni modo, spero che la nostra escursione renda un po’ più facile a chi prende la malaria ingoiare questa pillola amara.

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